LA ZIA SEVERA E COMANDANTE DI Località Pozzetti
La zia non mi lasciava mai con
le mani in mano, e sempre trovava qualche lavoro.
Mi piaceva leggere, ma neppure
mi era concesso. Alla sera, prima che facesse notte si cenava e poi verso le
20.00 si andava a dormire per non sprecare acetilene oppure olio delle lampade.
Nella stalla si andava qualche volta la sera ma si stava scomodi su quei
“balòt” (balle di paglia o fieno), e avendo poche bestie faceva freddo ed io
soffrivo tanto il freddo!
Quando ebbi 14/15 anni mi
ordinarono anche di “ciadlé èr bestie”(dar da mangiare agli animali) e “sguré
ra stala” ( pulire la stalla) anche se erano lavori pesanti. Mi chiamavano al
mattino presto ed io, ubbidiente, sapevo
quale era il lavoro: pulita la stalla trasportavo con il “rabèl” (slitta) il
letame nella “liaméra “ vicino alla vigna alta.
UN LIBRO DI UN’AMICA
Terminato quel lavoro prendevo le due pecore e
andavo al pascolo. Nella grande riva della “Pastura” incontrai una ragazza più
grande che sapendo della mia passione per la lettura, mi chiese se avessi
voluto leggere un libro che aveva trovato, il titolo era “Ruggerino d’acciaro”
. Ben volentieri , lo presi e lo lessi appassionandomi a quella storia
semplice. Lo consegnai alla proprietaria ma non dimenticai mai il titolo e il
racconto. Trascorsero gli anni e raccontai ai nipoti della mia passione per la
lettura e della difficoltà a recuperare i libri di lettura. I nipoti per i miei
ottant’anni mi fecero una sorpresa, trovarono il Libro che avevo tanto
desiderato possedere ma che dovetti restituire. Mi emozionai molto ma fu una
grande gioia poter rileggere le gesta di “Ruggerino d’acciaro”!
.
Mio padre, ancora giovane, si
ammalò e capendo di non avere vita lunga chiese alla sorella e ai nonni di
prendersi cura di me qualora lui avesse lasciato questo mondo. Successe infatti
che lui morì, la mamma rimasta sola con me
e il fratellino andò ad abitare in casa d’affitto e si arrangiò a svolgere dei
lavori in campagna per tirare avanti, poi, visto che le difficoltà erano molte
acconsentì a lasciarmi dalla zia e dai nonni.
Io, con sofferenza accettai la
situazione. Quando arrivavo dal pascolo, la zia mi mandava a prendere l’acqua e
poi a raccogliere “stéle” (schegge di legno ) nella vigna e ancora a cercare
rami nel boschetto in fondo alla riva. Ero ubbidiente, anche se avevo una certa
paura ad andare da sola nel bosco dove, avevo saputo, erano stati uccisi degli
uomini dai partigiani. Mi facevo coraggio e pensando al caro papà andavo in fretta e tornavo senza voltarmi.
Avevamo sentito degli spari e
poi incuriosita dall’arrivo di partigiani con il fucile a tracolla avevo
ascoltato nascostamente le parole dei grandi. Avevano ucciso dei “Girolon” dei
senza tetto che passavano alle cascine e
offrivano i biglietti dei “Pianeti della fortuna”. Erano povere persone, ”Bonòmi”
che ti davano il Pianeta in cambio di un piatto di minestra o di una pagnotta
di pane. A volte chiedevano un posto dove dormire e siccome erano un po’ pieni
di “Pieuj” (pidocchi) , gli si concedeva di dormire nel fienile o nella stalla.
Erano tempi caratterizzati da ignoranza che procurava invidia e gelosie, così
persone senza scrupoli accusarono quei vagabondi di essere spie e li
denunciarono a dei delinquenti che si sentivano forti con un’arma in mano e li
giustiziarono e sotterrarono insieme ad altri nello “rian” (ruscello) in fondo
al bosco. Nella località Torséla vi erano i Partigiani e tra questi vi erano dei personaggi che approfittavano
dei momenti bui per effettuare delle crudeltà, certamente questi non avevano “ideali”
e agivano solo per fare del male. Questi non furono Patrioti perché i veri
Partigiani svolsero il loro dovere con onore..
IL MARITO CASSINO ADOLFO 1918
Mio marito Adolfo Cassino, partì soldato di leva nel 1939. Da Mondovì fu
inviato a presidiare i confini con la Francia e patì i disagi del vivere in
alta montagna con nevicate che raggiungevano i 3 metri. M raccontò che si
dormiva in buche scavate nella neve e che togliendo gli scarponi dai piedi, al
mattino li trovavano bloccati dal gelo. Fu poi inviato in Sicilia dove patì la
fame e solo grazie alle famiglie contadine, con le quali fecero amicizia collaborando
nel lavoro dei campi, riuscirono a sopravvivere agli stenti e alle difficoltà.
Presi prigionieri dagli americani furono condotti in Algeria e Tunisia dove,
anche se discretamente trattati furono sottoposti a lavori massacranti in
condizioni terribili.
Era originario di Sinio d’Alba
e proveniva da una cascina in località Castella al confine con Roddino. Aveva
due fratelli e una sorella che rimase da sposare. Nel periodo della Resistenza
la loro cascina fu incendiata dai repubblicani per rappresaglia, poiché avevano
ospitato i Partigiani. Presero i buoi dalla stalla e con il carro svuotarono
gli armadi della “lingeria” biancheria e generi alimentari “salumi, vino e
grano” poi appiccarono il fuoco. Gli uomini erano fuggiti a nascondersi per
evitare di essere uccisi o deportati e non poterono fare nulla. La mia cognata
e la suocera, quando tornarono dal mercato di Monforte trovarono la cascina in
fiamme.
Rimasero ugualmente là, ma non
avevano più nulla. Furono aiutate dai vicini ma sopravvissero poco a quella
terribile esperienza.
I LANCI DEGLI ALLEATI
Qui attorno, siccome vi erano
i Partigiani alla Torséla, furono paracadutati parecchi lanci. I partigiani
accendevano un falò per segnalare il punto dove doveva atterrare il paracadute
e l’aereo lanciava. Una volta una mia coetanea di nome Bianca, mi chiamò e mi
disse di andare che le avevano detto che nel bidone del lancio vi erano le
caramelle! Ma io non andai perché avevo paura!
Tutte le famiglie dei dintorni
ricevettero dai partigiani pezzi di “seta” dei paracadute e ricordo che Paolina
realizzò alla figlia l’abito per la Prima Comunione! La maggior parte dei
paracadute erano di tela bianca, ma ve ne erano anche di grigio-verde.
Alla località Castella dalla
suocera ricevettero una stufa e una grossa pentola dei lanci. La usammo ancora tempo
dopo per cuocere la Bèrnà(minestrone di crusca pelli di patate ed altre
verdure) per gli animali.
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