AGOSTO GIACINTO di “Cinèt” SOMANO 1923
Giacinto, figlio di Lorenzo “Cinèt” e di Abbio Giovanna (andata
avanti a 102 anni).
BRUTTI RICORDI DI SCUOLA
NacquI alla Borgata Sant’ Antonio, dove vivo tuttora. In famiglia eravamo sette e si percorrevano a piedi i due chilometri per arrivare alla scuola nel paese di Somano. Prima di andare a scuola ci recavamo al pascolo con le pecore. La maestra non era di quelle comprensive e quando vide che, stanco mi addormentai, mi diede una solenne dose di “patéle” (botte) e la punizione: da scrivere cento volte ”a scuola non si dorme!”.Io eseguii il “penso”, ma non svolsi il problema e così dovetti sorbirmi un’altra dose di botte. Inutile dire che non ho un bel ricordo della maestra!
ULTIMI GIOCHI
COL PADRE! POI
A MANGIAR PANE A CASA D’ALTRI (DA SERVO!)
A 11
anni, fui mandato “ a mangé ‘r pan à cà djàtri!”(a mangiar pane a casa
d’altri!). Questo modo di dire elegante, è usato per spiegare che le bambine e
i bambini di un tempo, già in tenera età venivano messi a servizio: (da
sèrvènte e sèrvito’).
Lavorai
alla Cascina Campolungo a Bonvicino, e il papà riceveva duecentocinquanta lire
all’anno, questo fu negli anni 1934/35, quindi fui trasferito alla Cascina
degli Ebrei ai Garombi di Monchiero dove ricevevo ben cinquecento lire
all’anno. Andai anche a Monforte dove il ”padron” si chiamava Costantino ed
aveva un figlio. Qui si stava abbastanza bene, certo che mi controllavano se
prendevo un pezzetto di pane in più di quello assegnato! Effettuai ancora uno
spostamento, in una cascina di Novello, il padre percepiva ben mille lire
all’anno per il lavoro prestato da me. Era gente alla grande! possidenti ma
solo da lavoro! Questi “padroni” erano aderenti al Fascio e pertanto mI mandavano
alle esercitazioni Pre-militari che si tenevano il sabato, ma appena aveva
effettuata la presenza, mi facevano ritornare al lavoro. Io consapevole dei mieii
diritti dissi ai “padroni”: <…io vi denuncio, poiché il regolamento prevede
che si PARTECIPI all’esercitazione!> A malincuore dovettero lasciarmi
effettuare il corso del sabato fascista!
Possedevano
tante vigne e io ero addetto a irrorare le viti “dé r’eva”. Dovevo pompare con
la macchina in spalla quell’acqua scura con il “ramital” che sostituiva il
verderame (antiperonospera). I due figli giovani erano al Servizio Militare e
così per giorni e giorni dovevo girare per le vigne con quel carico d’acqua e con
le cinghie chesi piantavano nella pelle spalle fino a scorticarmi!. Mi
portavano il pranzo dove lavoravo, così con l’ultimo boccone ero già pronto a
non perdere tempo e a riprendere il lavoro!
La
“padrona” era brava!, <oh sì sì, rosari ne diceva tanti!>, mi diceva-
< oh poverino sei stanco, sa che ti riempio la “macchina” così ti aiuto!!” Io
con un sorriso: < eh già, così non mi fermo mai!!>
DURA E FATICOSA LA VITA
Dormivo
in una camera con un letto nel quale ci rimanevo poco. Alle quattro <sonava
in dèsvijarin fastidioz!grrrr!>(suonava la sveglia!) Ed io assonnato dicevo <smorta
lolì che reu sèntì!!>(spegni quell’affare che ho sentito!) e scendevo ad
iniziare la lunga giornata da “sèrvito”. Avevano una stalla in campagna con una
dozzina di bestie e altrettanto in paese, pertanto al mattino ”sgurava ra stàla
an campagna”(pulivo la stalla in campagna) e al pomeriggio pulivo la stalla in
paese! < jéra sèmpre ‘ntra buza!> (ero sempre nello sterco!).
Fu dura, ma a sollevarmi da quelle
fatiche arrivò la Naja.
“LA NAJA” SOLLIEVO PER GIACINTO!
Arruolato un anno prima, per esigenze
di guerra, fui inquadrato nell’Artiglieria Divisionale. Inviato a Rimini per
alcuni mesi, apprezzai la vita militare poiché in confronto al lavoro
trascorreva come una vacanza: Colazione, un po’ di istruzione “avanti marsch,
dietro front ecc.” , manutenzione dell’arma e poi si attendeva il rancio. Mi
chiedevo perché la chiamavano naja!?
Dopo l’addestramento andai a Nola e
quindi feci la Campagna di Grecia “per spezzare le reni ai Greci! Come disse
Mussolini”. Si disse che le donne greche erano cattive , ma io le comprendevo
perché vi era una massa di gente che razziava tutto (italiani tedeschi! Neh!)
DA BARI CON LA NAVE CAMPIDOGLIO
Giunti in
mezzo al mare vi fu un Capitano che, senza apparente motivo, diede l’ordine di
indossare i salvagente e di buttarsi in mare. Sulla nave vi erano 1400 militari
che come me rimasero perplessi e preoccupati alla sola idea di buttarsi in
mare. La maggior parte non sapeva nuotare e inoltre un tuffo in quelle
condizioni significava morte sicura. Dopo un po’ di trambusto si notò che il
Capitano e un tenente discutevano e guardavano in mare. Da una scialuppa che
era stata calata con due uomini a bordo ne risalirono cinque probabilmente
artificieri. Dopo un breve periodo in cui furono fermati i motori si riprese la
navigazione e tutto fu tranquillo fino
all’arrivo a Valona. Mi feci l’idea che quel Capitano era stato un po’
esagerato a emanare il comando di abbandonare la nave. Se i militari avessero
ubbidito se ne sarebbero salvati ben pochi. Questa è una delle tante
riflessioni che mi fecero comprendere chei comandanti non avevano per niente a
cuore la vita di tanti giovani militari.
LICENZA
PER LA MORTE DEL PAPÀ
Mentre ero
in Grecia, ricevetti la comunicazione della morte del papà. Ebbi un mese di
Licenza, poi al termine dei trenta giorni mi presentai al Maresciallo dei
Carabinieri di Bossolasco e gli dissi che quasi quasi non sarei rientrato. Il
Maresciallo si infuriò e, mi convinse a ripartire. Rientrai a Nola, quindi fui
portato all’aeroporto di Bari dove risultammo in cinque in più. Il Comandante ci
mise in riga e sorteggiò con una conta casuale i cinque che dovevano rimanere a
terra per partire il giorno dopo. Tra questi vi fui anche io. I cinque esclusi io
compreso ci scocciammo per il rinvio di
partenza, ma quando il giorno dopo il Comandante ci disse che eravamo stati
fortunati perché l’aereo del giorno prima era stato abbattuto, lo ringraziammo
e sperammo che il volo per loro andasse bene. Fu così e, quando l’aereo atterrò
, ringraziai il buon Dio per essere scampato, ma non fu la prima né l’ultima
volta che lo ringraziai!
Giunto a
Patrasso decisi di non raggiungere Missolungi dove avrei dovuto tornare al
Presidio.(La sua Divisione, la “Casale” nel 1942/43 fu dislocata
nella zona compresa fra il golfo di Arta e quello di Patrasso, con presidi ad
Agrinion, Amphilokia e Missolungi. Durante tutto il periodo che rimase in detto
territorio, partecipò
ad operazioni di rastrellamento ed anti-partigiane a Agrinion, Katoki, Mussura,
Krisovitza, Scutera, Sariadafino.) Per raggiungere Missolungi, situata
in una zona paludosa dove regnava la Malaria e per questo occorreva assumere il
CHININO ogni giorno, avreI dovuto prendere un traghetto e viaggiare tre ore.
RimasI a Patrasso ed ebbI il conforto del consiglio di un Capitano che,
quasi sapesse che fine avrebbero fatto alcuni Presidi, compreso quello della
Divisione Acqui mi disse di non rimanere e infatti dopo pochi giorni arrivò
l’ordine di disarmarsi e di consegnarsi ai tedeschi!
Ancora
oggi non riesco a comprendere come ben nove Divisioni italiane e sei tedesche
non riuscirono a tenere testa a un piccolo esercito come quello greco. Certo la
guerriglia era peggio della guerra vera e propria, con i pastori albanesi e la
popolazione che collaboravano, ma fiutai l’intrigo quando ad Atene vidi con i
miei occhi portar via il Generale senza sparare un colpo e noi soldati fummo
abbandonati nelle mani dei tedeschi.! I soldati furono disarmati e, caricati
sulle tradotte, deportati in Germania.
GERMANIA: CAMPI DI LAVORO
In un primo
tempo, i prigionieri furono internati a Coblenza, giunsi con altre migliaia di
soldati il sabato e il lunedì; con altri 500 prigionieri fui prelevato per
essere condotto a lavorare in una fabbrica a Trier(Treviri). Vi era un civile
addetto a suddividere ulteriormente il gruppo ed io fui inserito in un gruppo
di una trentina di internati militari.
Ogni
mattina e ogni sera un “CHEF” (CAPO) aveva il compito di trasferirci, a piedi,
dal Campo al luogo di lavoro.
UNA CAREZZA ED UN SORRISO
Il
percorso per giungere alla fabbrica passava davanti a delle case. Un giorno, io
che aveva 21 anni ed ero un
giovinastr!”, vidi una ragazzina, che guardava transitare quella squadra di
giovani. Senza pensarci su, usii dai ranghi e andai a dare una carezza e un
sorriso a quella fanciulla. Potevano esserci conseguenze, e invece non successe
nulla. Il giorno dopo il nonno della ragazzina si presentò al campo e chiese di
prelevare il giovane Agosto Giacinto, proprio io! Fu l’inizio della mia
“Prigionia fortunata”. Accolto in quella casa ”cascina” dove non vi erano altri
uomini se non il nonno anziano e tanto lavoro da svolgere, trovai una famiglia.
Ebbi del vestiario pulito e conducevo una vita come appartenente alla famiglia.
La domenica mi recavo alla Messa e nel giro di un mese ebbi un Documento che mi
permetteva di circolare liberamente. Nella casa vi era una motocicletta e fui
autorizzato ad utilizzarla per spostarmi nella zona.
In quella
cascina lavoravo con i cavalli alla produzione di patate, barbabietole da
zucchero e anche tabacco. Nei primi tempi faticai un po’ a comunicare con la
ragazza, ma questa era buona e intelligente e mi aiutò. In uno dei primi giorni
mi fece comprendere che vi erano da raccogliere le patate, ed io capii, mi avviai nel campo dietro la casa. Ero
intento a raccogliere patate quando giunse una squadra di SS che pensando stessi
rubando le patate mi puntò il fucile per arrestarmi, ma la ragazza vide la
scena e chiarì con i militari, poi commentò: <SS no god, solo capaci ad
ammazzare!>.
VIDI UNA TRADOTTA DI EBREI
La
visione che più mi fece rabbrividire fu quando, siccome avevo un lasciapassare
e potevo girare con il Guzzi messomi a disposizione dalla famiglia dove
lavoravo, decisi di andare a visitare la stazione ferroviaria. Intanto che
gironzolavo arrivò una tradotta carica di prigionieri Ebrei. Una donna mi fece
segno di porgerle dell’acqua della fontana che avevo vicino. Io incurante delle
guardie presi una scatola d’acqua e feci per porgergliela, ma sentii il sibilo
di un proiettile passarmi a pochi centimetri dall’orecchio sinistro e delle
urla mi intimarono di andarmene.Così feci ma ancora oggi mi chiedo come si può
sparare a chi porge acqua a chi ha sete!
Al
termine della guerra andai anche a ficcare il naso in una Camera a gas e Forni
crematori e compresi come li usavano, vidi anche un mucchio di ceneri!.
Rimasi
turbato! Non ho mai compreso perché amazzarono così tante persone, Neppure
adesso che sono vecchio comprendo cosa spinse tante persone ad uccidere tanti
loro simili!
https://youtu.be/tVN4Yyx6N4E GIACINTO
A fine
guerra rientrai a casa, con l’idea di ritornare in quella famiglia che mi aveva
praticamente adottato. Il nonno mi disse che mi attendevano. Purtroppo al mio
rientro trovai la maestra che mi raccontò dell’uccisione di mio fratello. Con
una tale situazione dissi addio al proposito di lasciare tutto a mio fratello e
sorella e ripartire per Trier. Forse mi scrissero per invitarmi a tornare ma
neppure risposi. Ripresi a coltivare la mia terra e ad allevare qualche bestia.
Ed eccomi qua a raccontare
GIACINTO APICULTORE
https://youtu.be/AKqbl5EnNt8 CATERINA
In
famiglia eravamo Mamma papà, Giacinto del 1923 io del 1926 e Carlo, quello che
uccisero i nazisti, lui era del 1930.
Abitavamo
nella Frazione di San Antonio di Somano e già i nonni facevano i contadini lì.
Avevamo qualche pecora, galline e una mucca. Producevamo le tome e il Martedi
da Somano a Dogliani si andava a vendere le tome che portavamo nel Cavagn e le
uova in una borsa. A volte mi caricavo anche un agnello che portavo a vendere,
sempre a piedi ma non al mercato e al mattino presto perché erano già tempi
“brutti”. Fu una gioventù triste e senza tante comodità. Non vi era che un
piccolo negozio in paese e niente radio,
telefono o televisione
QUANDO
UCISERO MIO FRATELLO
Alla
sera prima, nella frazione vi erano i Partigiani che dormirono in una nostra
stalla dove tenevamo le bestie. Al mattino, quando non era ancora giorno,
sentimmo i partigiani che fuggivano e arrivarono i nazifascisti. I repubblicani
che arrivarono dopo l’uccisione incolpavano i “nostri”, Io ricordo che un
soldato con un’ arma lunga così urlò “rauss rauss a mio fratello e intanto gli
sparò. Lui era fuori e rientrò affannato e impaurito per l’arrivo dei nazisti.
Lui non scappò perché era giovane, ma questo dopo avergli sparato puntò l’arma
su mia madre e la spinse ad aprire le porte per guardare se vi era qualcuno.
Erano fuggiti tutti, eravamo rimaste io e mia mamma e vi erano solo più persone
molto vecchie e i bambini.
Mio
fratello Giacinto nel 1942 partì mlitare e fu accompagnato da mio padre a
Dogliani da dove avrebbe preso il “trenino” per Monchiero. L’anno successivo
morì mio padre e nel ’44 uccisero mio fratello Carlo.
Rimanemmo
solo mia madre ed io e di Giacinto non avevamo notizie. Non sapevamo dove fosse
né se fosse vivo o morto. Nel 1945 lo vedemmo tornare a casa, 2 ch’o jera mair
pèid na candèira!” era magro come una
candela. Il periodo della guerra fu un terribile e non si dimentica mai.
Ricordo
anche la paura provata quando sparavano dalla “Lovera” e cadevano i bossoli di
fucile e mortaio sui nostri tetti. Per ripararci trascorrevamo notti intere
coricatei sulla paglia in un Crotin ( piccola grotta sotto la casa). Provammo
sempre tanta paura.
I
giovani rimasti e gli uomini a meno che non fossero vecchi vecchi si
nascondevano, Il “Maleur” sfortuna di mio fratello Carlo fu di essere un
ragazzino “ ben piantà” grande per i suoi 14 anni e così lo presero per un
giovane partigiano. E pensare che la sera prima era con i Partigiani che
suonava la fisarmonica a bocca, mai più pensava che il giorno dopo la sua vita
sarebbe finita.
Intanto a
novembre 1944 il Comune di Somano venne invaso dal terrore del grande Rastrellamento effettuato dalle
imponenti forze nazifasciste. Queste attaccarono i Partigiani Autonomi(della I
Divisione) e i Garibaldini(6° Divisione).I Partigiani arretrarono ma i nazifascisti
seminarono paura e morte tra i contadini e i Partigiani caduti nel
rastrellamento.
Il 16
Novembre, la colonna “Dal Piaz” del raggruppamento “Cacciatori degli Appennini”
al comando del col. Aurelio Languasco invase la zona di Somano e dintorni
incendiando e saccheggiando abitazioni. Gli uomini di Somano e delle frazioni
cercarono di nascondersi, ma in qualche occasione furono sorpresi dai militari
che avevano ordine di sparare senza intimare l’alt o valutare chi fossero i
fuggitivi. Fu il caso del fratello di Giacinto, Carlo, di appena 14 anni
sorpreso a fuggire tornò a nascondersi tra
le braccia della mamma ma fu ucciso senza pietà nonostante le implorazioni
della madre.. In quel giorno, a Somano furono
uccisi anche Agosto Giovanni del 1892, Bassignana Giovanni del 1901, e
Occelli Carlo di Bonvicino del 1915 tutti contadini che per timore di essere
deportati correvano a nascondersi. Caddero anche, sotto i colpi dei
nazifascisti il Partigiano della Form. Mauri I Divisione Maffeo Duilio “Carlo”
Brigadiere dei Carabinieri originario di Torino
e il Partigiano Garibaldino
Cornero Luigi “Biulot” del 1921.
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