lunedì 30 aprile 2012

CAVALLOTTO FRANCO RODDI D'ALBA 1934

CAVALLOTTO FRANCO RODDI D'ALBA 1934

 IL DOLORE INVIVIBILE DI FRANCO










TESTIMONIANZA REGISTRATA DA Beppe  di Anna e Michelino Fenocchio
Testimone di un’uccisione

https://youtu.be/Hu1WWUA6K4Y       

 Mio padre Carlo

https://youtu.be/nkmghA4mE8M      

Antefatto del rastrellamento

https://youtu.be/uA_IOp-g-2o    

Racconto della rappresaglia 24 08 4 

  https://youtu.be/wIzOa7DFyu0                 

       “Ci sono dolori che non hanno tempo, immobili , enormi, mille volte più forti delle nostre capacità di soffrire, restano lì inesorabili come pugnali nel cuore. Una vita non basta per guarire certe ferite….”

Franco Cavallotto di Carlo


Incontrando Franco, che dal 1945 scrive della sua vita e di quella di suo padre,ho avuto la conferma che esistono persone che sanno essere forti nelle situazioni più difficili,sanno convivere con terribili ricordi,e riescono ,con grande forza d’animo a ricostruire la loro vita pensando all’educazione dei propri figli e nipoti.

Lascio a voi valutare quanto sia stato arduo portare avanti una vita segnata da fatti così tragici!


LE CARTOLINE DEL REGIO ESERCITO

Per ben tre volte ricevemmo a casa la cartolina del Regio Esercito che dichiarava” Disperso” mio padre!

La prima volta dichiarato scomparso sotto una slavina sulle montagne del fronte francese, la seconda naufragato la notte di Natale 1941,quando gli Inglesi affondarono la nave Firenze che trasportava le truppe in Albania e la terza quando fu dato per disperso nella Ritirata di Russia presso il fiume Don.

STAVO RACCOGLIENDO FIORI DI SPERONELLA
Avevo otto anni ed ero al pascolo con le mie due pecore e vedo arrivare una “camionetta”con quattro uomini in camicia nera e uno a dorso nudo. Stavo raccogliendo fiori di Speronella per farne un braccialettino da regalare alla mia sorellina. La camionetta si fermò proprio di fronte a me , scese l’uomo scamiciato e venne verso di me. Quasi volesse dirmi qualcosa mi guardò,poi ,realizzando che ero un bambino riprese a correre. Dall’automezzo partì una raffica che lo falciò! Ho ancora in mente l’urlo di quel giovane <Mamma ,mamma!”, e negli occhi lo scalciare la polvere il sangue che vidi! Atterrito scappai a casa a raccontare l’accaduto e mi rimase il tormento di non aver fatto nulla per aiutare e soccorrere quel povero,  non so se partigiano o fascista.

24 AGOSTO 1944

Don Demetrio Castelli            Agostino Morando                 Carlo Cavallotto
DI partigiani fecero un’imboscata ai Tedeschi a pochi metri da casa nostra,nei pressi del ponte sul torrenteTalloria, sotto Roddi, provocando una rappresaglia che culminò con l’uccisione di mio padre Cavallotto Carlo,di Agostino Morando e del Curato Don Castelli.

Vidi tutto salendo dalla nostra vicina,Secondina, che era intenta a “sgranaté i faseu”(Sgranare i fagioli dal bacello) sulla terrazza .Notai i partigiani che da sotto il ponte uscivano come ad aspettare qualcuno. Infatti sentìi il rumore dei motori e notai il polverone nella piana,erano la moto e la camionetta tedesca che arrivavano. Quando furono qui sotto,vidi la motocicletta e l’automezzo con i soldati Tedeschi con la divisa estiva. Appena superarono la curva partì la prima raffica ,colpirono la motocicletta e il motociclista si gettò nel fosso,i militari della camionetta si gettarono nella “meira” a sinistra, ebbe inizio una sparatoria terribile. Secondina ,impaurita iniziò a chiamare Agostino”Gusto”,il marito , che si era nascosto sotto casa,attirando l’attenzione dei soldati tedeschi che alzarono il tiro verso di noi sulla terrazza. A quel punto  fuggimmo verso casa mia dove la mamma e la nonna avevano chiuso le “aure” (ante).La sparatoria durò una mezza ora poi cessò. Uscimmo e notammo macchie di sangue sul marciapiede e che non c’era più la bicicletta di mio padre contro il muro. Arrivò il cantoniere sig. Garelli che andò a chiamare mio padre “pajarin préss a ra macchina da bate èr gran”(pagliarino al seguito della macchina per trebbiare il grano)in Valle Talloria. Io con la mamma  le sorelline e la nonna salimmo dai Morando dove nel frattempo era giunto il Curato Don Castelli inviato dal Parroco a vedere cosa fosse successo.

Dopo poco ci raggiunse mio padre  e  fu messo al corrente, ricordo che mia madre guardando dalla finestra esclamò: “Carlo ,set’ fiisi nén sì ò sarìa méi!” Aveva visto i militari superstiti che si muovevano dal campo di granturco dove si erano nascosti. Quello che aveva preso la bicicletta, pur ferito, era andato a Pollenzo a chiedere rinforzi e ci accerchiarono nella casa di Agostino.Entrarono nel cortile e con una violenza inaudita chiesero chi fosse il proprietario della cascina. Agostino si fece avanti e fu schiaffeggiato,così pure fecero con Don Castelli al quale trovarono un libretto con l’elenco dei bambini del Catechismo e dissero:”Lista ribelli eh!” Poi l’ufficiale si avvicinò a mio padre e fece per schiaffeggiarlo, mio padre gli afferrò il braccio e lo scaraventò a terra. In un  attimo gli furono tutti addosso a picchiarlo e colpirlo con i fucili. Io,urlando :”lasciatelo stare!” mi aggrappai alle gambe di papà e mi colpirono col calcio del fucile al  ginocchio sinistro e svenni. Mi  trascinarono al piano superiore in una stanza con  Secondina mia mamma le sorelline e la nonna e ci rinchiusero fermando la porta con dei sacchi di grano. Quando ripresi i sensi mi trascinai dalla finestra e vidi mio padre Agostino e Don Castelli che costretti a portare i vitelli presi dalla stalla,guardavano verso di noi preoccupati. Avevano incendiato entrambe le Travà, e noi  rinchiusi  in mezzo cominciavamo sentire il fumo invadere la camera eil botto delle travi che bruciando ricadevano sul soffitto. I minuti furono interminabili e ci preparammo a morire,quando sentimmo il rumore di una moto. Era un soldato Tedesco che ,forse,preso dal rimorso  o inviato dai superiori ,venne,sfondò la porta e ci fece scendere sotto. Ci mise faccia al muro e dicendo Kaputt, carico il mitragliatore. Io ,aggrappato alla veste di mia madre ero atterrito e osservavo impaurito quell’inferno. Le fiamme stavano bruciando tutto, i conigli che erano sulla travà squittivano e come palle di fuoco saltavano a terra senza vita. Chiudendo gli occhi pensai “benvenga un proiettile a porre fine a questi momenti terribili!”. Ad occhi chiusi attesi il colpo. Sentimmo invece il rumore della moto che si allontanava. Ci girammo e scendendo in strada in lontananza potemmo distinguere il corteo dei prigionieri e dei tedeschi con gli animali. Scorsi mio padre che alzò un braccio per salutarci e scomparve dopo la curva. Fu l’ultima volta che vidi mio padre,nella notte dopo averli torturati nella cinta di Pollenzo e fatto scavare la fossa li uccisero.

Si sperò fino all’ultimo che li avessero deportati e che fossero vivi. A Gennaio del 1945,quando i tedeschi se ne andarono da Pollenzo ,un contadino che aveva visto passare i tre prigionieri uno dei quali con la veste da prete,andò dal Parroco a riferire che sapeva dove erano stati fucilati e sotterrati.

<Il racconto di questi fatti mi costa grande fatica ma ho voluto scriverli per tramandarli ai miei figli, nipoti e a tutti quelli che tendono a dimenticare quei periodi tristi. Non ho mai voluto essere commiserato,anche perché mi sono convinto che se abbiamo il cuore ombrato dalla nebbia dell’odio e dell’ignoranza non gustiamo il fascino che sprigiona per noi la luce delle stelle. Tutte le luci che la notte accende sul nostro capo,si spengono se il nostro cuore non sente il loro richiamo.>




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