venerdì 7 marzo 2025

DONNE PARTIGIANE DI LANGA

 





DONNE PARTIGIANE. CAPELLO LUCIA CERESOLE                           LEQUIO BERRIA CADUTA

                           NIELLA BELBO

FRACCHIA CARMELA         TRUCIDATA

                          LEQUIO BERRIA

“MEGHI” MO                   STAFF.  IN BICICLETTA

                     SERRAVALLE LANGHE

FENOGLIO TERSILLA      “TROTTOLINA”

                                   NEIVE

RUFFINO VINCENZINA        “MARY”

                                   NEIVE

VOGHERA GIUSEPPINA       “PINOTTINA”

                      SERRAVALLE LANGHE

BAUDANA                              “MILIETA”

             SAN BARTOLOMEO DI         CASTAGNOLE

EBRILLE NOSENZO TERESA         “TRECCIA”

             BOSSOLASCO

GIORDANO EMMA                            “EMMA”

CAPELLO  LUCIA  07/12/1902 

CERESOLE D'ALBA (CUNEO)

PARTIGIANO  10° DIV GL Dal 15/01/1945 Al 12/02/1945

STAFFETTA INFORMATRICE 

Caduta il 12/02/1945 nel Comune di LEQUIO BERRIA

            

Mario Saglietti ‘d Boérin Tre Cunei Arguello

 “Ran massame ra Maestra!” Mi hanno ucciso la Maestra





Il 12 Febbraio 1945 io ero a scuola a Lequio Berria. La mia maestra era Capello Lucia di Ceresole d’Alba . Arrivarono i Tedeschi evidentemente perché avevano saputo che da “Ceron” c’erano i partigiani. Ricordo benissimo che era “Mèsdì e chèicos!” si sentì sparare e la maestra ci disse :” bambini state qui buoni che io vado  a vedere cosa è successo!” Venne ad accompagnare l’altra insegnante che abitava proprio nella casa “ch’ìi divo da Ceron” e arrivarono nel bel mezzo della sparatoria. Una maestra rimase solo ferita mentre la mia insegnante fu uccisa. Successe che quando i tedeschi con le camionette furono  prima di arrivare in paese dove c’è ora il monumento , qualche partigiano sparò e iniziò così! Vers mès bot (verso le  dodici e trenta un’altra  maestra ci fece uscire da scuola e noi che venivamo verso i Tre Cunei  passammo dove c’era stata la sparatoria .Vedemmo dei lenzuoli che coprivano dei morti e qualcuno disse “Ran massà ra nostra maestra!” (hanno ucciso la nostra maestra!) ma c’erano i tedeschi e “Ran pano fanra voghé!”(non ce l’hanno lasciata vedere!). Ci fecero filare “pèi dra losn e noi na pao der diao”!(come il fulmine e noi avevamo una paura del diavolo!)

A iéra propi na brava fomra! Mi m’ra sogn ancora adèss! (era proprio una brava donna! Me la sogno ancora adesso! Mi fece scuola dalla prima elementare alla quarta e poi me l’hanno ammazzata! 

 

UCCISI PER RAPPRESAGLIA. CERCAVANO IL “ROSSO” E FILIPPO ERA ROSSO DI CAPELLI

 

 

SOTTIMANO FILIPPO DI LORENZO NIELLA BELBO il 05/11/1909

Contadino

VI DIV LANGHE 16^ BRG PEROTTI NIELLA BELBO il 02/08/1944

 

 

 

FRACCHIA CARMELA DI SERAFINO NIELLA BELBO il 18/07/1916

Casalinga VI DIV LANGHE 99^ BRG FIORE

NIELLA BELBO il 02/08/1944

 

RITA PEISINO BERTOLDO RACCONTA

Il due Agosto 1944 i nazifascisti irruppero nella casa del Belbo sotto Niella Belbo. Le “squadracce” racconta Rita, cercavano un partigiano che aveva nome di battaglia “O Ross” “il rosso”, era del Gruppo di “Lupo”. Avevano ricevuto una delazione ed erano arrivati a casa di Sottimano Filippo che aveva i capelli “rossi”. Filippo era sposato con Fracchia Carmela e avevano due figli Bruna e Renzo. Carmela era la sorella di Teresa Fracchia Bertoldo suocera di Rita.

Filippo aveva saputo dell’arrivo dei tedeschi ed era già fuggito a nascondersi nella boscaglia verso Niella Belbo, ma si accorse di non essersi preso dei soldi e decise di tornare a recuperare qualche banconota dal gruzzoletto dei risparmi famigliari, nascosto nel materasso.

Fece in tempo ad arrivare nella casa, ma non riuscì a fuggire prima che giungessero i nazifascisti. Lo presero e iniziarono a malmenarlo, volevano sapere dove fossero i Partigiani, e siccome Filippo non parlava stavano per ammazzarlo. La moglie trattenuta urlava a più non posso implorando di lasciare stare il marito che non sapeva nulla. Le urla si fecero così terribili che uno degli aguzzini le sparò in bocca uccidendola. La donna era in attesa di un bimbo ma quei delinquenti non ebbero pietà. Presero poi i due poveri corpi e li trascinarono sotto gli alberi per nasconderli.

 


     


MO  MARGHERITA 22/02/1923  LEQUIO BERRIA (CUNEO) - SARTA   Nome di battaglia MEGHI   

2°DIVLANGHE 6°BRG BELBO 

 

Meghi soprannominata “la Partigiana in bicicletta” aveva ricordi indelebili della sua attiva partecipazione alla guerra partigiana:

<Ricordo quella triste giornata del giugno 1944 a Lequio quando arrivarono da Alba due autocarri pieni di fascisti RAP armati fino ai denti e iniziarono a sparare ai partigiani per ucciderli tutti. Non potrò mai dimenticare quei giovani ragazzi così barbaramente trucidat. Quando li vidi così straziati  rimasi con gli occhi ed il cuore pieni di orrore.Quei fascisti non erano soldati , ma assassini e nemici dell’Italia; e dovevano quindi essere combattuti con ogni nostro mezzo. Nella notte non chiusi occhio;pensai che anch’io avrei potuto e dovuto aiutare i partigiani anche senza prendere armi in mano.Io sentivo che potevo combattere il nemico andando in mezzo a loro per spiare ogni loro gesto, ed informaredi quanto erano armati e quanti erano, quali azioni stavano preparando e se arrivavano rinforzi, Così avrei potuto salvare vite umane  e case dalle fiamme. Entrai così a far parte della Compagnia Comando e ne divenni Staffetta, Donna partigiana.Iniziai ad operare ad Alba, poi passai a Santo Stefano Belbo.Una sera venni fermata mentre uscivo da Santo Stefano  per raggiungere Castino. Un uomo mi puntò una pistola e mi accusò di essere una spia dei fascisti. Io capii subito che era un tedesco e gli dissi che ero una sartina di Campetto e gli mostrai il centimetro ed il libretto delle misure. Per quattro ore si finse un partigiano slavo, ma alla fine mi disse che era un tedesco dello spionaggio segreto e mi credeva una spia dei partigiani. Voleva portarmi in caserma , ma riuscii a convincerlo piagnucolando, di lasciarmi andare a casa poiché mia mamma era preoccupatae mio fratello era prigioniero in Germania. Così mi lasciò andare ed arrivat verso le 11 di sera a Castino sotto un temporale violento.Poli e compagni erano tutti preoccupati e Pinin il papà di Poli mi cedette il suo sacco a pelo per dormire. Dopo questo fatto dovetti cambiare base e andai a Cairo,Savona e Piana Crixia. Percorrevo quei posti tutti in salita un po’ a piedi con la bicicletta in spalla e poco pedalando.Con il grande rastrellamento del novembre ’44 andai a spiare i fascisti che stavano sopra il ponte di Campetto e il giorno dopo andai a Cravanzana per far portare inella chiesetta i partigiani uccisi. In quel mentre arrivarono nuovamente i fascisti e tedeschi e mi trovai in mezzo ad una grande sparatoria. Dalì nella notte andai con altri alla Lunetta di Mombarcaro e dilì fui mandata con un piccolo gruppo verso la montagna. Per guadare il Tanaro dovemmo creare dlle passerelle con dei tronchi poiché i ponti erano tutti sorvegliati. Viaggiavo tutto il giorno in bicicletta, dalle montagne alle Langhe ed alla sera portavo le informazioni a Poli e compagni.. Un giorno, ai primi di Dicembre, fui mandata a portare ordini alla “ Missione inglese del Colonnello Stevens e del Maggiore Ballard, erano tra Murazzano e Belvedere. Al mattino, quando stavo tornando vidi una colonna di nazifascisti che scendeva da Murazzano, allora tornai di corsa dal Colonnello e li guidai prima a nascondersi in un vallone profondo poi a notte inoltrata  li feci risalire e nonostante loro volessero andare da “Aceto” il Comandante (Furio Aceto, generale di Divisione e comandante partigiano, 1921 2020.Dopo aver partecipato alla Difesa di Roma nel settembre 1943, entrò nella Resistenza: partigiano in Val Grana e Val Corsaglia, comandante di unità in Valle Stura di Demonte, in Val Pesio e Val Corsaglia, nelle Langhe, nell’astigiano e in Val Bormida, fino alla liberazione di Savona.) i li condussi in salvo a Lunetta di Mombarcaro da Bogliolo. Al mattino ripartii per Pamparato a portare ordino da parte del com. Bogliolo.

Il 7 dicembre venni fermata a San Michele di Mondovì dai militi del ten. Rizzo del presidio repubblicano. Questi mi disse subito che mi avrebbe fatta fucilare. Mi portarono in Caserma e mi accusarono di essere una spia dei “Ribelli”. Mi interrogarono a lungo ma io non feci alcun nome e mi giustificai dicendo che ero andata in montagna per non morire di fame a prendere castagne. Mi perquisirono ma non trovarono i messaggi che avevo nascosti sotto i plantari delle scarpe. Dopo due ore mi spintonarono in piazza dicendomi che mi avrebbero fucilata. Mi fecero rasare i capelli e mi fecero fare il giro della piazza con i fucili puntati, ricordo ancora il freddo di quelle canne di fucile. Alla sera mi caricarono su di una camionetta e mi condussero a Ceva dal Languasco che mi offrì molti soldi e cercò di spaventarmi dicendomi che se non collaboravo con lui sarei finita a marcire in carcere. Mi fece andare verso Mombasiglio, Lisio e Viola per espormi ai partigiani, ma quando fui a Viola mollai la bicicletta e pregando la Madonna Immacolata e piangendo percorsi sentieri scoscesi e dopo aver camminato tanto raggiunsi i miei compagni partigiani a Frabosa Soprana. Anche qui mi trovai in mezzo a rastrellamenti e così una notte tornai nelle Langhe. Qualche giorno dopo alla Pedaggera di Ceva cademmo in un’altra imboscata. Anche in questo caso scappai in mezzo ad una gran sparatoria e pur con una caviglia slogata giunsi a Saliceto. Mi travestii da vecchia con uno scialle in testa ed un bastone e riuscii a farmi ospitare alla cainonica per otto giorni. Il giorno di Natale del 1944 lo trascorsi in un solaio presso Monesiglio. Quando mi ricongiunsi con Poli mi fece arrivare da Torino una parrucca nera che mi servì fino alla Liberazione. A Torino entrai in testa alla colonna degli uomini della II DIVISIONE LANGHE, portavo una bandiera più grande di me. Dopo la Liberazione tornai a casa senza odio per nessuno. La vita riprese, ma la mia famiglia aveva subito la perdita del mio unico fratello trucidato dai tedeschi in prigionia. Questo dolore me  lo porto per sempre.>

 

 


“TROTTOLINA” LA STAFFETTA PARTIGIANA MAESTRA FENOGLIO TERSILLA OPPEDISANO

Nata 1925 a Serravalle Langhe, raccontò alla Maestra Maria Traversa , che allorché decise di collaborare con i Partigiani era studentessa al Collegio di Nizza Monferrato e per tenere i collegamenti con la sede dei Garibaldini a Villa di Serravalle Langhe, percorreva a piedi, tutta la Valle Belbo pur con grande disagio e pericolo. Chiese ai capi partigiani se poteva indossare i pantaloni per i viaggi di trasferimento, ma questi le consigliarono di non farlo poiché sarebbe stato più pericoloso in quanto una donna con i pantaloni avrebbe immediatamente dato nell’occhio e individuata come ribelle. Così continuò i suoi viaggi vestita con la gonna e sopportando anche l’inclemenza della pioggia e della neve.

 

Come suggerisce il titolo di una raccolta di storie di partigiane piemontesi, la resistenza femminile in Italia è in gran parte una "resistenza taciuta," che solo negli ultimi anni ha cominciato ad affiorare. Per capire le ragioni di questo silenzio occorre leggere il racconto-intervista di "Trottolina," una delle tante staffette che assicuravano i contatti tra i vari distaccamenti partigiani stanziati nelle Langhe, dove fu più tenace la resistenza contro i nazi-fascisti. Nonostante il ruolo importantissimo che Tersilla Fenoglio Oppedisano ebbe nel conflitto, le venne vietato di partecipare alle sfilate che si svolsero dopo la Liberazione

Testimonianza tratta dall’intervista rilasciata nel 1976 raccolta in La resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi, di Anna Maria Buzzone e Rachele Farina.

(…)L’8 settembre io sono scesa a Alba e sono andata davanti alla caserma: ho visto i nostri soldati che consegnavano i fucili mentre i tedeschi ammucchiavano le armi all’interno del cortile; sono entrata, e ho visto che tenevano prigionieri i nostri. In quel momento è scattata la molla del patriottismo contro il tedesco in casa. L’indomani io e qualche altro ci siamo messi in mezzo alla strada tutto il giorno, a bloccare i camion carichi dei nostri soldati che arrivavano dalla Francia e volevano ritornare a casa loro, al Sud. Dicevamo: “Non andate giù, se no vi pigliano prigionieri e vi portano in Germania”. Quella era già Resistenza. La Resistenza è nata da lì.


Sono stata ancora un po’, qualche mese, senza far niente. Nell’inverno del ’43 son sorte nella Langa le prime bande partigiane di Martini Mauri. A Murazzano già se ne parlava come di un eroe leggendario. Quando ho sentito parlare di lui, delle prime formazioni, ho provato il fascino del ribelle, legato al Risorgimento italiano, in funzione antiaustriaca. In quel momento ho buttato a mare non la patria, non quello che Mussolini mi aveva insegnato: io ho buttato a mare Mussolini. Ho detto: “Qui bisogna fare qualche cosa: dobbiamo impegnarci; non possiamo stare a casa a far niente”.
 Andavamo a turno dagli industriali e dicevamo: “Mi manda il partigiano tal dei tali. Abbiamo bisogno che voi finanziate le formazioni. Allora, o ci date tanto oppure vengono giù e fanno saltare l’azienda”.


Sono andata da Liborio, da Miroglio, da Rizzoglio, quello del mulino. Loro, anche davanti a una ragazzina come me, avevano una paura folle! Io andavo da sola, con una borsa a tracolla, e avevo una paura folle anch’io.(…)

 

 


 

                           MAESTRA RUFFINO CORDERO VINCENZINA

                             STAFFETTA PARTIGIANA “MARY”   NEIVE

………..Terminata la quinta classe andai a sostenere l’esame di ammissione al Liceo classico di Alba, e già allora vi fu una cosa che mi seccò molto, mi richiesero la documentazione di razza ariana fino alla settima generazione. Il Podestà di Neive , Tullio Grasso, papà della Maestra Dina e del Maestro Igino, non voleva farmelo perché mio zio Centin Boffa non era fascista e non volle mai partecipare all’addestramento militare. In seguito al suo rifiuto vennero a prenderlo e gli fecero bere l’olio di ricino, mi ricordo che lo legarono al fico e gli fecero trangugiare l’olio. Fu da questo fatto che scattò  la scintilla che mi fece diventare ANTIFASCISTA. Vedere dei Fascisti in divisa che cercavano di estorcere a mio zio la promessa che il sabato successivo sarebbe andato alla parata militare e vederlo  dire : < biteme an perzon , feme lo che vori ma mi tant e vèn nèn!>(mettetemi in prigione, fatemi quel che volete tanto io non vengo) fu per me un insegnamento di coerenza morale che mi educò per sempre……

L’INIZIO DELL’IMPEGNO ANTIFASCISTA

Intorno ai 16 anni ero nel gruppo di amici con Giacosa , Giovanni Negro , Elsa Giachino , Ceci Rocca, Carla Pelissero ma fu soprattutto con Elsa Giachino che entrammo come staffette partigiane.

Un altro grande esempio di antifascismo lo ebbi da mio zio Don Boffa che fece da cappellano di noi giovani che eravamo un po’ sbandati. Lui che veniva da una famiglia antifascista aveva grandi discussioni con Don Bollano e Don Bergadano che nella tradizione classica della Chiesa erano schierati con il Fascismo.

Nel grande rastrellamento che fecero a Neive il giorno dell’Immacolata mio zio ebbe un ruolo determinante per la salvezza dei giovani e per l’esempio che seppe fornire. I nazifascisti vennero durante i Vespri e fecero uscire tutti dalla Chiesa , puntando le armi volevano sapere dove erano nascosti i giovani . Don Boffa li aveva nascosti nel campanile della Chiesa, si presentò con le mani in alto e disse di essere lui il colpevole e di lasciare i giovani. Intanto i giovani scapparono attraverso delle fognature e non furono scoperti .

In quel periodo io frequentavo la quarta Magistrale e con l’esempio dello zio ,che collaborava con i capi della Resistenza locale, iniziai l’attività di staffetta partigiana.

Zio aveva contatti con Gildo che era il comandante dei partigiani della Langa, con il papà di Giovanni Negro, con Piero Ghiacci, Paolo Farinetti , Bubbio. Quando Bubbio fu nascosto in canonica a Neive io portavo le comunicazioni ad Alba e viceversa. In quel periodo diventai sospettata e cominciarono a cercarmi ma fortunatamente mi cercavano come Boffa Vincenza(il cognome della mamma) e non come Ruffino e questo mi salvò parecchie volte.

Quando nel secondo rastrellamento presero Giovanni Negro, il papà, Giron e tanti altri, Don Boffa faceva la spola dal palazzo dei Conti Riccardi al Castello dove c’era la sede dei nazifascisti per effettuare un compromesso e non farli portare a Torino, fu in quel caso che vide il mio nome e allora mi fece nascondere al”Bric dro rsu” dove rimasi per tre giorni. Intanto da Alba chiesero i rinforzi ai nazifascisti che erano a Neive e questi avendo capito che mio zio era collaboratore di Gildo fecero esplodere  una bomba davanti alla porta di casa sua. Io ero già andata via.

Un altro fatto in cui la scampai per miracolo fu quando dovendo portare a Piero Ghiacci , a Gildo e Farinetti la comunicazione con l’ora esatta per l’assalto alla caserma , uscendo da scuola passai dalla moglie di Bubbio che mi diede il cappotto di sua figlia dove avevano cucito nella fodera il foglio con l’informazione. Per venire a scuola passavamo per le gallerie ferroviarie, per tornare si passava dallo stradone . Il gruppo era con Valerio , Cicci, AnnaRosa. GianPaolo, CarloAlberto, quando fummo al ponte sulla Cherasca trovammo il posto di blocco. Feci in tempo a consegnare il cappotto ad AnnaRosa ,che non sapeva nulla, e un Repubblicano mi prese la cartella con i libri e si mise a sfogliarli, un’ausiliaria mi fece svestire completamente e mi fece attendere nuda finchè quello che aveva controllato il diario e i libri non disse :

“ Falla rivestire, questa è Boffa Vincenza ,non ha nulla a che fare con Ruffino Vincenza” . Sul diario io avevo l’abitudine di mettere le generalità della mamma Boffa Maria e mie Boffa Vincenza. Il mio nome di battaglia era Mary.

AnnaRosa mi aspettava più avanti con gli altri e fino ad Altavilla passando per la scorciatoia da Boffa più nessuno parlò. Avevano capito che avevamo rischiato qualcosa ma era andata bene. Dalla Chiesa dra Madona dj’Angei Valerio e noi tutti tirammo un respiro di sollievo: Era andata!

Con il terzo rastrellamento fui consigliata di nascondermi a Bergolo e mi accompagnò Piero Ghiacci con il cavallo e il “birocin”, rimasi quattro giorni poi mio zio parlò con il parroco di Arguello e mi trasferii in questo piccolo paese.

    




 

VOGHERA  GIUSEPPINA  29/06/1902  NEIVE  

(INSEGNANTE ELEMENTARE)

Nome di battaglia “Pinottina”  

PARTIGIANO  1° GDA Dal 15/02/1944 Al 07/06/1945

Edoardo Voghera (il nipote) mi raccontò dell’incontro che la zia ebbe, lui presente, con il Comandante “Paolo” FARINETTI.

< Sono ricordi di ragazzino, come quella volta che la zia si presentò in cascina e mi disse : <vieni Edo che dobbiamo andare a Barbaresco> Siccome lei era Ufficiale di collegamento dei vari gruppi partigiani, aveva necessità di incontrare Paolo Farinetti.

Io avevo quindici anni e ci avviammo calpestando la neve, e ce n’era tanta, poiché a quei tempi “ra calà” non la effettuavano. Arrivammo alla sede della formazione e la zia chiese di incontrare Paolo. Si salutarono e lei gli riferì, ma lui la interruppe e mi guardò, come per chiedere chi fossi. Allora mia zia comprese e gli disse < stai tranquillo è una “tomba”> e continuò< Guarda che c’è un problema importante, hanno catturato due partigiani e li fucilano martedì> era un venerdì sera a mezzanotte o giù di lì! Allora lui pensò un attimo poi la rassicurò <martedì, quindi abbiamo un giorno o due, ma va bene stai tranquilla “dagh ra larga ai mè antorna Alba e apena un o bota fora ra testa ro ambrancoma”( allerto i miei intorno ad Alba e appena uno mette fuori la testa lo catturiamo). Ed effettuiamo lo scambio>. <

Ora, i particolari di chi fossero i partigiani non lo ricordo, ma seppi che riuscirono a catturare due fascisti e ad effettuare lo scambio. Questo fatto mi è rimasto impresso come anche l’immagine del Partigiano Paolo colpì i miei occhi di ragazzino: lui era un bel giovane alto e sicuro di sé, rassicurò anche la zia!>

 

EX ALLIEVA DI TREISO SALVA LA ZIA DALL’ARRESTO

La zia Pinottina scampò parecchie volte all’arresto dei “muti”, ma il salvataggio che ebbe del miracoloso fu quello dovuto alla prontezza di una ex allieva di Treiso. Questa giovane era impiegata come “telefonista” alla Stipel di Alba, il centralino che era situato in via Maestra, e ascoltò l’ordine che giungeva dal comando di Torino per il Comandante Gagliardi di Alba: “Arrestare immediatamente la Maestra Voghera Giuseppina Collaboratrice dei Ribelli”. Prontamente questa ragazza mollò tutto e inforcata la bicicletta volò a Treiso ad avvisare la zia della notizia ricevuta. In quell’occasione fuggì a San Sebastiano Po presso una cascina dei Conti Riccardi Candiani Camillo(1925 e GianPaolo 1926.)

Il generale Adolfo ebbe dalle sue seconde nozze con Adelaide dei conti Candiani d'Olivola, Guido (nato Casale Monferrato, 21 giugno 1886), il quale ottenne con R.D. 28 maggio 1925 e RR. LL. PP. del 14 febbraio 1926, la rinnovazione del titolo di conte per successione alla famiglia materna dei conti candiani d'Olivola, coll'aggiunta del cognome. Guido sposò (1915) Anna del conte Alberto Miglioretti di San Sebastiano, e da queste nozze nacquero Camillo (nato Torino, 27 aprile 1925) e Giampaolo (nato a Torino, 22 luglio 1926). La presenza del motto nella bibliografia documentata della famiglia ci conferma l'avita nobiltà raggiunta della casata. L'origine del motto risale a circa il XIV secolo.

Questo fu il “primo rastrellamento” con obiettivo l’arresto della zia, ne seguirono ben altri tre caratterizzati dalla partenza di truppe fasciste e poi anche naziste da Asti che “setacciavano” il territorio fino a Neive e poi arrivavano ai Pastura, la Borgata dove vi era casa nostra

 




 

Partigiano GIUSEPPE LAVERDE “PEPPI”

<Mentre i tedeschi stavano per arrivare a Serravalle Langhe io mi rifugiai in una cascina della Frazione Lo Prato, nella quale viveva Milieta, un’anziana vedova con uno dei suoi figli (Bino) e la nuora…………………………..

Da un posto defilato del fabbricato, Bino ed io seguivamo attentamente le mosse dei tedeschi.

Ad un tratto due delle loro squadre, di circa dieci uomini ciascuna, iniziarono di corsa la discesa del pendio verso di noi. Bino mi fece cenno di correre verso un fienile che si trovava a pochi metri. Ci nascondemmo tra le balle di paglia: Milieta mise subito tutto in ordine e se ne tornò in casa. Subito dopo sentimmo arrivare i tedeschi che circondarono il fienile….percepimmo che gli stessi infilavano le baionette dei loro fucili nelle balle di paglia per snidare le eventuali  persone. Furono attimi terribile, sentivamo le lame delle baionette, forse più vicine di quanto fossero in realtà.Fui preso dal terrore, anche perché si era saputo che in alcuni casi, quando i tedeschi non trovavano persone, avevano dato fuoco al fienile.Ad un certo punto sentii delle voci a distanza e poi silenzio. Dopo circa un’ora, sentimmo la voce di Milieta che diceva che se ne erano andati e ci disse di uscire da quella infelice situazione.

Si era verificato un fatto meraviglioso.Milieta, vedendoci in pericolo, era andata ad acchiappare due polli, li mostrò ai tedeschi facendo loro cenno di andare in casa: alcuni di loro entrarono, gli altri rimasero di guardia.Milieta diede loro i due polli, del salame ed alcune bottiglie di vino ed i tedeschi finalmente se ne andarono.                 

EBRILLE NOSENZO TERESA “ “Staffetta Partigiana “Treccia”

QUANDO ALBINO (Mereu PARTIGIANO PINO) VENNE DAI MIEI

 ………..Nel ’44 quando ormai la situazione tra “scontri” e “rastrellamenti” era diventata incandescente, Albino venne dalla mia famiglia a chiedere chi avrebbe potuto aiutare loro Partigiani svolgendo attività di Staffetta. Io, già d’accordo con lui, ero raggiante, ma osservavo i volti dei miei. Fu mio fratello Renato che ruppe la tensione dicendo che avrei potuto essere io a fare da staffetta: < “ è la più giovane e dà meno nell’occhio, inoltre è una testa che quando deve fare qualcosa lo fa bene fino in fondo!” Apprezzai quelle parole e con un occhiata a “Pino” mi dichiarai pronta.

 



 

I MESSAGGI NELLE POLACCHINE

 Mi affidò subito dei messaggi in codice da portare a Canelli alla zia di “ Poli” , Maestra Italia “Lia” Balbo , inoltre mi disse che sarei stata la staffetta “Treccia”. Il consiglio di Albino fu di nascondere i foglietti in modo che se mi avessero fermata ai posti di blocco e perquisita non avrebbero avuto modo di trovarli, di cambiare sempre percorso, e nel caso mi avessero fermata avrei dovuto dire che andavo a “fare un giro”. Decisi di metterli nelle “polacchine”, scarpe che mi avaeva passato mio fratello. Li mettevo tra la tomaia e il sottopiede.

LE MIE AVVERTENZE

Il mio compito era portare questi messaggi a Canelli, ma sapendo i rischi che potevo correre non effettuavo sempre la stessa strada, quando arrivavo andavo prima da mia zia che abitava vicino alla casa della Maestra Balbo, per assicurarmi fosse tutto tranquillo. Al ritorno, se non avevo trovato posti di blocco prendevo la stessa strada, ma se avevo trovato qualcuno, per non dare nell’occhio prendevo delle strade campestri e non mi fermavo né parlavo con nessuno anche se erano contadini o conoscenti. Purtroppo vi erano molte spie e addirittura, a volte ai posti di blocco qualcuno mi urlava in piemontese, per mettermi alla prova: “ andoa vati biondina! ?” dove vai 7 biondina? Ed io rispondevo “ a fé in gir!” Ma difficilmente, per non insospettirli ripassavo da loro!

MAESTRA LIA BALBO

Quando mi recavo dalla Maestra Lia, a volte mi soffermavo a parlare con lei. Mi spiegava dell’importante attività che svolgevamo ed io ero affascinata dalle sue parole. Mi raccontava del fratello e del papà ed io ero curiosa di sapere, anche perché erano tempi in cui erano poche le persone di cui ci si poteva fidare. Lei era sincera e mi spiegava gli eventi in modo adatto ad una ragazzina come me. UN FATTO CHE MI TURBÒ Mi avevano fatto sapere che era stato ucciso il Partigiano “Pino”. La notizia fu terribile per me. Inoltre, successe che giunse a San Bartolomeo una camionetta con un uomo legato al paraurti. Si fermò poco tra la gente che urlava. Chi diceva fosse un partigiano e chi diceva fosse un fascista. Io inorridita pensai fosse stato Albino e scappai a casa piangendo. Venni a sapere che quell’uomo era stato sepolto a Coazzolo. Presi la bicicletta e pedalai fino a Coazzolo, dove trovai la fossa e vi spuntava un braccio col gesto del saluto fascista. Pensando fosse Albino ebbi il coraggio e la pietà di toccare quella mano, come in un 8 ultimo saluto al mio Comandante. Solo in seguito mi resi conto dell’imprudenza fatta nell’andare presso quella tomba. E se fosse stata un’imboscata? Non si seppe mai chi fosse quella persona sotterrata a Coazzolo. A me rimase un dolore forte per la perdita di Albino. Per tanto tempo in famiglia mi videro triste e mi chiedevano se non stessi bene. Io ero addolorata e mi mancava Albino, il suo sguardo di intesa e il suo saluto che rivolgeva allontanandosi con la moto dopo aver lasciato i messaggi. È trascorso tanto tempo ma ancora mi emoziono a raccontare di quel giovane che io consideravo un fratello e che con quelle parole di intesa: “noi siamo coraggiosi” mi aveva aiutata a crescere.

 

 

 


 

 

 

GIORDANO EMMA 29/03/1926 Bossolasco

CASALINGA Nome di battaglia EMMA  

PARTIGIANO  99°BRG GARIBALDI 

STAFFETTA Dal 01/06/1944 Al 08/06/1945

 

 

 

 

 

 

 

 



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