lunedì 3 marzo 2025

BOSIO EDILIA ARGUELLO 1930

 

https://youtu.be/Ra8XCfgPxOE                     POESIA AGLI SPOSI

 

https://youtu.be/lVKMrkugN9E                     QUANDO ERO PICCOLA







                   BOSIO EDILIA 1930 ARGUELLO

Nata in Aure nel 1930, <della mia leva vi era soltanto Oreste Bosio mio cugino, poi vi era Elsa che era tre anni più giovane e le sue sorelle Adriana, Carla e il fratello Giuseppe tutti più giovani. Si veniva a scuola a piedi ad Arguello in San Frontiniano. A quei tempi si attraversava lo Rian di Aure e risalendo il sentiero in mezzo ai pini, con trenta minuti di buon cammino si raggiungeva la scuola. Con gli zoccoli ai piedi, si arrivava tutti infreddoliti e pensa che dovevamo venire prima delle 8 perchè Don Bertone, il Parroco, ci faceva andare in Chiesa per la “Dottrina” prima di iniziare la lezione!  Quando frequentavamo la classe prima, la Perpetua Teresina ci faceva andare al caldo della cucina in Sacrestia, poi in seconda e terza, “con na fregg dèr diao!” (con un freddo del diavolo)si stava in Chiesa! Eravamo una trentina tra maschi e femmine

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Processione delle “Rogazioni”

Io frequentai le tre classi e poi non andai a Lequio per la quarta classe, perché mia mamma che era stata molto tempo ammalata aveva bisogno che la aiutassi. Mamma ebbe otto figli uno morì dopo appena sei giorni di vita. Morì il fratello Toni nella guerra dopo la "prigionia" e rimanemmo in sei.

   


Fratello Anonio “Toni”

                       

Mamma Natalina

                    Nonni Bracco di Cravanzana

L’INTERVENTO ALLA MAMMA

Mamma si ammalò di pleurite, e vennero i Dottori da Alba ad “operarla”. Eseguirono l’operazione sul tavolo in cucina, Io andavo ancora a scuola e quel giorno rimasi al Bricco da mia sorella Marina che era già maritata. Il medico che la curò e consigliò di farla operare fu il Dottor Busca di Feisoglio. Effettuò ben quaranta visite tra prima e dopo l’operazione, e ricordo che durante una delle ultime visite notò che peggiorava. A mio fratello “Cegio” che lo accompagnava a piedi, disse di temere che non trascorresse la notte, e di andare ad avvisarlo se era morta oppure no. La mamma nella notte migliorò e al mattino mio fratello andò dal medico a Feisoglio a riferire che si era ripresa. Questi dalla finestra unì le mani e guardando in cielo esclamo: <Era morta, è resuscitata!> . Effettivamente vi fu Iddio che la aiutò perché ormai era in fin di vita! Visse ancora una decina d’anni, io avevo ormai 22 anni.  

                            Papà Costantino Filippo


Quando la mamma si ristabilì il papà si recò dal medico Busca e pagò quaranta mila Lire, mille lire per visita. Il medico fu stupito e disse che non sperava di essere pagato completamente. Era una cifra enorme, se si pensa che una coppia di buoi costava ben ventidue mila lire e noi eravamo una famiglia contadina con non molta terra e qualche animale nella stalla, ma mio padre volle onorare il debito anche a costo di sacrifici.

DA GIOVANI A BALLARE

Quando ero giovane mi piaceva andare a ballare e a volte si usciva di casa senza farmi vedere, certo che non era come adesso che escono alle 23 e tornano alle tre! Io alle 23 rientravo e nessuno se ne accorgeva!

   

                                  


                     
Si ballava laggiù in Aure oppure, raramente, si andava a Lequio Berria e alle Feste di Leva

di Cravanzana e Lequio Berria. Eravamo tanti giovani! Pensa che quando si veniva a Messa e al Vespro eravamo ventidue! Percorrevamo ben due volte il sentiero per arrivare ad Arguello, mezz’ora all’andata e un quarto d’ora al ritorno Tut èd corsa, da mat!(tutto di corsa, da pazzi).

  

                           


Avevamo un giradischi grammofono e suonavamo con quello. C’era Pietro, SilPietro, Paoleto, Gioanin e Gepo che erano fratelli, i miei fratelli che se potevano andavano anche a ballare via, poi vi era Carla che sposò mio fratello Augusto, suo fratello Gioanin, due miei cugini che erano già sposati e avevano figli. Ci mettevamo in quella grande camera e ballavamo tutta la sera al chiaro di un lume a petrolio con quel disco che ne suonava “due istesse e rà terssa pèi drà prima!” (due uguali e la terza come la prima!), poi qualcuno spostava la puntina in dietro e così la musica non terminava mai. Ci facevamo delle “camisade!”(sudate) ma ci divertivamo tantissimo con nulla ed eravamo felici!

Quando si sfogliava il granturco era anche l’occasione per cantare, scherzare e stare insieme. Al termine del lavoro sovente si ballava, e se c’erano tante pannocchie , per anticipare l’inizio dei balli, venivano nascoste tra le foglie! Si facevano tante risate e ogni occasione era buona per fare allegria.

I LAVORI DELLE DONNE


                 FASSELLE

TOME


Anche per noi giovani i lavori non mancavano, in estate si andava al pascolo, poi  bisognava mungere le pecore e preparare le “tome” e anche andare “dvan ai beu” (davanti ai buoi) e aiutare gli uomini. Durante l’inverno si filava la lana.

                      Magna Neta di mio marito Oreste

 


                              Davanti ai Buoi

 


 

 

 

 

 

 

 

POESIA AGLI SPOSI E FILASTROCCHE

Vi dico a voi spòz

L’èi pià na spoza bela

L’èi fave onor a voi

E a tuta la parentela

Vi dico a vòi spòz

Che ‘d tanti chi jè andaine

Sèi sta il pì vincitor!

Viva ij spòz!

 

Son piamé n’ometin

Grand e gross pèid’in bambin

Tucc j’om i van a ssiè

Mè ometin o veu cò andé

Tucc iatri son tornà

Mè omnin o rè restà

È reu pià ò rastel n’tèr prà

Rastèla da d’sa rastela da d’ là

Jerà na feuja rossa

E mè omnin o j’era sota

Reu camparò ‘ntèr faudà

Reu portaroa cà

E reu bitaro ao so

E o bogiava ancò

Reu butaròn’tèr canton dèr feu

O cantava pèi d’n’arsgneu

Jè passaje rà galina nèira

A rà pitolame tuta rà stèira

Jè passajnè una griza

A rà pitolame tuta ra panssa…..

 


                                  Canté Magg

Rit. Ben ven-a magg
torneròma ‘l mèis ëd magg,
ben ven-a magg
quand a torna ‘l mèis ëd magg.
2.     Portoma st’erborin
carià di bej bindlin
për fé la riverensa
a monsù e madamin. 

Rit.
3.     Se veule ‘ncor nen chërde
che magg sia già venì
òhi feve a là finestra
e lo vëdrai fiorì. Rit.
4.     Se veule ‘ncor nen chërde
che magg a l’é rivà
òhi feve a la finestra
e lo vëdrai piantà.

 Rit.
5.     Guardé la nòstra sposa,
coma l’é bin dobà
smija la fior dël persi
quand ch’a l’é botonà. …….

 

 

 

 

 

 

 

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