MOSSIO
LUIGI BOSIA 1843
DI
MONTANARO CRISTINA E DI GIUSEPPE
MORTO
A BOSIA 18 03 1916 REG. LANO 36
RETTEGNO
GIUSTINA DI FRANCESCO
MOSSIO
FERDINANDO BOSIA 1868 DI RETTEGNO GIUSTINA E DI LUIGI ANNI 25 (1843)
MOSSIO
LUIGIA DOMENICA BOSIA 26 APRILE 1880 DI RETTEGNO GIUSTINA E LUIGI
MORTA
A TORINO L’8 01 1975
MOSSIO
FERDINANDO FRANCESCO BOSIA 1889 VIA PROVINCIALE 20 DI RETTEGNO GIUSTINA E LUIGI
(A. 46 1843
UNITO
IN MATRIMONIO CON SCAVINO FRANCESCA COSTANTINA DI FU MORAGLIO TERESA E GIUSEPPE
A BOSIA 2 06 1920
MORTO
IL 23 05 1957 A MONTELUPO ALBESE
MOSSIO
FILIPPO BOSIA 25 09 1872 DI RETTEGNO GIUSTINA E DI LUIGI(1843) DI GIUSEPPE
VIVENTE1823?
REG. FOSSATO FERRERO
MOSSIO
FORTUNATA CELESTINA VIA PROVINCIALE 20 BOSIA 1883 DI RETTEGNO GIUSTINA LUIGIA E
DI LUIGI
TESTIMONI
SAFFIRIO
ZEFFERINO DI A. 25 FLEBOTOMO
VOLA FRANCESCO
DI A. 33 FALEGNAME
MOSSIO
GABRIELE GIOVANNI BOSIA LOC. LANO 16 03
1886 DI RETTEGNO GIUSTINA E DI LUIGI 1843
UNITO IN MATRIMONIO A LEQUIO BERRIA CON BORELLO ANGELA( DELLA FU COSTA TERESA E DI LUIGI) CON ATTO 10 03 1921
FIGLIO
MOSSIO LUIGI BOSIA 31 10 1921
FIGLIA
MOSSIO EMMA BOSIA 1923
FIGLIO
MOSSIO ERIO 1922
MOSSIO
VIRGINIA CRISTINA BOSIA 1875 DI RETTEGNO GIUSTINA E LUIGI
MOSSIO
FELICE COSTANTINO BOSIA 17 02 1870 DI RETTEGNO GIUSTINA E DI LUIGI (1853) DI
GIUSEPPE(VIVENTE)
Nell’atto
di nascita si scopre che RETTEGNO GIUSTINA è FIGLIA DI FRANCESCO
-
CHE ABITANO IN LOCALITA’
“LANO” DI BOSIA
-
CHE I DUE TESTIMONI SONO
VOLA FILIPPO DI 44 ANNI (1826) (DEL FU FRANCESCO) AGRICOLTORE
E SAFFIRIO COSTANTINO
DI ANNI 21 (1849) (MAESTRO ELEMENTARE ) DI FRANCESCO (SEGRETARIO COMUNALE)
FAMIGLIA MOSSIO DELLA BOSIA CASCINA” BSOL”
PADRE: LUIGI MADRE: GIUSTINA
FIGLI: FELICE(MIO PADRE),FERDINANDO(Mè
PARIN),GABRIEL(PADRE DI SuorEmma),
FRANCESCHIN (PADRE DEI MOSSIO DI RODELLO),
LUIGIA,
CELESTINA.
Mossio Felice nacque a Bosia nel 1870, si sposò con mia madre Porro Paola( Feisoglio 1884) nel 1905.
Generarono:
Luigi(1907),Ferdinando(1909),Marcellina(1911),Pietro(1913),Aurelia(1917),
Annibale(1922)Disperso in Russia Caduto Battaglia
Nikolajewka DECORATO CON CROCE DI GUERRA
Nel 1914, mio padre, Felice si trasferì da masoè (mezzadro) con mia madre, presso la cascina”Maian” e vi rimase fino al 1920 , quando si sistemò alla cascina Langa fino al 1924. Le altre sistemazioni furono alla cascina Viarascio e quindi nel paese di Bosia alla cascina del Fré. Nel 1930, mentre ero militare si trasferirono alla Cascina Masseria di Arguello.
Vrava
andé a sfojé ra meira!
VOLEVO ANDARE A SFOGLIARE LA MELIGA
Mi ricordo che una volta, avrò avuto circa tre
anni, loro dovevano andare a “sfoijé ra meira” dai vicini e io volevo anche
andare .Le tentarono tutte per convincermi a rimanere con mio fratello Luigi:
andarono a prendermi ”in pom” una mela ,”der noz”delle noci,ma io non mi
capacitavo. Infine “mè pare u rà ficamie” mio padre mi ha sculacciato, e così
mi ha convinto!
M’entrava
nèn ra stoira ed Roma!!
NON
RIUSCIVO A IMPARARE LA STORIA DI ROMA
Del periodo della scuola ricordo che una volta
mi avevano dato da studiare la storia di Roma e “a m’entrava nen! Non riuscivo
ad impararla!., così decisi di non andare a scuola e andai a nascondermi nella
vigna fino a mezzogiorno. Destino volle che mio padre incontrasse la maestra
che gli chiese perché non ero a scuola e lui stupito mi attese a casa con la
cinghia dietro la schiena e dopo avermi chiesto perché avevo marinato la scuola
mi fornì una dose di cinghiate sul sedere. Da quella volta non mancai più da
scuola!! Anzi, presi in terza mio fratello Luigi, che era più grande di 2 anni!
Lo bocciarono due volte!!
Fu la prima e ultima volta che mi picchiò. Mio
padre mi voleva un gran bene, anche perché io lo seguivo molto. La mamma mi
mandava con lui all’Osto(osteria) perché “chiel o beiviva an poch!”Lui beveva
un po’! Con gli amici faceva la partita a tresette ed erano capaci di bersi una
bottiglia ciascuno! Poi, “bele cioch”(ubriaco) se non lo accompagnavo a casa
non riusciva a rientrare.
Dvan ai beu DAVANTI AI BUOI
A quel tempo ,1917,si usava così, appena terminate le scuole mio padre mi mandò da servitò alla Cascina Bsol a Bosia dal “Cé” (nonno Luigi) per fare il garzone davanti ai buoi ( “er tocao” “dvan ai beu”) Mio padre se ne era andato dalla famiglia a 14 anni per fare il servitò, in seguito mise su famiglia e prese prima la cascina Majan e poi la Cascina Langa da masoé (mezzadro).
R’infruensa
Spagnola L’INFLUENZA SPAGNOLA
Fu il periodo dell’epidemia di influenza
Spagnola. Mia madre venne a chiamarmi con lo scialle sulle spalle (con er
scialèt ansre spole a rè vnime a ciamè) poiché mio padre e il fratello erano a
letto febbricitanti. Fortunatamente,nella mia famiglia nessuno morì di
Spagnola. Quella volta venne il medico che girava tra Cerretto Arguello Bosia
Benevello Borgomale tutto con il calesse a cavallo e mi diede un passaggio fino
al mulino di Campetto poiché avevamo finito la farina.Mi caricarono un
sacchetto da undici chili di grano e così andai a farlo macinare.
Gistò da
servitò incarico “ tocào”:
SISTEMATO
DA SERVO
Quando ebbi 16 anni, nel 1925 ,mio padre “o rà
gistane da servitò” ci ha sistemati da garzoni,io a Costepomo( da Letizia zia
di Suor Emma) e Vigin(Luigi) a Castino. Quando Luigi mi accompagnò, andai di
buon passo fino ad Arguello, poi vedendo Bosia così lontana tornai indietro e
ci volle tanta pazienza da parte di mio fratello a convincermi. Con le lacrime
agli occhi mi disse: < se torniamo a csa “on fèrta tuti doi! Se torniamo a
casa ci picchia tutti e due!”
Guadagnavo 320 Lire all’anno ma rimasi un mese
e poi dopo Natale,con la scusa di tornare a prendermi degli abiti scappai e
neppure accompagnato dal papà non volli rimanere. Soffrivo la malinconia di
casa(magonava!),ero troppo distante. Tornando, mio padre mi disse:”Tant et
giust da n’atra part, a cà et ten nèn!” Tanto ti sistemo da un’altra parte,a
casa non ti tengo. “E o ra fà parèi!”E ha fatto così!
Mi sistemò presso una famiglia di Borgomale
alla Cascina Priosa. Erano solo”chiel e chila” (lui e lei) e andavo davanti ai
buoi con lui o al pascolo con lei ,e a sboré ra feuja per i bigat (a
raccogliere le foglie di gelso per i bachi da seta).Lui era un po’
sbrajasson(irascibile),ma lei mi voleva proprio bene e di nascosto dal marito
mi dava r’euv sbatù (l’uovo sbattuto) o da cuché! ( da bere ancor caldo).Un po’
per lei e un pò perché dalla Priosa vedevo La Bosia, rimasi volentieri per un
anno.
Er papà o fàva er ghirbine (Il papà fabbricava le ceste)
https://youtu.be/4dxW20O4okI NANDO MOSSIO 1909 2004 IMPAGLIATORE CON FOGLIE DI MELIGA
Mio padre sapeva fare tutti i mestieri, dal
minusié ar caglié ar saroné ar cadreghè (falegname, calzolaio, carraio,
impagliatore di sedie. Inoltre era bravissimo nel fabbricare le GHIRBINE ed doi
mani – er toalete. Faceva cuocere i pali “BROPE” di castagno nel forno,quindi
si sedeva su una panca che aveva un pedale per fermare la bropa e con il
coltello a due manici pelava i pali e otteneva gli “SCROS” (CORTECCE). O TAJAVA
QUATR E QUATR OT SCROS e o ‘ncaminàva a ‘ntersé er fond ( iniziava a
intrecciare il fondo).Poi metteva quattro assette e “o tessiva i scros come fé
na sesta” fino al bordo dove inseriva due manici di salice curvati. Mi sembra
di vederlo mentre lavora. Aveva “na vos fausa ma o cantova:Rosin Rosin campme
giù er ciavin che veui avni a dorme ansém a tì” .( aveva una voce stridula ma
lavorava e cantava:Rosin Rosin buttami il chiavino che voglio venire a dormirti
vicino!)
CI TRASFERIMMO AD ARGUELLO
Nel ‘38/’39 quando morì il papà noi combinammo di trasferirci ad Arguello alla Cascina Masseria. Nel 1939 sposai Marina dei Giamesi e nel 1940 avemmo il primo figlio, Carlo. Tutto filava tranquillo nonostante la guerra e i republican, quando mi arrivò la Cartolina Precetto per la “ Mobilitazione per motivi di guerra” Era a Dicembre 1942, Marina aveva partorito da poco Lucia, ma non ci fu nulla da fare, dovetti partire e fui mandato a Fiume a pattugliare sul confine jugoslavo. Ricordo che di notte si vedevano i treni che favo èr spluve! Facevano scintille sui binari!
Fortunatamente riuscirono a procurarmi le carte
per la Licenza Agricola e a Maggio ’43 fui mandato a casa in congedo illimitato
.
I PARTIGIANI
CI PRESERO IL MAIALE APPENNA MACELLATO!
Mi ricordo che nell’inverno del ’44 avevamo ucciso il maiale. Eravamo alla
Masseria di Arguello. Venne Augusto ‘d Pianfré a gistéro (a fare i
salami).Stavo mangianda r’oiròt, ii ruva er partigian Moreto con otri
tre.Mangio e beivo con noi, dop er Moreto om dis: Bèica Nando, e rò ra squadra
a ra Srea(Cerretta) e antria che ei porteisa da mangé. Mi rò dije slarganda i
bras: Lasme in bon e pijte sa part ed crin da Gisté A jera ra part der
padron!(Con er Moreto soma sempre andò d’acordi).(Stavamo mangiando r’oriòt ,e
arrivò il Partigiano Moretto con altri tre,mangiano e bevono con noi. Poi mi
dice,:guarda Nando,ho la squadra alla Cerretta e dovrei portare loro da
mangiare.Io gli ho detto:Lasciami una ricevuta e prenditi la parte di maiale ancora da
lavorare.Era la parte del padrone! (con il Moretto siamo sempre andati
d’accordo). Pensa che in Primavera un conoscente di Cerretta mi disse che
sgelata la neve aveva trovato mezzo maiale che i partigiani avevano lasciato
perché costretti a fuggire per l’arrivo dei nazifascisti.
Pinin er mascon birichin PININ IL “MASCONE “ SCHERZOSO
Una volta caricai il carro di” scros ed pin” da
portare al panettiere di Cravanzana. R’ava na bela caria ed fas de scros(avevo
un bel carico di fascine di cortecce). Mi avviai dalla Cascina Langa e quando
fui a cinquecento metri un gatto attraversò la strada e senza spaventare i buoi
ra carà a ré anversase. Strano,perché i buoi non si erano spaventati e il
carico era ben sistemato! Inizio a ricaricare le fascine, quando da una riva
appare Pinin ,un vecchietto che viveva da solo in un Ciabòt(casotto).Mi salutò
e mi aiutò a caricare.Tirai bene le corde e ripartii. Feci tre o quattrocento
metri e”te lì natr gat” (ecco un altro gatto) e si rovesciano nuovamente le
fascine.Sacramentando un po’ mi rimetto a caricare ed ecco dinuovo arrivare
Pinin che mi aiuta. Aveva tutte le mani insanguinate eppure continuò ad
aiutarmi. Per fera curta, e rò anversa ra carà quatr vote prima ed rivè a Cravansana
e sempre Pinin o rà gitame a cariè.(Per farla corta,ho rovesciato il carico
quattro volte prima di arrivare a Cravanzana, e sempre Pinin mi ha aiutato a
caricare.)
Quando arrivai dal panettiere gli raccontai
l’accaduto e lui mi confermò che Pinin o jera in mascon Birichin ) Ma mi e rava
già mangiò ra feuja!(Pinin era una masca scherzosa. Ma a me era già venuto il
dubbio)
Lui commerciava in caffè e doveva passare al
Bar Coraglia in piazza Savona. Arrivando da Corso Italia avevo visto una moto
spinta da due giovani e chissà perché dissi “Son doi partigian”. Uno aveva una
giacca lunga. Mentre pensavo quello, arrivarono in piazza una macchina e un
camion e io dissi a Monsù Vigna:” Andoma co rè ora”, non feci in tempo a
ripeterlo che dalla macchina scesero dei tipi armati che ci squadrarono per poi
andare qualcuno verso l’officina di Gamberani e qualcuno sotto i portici di piazza
Savona.
Seppi in seguito che avevano arrestato Pitros,
un partigiano di Neive e lo avevano prima massacrato di “ patéle” nella Caserma
“Govone” poi trascinato per le vie di Alba per farlo vedere alla popolazione e
infine lo avevano fucilato a Benevello.
Mentre tornavo a casa pensavo a quanti giovani
erano già morti e quanti ne sarebbero ancora stati uccisi da una parte e
dall’altra, senza contare quelli che erano stati dispersi in Russia per una
guerra che nessuno aveva voluto .
GARZONI DI CAMPAGNA : Beppe Sivorin
Quando rimasi solo a lavorare la campagna della
Masseria, presi dei manoà, Manovali. Uno era mio nipote Beppe, figlio di
Marcellina mia sorella. Già da giovane Beppe, detto Sivorin, al lavoro
preferiva far baldoria, cantare, fischiare e suonare. Successe tante volte che
andasse in festa e pur con le raccomandazioni affinchè tornasse per il Lunedì in quanto o c’era da falciare i
prati o da tajé èr gran lui tornava, se andava bene il martedì e stanco, ogni occasione era buona per
dormire.
Dopo l’ennesima sgridata gli intimai di
rimandarlo a casa, ma lui da buon attore
mi faceva delle scene con lacrime per impietosirmi. Sempre cedevo e gli dicevo
che sarebbe stata l’ultima volta. Una volta mi fece veramente innervosire. Si
portò in festa a Lequio anche un altro manovale ed io non vedendoli arrivare né
al lunedì né al mertedì mi dovetti arrangiare da solo a falciare a mano.
Dovetti alzarmi alle quattro e lavorare tutto il giorno senza fermarmi neppure
a mangiare. Mangiai al mattino prima di partire, un po’ di polenta e bagna cada
scaldata sulla stufa e poi feci cena quando tornai. Fu quella volta che andai a
parlare con Monssù Vigna.
Nel 1948, stanco di tribolare a lavorare da
solo e mal servito dai servitò, decisi di accogliere la proposta di Monsù Vigna
e mi trasferii ad Alba e andai a lavorare come “tostatore “ di caffè alla
Brasilera. Stetti pochi mesi in affitto da Francone Luigi poi trovai due camere
al “Bonòm”. Rilevammo anche la piccola bottega di alimentari che facevano
andare avanti Marina e Lucia.
In seguito acquistammo con Giaco Deltetto un
pezzo di casa nel loro cortile sempre al “Bonom”.