lunedì 7 gennaio 2013

STORIE PER RAGAZZI in una "veglia" a LEVICE


STORIE PER RAGAZZI IN UNA "VEGLIA" A LEVICE 2013
 Le mie amiche e amici sapiènt, raccontandomi la loro vita mi hanno affidato emozioni insite nelle loro esperienze. Io mi trovo sovente a pensare ai racconti che ho filmato e trascritto e provo delle sensazioni che mi danno serenità, sia ritornando ai fatti piacevoli che a quelli più tristi. Il perché di questa serenità è racchiuso nelle voci e sorrisi o lacrime delle amiche e amici che nel raccontare provavano piacere, gioia tristezza ma soprattutto la soddisfazione di poter rivivere momenti della loro vita. Il tramandare storie di vita è una bella esperienza e per me un dovere poiché credo, come mi ha detto la Maestra Maria Laneri: “quello che conosciamo lo dobbiamo a qualcuno ed è doveroso lasciarlo ad altri senza timore di apparire presuntuosi!” Pertanto io vi racconto qualche storia, fatto o avvenimento con il solo scopo di testimoniare la vita di queste persone, molte sono già andate altre esistono ancora ma tutte sono vissute in periodi molto diversi da quelli che viviamo oggi e che voi giovani vivrete domani. L’importante è non dimenticare e rispettare chi visse nel sacrificio e nella semplicità.
DANTINO: na vita da sèrvito
Dante proveniva da una famiglia molto povera composta da papà mamma e 4 figli. All’età di otto anni fu mandato da garzone in una famiglia che lo faceva lavorare senza dargli molto da mangiare, così lui dovette imparare ad arrangiarsi. Da Montelupo lo mandavano con carriola a Ricca d’Alba a far cuocere il pane. Si usava così: Si portava la pasta al Fornaio e questo produceva il pane e lo cuoceva. Tornando alla cascina Dante si mangiava una pagnottina che chiedeva al panettiere di realizzargli in più e addirittura ne nascondeva una o due in qualche buco del terreno per mangiarselo in un secondo tempo, ma a volte la pioggia glielo guastava o qualche animale glielo mangiava e così rimaneva a bocca asciutta.

FRANCO, testimone della cattiveria umana.
Franco era in un campo che pascolava le pecore e raccoglieva fiori per inanellare un braccialetto per la sorellina,aveva sette anni, arrivò una Jepp con dei militari a bordo, scese un giovane a dorso nudo che andò in un primo tempo verso di lui, poi vedendo che era troppo piccolo si allontanò correndo ma una raffica di mitra lo raggiunse e lo uccise. La jepp si allontanò veloce, quei militari avevano la camicia nera. Franco corse a chiamare aiuto ma quando tornò con gli adulti il corpo del giovane non c’era più, vi era solo più la terra macchiata di sangue. Giorni dopo i partigiani, amici dell’ucciso organizzarono un agguato ad una colonna di nazifascisti e ne ferirono alcuni, uno riuscì ad avvisare e giunsero i rinforzi che non trovando più i partigiani, malmenarono e portarono via prigionieri: il padre di Franco,il curato del paese di Roddi e Agostino il vicino di casa, rinchiusero Franco, la mamma la sorellina di un anno e,la nonna nel granaio e diedero fuoco alla cascina dei vicini. Le donne e i bambini furono liberati da un soldato tedesco che però prima di andarsene li impaurì mettendoli con la faccia al muro. Loro attesero di essere fucilati ma sentirono anzichè i colpi del mitra il rumore della motocicletta che si allontanava. I tre uomini furono ritrovati uccisi a guerra finita. Franco, settantacinquenne, vive a Roddi d’Alba ma porta ancora i postumi del colpo infertogli con il calcio del fucile mentre si aggrappava alle gambMi hanno ucciso la maestra!
Mario era a scuola a Lequio Berria e frequentava la prima classe. La sua maestra era Rosa di Ceresole d’Alba e sentendo rumore di una sparatoria uscì a vedere cosa stesse succedendo. Poco distante dalla scuola vi era il comando dei partigiani. Traditi da qualcuno furono scoperti da un camion di Fascisti camuffati da Partigiani Garibaldini che li sorpresero e iniziarono una sparatoria, cadde ferita a morte anche la maestra di Mario, era una staffetta partigiana. Tornando a casa i bambini passarono nei pressi della sparatoria e videro dei corpi coperti da lenzuoli bianchi, qualche compagno più grande capì e disse che avevano ucciso una maestra. Mario corse a casa dicendo:Mi hanno ucciso la maestra! Si emozionò quando me lo raccontò e mi disse che dopo quasi settant’anni a volte si sogna ancora l’uccisione della maestra.

BARBA NOTOe la leggenda degli Angeli in San Michele
Zio Giovanni era nato nel 1900 e a sette anni si ammalò di meningite, rimase storpio ad una gamba e ad un braccio ma nonostante ciò visse lavorando la terra realizzandosi degli attrezzi adattati alla sua menomazione. Era una persona di grande fede e anche lavorando pregava. I bambini di allora, oggi adulti, che lo conobbero, lo ricordano come una persona amabile,dolce e di grande intelligenza. Tramandò la leggenda degli Angeli del Pilone di San Michele in Arguello. Il nonno gli raccontò che esisteva un pilone votivo quasi diroccato dove venivano persone a perorare una grazia, qualcuno veniva con le stampelle e dopo aver pregato si alzava e se ne andava con le proprie gambe. Un contadino del posto, avendo bisogno di coppi per ricoprire una tettoia prese quelli del Pilone. Al mattino ritrovò i coppi accatastati a terra e non capendo cosa fosse successo li rimise sulla tettoia. Al mattino successivo trovò nuovamente i coppi a terra messi in ordine. Pensando a uno scherzo di qualche vicino, li rimise a posto e si appostò per la notte in modo da vedere cosa succedeva. A una certa ora della notte apparvero gli Angeli che nuovamente accatastarono i coppi a terra. Il contadino sbalordito, pur non essendo molto religioso andò dal Parroco gli raccontò l’accaduto e si fece promotore per la costruzione di una Chiesetta intitolata a San Michele. Con molti sacrifici, tra il 1887 e il 1912 gli abitanti di Arguello fecero erigere la Chiesa che appunto nel 2012 ha festeggiato il centenario della sua esistenza.

CATLININ ca portava èr masnà
Catlinin era nata a Mango e si sposò ad Arguello. Aveva ereditato dalla nonna l’interesse per le proprietà medicamentose delle erbe e dei fiori e la pratica per curare “ra bisséra”: una malattia della pelle,una dermatite, che si pensava fosse procurata da una biscia, inoltre sapeva aiutare le donne a partorire. Si fece subito benvolere dalla gente del posto che essendo poveri contadini apprezzavano le doti della guaritrice e Ostetrica. Conquistò anche la fiducia del Parroco,il quale inviò la Perpetua a verificare le doti di Catlinin. Siccome Lena soffriva di forti dolori cervicali si presentò chiedendo che le fosse lenito il dolore e avendone ottenuto un grande sollievo riferì al Prevosto che la guaritrice possedeva dei poteri positivi e non era una fattucchiera. A quei tempi chi possedeva dei poteri di cui non si comprendeva l’origine veniva tacciato di essere una Masca, una strega o anche,se maschio, un mascon. Catlinin fu accolta bene dalla comunità e operò come guaritrice e levatriz fino a novant’anni aiutando a partorire le donne del paese. È un personaggio che è ricordato da tutte le persone poiché la nascita dei bambini era una festa di casa e la levatrice era più importante del medico che di solito arrivava quando i bimbi erano nati poiché veniva con il calesse trainato dal cavallo e abitava a Feisoglio, paese a una quindicina di chilometri. Si narra che una volta in una cascina si verificò un caso di parto gemellare. Catlinin capendo che il parto era difficile, fece chiamare il medico. Questi conoscendo l’abilità di Catlinin se la prese comoda e quando giunse i gemelli erano nati e il Fleboto verificate le buone condizioni della mamma e dei bimbi si accomodò a mangiare tagliatelle e bere buon vino. Catlinin veniva anche chiamata per assistere gli animali della stalla sia pecore che capre e mucche e nella sua borsa di tela aveva sempre l’erba adatta ad aiutare l’animale ammalato. Un nipote di Catlinin mi ha confidato che la nonna era però permalosa soprattutto quando non la invitavano al pranzo del battesimo o al pranzo del bate èr gran o der carvé, alla prima occasione di un malanno o di una disgrazia diceva: se mi aveste invitata quel guaio non sarebbe successo!

CLEMENTIN va a Palermo
Clemente Secco nacque il 3 agosto 1869 da Francesco del fu Giuseppe e da Marenda Marcellina. Venne,anche per lui il tempo di “Tirare il biglietto” della Leva, fu un numero basso che voleva dire: si parte soldato. Si fece un bel pranzo e un bel ballo per salutare gli amici e si partì destinazione Palermo. Clemente fu felice di essere stato arruolato di prima classe e anche se lo spaventava un po’ il viaggio in nave fu pronto anche a quella esperienza. Furono anni lunghi lontani da casa,fu inviato anche in Africa ma nel 1892 fu richiamato a Palermo per partecipare, in occasione dell’Esposizione Nazionale, alla Gara Velocipedistica. Si coprì di onore, proprio un Arguellese che aveva imparato a usare il velocipede sotto le armi risultò secondo a livello nazionale. Dopo cinque anni tra Sicilia e Africa tornò alle colline di Langa dove fu ricevuto con tutti gli onori e lui ricambiò raccontando storie meravigliose di viaggi su mari in tempesta e di battaglie per entrare nelle città di Kismaio, El Ataléh che diventerà Itala, Merka,Mogadiscio e Uarsei. Grandi esperienze ma allo sport velocipedistico preferì il balon alla pantalera.

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