DONNE PARTIGIANE. CAPELLO LUCIA CERESOLE LEQUIO BERRIA CADUTA
NIELLA BELBO
FRACCHIA
CARMELA TRUCIDATA
LEQUIO BERRIA
“MEGHI”
MO STAFF. IN BICICLETTA
SERRAVALLE LANGHE
FENOGLIO
TERSILLA “TROTTOLINA”
NEIVE
RUFFINO
VINCENZINA “MARY”
NEIVE
VOGHERA
GIUSEPPINA “PINOTTINA”
SERRAVALLE LANGHE
BAUDANA “MILIETA”
SAN BARTOLOMEO DI CASTAGNOLE
EBRILLE
NOSENZO TERESA “TRECCIA”
BOSSOLASCO
GIORDANO
EMMA “EMMA”
CERESOLE
D'ALBA (CUNEO)
PARTIGIANO
10° DIV GL Dal 15/01/1945 Al 12/02/1945
STAFFETTA
INFORMATRICE
Caduta
il 12/02/1945 nel Comune di LEQUIO BERRIA
Mario Saglietti ‘d Boérin Tre Cunei
Arguello
“Ran massame ra Maestra!” Mi hanno ucciso la Maestra
Il
12 Febbraio 1945 io ero a scuola a Lequio Berria. La mia maestra era Capello
Lucia di Ceresole d’Alba . Arrivarono i Tedeschi evidentemente perché avevano
saputo che da “Ceron” c’erano i partigiani. Ricordo benissimo che era “Mèsdì e
chèicos!” si sentì sparare e la maestra ci disse :” bambini state qui buoni che
io vado a vedere cosa è successo!” Venne
ad accompagnare l’altra insegnante che abitava proprio nella casa “ch’ìi divo
da Ceron” e arrivarono nel bel mezzo della sparatoria. Una maestra rimase solo
ferita mentre la mia insegnante fu uccisa. Successe che quando i tedeschi con
le camionette furono prima di arrivare
in paese dove c’è ora il monumento , qualche partigiano sparò e iniziò così!
Vers mès bot (verso le dodici e trenta
un’altra maestra ci fece uscire da
scuola e noi che venivamo verso i Tre Cunei
passammo dove c’era stata la sparatoria .Vedemmo dei lenzuoli che
coprivano dei morti e qualcuno disse “Ran massà ra nostra maestra!” (hanno
ucciso la nostra maestra!) ma c’erano i tedeschi e “Ran pano fanra voghé!”(non
ce l’hanno lasciata vedere!). Ci fecero filare “pèi dra losn e noi na pao der
diao”!(come il fulmine e noi avevamo una paura del diavolo!)
A
iéra propi na brava fomra! Mi m’ra sogn ancora adèss! (era proprio una brava
donna! Me la sogno ancora adesso! Mi fece scuola dalla prima elementare alla
quarta e poi me l’hanno ammazzata!
UCCISI PER RAPPRESAGLIA. CERCAVANO
IL “ROSSO” E FILIPPO ERA ROSSO DI CAPELLI
SOTTIMANO FILIPPO DI LORENZO NIELLA BELBO il 05/11/1909
Contadino
VI DIV LANGHE 16^ BRG PEROTTI NIELLA BELBO il 02/08/1944
FRACCHIA CARMELA DI SERAFINO NIELLA BELBO il 18/07/1916
Casalinga VI DIV LANGHE 99^ BRG FIORE
NIELLA BELBO il 02/08/1944
RITA PEISINO BERTOLDO RACCONTA
Il due Agosto 1944 i nazifascisti irruppero nella
casa del Belbo sotto Niella Belbo. Le “squadracce” racconta Rita, cercavano un
partigiano che aveva nome di battaglia “O Ross” “il rosso”, era del Gruppo di
“Lupo”. Avevano
ricevuto una delazione ed erano arrivati a casa di Sottimano Filippo che aveva
i capelli “rossi”. Filippo era sposato con Fracchia Carmela e avevano due figli
Bruna e Renzo. Carmela era la sorella di Teresa Fracchia Bertoldo suocera di
Rita.
Filippo aveva saputo dell’arrivo dei tedeschi ed
era già fuggito a nascondersi nella boscaglia verso Niella Belbo, ma si accorse
di non essersi preso dei soldi e decise di tornare a recuperare qualche
banconota dal gruzzoletto dei risparmi famigliari, nascosto nel materasso.
Fece in tempo ad arrivare nella casa, ma non
riuscì a fuggire prima che giungessero i nazifascisti. Lo presero e iniziarono
a malmenarlo, volevano sapere dove fossero i Partigiani, e siccome Filippo non
parlava stavano per ammazzarlo. La moglie trattenuta urlava a più non posso
implorando di lasciare stare il marito che non sapeva nulla. Le urla si fecero
così terribili che uno degli aguzzini le sparò in bocca uccidendola. La donna
era in attesa di un bimbo ma quei delinquenti non ebbero pietà. Presero poi i
due poveri corpi e li trascinarono sotto gli alberi per nasconderli.
MO MARGHERITA
22/02/1923 LEQUIO BERRIA (CUNEO) - SARTA Nome di
battaglia MEGHI
2°DIVLANGHE 6°BRG
BELBO
Meghi
soprannominata “la Partigiana in bicicletta” aveva ricordi indelebili della sua
attiva partecipazione alla guerra partigiana:
<Ricordo
quella triste giornata del giugno 1944 a Lequio quando arrivarono da Alba due
autocarri pieni di fascisti RAP armati fino ai denti e iniziarono a sparare ai
partigiani per ucciderli tutti. Non potrò mai dimenticare quei giovani ragazzi
così barbaramente trucidat. Quando li vidi così straziati rimasi con gli occhi ed il cuore pieni di
orrore.Quei fascisti non erano soldati , ma assassini e nemici dell’Italia; e
dovevano quindi essere combattuti con ogni nostro mezzo. Nella notte non chiusi
occhio;pensai che anch’io avrei potuto e dovuto aiutare i partigiani anche
senza prendere armi in mano.Io sentivo che potevo combattere il nemico andando
in mezzo a loro per spiare ogni loro gesto, ed informaredi quanto erano armati
e quanti erano, quali azioni stavano preparando e se arrivavano rinforzi, Così
avrei potuto salvare vite umane e case
dalle fiamme. Entrai così a far parte della Compagnia Comando e ne divenni
Staffetta, Donna partigiana.Iniziai ad operare ad Alba, poi passai a Santo
Stefano Belbo.Una sera venni fermata mentre uscivo da Santo Stefano per raggiungere Castino. Un uomo mi puntò una
pistola e mi accusò di essere una spia dei fascisti. Io capii subito che era un
tedesco e gli dissi che ero una sartina di Campetto e gli mostrai il centimetro
ed il libretto delle misure. Per quattro ore si finse un partigiano slavo, ma
alla fine mi disse che era un tedesco dello spionaggio segreto e mi credeva una
spia dei partigiani. Voleva portarmi in caserma , ma riuscii a convincerlo
piagnucolando, di lasciarmi andare a casa poiché mia mamma era preoccupatae mio
fratello era prigioniero in Germania. Così mi lasciò andare ed arrivat verso le
11 di sera a Castino sotto un temporale violento.Poli e compagni erano tutti
preoccupati e Pinin il papà di Poli mi cedette il suo sacco a pelo per dormire.
Dopo questo fatto dovetti cambiare base e andai a Cairo,Savona e Piana Crixia.
Percorrevo quei posti tutti in salita un po’ a piedi con la bicicletta in
spalla e poco pedalando.Con il grande rastrellamento del novembre ’44 andai a
spiare i fascisti che stavano sopra il ponte di Campetto e il giorno dopo andai
a Cravanzana per far portare inella chiesetta i partigiani uccisi. In quel
mentre arrivarono nuovamente i fascisti e tedeschi e mi trovai in mezzo ad una
grande sparatoria. Dalì nella notte andai con altri alla Lunetta di Mombarcaro
e dilì fui mandata con un piccolo gruppo verso la montagna. Per guadare il
Tanaro dovemmo creare dlle passerelle con dei tronchi poiché i ponti erano
tutti sorvegliati. Viaggiavo tutto il giorno in bicicletta, dalle montagne alle
Langhe ed alla sera portavo le informazioni a Poli e compagni.. Un giorno, ai
primi di Dicembre, fui mandata a portare ordini alla “ Missione inglese del
Colonnello Stevens e del Maggiore Ballard, erano tra Murazzano e Belvedere. Al
mattino, quando stavo tornando vidi una colonna di nazifascisti che scendeva da
Murazzano, allora tornai di corsa dal Colonnello e li guidai prima a
nascondersi in un vallone profondo poi a notte inoltrata li feci risalire e nonostante loro volessero
andare da “Aceto” il Comandante (Furio Aceto, generale di Divisione e
comandante partigiano, 1921 2020.Dopo aver partecipato alla Difesa di Roma nel settembre 1943, entrò nella
Resistenza: partigiano in Val Grana e Val Corsaglia, comandante di unità in Valle Stura di Demonte, in Val Pesio e Val Corsaglia, nelle Langhe,
nell’astigiano e in Val Bormida, fino
alla liberazione di Savona.) i li condussi in salvo a Lunetta di Mombarcaro da
Bogliolo. Al mattino ripartii per Pamparato a portare ordino da parte del com.
Bogliolo.
Il 7 dicembre venni fermata a San
Michele di Mondovì dai militi del ten. Rizzo del presidio repubblicano. Questi
mi disse subito che mi avrebbe fatta fucilare. Mi portarono in Caserma e mi
accusarono di essere una spia dei “Ribelli”. Mi interrogarono a lungo ma io non
feci alcun nome e mi giustificai dicendo che ero andata in montagna per non
morire di fame a prendere castagne. Mi perquisirono ma non trovarono i messaggi
che avevo nascosti sotto i plantari delle scarpe. Dopo due ore mi spintonarono
in piazza dicendomi che mi avrebbero fucilata. Mi fecero rasare i capelli e mi
fecero fare il giro della piazza con i fucili puntati, ricordo ancora il freddo
di quelle canne di fucile. Alla sera mi caricarono su di una camionetta e mi
condussero a Ceva dal Languasco che mi offrì molti soldi e cercò di spaventarmi
dicendomi che se non collaboravo con lui sarei finita a marcire in carcere. Mi
fece andare verso Mombasiglio, Lisio e Viola per espormi ai partigiani, ma
quando fui a Viola mollai la bicicletta e pregando la Madonna Immacolata e
piangendo percorsi sentieri scoscesi e dopo aver camminato tanto raggiunsi i
miei compagni partigiani a Frabosa Soprana. Anche qui mi trovai in mezzo a
rastrellamenti e così una notte tornai nelle Langhe. Qualche giorno dopo alla
Pedaggera di Ceva cademmo in un’altra imboscata. Anche in questo caso scappai
in mezzo ad una gran sparatoria e pur con una caviglia slogata giunsi a
Saliceto. Mi travestii da vecchia con uno scialle in testa ed un bastone e
riuscii a farmi ospitare alla cainonica per otto giorni. Il giorno di Natale
del 1944 lo trascorsi in un solaio presso Monesiglio. Quando mi ricongiunsi con
Poli mi fece arrivare da Torino una parrucca nera che mi servì fino alla
Liberazione. A Torino entrai in testa alla colonna degli uomini della II
DIVISIONE LANGHE, portavo una bandiera più grande di me. Dopo la Liberazione
tornai a casa senza odio per nessuno. La vita riprese, ma la mia famiglia aveva
subito la perdita del mio unico fratello trucidato dai tedeschi in prigionia.
Questo dolore me lo porto per
sempre.>
“TROTTOLINA” LA STAFFETTA PARTIGIANA
MAESTRA FENOGLIO TERSILLA OPPEDISANO
Nata 1925 a Serravalle Langhe, raccontò
alla Maestra Maria Traversa , che allorché decise di collaborare con i
Partigiani era studentessa al Collegio di Nizza Monferrato e per tenere i
collegamenti con la sede dei Garibaldini a Villa di Serravalle Langhe,
percorreva a piedi, tutta la Valle Belbo pur con grande disagio e pericolo.
Chiese ai capi partigiani se poteva indossare i pantaloni per i viaggi di
trasferimento, ma questi le consigliarono di non farlo poiché sarebbe stato più
pericoloso in quanto una donna con i pantaloni avrebbe immediatamente dato
nell’occhio e individuata come ribelle. Così continuò i suoi viaggi vestita con
la gonna e sopportando anche l’inclemenza della pioggia e della neve.
Come suggerisce il titolo di una raccolta
di storie di partigiane piemontesi, la resistenza femminile in Italia è in gran
parte una "resistenza taciuta," che solo negli ultimi anni ha
cominciato ad affiorare. Per capire le ragioni di questo silenzio occorre
leggere il racconto-intervista di "Trottolina," una delle tante
staffette che assicuravano i contatti tra i vari distaccamenti partigiani
stanziati nelle Langhe, dove fu più tenace la resistenza contro i
nazi-fascisti. Nonostante il ruolo importantissimo che Tersilla Fenoglio
Oppedisano ebbe nel conflitto, le venne vietato di partecipare alle sfilate che
si svolsero dopo la Liberazione
Testimonianza tratta dall’intervista
rilasciata nel 1976 raccolta
in La resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi,
di Anna Maria Buzzone e Rachele Farina.
(…)L’8 settembre io sono scesa a Alba e sono andata davanti alla
caserma: ho visto i nostri soldati che consegnavano i fucili mentre i tedeschi
ammucchiavano le armi all’interno del cortile; sono entrata, e ho visto che
tenevano prigionieri i nostri. In quel momento è scattata la molla del
patriottismo contro il tedesco in casa. L’indomani io e qualche altro ci siamo
messi in mezzo alla strada tutto il giorno, a bloccare i camion carichi dei
nostri soldati che arrivavano dalla Francia e volevano ritornare a casa loro,
al Sud. Dicevamo: “Non andate giù, se no vi pigliano prigionieri e vi portano
in Germania”. Quella era già Resistenza. La Resistenza è nata da lì.
Sono stata ancora un po’, qualche mese, senza far niente. Nell’inverno del ’43
son sorte nella Langa le prime bande partigiane di Martini Mauri. A Murazzano
già se ne parlava come di un eroe leggendario. Quando ho sentito parlare di
lui, delle prime formazioni, ho provato il fascino del ribelle, legato al
Risorgimento italiano, in funzione antiaustriaca. In quel momento ho buttato a
mare non la patria, non quello che Mussolini mi aveva insegnato: io ho buttato
a mare Mussolini. Ho detto: “Qui bisogna fare qualche cosa: dobbiamo
impegnarci; non possiamo stare a casa a far niente”.
Andavamo a turno dagli industriali e
dicevamo: “Mi manda il partigiano tal dei tali. Abbiamo bisogno che voi
finanziate le formazioni. Allora, o ci date tanto oppure vengono giù e fanno
saltare l’azienda”.
Sono andata da Liborio, da Miroglio, da Rizzoglio, quello del mulino. Loro,
anche davanti a una ragazzina come me, avevano una paura folle! Io andavo da
sola, con una borsa a tracolla, e avevo una paura folle anch’io.(…)
MAESTRA
RUFFINO CORDERO VINCENZINA
STAFFETTA
PARTIGIANA “MARY” NEIVE
………..Terminata la quinta classe andai a
sostenere l’esame di ammissione al Liceo classico di Alba, e già allora vi fu
una cosa che mi seccò molto, mi richiesero la documentazione di razza ariana
fino alla settima generazione. Il Podestà di Neive , Tullio Grasso, papà della
Maestra Dina e del Maestro Igino, non voleva farmelo perché mio zio Centin
Boffa non era fascista e non volle mai partecipare all’addestramento militare.
In seguito al suo rifiuto vennero a prenderlo e gli fecero bere l’olio di
ricino, mi ricordo che lo legarono al
fico e gli fecero trangugiare l’olio. Fu da questo fatto che scattò la scintilla che mi fece diventare ANTIFASCISTA. Vedere dei Fascisti in
divisa che cercavano di estorcere a mio zio la promessa che il sabato
successivo sarebbe andato alla parata militare e vederlo dire : < biteme an perzon , feme lo che
vori ma mi tant e vèn nèn!>(mettetemi in prigione, fatemi quel che volete
tanto io non vengo) fu per me un insegnamento di coerenza morale che mi educò
per sempre……
L’INIZIO
DELL’IMPEGNO ANTIFASCISTA
Intorno ai 16 anni ero nel gruppo di amici
con Giacosa , Giovanni Negro , Elsa Giachino , Ceci Rocca, Carla Pelissero ma
fu soprattutto con Elsa Giachino che entrammo come staffette partigiane.
Un altro grande esempio di antifascismo lo
ebbi da mio zio Don Boffa che fece da cappellano di noi giovani che eravamo un
po’ sbandati. Lui che veniva da una famiglia antifascista aveva grandi
discussioni con Don Bollano e Don Bergadano che nella tradizione classica della
Chiesa erano schierati con il Fascismo.
Nel grande rastrellamento che fecero a
Neive il giorno dell’Immacolata mio zio ebbe un ruolo determinante per la
salvezza dei giovani e per l’esempio che seppe fornire. I nazifascisti vennero
durante i Vespri e fecero uscire tutti dalla Chiesa , puntando le armi volevano
sapere dove erano nascosti i giovani . Don Boffa li aveva nascosti nel
campanile della Chiesa, si presentò con le mani in alto e disse di essere lui
il colpevole e di lasciare i giovani. Intanto i giovani scapparono attraverso
delle fognature e non furono scoperti .
In quel periodo io frequentavo la quarta
Magistrale e con l’esempio dello zio ,che collaborava con i capi della
Resistenza locale, iniziai l’attività di staffetta partigiana.
Zio aveva contatti con Gildo che era il
comandante dei partigiani della Langa, con il papà di Giovanni Negro, con Piero
Ghiacci, Paolo Farinetti , Bubbio. Quando Bubbio fu nascosto in canonica a
Neive io portavo le comunicazioni ad Alba e viceversa. In quel periodo diventai
sospettata e cominciarono a cercarmi ma fortunatamente mi cercavano come Boffa
Vincenza(il cognome della mamma) e non come Ruffino e questo mi salvò parecchie
volte.
Quando nel secondo rastrellamento presero
Giovanni Negro, il papà, Giron e tanti altri, Don Boffa faceva la spola dal
palazzo dei Conti Riccardi al Castello dove c’era la sede dei nazifascisti per
effettuare un compromesso e non farli portare a Torino, fu in quel caso che
vide il mio nome e allora mi fece nascondere al”Bric dro rsu” dove rimasi per
tre giorni. Intanto da Alba chiesero i rinforzi ai nazifascisti che erano a
Neive e questi avendo capito che mio zio era collaboratore di Gildo fecero
esplodere una bomba davanti alla porta
di casa sua. Io ero già andata via.
Un altro fatto in cui la scampai per
miracolo fu quando dovendo portare a Piero Ghiacci , a Gildo e Farinetti la
comunicazione con l’ora esatta per l’assalto alla caserma , uscendo da scuola
passai dalla moglie di Bubbio che mi diede il cappotto di sua figlia dove
avevano cucito nella fodera il foglio con l’informazione. Per venire a scuola
passavamo per le gallerie ferroviarie, per tornare si passava dallo stradone .
Il gruppo era con Valerio , Cicci, AnnaRosa. GianPaolo, CarloAlberto, quando
fummo al ponte sulla Cherasca trovammo il posto di blocco. Feci in tempo a
consegnare il cappotto ad AnnaRosa ,che non sapeva nulla, e un Repubblicano mi
prese la cartella con i libri e si mise a sfogliarli, un’ausiliaria mi fece
svestire completamente e mi fece attendere nuda finchè quello che aveva
controllato il diario e i libri non disse :
“ Falla rivestire, questa è Boffa Vincenza
,non ha nulla a che fare con Ruffino Vincenza” . Sul diario io avevo
l’abitudine di mettere le generalità della mamma Boffa Maria e mie Boffa
Vincenza. Il mio nome di battaglia era Mary.
AnnaRosa mi aspettava più avanti con gli
altri e fino ad Altavilla passando per la scorciatoia da Boffa più nessuno
parlò. Avevano capito che avevamo rischiato qualcosa ma era andata bene. Dalla
Chiesa dra Madona dj’Angei Valerio e noi tutti tirammo un respiro di sollievo:
Era andata!
Con il terzo rastrellamento fui
consigliata di nascondermi a Bergolo e mi accompagnò Piero Ghiacci con il
cavallo e il “birocin”, rimasi quattro giorni poi mio zio parlò con il parroco
di Arguello e mi trasferii in questo piccolo paese.
VOGHERA
GIUSEPPINA 29/06/1902 NEIVE
(INSEGNANTE
ELEMENTARE)
Nome di battaglia
“Pinottina”
PARTIGIANO
1° GDA Dal 15/02/1944 Al 07/06/1945
Edoardo Voghera (il nipote) mi raccontò dell’incontro che la zia ebbe, lui
presente, con il Comandante “Paolo” FARINETTI.
< Sono ricordi di ragazzino, come quella volta che la zia si presentò in
cascina e mi disse : <vieni Edo che dobbiamo andare a Barbaresco> Siccome
lei era Ufficiale di collegamento dei vari gruppi partigiani, aveva necessità
di incontrare Paolo Farinetti.
Io avevo quindici anni e ci avviammo calpestando la neve, e ce n’era tanta,
poiché a quei tempi “ra calà” non la effettuavano. Arrivammo alla sede della
formazione e la zia chiese di incontrare Paolo. Si salutarono e lei gli riferì,
ma lui la interruppe e mi guardò, come per chiedere chi fossi. Allora mia zia
comprese e gli disse < stai tranquillo è una “tomba”> e continuò<
Guarda che c’è un problema importante, hanno catturato due partigiani e li
fucilano martedì> era un venerdì sera a mezzanotte o giù di lì! Allora lui
pensò un attimo poi la rassicurò <martedì, quindi abbiamo un giorno o due,
ma va bene stai tranquilla “dagh ra larga ai mè antorna Alba e apena un o bota
fora ra testa ro ambrancoma”( allerto i miei intorno ad Alba e appena uno mette
fuori la testa lo catturiamo). Ed effettuiamo lo scambio>. <
Ora, i particolari di chi fossero i partigiani non lo ricordo, ma seppi che
riuscirono a catturare due fascisti e ad effettuare lo scambio. Questo fatto mi
è rimasto impresso come anche l’immagine del Partigiano Paolo colpì i miei
occhi di ragazzino: lui era un bel giovane alto e sicuro di sé, rassicurò anche
la zia!>
EX
ALLIEVA DI TREISO SALVA LA ZIA DALL’ARRESTO
La zia
Pinottina scampò parecchie volte all’arresto dei “muti”, ma il salvataggio che
ebbe del miracoloso fu quello dovuto alla prontezza di una ex allieva di
Treiso. Questa giovane era impiegata come “telefonista” alla Stipel di Alba, il
centralino che era situato in via Maestra, e ascoltò l’ordine che giungeva dal
comando di Torino per il Comandante Gagliardi di Alba: “Arrestare
immediatamente la Maestra Voghera Giuseppina Collaboratrice dei Ribelli”.
Prontamente questa ragazza mollò tutto e inforcata la bicicletta volò a Treiso
ad avvisare la zia della notizia ricevuta. In quell’occasione fuggì a San
Sebastiano Po presso una cascina dei Conti Riccardi Candiani Camillo(1925 e
GianPaolo 1926.)
Il generale
Adolfo ebbe dalle sue seconde nozze con Adelaide dei conti Candiani d'Olivola,
Guido (nato Casale Monferrato, 21 giugno 1886), il quale ottenne con R.D. 28
maggio 1925 e RR. LL. PP. del 14 febbraio 1926, la rinnovazione del titolo di
conte per successione alla famiglia materna dei conti candiani d'Olivola,
coll'aggiunta del cognome. Guido sposò (1915) Anna del conte Alberto
Miglioretti di San Sebastiano, e da queste nozze nacquero Camillo (nato Torino,
27 aprile 1925) e Giampaolo (nato a Torino, 22 luglio 1926). La presenza del
motto nella bibliografia documentata della famiglia ci conferma l'avita nobiltà
raggiunta della casata. L'origine del motto risale a circa il XIV secolo.
Questo fu il “primo
rastrellamento” con obiettivo l’arresto della zia, ne seguirono ben altri tre
caratterizzati dalla partenza di truppe fasciste e poi anche naziste da Asti
che “setacciavano” il territorio fino a Neive e poi arrivavano ai Pastura, la Borgata
dove vi era casa nostra
Partigiano GIUSEPPE LAVERDE “PEPPI”
<Mentre i tedeschi stavano per arrivare
a Serravalle Langhe io mi rifugiai in una cascina della Frazione Lo Prato,
nella quale viveva Milieta, un’anziana vedova con uno dei suoi figli (Bino) e
la nuora…………………………..
Da un posto defilato del fabbricato, Bino
ed io seguivamo attentamente le mosse dei tedeschi.
Ad un tratto due delle loro squadre, di
circa dieci uomini ciascuna, iniziarono di corsa la discesa del pendio verso di
noi. Bino mi fece cenno di correre verso un fienile che si trovava a pochi
metri. Ci nascondemmo tra le balle di paglia: Milieta mise subito tutto in
ordine e se ne tornò in casa. Subito dopo sentimmo arrivare i tedeschi che
circondarono il fienile….percepimmo che gli stessi infilavano le baionette dei
loro fucili nelle balle di paglia per snidare le eventuali persone. Furono attimi terribile, sentivamo
le lame delle baionette, forse più vicine di quanto fossero in realtà.Fui preso
dal terrore, anche perché si era saputo che in alcuni casi, quando i tedeschi
non trovavano persone, avevano dato fuoco al fienile.Ad un certo punto sentii
delle voci a distanza e poi silenzio. Dopo circa un’ora, sentimmo la voce di
Milieta che diceva che se ne erano andati e ci disse di uscire da quella
infelice situazione.
Si era verificato un fatto
meraviglioso.Milieta, vedendoci in pericolo, era andata ad acchiappare due
polli, li mostrò ai tedeschi facendo loro cenno di andare in casa: alcuni di
loro entrarono, gli altri rimasero di guardia.Milieta diede loro i due polli,
del salame ed alcune bottiglie di vino ed i tedeschi finalmente se ne andarono.
EBRILLE NOSENZO TERESA “ “Staffetta Partigiana
“Treccia”
QUANDO ALBINO (Mereu
PARTIGIANO PINO) VENNE DAI MIEI
………..Nel ’44 quando ormai la situazione tra
“scontri” e “rastrellamenti” era diventata incandescente, Albino venne dalla
mia famiglia a chiedere chi avrebbe potuto aiutare loro Partigiani svolgendo
attività di Staffetta. Io, già d’accordo con lui, ero raggiante, ma osservavo i
volti dei miei. Fu mio fratello Renato che ruppe la tensione dicendo che avrei
potuto essere io a fare da staffetta: < “ è la più giovane e dà meno
nell’occhio, inoltre è una testa che quando deve fare qualcosa lo fa bene fino
in fondo!” Apprezzai quelle parole e con un occhiata a “Pino” mi dichiarai
pronta.
I MESSAGGI NELLE POLACCHINE
Mi affidò subito dei messaggi
in codice da portare a Canelli alla zia di “ Poli” , Maestra Italia “Lia” Balbo
, inoltre mi disse che sarei stata la staffetta “Treccia”. Il consiglio di
Albino fu di nascondere i foglietti in modo che se mi avessero fermata ai posti
di blocco e perquisita non avrebbero avuto modo di trovarli, di cambiare sempre
percorso, e nel caso mi avessero fermata avrei dovuto dire che andavo a “fare
un giro”. Decisi di metterli nelle “polacchine”, scarpe che mi avaeva passato
mio fratello. Li mettevo tra la tomaia e il sottopiede.
LE MIE AVVERTENZE
Il mio compito era portare
questi messaggi a Canelli, ma sapendo i rischi che potevo correre non
effettuavo sempre la stessa strada, quando arrivavo andavo prima da mia zia che
abitava vicino alla casa della Maestra Balbo, per assicurarmi fosse tutto tranquillo.
Al ritorno, se non avevo trovato posti di blocco prendevo la stessa strada, ma
se avevo trovato qualcuno, per non dare nell’occhio prendevo delle strade
campestri e non mi fermavo né parlavo con nessuno anche se erano contadini o
conoscenti. Purtroppo vi erano molte spie e addirittura, a volte ai posti di
blocco qualcuno mi urlava in piemontese, per mettermi alla prova: “ andoa vati
biondina! ?” dove vai 7 biondina? Ed io rispondevo “ a fé in gir!” Ma
difficilmente, per non insospettirli ripassavo da loro!
MAESTRA LIA BALBO
Quando mi recavo dalla Maestra
Lia, a volte mi soffermavo a parlare con lei. Mi spiegava dell’importante
attività che svolgevamo ed io ero affascinata dalle sue parole. Mi raccontava
del fratello e del papà ed io ero curiosa di sapere, anche perché erano tempi
in cui erano poche le persone di cui ci si poteva fidare. Lei era sincera e mi
spiegava gli eventi in modo adatto ad una ragazzina come me. UN FATTO CHE MI
TURBÒ Mi avevano fatto sapere che era stato ucciso il Partigiano “Pino”. La
notizia fu terribile per me. Inoltre, successe che giunse a San Bartolomeo una
camionetta con un uomo legato al paraurti. Si fermò poco tra la gente che
urlava. Chi diceva fosse un partigiano e chi diceva fosse un fascista. Io
inorridita pensai fosse stato Albino e scappai a casa piangendo. Venni a sapere
che quell’uomo era stato sepolto a Coazzolo. Presi la bicicletta e pedalai fino
a Coazzolo, dove trovai la fossa e vi spuntava un braccio col gesto del saluto
fascista. Pensando fosse Albino ebbi il coraggio e la pietà di toccare quella
mano, come in un 8 ultimo saluto al mio Comandante. Solo in seguito mi resi
conto dell’imprudenza fatta nell’andare presso quella tomba. E se fosse stata
un’imboscata? Non si seppe mai chi fosse quella persona sotterrata a Coazzolo.
A me rimase un dolore forte per la perdita di Albino. Per tanto tempo in
famiglia mi videro triste e mi chiedevano se non stessi bene. Io ero addolorata
e mi mancava Albino, il suo sguardo di intesa e il suo saluto che rivolgeva
allontanandosi con la moto dopo aver lasciato i messaggi. È trascorso tanto
tempo ma ancora mi emoziono a raccontare di quel giovane che io consideravo un
fratello e che con quelle parole di intesa: “noi siamo coraggiosi” mi aveva
aiutata a crescere.
GIORDANO EMMA 29/03/1926
Bossolasco
CASALINGA Nome
di battaglia EMMA
PARTIGIANO
99°BRG GARIBALDI
STAFFETTA Dal 01/06/1944 Al 08/06/1945