lunedì 30 aprile 2012

FRANCONE ORESTE ARGUELLO 1921


ORESTE FRANCONE classe 1921 raccontò
a  Beppe Fenocchio

                                                                    



papà FORTUNATO mamma ESTERINA SPOSI 1920

https://youtu.be/ZaALny54J50   

LA MIA INFANZIA AD ARGUELLO  

ORESTE FRANCONE CLASSE 1921

di Bona Esterina e Fortunato nacque nel 1921 ad Arguello nel paese dove oggi vi è ancora la vecchia stalla di Cesarin suo zio e sopra il fienile.

Mamma Esterina - Oreste         papà Fortunato

I Francone vivevano tutti nelle case di quel cortile. Quando poi si divisero, il papà e la mamma di Oreste si trasferirono in Cantabusso poiché a loro fu destinata quella proprietà. Prima vivevano tutti insieme e vi erano il papà Fortunato, Cesarin, Giuseppe (Gepu), Giovanni(Gioanin) e le due sorelle, una divenne Suora e una sposò Filippo Marenda (Mamma di Gepinin, di Maggiorino, Margherita e Concessina).

Si trasferirono in Cantabusso nel 1927 quando Oreste aveva 7 anni. Nella Primavera del 1928, Fortunato si ammalò di polmonite e a Marzo morì, lasciando la moglie Esterina incinta di Agostina (Gostinin) che nacque ad Agosto e Oreste e Maria. La mamma, per poter lavorare sistemò da “sèrvitò” Oreste dallo Zio detto “il Cit”, Maria, la più grande, da “serventa” in Aure da Filipin. La bimba più piccola fu affidata alla zia Bona Agostina moglie di Gepo che aveva la “Bottega” del paese di Arguello. La mamma diede a “mezzadria” la campagna di Cantabusso a ”Cento” di San Micé che svolgeva il lavoro di “mèi da Bosch” a Cantabusso, e lei andò da (serventa, manoèra 8erva-manovala < an poch èd tut!> un po' di tutto) dice Oreste!

Dopo alcuni anni e la scuola, ad Arguello vi era fino alla terza classe, Maria e Oreste tornarono a casa per aiutare la mamma nei lavori di campagna, ma facevano cosa potevano poiché (ORESTE<jero mach maraje e na fomrà! Eravamo solo ragazzi e una donna!)

 

Oreste andò nuovamente da manovale in campagna a Monchiero per un anno, quindi tornò a casa e andò da  manovale presso Cichin e Marietina dei Giamesi. Rimase finchè ebbero tagliato il grano, poi dopo un’ ennesima sgridata senza motivo da parte di Cichin, che era un personaggio “mach bon a ruzè! Solo capace a litigare e sbraitare!) Oreste se ne tornò a casa dicendo che da mangiare lui ne avrebbe avuto anche a casa. Il lavoro era duro poiché i proprietari non lo lasciavano con un attimo di riposo: c’era da falciare, da mietere il grano, da zappare, da andare davanti ai buoi per arare……e così se ne andò! Si sistemò finche non andò soldato, da 16 a 19 anni, da Carolina Proglio la Postina Mamma di Vigin. Si accordò per lavoro a “mez tèmp!” tre giorni da loro e tre a casa propria. A 19 anni partì soldato e tornò che ne aveva 24.

< Son partito militare a 19 anni e son tornato che ne avevo 24. Fui arruolato il 1° Gennaio 1940 a Saluzzo nella Fanteria e dopo 6 mesi mi inviarono in Grecia e vi rimasi finchè i Tedeschi “ran anbrancane”(ci hanno fatti prigionieri). Eravamo vicino ad Atene .

A Settembre del 1943,quando si seppe del “Patatrac”( dell’Armistizio–dello sbandamento)gli ufficiali ci dissero< Non scappate che i Tedeschi hanno promesso di portarci in Italia!>. Ci radunarono in una caserma e ci caricarono su di un treno  

 

di quelli” CAVALLI 8 UOMINI 40” e attraverso i Balcani arrivammo a Vienna. Qui pensammo : ora vedremo da che parte deviano e sapremo se ci portano in Germania o in Italia ! Ci trasferirono a Norimberga (Flossenbùrg) e rimanemmo 15 0 20 giorni ammassati in casermette. Saremo stati ventimila ! “Col camp o iera enorme o fova pao a vogro !(Quel campo era enorme faceva paura a guardarlo!) Ne scelsero un pochi, tra i quali c’ero anch’io,e ci portarono a lavorare in fabbrica a Schweinfurt. Era una fabbrica di cuscinetti a sfera e si facevano turni da otto giorni di lavoro  giorno e  notte.

 

 

(Acqua e rape a pranzo rape e acqua a cena!)

Quando ero prigioniero in Germania, un giorno , successe che ci mandarono a prendere del pane da distribuire nel capannone ai prigionieri. Io pensai ,molto bene , se ci passa del pane tra le mani qualcosa riesco a imboscare. Già mentre tornavamo sul camion ne presi due o tre pagnotte che misi nelle tasche del pastrano , sai quei “paltoron da militar”, poi dissi < però, così ne prendo troppo poco> e allora mentre lo distribuivo ,ogni tanto buttavo due filoni oltre una siepe con l’obiettivo di recuperarlo prima di entrare nel capannone. Un guardiano mi vide e mi diede uno “sgiaflon!” (uno schiaffone),pensai :”Adio, om fa fora!”(Mi uccide!), invece andò bene, finì lì. Il pane sarà servito a qualcuno! Anche perché “Ravo tuti fam! iero cò giovo Sèti?”(avevamo tutti fame! Eravamo anche giovani ,sai?)

Eravamo in baracche vicino alla fabbrica e quasi tutti i giorni subivamo i bombardamenti poiché venivano gli americani per distruggere le fabbriche tedesche! Venivamo anche mandati a cercare le bombe inesplose per segnalarle agli artificieri(Ii no iera un co iera tut rovinò! ).Quando le fabbriche furono completamente rase al suolo e non si poteva più lavorare mi portarono con altri in Francia a scavare camminamenti tra le due linee. Lì, armati di pale e picconi ci facevano lavorare di notte poiché di giorno si sparava! In un primo tempo eravamo a Moselle poi ci trasferirono sulla linea Sigfrido. Fortunatamente gli Americani sapendo che eravamo prigionieri non spararono mai una raffica! Con vari spostamenti ,a piedi arrivammo in un paesino dove vedemmo scappare le guardie e allora fuggimmo anche noi!Passammo la notte in un bosco da dove sentimmo gli aerei che bombardavano, poi al mattino ,quando tutto fu tranquillo, uscimmo allo scoperto e io e i miei due compagni, un sardo un napoletano, vedemmo che in un paese poco distante sventolavano bandiere bianche. Lo raggiungemmo  e trovammo gli Americani. Era il 19 Marzo 1945 e ci rimpatriarono ad Agosto. In quei mesi siamo stati bene poiché ci davano da mangiare o almeno eravamo liberi di procurarcene. Invece con i Tedeschi ricevevamo “In cassù d’eva e rave a disné e in cassù ed rave e eva a sèna!” Un mestolo di acqua e rape a pranzo e un mestolo di rape e acqua a cena! Mi andò bene che riuscii sempre a trovare qualche patata. Incontrai anche un tedesco, l’unico che si rivelò un padre di famiglia, che tutti i giorni mi chiamava nel suo ufficio e mi dava un pacchettino con del mangiare da nascondere sotto la tuta.  


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