CAVALLOTTO FRANCO RODDI D'ALBA 1934
IL DOLORE INVIVIBILE DI FRANCO
RACCONTI DEL 2011
TESTIMONIANZA REGISTRATA DA Beppe di Anna e Michelino Fenocchio
Testimone di un’uccisione
https://youtu.be/uA_IOp-g-2o
Racconto della rappresaglia 24 08 4
https://youtu.be/wIzOa7DFyu0
“Ci sono dolori che non hanno tempo, immobili , enormi, mille
volte più forti delle nostre capacità di soffrire, restano lì inesorabili come
pugnali nel cuore. Una vita non basta per guarire certe ferite….”
Franco Cavallotto di Carlo
Incontrando Franco, che dal 1945 scrive della sua vita e di
quella di suo padre,ho avuto la conferma che esistono persone che sanno essere
forti nelle situazioni più difficili,sanno convivere con terribili ricordi,e
riescono ,con grande forza d’animo a ricostruire la loro vita pensando
all’educazione dei propri figli e nipoti.
Lascio a voi valutare quanto sia stato arduo portare avanti
una vita segnata da fatti così tragici!
LE CARTOLINE DEL REGIO ESERCITO
Per ben tre volte ricevemmo a casa la cartolina del Regio
Esercito che dichiarava” Disperso” mio padre!
La prima volta dichiarato scomparso sotto una slavina sulle
montagne del fronte francese, la seconda naufragato la notte di Natale
1941,quando gli Inglesi affondarono la nave Firenze che trasportava le truppe
in Albania e la terza quando fu dato per disperso nella Ritirata di Russia
presso il fiume Don.
STAVO RACCOGLIENDO FIORI DI SPERONELLA
Avevo otto anni ed ero al pascolo con le mie due pecore e
vedo arrivare una “camionetta” con quattro uomini in camicia nera e uno a dorso
nudo. Stavo raccogliendo fiori di Speronella per farne un braccialettino da
regalare alla mia sorellina. La camionetta si fermò proprio di fronte a me ,
scese l’uomo scamiciato e venne verso di me. Quasi volesse dirmi qualcosa mi
guardò, poi ,realizzando che ero un bambino riprese a correre. Dall’automezzo
partì una raffica che lo falciò! Ho ancora in mente l’urlo di quel giovane
<Mamma ,mamma!”, e negli occhi lo scalciare la polvere il sangue che vidi!
Atterrito scappai a casa a raccontare l’accaduto e mi rimase il tormento di non
aver fatto nulla per aiutare e soccorrere quel povero, non so se partigiano o fascista.
24 AGOSTO 1944
Don Demetrio Castelli Agostino Morando Carlo Cavallotto
DI partigiani fecero
un’imboscata ai Tedeschi a pochi metri da casa nostra ,nei pressi del ponte sul torrente Talloria , sotto Roddi, provocando una rappresaglia che culminò con l’uccisione
di mio padre Cavallotto Carlo, di Agostino Morando e del Curato Don Castelli.
Vidi tutto salendo dalla nostra vicina, Secondina, che era
intenta a “sgranaté i faseu”(Sgranare i fagioli dal bacello) sulla terrazza
.Notai i partigiani che da sotto il ponte uscivano come ad aspettare qualcuno. Infatti
sentii il rumore dei motori e notai il polverone nella piana, erano la moto e la
camionetta tedesca che arrivavano. Quando furono qui sotto, vidi la motocicletta
e l’automezzo con i soldati Tedeschi con la divisa estiva. Appena superarono la
curva partì la prima raffica ,colpirono la motocicletta e il motociclista si
gettò nel fosso, i militari della camionetta si gettarono nella “meira” a
sinistra, ebbe inizio una sparatoria terribile. Secondina ,impaurita iniziò a
chiamare Agostino ”Gusto”, il marito , che si era nascosto sotto casa. Attirò l’attenzione dei soldati tedeschi che alzarono il tiro verso di noi sulla
terrazza. A quel punto fuggimmo verso
casa mia dove la mamma e la nonna avevano chiuso le “aure” (ante).La sparatoria
durò una mezza ora poi cessò. Uscimmo e notammo macchie di sangue sul
marciapiede e che non c’era più la bicicletta di mio padre contro il muro.
Arrivò il cantoniere sig. Garelli che andò a chiamare mio padre “pajarin préss
a ra macchina da bate èr gran”(pagliarino al seguito della macchina per
trebbiare il grano)in Valle Talloria. Io con la mamma le sorelline e la nonna salimmo dai Morando
dove nel frattempo era giunto il Curato Don Castelli inviato dal Parroco a
vedere cosa fosse successo.
Dopo poco ci raggiunse mio padre e fu
messo al corrente, ricordo che mia madre guardando dalla finestra esclamò:
“Carlo ,set’ fiisi nén sì ò sarìa méi!”(Carlo se non fossi qui sarebbe meglio!) Aveva visto i militari superstiti che
si muovevano dal campo di granturco dove si erano nascosti. Quello che aveva
preso la bicicletta, pur ferito, era andato a Pollenzo a chiedere rinforzi e ci
accerchiarono nella casa di Agostino.Entrarono nel cortile e con una violenza
inaudita chiesero chi fosse il proprietario della cascina. Agostino si fece
avanti e fu schiaffeggiato, così pure fecero con Don Castelli al quale trovarono
un libretto con l’elenco dei bambini del Catechismo e dissero:”Lista ribelli
eh!” Poi l’ufficiale si avvicinò a mio padre e fece per schiaffeggiarlo, mio
padre gli afferrò il braccio e lo scaraventò a terra. In un attimo gli furono tutti addosso a picchiarlo
e colpirlo con i fucili. Io,urlando :”lasciatelo stare!” mi aggrappai alle
gambe di papà e mi colpirono col calcio del fucile al ginocchio sinistro e svenni. Mi trascinarono al piano superiore in una stanza
con Secondina mia mamma le sorelline e
la nonna e ci rinchiusero fermando la porta con dei sacchi di grano. Quando
ripresi i sensi mi trascinai dalla finestra e vidi mio padre Agostino e Don
Castelli che costretti a portare i vitelli presi dalla stalla,guardavano verso
di noi preoccupati. Avevano incendiato entrambe le Travà, e noi rinchiusi in mezzo cominciavamo sentire il fumo invadere
la camera eil botto delle travi che bruciando ricadevano sul soffitto. I minuti
furono interminabili e ci preparammo a morire, quando sentimmo il rumore di una
moto. Era un soldato Tedesco che ,forse, preso dal rimorso o inviato dai superiori ,venne, sfondò la
porta e ci fece scendere sotto. Ci mise faccia al muro e dicendo Kaputt, caricò il mitragliatore. Io ,aggrappato alla veste di mia madre ero atterrito e
osservavo impaurito quell’inferno. Le fiamme stavano bruciando tutto, i conigli
che erano sulla travà squittivano e come palle di fuoco saltavano a terra senza
vita. Chiudendo gli occhi pensai “benvenga un proiettile a porre fine a questi
momenti terribili!”. Ad occhi chiusi attesi il colpo. Sentimmo invece il rumore
della moto che si allontanava. Ci girammo e scendendo in strada in lontananza
potemmo distinguere il corteo dei prigionieri e dei tedeschi con gli animali.
Scorsi mio padre che alzò un braccio per salutarci e scomparve dopo la curva.
Fu l’ultima volta che vidi mio padre, nella notte dopo averli torturati nella
cinta di Pollenzo e fatto scavare la fossa li uccisero.
Si sperò fino all’ultimo che li avessero deportati e che
fossero vivi. A Gennaio del 1945,quando i tedeschi se ne andarono da Pollenzo
,un contadino che aveva visto passare i tre prigionieri uno dei quali con la
veste da prete,andò dal Parroco a riferire che sapeva dove erano stati fucilati
e sotterrati.
<Il racconto di questi fatti mi costa grande fatica ma ho
voluto scriverli per tramandarli ai miei figli, nipoti e a tutti quelli che
tendono a dimenticare quei periodi tristi. Non ho mai voluto essere
commiserato, anche perché mi sono convinto che se abbiamo il cuore ombrato dalla
nebbia dell’odio e dell’ignoranza non gustiamo il fascino che sprigiona per noi
la luce delle stelle. Tutte le luci che la notte accende sul nostro capo, si
spengono se il nostro cuore non sente il loro richiamo.>
RACCONTI DEL 2021
Franco racconta la storia della nonna Cristina
CAVALLOTTO PIETRO GIUSEPPE 1897 DI BIGLINO MARIA CRISTINA E
DEL FU CARLO FRANCESCO
Biglino Maria Cristina nata a Piana Biglini, la nonna di Franco Cavallotto, fu mandata da “serva” all’età di
12 anni, presso una famiglia di Roddi. All’età di 14 anni fu messa incinta dal
“padrone”. A 15 anni Cristina ebbe il primo figlio. Nell’anno della nascita di
Pietro Giuseppe morì la moglie di Carlo Cavallotto, da tempo malata. Il
Cavallotto sposò la “serva” Cristina e da lei ebbe 6 figli, morì nel 1912
lasciando la povera ragazza di poco più di vent’anni.
Il primo figlio di Cristina
andò alla guerra del 1915 /18 e cadde sul Carso il 14 Ottobre 1917. Anche il
secondo figlio andò in guerra ma riuscì a tornare.
La giovane vedova con sei
figli sposò in seconde nozze Cavallotto Francesco figlio unico che lavorava a
Torino ed aveva i genitori che abitavano nella Piana di Roddi. Si sposò a 40
anni e morì a 52 per un infarto.
Il padre di Franco, Carlo,
quando morì il padre aveva appena 12 anni. Il fratellastro maggiore che era
diventato capo famiglia svolgeva un’attività di vendita concime per la campagna
ma fece fallimento e dopo aver dilapidato le risorse della famiglia si mise a
vendere “èr mistà” i santini davanti alle Chiese. Impiegò come vaccaro il
fratellastro Carlo ( papà di Franco) in Borzone di Grinzane Cavour, un altro
fratello lo mise da mezzadro, e le due sorelle le sistemò da “servente” (domestiche) una a Genova e una a Monforte.
Carlo fu spostato come servitò
al “Colombè” di Diano d’Alba e qui nella vigna conobbe la figlia dei Sandrone e
a 18 anni la sposò. Dal matrimonio nacque Franco. Dopo sei mesi di matrimonio
Carlo fu chiamato alle armi e iniziò le peripezie ben descritte dal figlio
Franco nel libro “I MIEI RICORDI”.
Carlo svolse due anni di
servizio militare, poi fu richiamato e inviato alla frontiera per la “Guerra
con la Francia”. Travolto da una valanga fu dato per disperso la prima volta,
Franco aveva 5 anni e ricorda le urla della mamma quando il messo Comunale andò
a notificarle la morte del marito.
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