lunedì 24 marzo 2025

GALLESIO CASSINO LUCIA RODDINO 1929

 

 


                             GALLESIO LUCIA RODDINO  1929

LA ZIA SEVERA E COMANDANTE DI Località Pozzetti

La zia non mi lasciava mai con le mani in mano, e sempre trovava qualche lavoro.

Mi piaceva leggere, ma neppure mi era concesso. Alla sera, prima che facesse notte si cenava e poi verso le 20.00 si andava a dormire per non sprecare acetilene oppure olio delle lampade. Nella stalla si andava qualche volta la sera ma si stava scomodi su quei “balòt” (balle di paglia o fieno), e avendo poche bestie faceva freddo ed io soffrivo tanto il freddo!

Quando ebbi 14/15 anni mi ordinarono anche di “ciadlé èr bestie”(dar da mangiare agli animali) e “sguré ra stala” ( pulire la stalla) anche se erano lavori pesanti. Mi chiamavano al mattino presto ed  io, ubbidiente, sapevo quale era il lavoro: pulita la stalla trasportavo con il “rabèl” (slitta) il letame nella “liaméra “ vicino alla vigna alta.

 

 

UN LIBRO DI UN’AMICA

 Terminato quel lavoro prendevo le due pecore e andavo al pascolo. Nella grande riva della “Pastura” incontrai una ragazza più grande che sapendo della mia passione per la lettura, mi chiese se avessi voluto leggere un libro che aveva trovato, il titolo era “Ruggerino d’acciaro” . Ben volentieri , lo presi e lo lessi appassionandomi a quella storia semplice. Lo consegnai alla proprietaria ma non dimenticai mai il titolo e il racconto. Trascorsero gli anni e raccontai ai nipoti della mia passione per la lettura e della difficoltà a recuperare i libri di lettura. I nipoti per i miei ottant’anni mi fecero una sorpresa, trovarono il Libro che avevo tanto desiderato possedere ma che dovetti restituire. Mi emozionai molto ma fu una grande gioia poter rileggere le gesta di “Ruggerino d’acciaro”!

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 LA MORTE DI PAPÀ

Mio padre, ancora giovane, si ammalò e capendo di non avere vita lunga chiese alla sorella e ai nonni di prendersi cura di me qualora lui avesse lasciato questo mondo. Successe infatti che lui morì, la mamma  rimasta sola con me e il fratellino andò ad abitare in casa d’affitto e si arrangiò a svolgere dei lavori in campagna per tirare avanti, poi, visto che le difficoltà erano molte acconsentì a lasciarmi dalla zia e dai nonni.

Io, con sofferenza accettai la situazione. Quando arrivavo dal pascolo, la zia mi mandava a prendere l’acqua e poi a raccogliere “stéle” (schegge di legno ) nella vigna e ancora a cercare rami nel boschetto in fondo alla riva. Ero ubbidiente, anche se avevo una certa paura ad andare da sola nel bosco dove, avevo saputo, erano stati uccisi degli uomini dai partigiani. Mi facevo coraggio e pensando al caro  papà andavo in fretta e tornavo senza voltarmi.

Avevamo sentito degli spari e poi incuriosita dall’arrivo di partigiani con il fucile a tracolla avevo ascoltato nascostamente le parole dei grandi. Avevano ucciso dei “Girolon” dei senza tetto  che passavano alle cascine e offrivano i biglietti dei “Pianeti della fortuna”. Erano povere persone, ”Bonòmi” che ti davano il Pianeta in cambio di un piatto di minestra o di una pagnotta di pane. A volte chiedevano un posto dove dormire e siccome erano un po’ pieni di “Pieuj” (pidocchi) , gli si concedeva di dormire nel fienile o nella stalla. Erano tempi caratterizzati da ignoranza che procurava invidia e gelosie, così persone senza scrupoli accusarono quei vagabondi di essere spie e li denunciarono a dei delinquenti che si sentivano forti con un’arma in mano e li giustiziarono e sotterrarono insieme ad altri nello “rian” (ruscello) in fondo al bosco. Nella località Torséla vi erano i Partigiani e tra questi  vi erano dei personaggi che approfittavano dei momenti bui per effettuare delle crudeltà, certamente questi non avevano “ideali” e agivano solo per fare del male. Questi non furono Patrioti perché i veri Partigiani svolsero il loro dovere con onore..

 

IL MARITO CASSINO ADOLFO 1918

Mio marito Adolfo Cassino,  partì soldato di leva nel 1939. Da Mondovì fu inviato a presidiare i confini con la Francia e patì i disagi del vivere in alta montagna con nevicate che raggiungevano i 3 metri. M raccontò che si dormiva in buche scavate nella neve e che togliendo gli scarponi dai piedi, al mattino li trovavano bloccati dal gelo. Fu poi inviato in Sicilia dove patì la fame e solo grazie alle famiglie contadine, con le quali fecero amicizia collaborando nel lavoro dei campi, riuscirono a sopravvivere agli stenti e alle difficoltà. Presi prigionieri dagli americani furono condotti in Algeria e Tunisia dove, anche se discretamente trattati furono sottoposti a lavori massacranti in condizioni terribili.

Era originario di Sinio d’Alba e proveniva da una cascina in località Castella al confine con Roddino. Aveva due fratelli e una sorella che rimase da sposare. Nel periodo della Resistenza la loro cascina fu incendiata dai repubblicani per rappresaglia, poiché avevano ospitato i Partigiani. Presero i buoi dalla stalla e con il carro svuotarono gli armadi della “lingeria” biancheria e generi alimentari “salumi, vino e grano” poi appiccarono il fuoco. Gli uomini erano fuggiti a nascondersi per evitare di essere uccisi o deportati e non poterono fare nulla. La mia cognata e la suocera, quando tornarono dal mercato di Monforte trovarono la cascina in fiamme.

Rimasero ugualmente là, ma non avevano più nulla. Furono aiutate dai vicini ma sopravvissero poco a quella terribile esperienza.

I LANCI DEGLI ALLEATI

Qui attorno, siccome vi erano i Partigiani alla Torséla, furono paracadutati parecchi lanci. I partigiani accendevano un falò per segnalare il punto dove doveva atterrare il paracadute e l’aereo lanciava. Una volta una mia coetanea di nome Bianca, mi chiamò e mi disse di andare che le avevano detto che nel bidone del lancio vi erano le caramelle! Ma io non andai perché avevo paura!

Tutte le famiglie dei dintorni ricevettero dai partigiani pezzi di “seta” dei paracadute e ricordo che Paolina realizzò alla figlia l’abito per la Prima Comunione! La maggior parte dei paracadute erano di tela bianca, ma ve ne erano anche di grigio-verde.

Alla località Castella dalla suocera ricevettero una stufa e una grossa pentola dei lanci. La usammo ancora tempo dopo per cuocere la Bèrnà(minestrone di crusca pelli di patate ed altre verdure) per gli animali.

 

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