Giovanni Sappa di Sinio racconta
A cura di Beppe Fenocchio
Partìi militare e mi portarono in Grecia ,quindi in Serbia. I Tedeschi ci
caricarono sui vagoni del treno ,eravamo in 40 per vagone e ci trasferirono a
Vienna nella Bassa Slesia,poi a Berlingen in Germania,qui lavoravo in una delle
loro fabbriche e andavo a lavare dì toch “pezzi meccanici”.Un giorno stavo
aspettando nel piazzale che mi venissero a prelevare e arrivò un Capitano
Tedesco ,non riusciva a passare poiché c’era un camion Fiat 626 che intralciava
il passaggio,
io mi offrìi di
spostarlo e lui stupito mi chiese di spostare la sua auto, feci alcuni giri nel
piazzale e fui assunto come suo autista. Disse che da quel giorno non sarei più
andato a lavare i pezzi in quella fabbrica.
In seguito mi trasferirono a Nuberlinge ai confini della Svizzera. Rimanemmo
lì fino al 26 Agosto del 1946 quando
fummo liberati ,cioè un anno dopo la fine della guerra. Eravamo in 7000 in quel
campo di lavoro (Lager).Ebbi fortuna che dal campo di prigionia venni prelevato
da una famiglia che mi portava ogni giorno a lavorare in campagna con loro e
così mi dava da mangiare e bere. Lavoravo per loro ma perlomeno stavo bene !
Nei primi tre mesi veniva il padre a prelevarmi ,poi iniziò a venire la figlia.
Nei primi tempi mangiavo sempre da solo, poi mi fecero posto a tavola con loro.
Mi trattavano bene e soprattutto la ragazza si era affezionata a me.
Certo però, che quando capii che potevo tornare in Italia partii senza
esitazione. Ricordo che avevo lasciato una mia fotografia con una “galetta”(biscotto
della razione K) e la ragazza venne a cercarmi alla stazione. Dei commilitoni
mi dissero :”bèica Giovanni che na matota con na toa foto e na galetta at
sèrca!”(Guarda Giovanni che una ragaza con una galletta e una tua foto ti
cerca) Io risposi,”lasra sté! Mi voi torné a cà! (Lasciala stare! Io voglio
tornare a casa " .E non mi feci trovare.
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