sabato 29 marzo 2025

GIACHINO BIANCOTTO ELSA 1930 COAZZOLO

                       GIACHINO BIANCOTTO MAESTRA ELSA


Nipote Gregorio Biancotto e Nonna Elsa

                       alla Canova di Neive

 


 Sindaco di Neive Ing.Gigi Ferro e la sua Maestra Elsa

 

 

GIACHINO BIANCOTTO ELSA COAZZOLO 1930

 

RICORDI

Abitavamo in nove nella casa della Osteria di Coazzolo, la nostra aia confinava con la casetta di tre piani del fornaio che erano in 7 in famiglia. Loro avevano solo il diritto di passaggio per accedere al “Gabinetto” che consisteva in una vasca con “na rairola per tenda”(un telo di juta come tenda) e veniva svuotata d’inverno. Si correva con un pezzo di carta o a volte con una foglia!!

 

Spojé ra mejra!

“se spoiava ra meira “(Si toglievano le foglie alle pannocchie di granoturco) e partecipavamo tutti. Era una festa! Le donne mettevano le pannocchie nel “faodarèt”grembiulino, gli uomini la lanciavano direttamente dentro l’arbi”(navazza) che poi lavato adeguatamente con acqua bollente e foglie di alloro di pesco ecc. avrebbe ospitato le uve che venivano

pigiate con i piedi.

 

 

                                 Maiolin Rivetti e nuora Ingrid

                                     FOTO MARCO RIVETTI

 

 

LA PULITURA DELLA MELIGA

Dopo aver pulita bene l’aia , mio papà la foderava con una melma di acqua e” Busa” (sterco di di mucca) Una volta essicata si provvedeva a rovesciare la meliga in grani , veniva scopata tutta in un mucchio e gli uomini con le pale o il Val (vaglio) di legno la lanciavano dall’altra parte dell’aia così si separava dalle briciole(pula).Questa serviva a preparare la “bèrnà” il “pastone” agli animali.

 

RICORDO DELLE SUORE

https://youtu.be/xBpAX5J1n0Q

 

Qui a Coazzolo abbiamo avuto la fortuna di avere una Signorina possidente che mise a disposizione la sua casa per fondare un asilo. La Congregazione delle suore del Cottolengo inviarono la Superiora che era Infermiera, Sr Lucia Maestra d’Asilo, Sr Beatrice era ricamatrice, Sr Margherita suonava molto bene il pianoforte e ci insegnava i canti di Natale e un’inserviente abile cuoca che ci preparava degli ottimi minestroni che emanavano un profumo meraviglioso di verdure ed erbe aromatiche. Questo Asilo fu frequentato da bambini che avevano già dieci anni più di me e poi funzionò ancora anni dopo di me finchè due Suorine morirono e furono sepolte nel nostro Cimitero. Una Suora fu richiamata alla casa Madre poiché anziana, ma dissero che piangeva perché non si adattava a non avere più i bimbi ai quali donare il suo servizio. Ricordo ancora le sue lezioncine: chiese a noi bimbe e bimbi: <perché la gallina canta?> e solo un bambino rispose. < perché ha fatto l’uovo!> e fu applaudito.

A Coazzolo funzionò a lungo la scuola con cinque classi e una cinquantina di allievi. Venivano tre Maestre. La Nappo che risiedeva a Mango, la Masengo di Castagnole Lanze e la Maestra Morone del ”Romanin”. Tutte ottime insegnanti e la Morone oltre ad insegnare a leggere e a scrivere insegnava “per la vita”. Sapeva infondere valori importanti che rimanevano impressi. L’esame di quinta si andava a sostenerlo a Castagnole Alto.

 

Dopo la materna e le elementari, mio fratello ,mia sorella ed io andammo a frequentare l’avviamento a Castagnole alto. Si andò per due anni a piedi ma fu un’esperienza bellissima. Per noi ragazze ci fu l’insegnamento di attività manuali importantissime quali . Cucito a mano e con la macchina, rammendo, rattoppo, ricamo. La nostra insegnante fu la Professoressa Garabello che ricordo sempre nelle Preghiere perche le sono veramente riconoscente per quanto mi insegnò.

Per i maschi vi era un signore anziano che insegnava “ agricoltura”: cioè a zappare a coltivare le viti cioè a innestare, a potare e tutte le altre attività inerenti.

Per i maschi quelle conoscenze erano già più naturali perché avevano i padri agricoltori, ma per noi quelle attività apprese furono determinanti per la vita. Le nostre mamme contadine non avevano tempo per apprendere e poi trasmetterci quelle attività. Dal mattino presto a sera tardi avevano lavoro con gli animali mucche, pecore, galline, conigli l’accensione delle stufe, il bucato, l’allevamento dei bachi da seta ed eran capaci solo a Taconé le lenzuola di canapa o i sacchi di juta e ancora lavori in campagna come supporto agli uomini. Non avevano tempo da dedicare alla crescita ed educazione dei figli. Mamma aveva frequentato la Sesta classe, ma la la maggior parte delle sue coetanee avevano frequentato la terza, se non addirittura erano analfabete come il mio papà.

 

 

 

                                    LA FILASTROCCA DELLA SETTIMANA      

                                   https://youtu.be/qSJWqUT67KQ      

                  

 


Insegnai a Santa Libera di Santo Stefano Belbo e andavo a piedi da Coazzolo. Fui in Pensione dalla famiglia Arfinengo. La mamma di Mario era una carissima amica e venne ancora a trovarmi quando abitai a Neive nell’alloggio della Maestra Molino. Quando ero da loro aveva il bimbo più piccolo che non andava a scuola e lei gli raccontava delle filastrocche che aveva imparato a sua volta da bambina. Io la ascoltavo e una la ricordo ancora.

lunedi piccin piccino

martedi un po’ più grandino

mercoledì succhiava il dito

giovedi ne fu pentito

venerdi mostrò il dentino

sabato le scarpette si allacciò

e domenica viaggiò

 

 

1951 INSEGNANTE A MATELOTTI di LEQUIO BERRIA

 

Insegnai alla scuola di Matelotti che era tra Benevello Lequio e Tre Cunei. Mi fermavo tutta la settimana poiché avevo lezione al mattino e al pomeriggio. La scuola era in una cascina. Sotto vi era la stalla con buoi e mucche e sopra con un divisore in legno la mia unica camera con letto e cucina e la grande aula che ospitava ben quarantadue scolari.Insegnai negli anni 1951/52 e non vi era ancora la corrente elettrica. La cascina era dei Carbone, famiglia che stava già bene, macellavano il maiale e mangiavano bene. Invece ricordo tante famiglie che mandavano i figli e alla pausa pranzo mangiavano “Pan e Noz” pane e noci. Dopo qualche anno che ero venuta via, costruirono una bella piccola scuola poiché il numero dei frequentanti era stabile. Venivano dalle cascine situate nei boschi attorno a Tre Cunei, Lequio e Benevello e ricordo portavano ognuno un pezzo di legno. La stufa era sempre accesa e ce n’era sempre in abbondanza, al punto che portai a casa della legna! Un altro particolare che ricordo è che quei ragazzi mi portavano i lavori che facevano alla sera nelle stalle, poiché non essendoci la luce avevano tanto tempo e realizzavano degli attrezzi in miniatura che mi lasciarono. Erano piccoli “scagnèt, sedioline , tavoli, panchette, erano proprio degli artisti.

 

 

 

                     1953 INSEGNANTE A GILBA

                      

 Michelino Fenocchio e Guido Biancotto



 La prima volta mi portò Guido con la Giardinetta che utilizzava per il suo lavoro di commerciante di vino. Mi portò il materasso poiché venivo a casa solo a Pasqua e Natale. Per andare a Gilba partivo a piedi da Coazzolo e venivo a Neive a prendere il treno per Alba, cambiavo e andavo a Saluzzo, da lì in pullman fino a Brossasco e da lì con un’ora e mezzo di mulattiera, a piedi raggiungevo Gilba.

A Gilba eravamo ben tre insegnanti: una a Gilba Chiesa dove vi era il Negozio la luce prodotta da una centralina ed il telefono, a Gilba Lantermini vi era una collega che aveva cinque classi, e a Gilba Bianchi vi erano ben due insegnanti. Io ero a Chiesa con Zita Prunotto, poi vi era Gilda Fissore di Bra Rina Cavallo di Alba figlia del Cartolaio che era dietro al Duomo e l’aveva rilevata dall’ebreo Vertamin. Ricordo bene quella Cartoleria poiché quando frequentavo scuola ad Alba, avendo la zia che abitava nei paraggi, mi servivo di quaderni e penne e pennini.

Quando fui in pensione tornai con Peppino ‘d Bastianin e sua moglie a vedere Gilba e vidi  già lo spopolamento. Non vi era più nessuno solo case e ciabòt vuoti. I montagnin costruivano tanti ricoveri in pietra per quando erano al pascolo oppure al lavoro. Neppure alla borgata Chiesa non vi era più nessuno. Già in quell’anno che io ero su il Prete si “spretò” e sposò una maestra e qundi se ne andò  e la curia non ne mise un altro. Pur con tanta neve i bambini venivano ugualmente a scuola. Noi maestre il giovedì, giorno di vacanza ne approfittavamo per fare bucato e mettere all’aperto coperte e lenzuola, ma ci incontravamo anche con le colleghe di “Lanternino e Bianchi. Eravamo in sei proprio affiatate e vivevamo con gioia quel nostro Esilio. I nostri alloggi erano rudimentali, poiché avevamo camere con i pavimenti di assi di legno con delle feritoie che lasciavano trasparire le “coibentazioni” realizzate con paglia e malta e che ospitavano famiglie di Ratin che squittivano ed a volte venivano a trovarci!Tuttavia noi eravamo felici e solo quando scendevamo per le vacanze di Natale e Pasqua ci rendevamo conto che eravamo in un “altro mondo” dove il tempo era scandito da tanta neve, lavoro e incontri nelle stalle.


Quando nell’autunno 1953 presi la “licenza Matrimoniale” che agganciai alle vacanze di Natale per non farmi sostituire troppo dalle colleghe, sul pullman da Brossasco incontrai un Tenente degli Alpini che mi chiese da dove arrivavo. Io gli spiegai che insegnavo a Gilba e lui si informò se si poteva andare in auto. Dicendo una bugia affermai che si andava comodamente, e lui che si informava per condurre i suoi Soldati per un Campo  mi prese in parola ed in Primavera lo organizzò. Senonchè quando furono sopra Brossasco scoprirono che avrebbero dovuto lasciare le Camionette e procedere per un’ora e mezza a piedi con le attrezzature in spalla. Tuttavia quando ripresi servizio trovai colleghe ragazzi e borghigiani che mi ringraziavano per aver pubblicizzato il territorio ed aver rallegrato la vita di Gilba con tutti quei soldati. Erano venuti a sistemare le loro tende ed avevano festeggiato e reso meno monotono lo scorrere del tempo in alta montagna. Alla sera ci si riuniva e si mangiava beveva e cantava! Io temevo solo di incontrare quel Tenente al quale avevo raccontato una frottola! L’incontro avvenne anni dopo a Pietraporzio quando andai con mio marito Guido che era di Aisone. Mi riconobbe e simpaticamente mi disse che lo avevo “fregato” raccontandogli di un buon accesso a Gilba. Tuttavia si rise ricordando che in fondo era stata una bella esperienza.

 In seguito insegnai con Don Taliano a Cappelletto di Trezzo Tinella, dove contadini venivano continuamente a chiedergli consigli per delle questioni e delle liti. Lui sempre disponibile collaborava per fungere da pacere e rasserenare gli animi.

Ho un bel ricordo dei preti e delle Suore che ho incontrato e che sono state degli importanti riferimenti educativi per famiglie ed anche per me.

 

                              I PARTIGIANI


I Partigiani che ho conosciuto erano giovani belli, allegri, avevano circa vent’anni o poco più. Vi erano parecchie formazioni. Badogliani, Garibaldini, Stella rossa, Giustizia e Libertà ed altre ancora. Nelle nostre zone dipendevano dai comandanti Mauri e Poli. Io ricordo la Formazione del Comandante Romano Scagliola “Diaz” della quale facevano parte per lo più giovani della zona di Neive, Bricco, Coazzolo, tra i quali vi era mio fratello Marien ”Tito”, i fratelli Rosso, Valerio Boella detto “Walter” che fu ucciso dai nazifascisti. Walter era nipote di Giovanni che fece costruire questo Sacello per Memoria delle generazioni future. Ricordo Luigi Bindello Partigiano Pitros che venne trucidato dai nazifascisti a Benevello., Giovanni Negro che ancora oggi è rappresentante dei Partigiani e nonno di Viola che voi conoscete. Erano tutti giovanotti che provenivano dalle colline di Canova, Calolglio, Bevioni e da altre zone.

 

Nella nostra casa vi era la formazione di partigiani albesi comandata da Bleck e Tarzan, mentre in una casa disabitata poco distante stanziava una formazione di tutti meridionali al comando di Franco Geraci.

 

GERACI LIBORIO  ANTONIO FRANCO 

24/12/1919  VICARI (PALERMO) -

UFFICIALE dell’ESERCITO  FANTERIA Reparto 7° RGT DIV PUSTERIA ALPINI

Grado conseguito SOTTOTEN.SPE Località GRECIA, ALBANIA 

RepartoRSI FANTERIA Grado conseguito  Dal 03/01/1944 Al 06/03/1944

Nome di battaglia FRANCO   2° DIV LANGHE 6° BRG BELBO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                   

         GIACHINO  MARIO COAZZOLO 21/03/1924

           CONTADINO - MARINAIO a  POLA

                   Nome di battaglia TITO

         PARTIGIANO  Dal 15/02/1944 Al 07/06/1945

 


 

5/5/2019 Ivo Biancotto: Buongiorno Professore. Sono Ivo Biancotto. Mi ha dato il suo numero il nostro comune amico Mauro Versio, che vuole le mandi un mio discorso per il 25 aprile.

Ivo Biancotto: Avevo tredici anni ed ero ospite di mio zio Marien nome di battaglia Tito nella cascina di Rio Freddo. La sera si guardava la TV ancora in bianconero. Ad un certo punto in una tribuna politica comparve il faccione baffuto di Giorgio Almirante. Mio zio allora si alzò e andò nella stalla. Mia zia Rosa scuotendo la testa commento' : " Quando vede quella brutta faccia lì, si ricorda di avere lavoro nella stalla". Seguii lo zio nella stalla e gli chiesi perché. Mi rispose solo "Ha fatto del male a dei miei amici". Ero un ragazzino tredicenne, avevo appena finito di leggere i ventitré giorni della città di Alba ed ero intriso ancora dell'epopea fenogliana. Guardai il viso scarno dello zio e gli domandai: " Ma zio perché dopo la guerra non li avete uccisi tutti?". Mio zio non rispose e salì le scale per andare a dormire. La mattina dopo si faceva colazione insieme, le grosse tazze di latte con i wamar sulla linda tovaglia a scacchi rossi e bianchi. Mio zio mi guardò a lungo e poi si decise a darmi finalmente la risposta della sera prima.

" Sai, era quello che avrebbero fatto loro ... ".

La peggiore cosa che può farti il nemico è farti diventare come lui.Buon 25 Aprile

SINDACO IVO BIANCOTTO E SINDACO BALARELLO


ALLA CANOVA DI NEIVE

 

 

                          Giachino Marien "Tito"

 






lunedì 24 marzo 2025

GALLESIO MAESTRA AMALIA 1926 GORZEGNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 


 GALLESIO AMALIA MAESTRA GORZEGNO 1926

“Alla fine di Giugno Pietro Gallesio diede la parola alla doppietta………. Ammazzò suo fratello in cucina, freddò sull’aia il nipote accorso allo sparo, la cognata era sulla sua lista ma gli apparì dietro una grata con la bambina ultima sulle braccia e allora lui non le sparò……..”( Un giorno di fuoco B.Fenoglio)

Innumerevoli volte lessi questo racconto di Fenoglio e sempre pensai alla vita dei sopravvissuti alla strage. Bimbe che si sarebbero portate per tutta la vita il ricordo di quell’orribile fatto, una donna con quattro figli da crescere.

Durante l’intervista,  Beppe Troia di Gorzegno, casualmente mi raccontò dell’omicidio avvenuto in Borgata Chiaggi vicino alla Cappella di San Rocco e mi elencò i nomi dei Gallesio. Tra questi mi accennò di Amalia Maestra, vivente a Feisoglio. Desideroso di conoscerla, mi recai nel paese e chiesi di lei. La incontrai che tornava dal cimitero, una figura minuta ma dal passo sicuro, le avrei dato una settantina d’anni. In seguito mi disse di essere nata nel Dicembre 1926. Avvicinandomi le notai gli occhi lacrimanti che ricordavano quelli di mia madre allorchè parlava di suo fratello Bastianin disperso in Russia o di sua mamma Menica. Preoccupato di spaventarla, mi presentai e le chiesi se aveva voglia di raccontarmi della sua vita. Mentre procedevamo verso la piazza mi raccontò di aver perso un giovane nipote e di essere molto triste e sola. Quasi rassegnato a non ottenere l’intervista, l’accompagnai fino alla porta di casa e stavo per salutarla ma lei sbottò : “ non si spaventi del disordine!”, compresi che potevo entrare.

Chiesi permesso ma disse: “venga venga che son sola con i tre gatti della vicina, è andata alla casa di riposo di Torre Bormida e ha abbandonato i gatti, così al freddo mi facevano tenerezza e li ospito e li nutro, ma son sempre piena dei loro peli- aggiunse- però almeno mi tengono compagnia!”

Sono nata a Gorzegno il 21 Dicembre del 1926 e già i nonni e bisnonni Gallesio erano di Gorzegno. Nel 1933 quando successe il tragico evento raccontato da Beppe Fenoglio nel racconto “Un giorno di fuoco” io non avevo ancora sette anni, la mia sorellina più piccola aveva pochi mesi, Elena del ’29 quattro anni, un fratello quasi dieci e il più grande Costanzo del 1921 ne aveva dodici.

https://youtu.be/0qXN3AlJKKU   

 Temendo di rinnovare il dolore parlando di quei fatti le chiesi della mamma.

-Non so come abbia fatto mia mamma a far studiare tre dei quattro figli rimasti. Giuseppe diventò veterinario rinomato in alta Langa per essere il primo a realizzare “il taglio Cesareo alle mucche e io e mia sorella studiammo da maestre. Un fratello rimase nella cascina a fare il contadino. A quei tempi Gorzegno era fortemente inquinata e non si riusciva neppure a vendere i prodotti della terra, eppure mia mamma con l’aiuto di un sèrvitò e di mio fratello riuscì a tirare avanti e a farci studiare. Povera donna, con quello che soffrì, morì a sessantadue anni consumata dalle fatiche e distrutta dai lutti.

Lei andò a scuola a Gorzegno?

Io seguìi una mia zia, Gallesio Lidia che, anche lei Maestra andò per tre anni a insegnare  a Creta di Caporetto in Trentino Alto Adige per recuperare punteggio poiché era stata molto ammalata. Insegnare nelle terre Irredente, tornate italiane dopo la Prima Guerra Mondiale, dava diritto a un triplo punteggio. Quando tornai a Gorzegno avevo quasi imparato a parlare Sloveno. Frequentai la quarta a Perletto ancora con la zia e la quinta a Gorzegno. In seguito andai in collegio dalle suore Francesi e mi diplomai che non avevo ancora diciotto anni nonostante l’insegnante di Musica mi avesse rifilato “Due” di teoria e tre di solfeggio. Feci quattro anni all’istituto Baruffi e quindi i tre anni delle Magistrali.  

A novembre 1944 mi fu assegnata una supplenza per una maestra in maternità a Levice. Il primo anno completo di insegnamento lo tenni a San Magno. Ebbi l’incarico dopo Natale, seppi in seguito che avevano tolto il posto a una insegnante poiché avevano scoperto che era stato assegnato in modo scorretto tramite un Provveditore che intascava centomila Lire per ogni incarico che “vendeva”. Io fui accompagnata da mio fratello dopo l’Epifania e dormimmo a Pradleves. Nella notte venne una grande nevicata  e il proprietario dell’albergo disse” o ciapoja da mont e da val!” (in occitano significa “nevica molto”). dovemmo farci accompagnare da un tale con il mulo che caricò le valigie, ci attaccammo alla coda del mulo e salimmo fino a San Magno. Avevo 22 anni e nonostante mio fratello avesse cercato di convincermi a non rimanere completai l’anno scolastico. Ricordo le gallerie realizzate nella neve, tanta ce n’era, e il giovane che mi procurò la corrente elettrica realizzando una centralina idroelettrica con l’acqua del torrente. Solo io avevo la luce e potevo stirarmi qualcosa. Alla sera andavo nelle stalle a “vijé” e con le altre donne e ragazze, poche a dire il vero, si lavorava ai ferri o all’uncinetto, Rudu un anziano del posto controllava me e sua figlia e ci redarguiva poiché “Bondavo poch” rendevamo poco nel lavoro. Fu un esperienza positiva trascorsa con gente semplice a cui mi affezionai e loro mi volevano bene. Rudu e il giovane elettricista vennero a trovarmi a Gorzegno!

Con i primi soldi dello stipendio mi comprai la Lambretta.


Mio fratello Giuseppe mi insegnò a guidarla e tutta felice mi avviai per venire a Feisoglio. Mi piaceva il paese per i panorami di cui si poteva godere e inoltre conoscevo un ragazzo. Mi ero fatta fare una giacca e un paio di pantaloni da mia sorella più piccola(nonostante le donne a quel tempo non portassero i pantaloni). Peccato che appena imboccai la galleria per uscire da Gorzegno mi confusi e anziché ridurre la velocità, accelerai finendo contro la parete. Caddi rovinosamente facendomi male a una caviglia e guastando il paragambe e la sella. Dissi a mio fratello che non volevo più saperne di motori e da allora andai solo più in bicicletta o a piedi e neppure presi la patente per l’automobile.

Nei ricordi della mia infanzia ci sono queste due  fotografie, la prima dove interpretavo la Madonna nella rappresentazione teatrale dell’Apparizione della Madonna di Fatima e il ricordo del lavoro nei campi davanti ai buoi per aiutare la mamma.

                


                 AMALIA PICCOLA ATTRICE  

BUOI PRONTI PER AMALIA E LA MAMMA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GALLESIO CASSINO LUCIA RODDINO 1929

 

 


                             GALLESIO LUCIA RODDINO  1929

LA ZIA SEVERA E COMANDANTE DI Località Pozzetti

La zia non mi lasciava mai con le mani in mano, e sempre trovava qualche lavoro.

Mi piaceva leggere, ma neppure mi era concesso. Alla sera, prima che facesse notte si cenava e poi verso le 20.00 si andava a dormire per non sprecare acetilene oppure olio delle lampade. Nella stalla si andava qualche volta la sera ma si stava scomodi su quei “balòt” (balle di paglia o fieno), e avendo poche bestie faceva freddo ed io soffrivo tanto il freddo!

Quando ebbi 14/15 anni mi ordinarono anche di “ciadlé èr bestie”(dar da mangiare agli animali) e “sguré ra stala” ( pulire la stalla) anche se erano lavori pesanti. Mi chiamavano al mattino presto ed  io, ubbidiente, sapevo quale era il lavoro: pulita la stalla trasportavo con il “rabèl” (slitta) il letame nella “liaméra “ vicino alla vigna alta.

 

 

UN LIBRO DI UN’AMICA

 Terminato quel lavoro prendevo le due pecore e andavo al pascolo. Nella grande riva della “Pastura” incontrai una ragazza più grande che sapendo della mia passione per la lettura, mi chiese se avessi voluto leggere un libro che aveva trovato, il titolo era “Ruggerino d’acciaro” . Ben volentieri , lo presi e lo lessi appassionandomi a quella storia semplice. Lo consegnai alla proprietaria ma non dimenticai mai il titolo e il racconto. Trascorsero gli anni e raccontai ai nipoti della mia passione per la lettura e della difficoltà a recuperare i libri di lettura. I nipoti per i miei ottant’anni mi fecero una sorpresa, trovarono il Libro che avevo tanto desiderato possedere ma che dovetti restituire. Mi emozionai molto ma fu una grande gioia poter rileggere le gesta di “Ruggerino d’acciaro”!

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 LA MORTE DI PAPÀ

Mio padre, ancora giovane, si ammalò e capendo di non avere vita lunga chiese alla sorella e ai nonni di prendersi cura di me qualora lui avesse lasciato questo mondo. Successe infatti che lui morì, la mamma  rimasta sola con me e il fratellino andò ad abitare in casa d’affitto e si arrangiò a svolgere dei lavori in campagna per tirare avanti, poi, visto che le difficoltà erano molte acconsentì a lasciarmi dalla zia e dai nonni.

Io, con sofferenza accettai la situazione. Quando arrivavo dal pascolo, la zia mi mandava a prendere l’acqua e poi a raccogliere “stéle” (schegge di legno ) nella vigna e ancora a cercare rami nel boschetto in fondo alla riva. Ero ubbidiente, anche se avevo una certa paura ad andare da sola nel bosco dove, avevo saputo, erano stati uccisi degli uomini dai partigiani. Mi facevo coraggio e pensando al caro  papà andavo in fretta e tornavo senza voltarmi.

Avevamo sentito degli spari e poi incuriosita dall’arrivo di partigiani con il fucile a tracolla avevo ascoltato nascostamente le parole dei grandi. Avevano ucciso dei “Girolon” dei senza tetto  che passavano alle cascine e offrivano i biglietti dei “Pianeti della fortuna”. Erano povere persone, ”Bonòmi” che ti davano il Pianeta in cambio di un piatto di minestra o di una pagnotta di pane. A volte chiedevano un posto dove dormire e siccome erano un po’ pieni di “Pieuj” (pidocchi) , gli si concedeva di dormire nel fienile o nella stalla. Erano tempi caratterizzati da ignoranza che procurava invidia e gelosie, così persone senza scrupoli accusarono quei vagabondi di essere spie e li denunciarono a dei delinquenti che si sentivano forti con un’arma in mano e li giustiziarono e sotterrarono insieme ad altri nello “rian” (ruscello) in fondo al bosco. Nella località Torséla vi erano i Partigiani e tra questi  vi erano dei personaggi che approfittavano dei momenti bui per effettuare delle crudeltà, certamente questi non avevano “ideali” e agivano solo per fare del male. Questi non furono Patrioti perché i veri Partigiani svolsero il loro dovere con onore..

 

IL MARITO CASSINO ADOLFO 1918

Mio marito Adolfo Cassino,  partì soldato di leva nel 1939. Da Mondovì fu inviato a presidiare i confini con la Francia e patì i disagi del vivere in alta montagna con nevicate che raggiungevano i 3 metri. M raccontò che si dormiva in buche scavate nella neve e che togliendo gli scarponi dai piedi, al mattino li trovavano bloccati dal gelo. Fu poi inviato in Sicilia dove patì la fame e solo grazie alle famiglie contadine, con le quali fecero amicizia collaborando nel lavoro dei campi, riuscirono a sopravvivere agli stenti e alle difficoltà. Presi prigionieri dagli americani furono condotti in Algeria e Tunisia dove, anche se discretamente trattati furono sottoposti a lavori massacranti in condizioni terribili.

Era originario di Sinio d’Alba e proveniva da una cascina in località Castella al confine con Roddino. Aveva due fratelli e una sorella che rimase da sposare. Nel periodo della Resistenza la loro cascina fu incendiata dai repubblicani per rappresaglia, poiché avevano ospitato i Partigiani. Presero i buoi dalla stalla e con il carro svuotarono gli armadi della “lingeria” biancheria e generi alimentari “salumi, vino e grano” poi appiccarono il fuoco. Gli uomini erano fuggiti a nascondersi per evitare di essere uccisi o deportati e non poterono fare nulla. La mia cognata e la suocera, quando tornarono dal mercato di Monforte trovarono la cascina in fiamme.

Rimasero ugualmente là, ma non avevano più nulla. Furono aiutate dai vicini ma sopravvissero poco a quella terribile esperienza.

I LANCI DEGLI ALLEATI

Qui attorno, siccome vi erano i Partigiani alla Torséla, furono paracadutati parecchi lanci. I partigiani accendevano un falò per segnalare il punto dove doveva atterrare il paracadute e l’aereo lanciava. Una volta una mia coetanea di nome Bianca, mi chiamò e mi disse di andare che le avevano detto che nel bidone del lancio vi erano le caramelle! Ma io non andai perché avevo paura!

Tutte le famiglie dei dintorni ricevettero dai partigiani pezzi di “seta” dei paracadute e ricordo che Paolina realizzò alla figlia l’abito per la Prima Comunione! La maggior parte dei paracadute erano di tela bianca, ma ve ne erano anche di grigio-verde.

Alla località Castella dalla suocera ricevettero una stufa e una grossa pentola dei lanci. La usammo ancora tempo dopo per cuocere la Bèrnà(minestrone di crusca pelli di patate ed altre verdure) per gli animali.

 

mercoledì 12 marzo 2025

PLATEROTI BELTRANDI TERESA

 





 

PLATEROTI TERESA BELTRANDI

Nata a Delianuova (Reggio Calabria)  nell’Aspromonte nel 1951.

    

 La mia famiglia era composta di m
amma 1921, papà 1919 e sette fratelli. Ho conosciuto il nonno materno Paolo Chirico che fu CAVALIERE di Vittorio Veneto reduce ferito della guerra 1915/18.

A noi bambini mostrava il foro della pallottola che lo aveva colpito al ginocchio.

Andai poco a scuola  perché dovevo aiutare in famiglia, ad accudire i fratelli più piccoli e ad aiutare nella raccolta delle olive, dei pomodori e nella preparazione della salsa. Mi viene da ridere perché mamma mi mandava a scuola soltanto quando venivano consegnate le scarpe! C’era l’usanza di offrire le scarpe agli allievi che frequentavano la scuola, e la maestra si arrabbiava perché diceva che ero andata poco. Mamma spiegava che dovevo aiutare  a casa e riusciva ad impietosire l’insegnante che alla fine me le dava. La scuola era a Quarantano vicino a dove si abitava. La Maestra era severa e noi bambini dovevamo essere rispettosi e salutare sempre bene.

LA MIA FAMIGLIA

Anche se eravamo “mezzadri” non facemmo mai grandi ristrettezze. Certo, la carne la mangiavamo due volte all’anno, a Natale e a Pasqua, ma con cosa producevamo, olive pomodori frutta e verdura non si faceva la fame. Il pane lo preparavamo noi e lo andavamo a cuocere al forno una volta la settimana. Si facevano delle pagnotte grandi e delle forme con il buco (ciambelloni) che venivano conservati sul filo. Per noi bambini era una festa andare al forno e vedere e mangiare quel pane ancora caldo. Si facevano anche le frise croccanti sulle quali veniva messo olio di oliva e origano. Ricordo ancora i profumi e il sapore. A Pasqua si realizzavano dei dolci con la pasta del pane e l’uovo dentro e anche le Zeppole.

Mio papà aveva la mucca che teneva per il latte che veniva anche offerto alle famiglie dei vicini. Loro ricambiavano con altri prodotti che noi non avevamo. Una bella tradizione era quella della macellazione del maiale. Noi ne tenevamo due e quando li uccidevamo si andava dai vicini a offrire “la frittura”. Era usanza scambiarci salsiccia e salumi.

 

Ricordo che da bambina andavo in “colonia “ al mare e per noi che vivevamo in montagna era una bella vacanza anche di due mesi!

 

A Natale i doni non esistevano, poiché i genitori non avevano soldi per acquistarli ma noi ci divertivamo con le nocciole al posto delle palline di vetro e saltando la corda o giocando a “Campana”. Era divertente e ci accontentavamo.

 Poi crescendo si faceva qualche passeggiata in paese con le amiche.

 

Io venni a Lequio Berria dopo aver conosciuto e sposato, nel 1969,  Beltrandi Valerio del 1936. Lui venne accompagnato da un amico che si era già sposato con una donna del Sud.

I miei genitori mi lasciarono libera di scegliere se venire al Nord. Né mi forzarono né mi trattennero.

A quei tempi vennero giù in tanti accompagnati dal Bacialé(sensale), e si diceva che era perché le ragazze del posto “ non avevano voglia “ di lavorare in campagna e preferivano lavorare in fabbrica.

Io vidi due volte Valerio: al fidanzamento e poi al matrimonio. Venne giù con la macchina “Fiat 1300”

                                            

e la sera stessa del matrimonio partimmo per venire a Lequio Berria. Il viaggio per venire a Lequio fu lunghissimo, arrivammo alla sera del giorno successivo. Qui trovai inverni con tanta neve.

 

I miei genitori si raccomandarono con Valerio di trattarmi bene, giacchè avevo solo 17 anni. Certo  nei primi tempi fu difficile poiché non capivo il piemontese e non conoscevo nessuno, poi conobbi altre donne del Sud che vivevano già qui a Lequio Berria e tutto andò meglio. Valerio era via tutto il giorno con il camion ed io ero da sola, poi nacquero i tre figli( nel 70, 74, e 77) ed ebbi la compagnia. Ricordo che venivo a telefonare al centralino qui a Lequio e poi attendevo che avvisassero i miei a Delianuova. A volte veniva notte e non mi richiamavano e così provavo il giorno dopo.




Laggiù eravamo una famiglia numerosa ma non si socializzava con altre ragazze. Qui invece ci si trovava con altre donne del meridione e locali. Ricordo che ogni tanto si faceva un pranzo qui da “ Ambreuz” e si era in tanti.

 

I FRATELLI IN AUSTRALIA

Il mio fratello più grande nel 1965 “fu chiamato” si diceva così, dal suocere che era già emigrato in Australia. Andò con la famiglia e poi “chiamò anche l’altro fratello. Entrambi formarono famiglia là. Io, da sola, nel 2015 presi l’aereo e andai a trovarli in Australia. Impiegai 22 ore di viaggio con scalo a Dubai, dove per la prima volta vidi i grattacieli e gli abitanti arbi con i loro abiti caratteristici.

I miei fratelli erano andati in Nave ed avevano impiegato dei mesi.

Fu una bella esperienza il viaggio in Australia, poiché vidi mio fratello malato. Riuscì ancora a venire una volta in Italia e poi morì.

Ora ci sono ancora un fratello e le due famiglie che avrebbero piacere di venire in vacanza in Italia, ma le normative australiane per il Covid sono molto severe.