lunedì 30 aprile 2012

FRANCONE ORESTE ARGUELLO 1921


ORESTE FRANCONE classe 1921 raccontò
a  Beppe Fenocchio

                                                                    



papà FORTUNATO mamma ESTERINA SPOSI 1920

https://youtu.be/ZaALny54J50   

LA MIA INFANZIA AD ARGUELLO  

ORESTE FRANCONE CLASSE 1921

di Bona Esterina e Fortunato nacque nel 1921 ad Arguello nel paese dove oggi vi è ancora la vecchia stalla di Cesarin suo zio e sopra il fienile.

Mamma Esterina - Oreste         papà Fortunato

I Francone vivevano tutti nelle case di quel cortile. Quando poi si divisero, il papà e la mamma di Oreste si trasferirono in Cantabusso poiché a loro fu destinata quella proprietà. Prima vivevano tutti insieme e vi erano il papà Fortunato, Cesarin, Giuseppe (Gepu), Giovanni(Gioanin) e le due sorelle, una divenne Suora e una sposò Filippo Marenda (Mamma di Gepinin, di Maggiorino, Margherita e Concessina).

Si trasferirono in Cantabusso nel 1927 quando Oreste aveva 7 anni. Nella Primavera del 1928, Fortunato si ammalò di polmonite e a Marzo morì, lasciando la moglie Esterina incinta di Agostina (Gostinin) che nacque ad Agosto e Oreste e Maria. La mamma, per poter lavorare sistemò da “sèrvitò” Oreste dallo Zio detto “il Cit”, Maria, la più grande, da “serventa” in Aure da Filipin. La bimba più piccola fu affidata alla zia Bona Agostina moglie di Gepo che aveva la “Bottega” del paese di Arguello. La mamma diede a “mezzadria” la campagna di Cantabusso a ”Cento” di San Micé che svolgeva il lavoro di “mèi da Bosch” a Cantabusso, e lei andò da (serventa, manoèra 8erva-manovala < an poch èd tut!> un po' di tutto) dice Oreste!

Dopo alcuni anni e la scuola, ad Arguello vi era fino alla terza classe, Maria e Oreste tornarono a casa per aiutare la mamma nei lavori di campagna, ma facevano cosa potevano poiché (ORESTE<jero mach maraje e na fomrà! Eravamo solo ragazzi e una donna!)

 

Oreste andò nuovamente da manovale in campagna a Monchiero per un anno, quindi tornò a casa e andò da  manovale presso Cichin e Marietina dei Giamesi. Rimase finchè ebbero tagliato il grano, poi dopo un’ ennesima sgridata senza motivo da parte di Cichin, che era un personaggio “mach bon a ruzè! Solo capace a litigare e sbraitare!) Oreste se ne tornò a casa dicendo che da mangiare lui ne avrebbe avuto anche a casa. Il lavoro era duro poiché i proprietari non lo lasciavano con un attimo di riposo: c’era da falciare, da mietere il grano, da zappare, da andare davanti ai buoi per arare……e così se ne andò! Si sistemò finche non andò soldato, da 16 a 19 anni, da Carolina Proglio la Postina Mamma di Vigin. Si accordò per lavoro a “mez tèmp!” tre giorni da loro e tre a casa propria. A 19 anni partì soldato e tornò che ne aveva 24.

< Son partito militare a 19 anni e son tornato che ne avevo 24. Fui arruolato il 1° Gennaio 1940 a Saluzzo nella Fanteria e dopo 6 mesi mi inviarono in Grecia e vi rimasi finchè i Tedeschi “ran anbrancane”(ci hanno fatti prigionieri). Eravamo vicino ad Atene .

A Settembre del 1943,quando si seppe del “Patatrac”( dell’Armistizio–dello sbandamento)gli ufficiali ci dissero< Non scappate che i Tedeschi hanno promesso di portarci in Italia!>. Ci radunarono in una caserma e ci caricarono su di un treno  

 

di quelli” CAVALLI 8 UOMINI 40” e attraverso i Balcani arrivammo a Vienna. Qui pensammo : ora vedremo da che parte deviano e sapremo se ci portano in Germania o in Italia ! Ci trasferirono a Norimberga (Flossenbùrg) e rimanemmo 15 0 20 giorni ammassati in casermette. Saremo stati ventimila ! “Col camp o iera enorme o fova pao a vogro !(Quel campo era enorme faceva paura a guardarlo!) Ne scelsero un pochi, tra i quali c’ero anch’io,e ci portarono a lavorare in fabbrica a Schweinfurt. Era una fabbrica di cuscinetti a sfera e si facevano turni da otto giorni di lavoro  giorno e  notte.

 

 

(Acqua e rape a pranzo rape e acqua a cena!)

Quando ero prigioniero in Germania, un giorno , successe che ci mandarono a prendere del pane da distribuire nel capannone ai prigionieri. Io pensai ,molto bene , se ci passa del pane tra le mani qualcosa riesco a imboscare. Già mentre tornavamo sul camion ne presi due o tre pagnotte che misi nelle tasche del pastrano , sai quei “paltoron da militar”, poi dissi < però, così ne prendo troppo poco> e allora mentre lo distribuivo ,ogni tanto buttavo due filoni oltre una siepe con l’obiettivo di recuperarlo prima di entrare nel capannone. Un guardiano mi vide e mi diede uno “sgiaflon!” (uno schiaffone),pensai :”Adio, om fa fora!”(Mi uccide!), invece andò bene, finì lì. Il pane sarà servito a qualcuno! Anche perché “Ravo tuti fam! iero cò giovo Sèti?”(avevamo tutti fame! Eravamo anche giovani ,sai?)

Eravamo in baracche vicino alla fabbrica e quasi tutti i giorni subivamo i bombardamenti poiché venivano gli americani per distruggere le fabbriche tedesche! Venivamo anche mandati a cercare le bombe inesplose per segnalarle agli artificieri(Ii no iera un co iera tut rovinò! ).Quando le fabbriche furono completamente rase al suolo e non si poteva più lavorare mi portarono con altri in Francia a scavare camminamenti tra le due linee. Lì, armati di pale e picconi ci facevano lavorare di notte poiché di giorno si sparava! In un primo tempo eravamo a Moselle poi ci trasferirono sulla linea Sigfrido. Fortunatamente gli Americani sapendo che eravamo prigionieri non spararono mai una raffica! Con vari spostamenti ,a piedi arrivammo in un paesino dove vedemmo scappare le guardie e allora fuggimmo anche noi!Passammo la notte in un bosco da dove sentimmo gli aerei che bombardavano, poi al mattino ,quando tutto fu tranquillo, uscimmo allo scoperto e io e i miei due compagni, un sardo un napoletano, vedemmo che in un paese poco distante sventolavano bandiere bianche. Lo raggiungemmo  e trovammo gli Americani. Era il 19 Marzo 1945 e ci rimpatriarono ad Agosto. In quei mesi siamo stati bene poiché ci davano da mangiare o almeno eravamo liberi di procurarcene. Invece con i Tedeschi ricevevamo “In cassù d’eva e rave a disné e in cassù ed rave e eva a sèna!” Un mestolo di acqua e rape a pranzo e un mestolo di rape e acqua a cena! Mi andò bene che riuscii sempre a trovare qualche patata. Incontrai anche un tedesco, l’unico che si rivelò un padre di famiglia, che tutti i giorni mi chiamava nel suo ufficio e mi dava un pacchettino con del mangiare da nascondere sotto la tuta.  


SAPPA GIOVANNI 1920 SINIO D'ALBA

UNA FOTOGRAFIA E UNA GALLETTA COME PEGNO D'AMORE
Giovanni Sappa di Sinio racconta
A cura di Beppe Fenocchio


Partìi militare e mi portarono in Grecia ,quindi in Serbia. I Tedeschi ci caricarono sui vagoni del treno ,eravamo in 40 per vagone e ci trasferirono a Vienna nella Bassa Slesia,poi a Berlingen in Germania,qui lavoravo in una delle loro fabbriche e andavo a lavare dì toch “pezzi meccanici”.Un giorno stavo aspettando nel piazzale che mi venissero a prelevare e arrivò un Capitano Tedesco ,non riusciva a passare poiché c’era un camion Fiat 626 che intralciava il passaggio, io mi offrìi di spostarlo e lui stupito mi chiese di spostare la sua auto, feci alcuni giri nel piazzale e fui assunto come suo autista. Disse che da quel giorno non sarei più andato a lavare i pezzi in quella fabbrica.

In seguito mi trasferirono a Nuberlinge ai confini della Svizzera. Rimanemmo lì fino al 26 Agosto  del 1946 quando fummo liberati ,cioè un anno dopo la fine della guerra. Eravamo in 7000 in quel campo di lavoro (Lager).Ebbi fortuna che dal campo di prigionia venni prelevato da una famiglia che mi portava ogni giorno a lavorare in campagna con loro e così mi dava da mangiare e bere. Lavoravo per loro ma perlomeno stavo bene ! Nei primi tre mesi veniva il padre a prelevarmi ,poi iniziò a venire la figlia. Nei primi tempi mangiavo sempre da solo, poi mi fecero posto a tavola con loro. Mi trattavano bene e soprattutto la ragazza si era affezionata  a  me. Certo però, che quando capii che potevo tornare in Italia partii senza esitazione. Ricordo che avevo lasciato una mia fotografia con una “galetta”(biscotto della razione K) e la ragazza venne a cercarmi alla stazione. Dei commilitoni mi dissero :”bèica Giovanni che na matota con na toa foto e na galetta at sèrca!”(Guarda Giovanni che una ragaza con una galletta e una tua foto ti cerca) Io risposi,”lasra sté! Mi voi torné a cà! (Lasciala stare! Io voglio tornare a casa " .E non mi feci trovare.


MOZZONE FRANCO 1929 AMEDEO ROCCA



FRANCO MOZZONE

                                                              

Il traghetto di Barbaresco foto Aldo Agnelli





Franco Mozzone


Intervista realizzata e trascritta da Beppe di Anna e Michelino  Fenocchio
Franco Mozzone classe 1929

IL TRAGHETTO DEL TANARO E

 I FASCISTI    DI BARBARESCO   

A quindès agn, i republican i ran piame! 
A 15 ANNI I REPUBBLICANI MI ARRESTARONO
Io abitavo nel paese di Barbaresco e la nostra cascina aveva il muro in comune con quella di Codevilla dove c’era il comando della Brigata Matteotti. La mattina del 5 Agosto trovammo nel cortile quattro o cinque mitra e sputa fuoco con una cassetta di proiettili caduta da un “birocin”(carro a due ruote trainato dal cavallo).Mio padre vedendo tutto quell’armamentario commentò: “Ma sonni mat!?” Nascose quelle armi e dopo mezz’ora arrivarono i “repubblican” che non trovando i partigiani presero trenta paesani : eravamo “ot o dés pare e fio! e altri venti “Iera Bastian e Piero, Boba e Mario,Donarin e Gioanin, mì e mè pare e atri doi”. Ci caricarono su un camion e ci portarono ad Alba in prigione. Nel frattempo il Vescovo Monsignor Grassi arrivò nel paese chiamato dal Parroco Don Lorenzo Perrone. Il vescovo affrontò il Colonnello Languasco e ottenne di sospendere la decisione di fucilarci e di dar fuoco al paese finchè non si fosse riusciti a trovare i tre tedeschi e 5 soldati che i partigiani avevano presi prigionieri.  Con il Podestà di Barbaresco Tilio èd Manz e  Ettore‘d Bressa che aveva il cavallo e il calesse andarono prima a Treiso e poi a Trezzo Tinella dove con l’aiuto del partigiano Paolo Farinetti trovarono i prigionieri per lo scambio.
 In prigione io non mi staccavo da mio padre e tutti avevamo paura che ci fucilassero . Passavano dei “scroson”(impertinenti)(giovani della Muti) che ci dicevano : Ancò eu foma fora!(oggi vi uccidiamo!)Ci tennero fino alle 18 “sènsa gnènte da mangé!” (senza nulla da mangiare!) ,poi avvenuto lo scambio ci accompagnarono oltre il ponte al Rondò e ci lasciarono tornare a casa. Quattro o cinque che erano in età di leva furono trattenuti e arruolati nei Muti, noi prendemmo il traghetto sul Tanaro e andammo a casa. Si risolse con una grande paura ma fino all’ultimo tememmo che sti Fascisti col moschetto ci sparassero!
 Stimolato da Amedeo Rocca che gli dice: Contie quandi i Tedesch i ran déstacà o traghèt! RACCONTA QUANDO I FASCISTI HANNO STACCATO IL TRAGHETTO
Franco inizia:
A sì, lì a rè co stò béla! AH Sì Lì è ANCHE STATA BELLA!
Mio zio gestiva il porto di Barbaresco,il traghetto che serviva a trasportare persone animali e carri sull’altra sponda del Tanaro. Quello di Barbaresco era in località Paiùss, più a valle  c’era quello di Neive gestito dagli Agnelli Aurelio e Gidio e cugini Enrico e Gino. Un giorno arrivarono i tedeschi e slegarono gli ancoraggi del traghetto che così, in balia della corrente fu trasportato “an bèl poch a val an mès a Tane” (un bel po’ a valle in mezzo al Tanaro).Lo fecero perché non volevano fosse utilizzato dai partigiani per attraversare il fiume. Ricordo che lavorammo due giorni per ripristinare fune e traghetto. Inoltre fu un danno notevole per la famiglia poiché è vero che non lo utilizzavano i partigiani, ma neppure lo potevano prendere “particolar e négossiant che erano buoni clienti!







Dopo la naja la guerra d'Africa

 DOPO LA NAJA LA GUERRA D'AFRICA

MARENGO ARMANDO classe 1918

 A CURA DI BEPPE FENOCCHIO







Quando andai in Africa avevo già effettuato 16 mesi di servizio militare poiché sono del 1918. Quando iniziò la Guerra io avrei dovuto essere congedato,invece rimasi ancora sotto le armi fino al 1943. Rimasi poco sul fronte Francese poiché quando noi dichiarammo guerra alla Francia la Germania l’aveva già conquistata!(Nella primavera del 1940, Hitler volse l'esercito tedesco contro la Francia, che in poche settimane venne spazzato via. Il 10 giugno 1940, quando ormai la Francia era allo stremo, l'Italia fascista di Mussolini dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna.)

Siccome ero nell’aviazione fui inviato a Cameri per un mese e poi in Africa. Era un sabato  e mi ero cambiato per andare in Libera uscita a Novara ma fui convocato dal Colonnello con altri quattro autisti,  ci disse che dovevamo partire subito e presentarci  a Capodichino dove saremmo stati imbarcati per la Somalia.

A casa a salutare e poi si parte

 Io e gli altri tre ci guardammo e dicemmo:“Possibile! che r’obbio da andé an Africa sensa salutè i nostri? “(Che dobbiamo andare in Africa senza salutare i nostri?” Eravamo uno di Torino uno di Cuneo uno di Vicenza e mì ed Sini, Ci demmo appuntamento per la Domenica a casa di quello di Torino (certo Bologna i cui genitori avevano una tabaccheria all’angolo tra corso Vittorio e  corso Re Umberto). Io venni ad Alba affittai una bici da Talina ,tornai a casa salutai ,dormii tre ore e ripartìi con Rico che doveva venire a far visita a suo fratello Condo in Ospedale,presi il Pullman per Torino e arrivai prima di Silvestro col ed Coni,è incredibile! Non mi ricordo di cosa ho fatto ieri sera e invece mi ricordo nomi e fatti di stant’agn fa!!

D’ogni modo aspettammo quello di Vicenza,che arrivò alla sera ,mi ricordo che andammo ancora al Cine e poi prendemmo il treno. Arrivammo in forte ritardo a Capodichino ma tanto ,”pés che an Africa podivo nen mandéne!!” La nave per la Somalia era già partita e il Colonnello ci disse “bravi ! adesso vi sbatto in prigione!” Ci portarono in prigione e quando furono le quattro del pomeriggio col ed Turin prese la panca e la sbatte sul tavolo facendo un gran botto,venne l’ufficiale di Picchetto che disse : “sevi mat? E lui rispose “va ben ra pèrson ma che ròbo da  more èd fam?” (va bene essere in prigione ,ma non morire di fame!)

In un primo tempo eravamo destinati a Misurata e sbarcammo a Tripoli con grandi difficoltà .Infatti il nostro Convoglio che  era composto da quattro navi l’Esperia la Conte Rosso la Victoria e la  Marco Polo,fu attaccato due volte. Imbarcati a Napoli, quando fummo poco oltre la Sicilia subimmo due attacchi e riparammo nel porto di Palermo.Qui avvenne un forte bombardamento e fortunatamente la mia nave , io ero sulla Esperia,non fu colpita .Invece il Piroscafo Conte Rosso fu affondato. All’alba del 24 maggio 1941 il "Conte Rosso", insieme alle navi "Victoria", "Marco Polo" ed "Esperia", salpò dal porto di Napoli. Nel pomeriggio, passato lo Stretto di Messina, si unirono al convoglio come scorta gli incrociatori "Bolzano" e "Trieste". La tragedia si consumò alle 20.41 dello stesso giorno per opera del sommergibile inglese "Upholder" che utilizzò gli ultimi due siluri rimasti».
Sul "Conte Rosso viaggiavano 2.729 uomini dei quali 1.432 si salvarono e 1.297 morirono o furono allora dispersi.

La scampiamo la seconda volta

A Tripoli rimanemmo circa un mese ed  era già Natale! Rischiai subito di “laséie er piume!” Ero sul camion( uno dei primi 634 a gasolio) di  cui ero autista e con un mio compagno guardavamo il Cappellano che stava preparando un piccolo altare .Vedemmo arrivare un aereo e il mio amico disse “ oh guarda è il Postale!”  O sì bèica er Postal! Era un aereo inglese ! iniziò un bombardamento! , arrivò tutto lo stormo  e fu il finimondo! Subito “son piantame”  nelle buche scavate per camminamento poi scappai perché dissi : “Si indrinta s’ìi ruva na bomba son bele sotrà!”Qui dentro se arriva una bomba son sotterrato!

Fu terribile! Gli Hangar esplodevano e si piegarono “Er colisse ed fèr chi son robuste eh!
Arrivarono a ondate successive poiché cercavano il nostro stormo che era arrivato quel giorno all’Aeroporto Di Castel San Benito proprio sopra Tripoli. Gli Inglesi volevano distruggere tutti quegli” Apparecchi” fortuna che non erano stati messi negli Hangar!

Verso Alessandria d’Egitto …in feu èd paja!

Dopo una quindicina di giorni andammo a Misurata a preparare il nuovo aeroporto. Misurata si trova nel deserto e io con il camion facevo servizio a trasportare i materiali e viveri dal porto. Avevamo gli aerei più moderni che possedeva l’Italia, i Macchi 200 ,erano i primi con il carrello rientrabile. Da Misurata partirono per molte azioni ma “Bèica er stoire! Ran tacò a bombardéne,e tute èr not i vnivo a sopatène!” (Iniziarono a bombardarci e venivano tutte le notti a scrollarci!) Allora il campo di aviazione fu spostato ancora più nel deserto, da lì avanzammo un po’dopo Tobruk fino ai confini dell’Egitto ma fu “in feu èd paja nèh!” perché gli Inglesi ci fecero “arcuré” (Arretrare) spianando Misurata ,oltre Bengasi e fino al deserto della Sirtica .Qui si fermarono perché temevano il deserto e così noi potemmo riorganizzarci,ma arrivarono anche i Tedeschi in nostro aiuto neh! Loro avevano dei grandi carrarmati, i nostri in confronto non erano niente! Il problema grosso erano i rifornimenti,poiché le navi che provenivano dall’italia venivano affondate e allora andavamo a rifornirci di benzina e gasolio in Tunisia che ormai era occupata dai Tedeschi.

Ricordo che percorrevamo quasi mille chilometri per andare in Tunisia a caricare il carburante e ne occorreva veramente tanto tra aerei carrarmati e mezzi di trasporto!

Si riuscì nuovamente ad avanzare fino ai confini con l’Egitto ma il sogno di Mussolini di entrare ad Alessandria d’Egitto con il cavallo bianco non si realizzò. Gli Inglesi sapevano astutamente arretrare senza perdite di uomini e mezzi ,invece noi perdemmo quasi due battaglioni di bersaglieri! Se ne salvarono proprio pochi! Quella non era una guerra da combattere con la baionetta,bensì con i mezzi meccanizzati! Mussolini rimase più di un mese ad aspettare che si avesse la possibilità di entrare ad Alessandria ma “roma pà faira!” (non ce l’abbiamo fatta!)  La Propaganda Fascista aveva arruolato tanti ragazzi di 16 17 anni che furono portati in Africa allo sbaraglio. Ricordo che “favo compassion”(facevano tenerezza!), destino volle che incontrassi Gostino un giovane del mio paese che inviato al fronte contro l’Esercito inglese fu tra i pochi che rimasero sbandati facendo 100 chilometri a piedi nel deserto. Quando lo rividi quasi non lo riconoscevo più! Siccome non sapeva cosa fare lo condussi con me, lo rifocillai e gli consigliai di presentarsi a un comando,fu la sua fortuna poiché ritornò a casa con la nave Ospedaliera mentre io rimasi là quasi un anno ancora!

Un’altra bella storia!

Stavo aspettando che il serbatoio di acqua dolce che avevo portato alla Concessione Volpi si svuotasse e osservavo due Aerei S88 che avevano portato i viveri dall’Italia .Mi avvicinai ad un Colonnello che conoscevo bene(di Asti) e gli chiesi dove andassero quegli aerei,lui mi disse “vanno in Italia,vuoi andarci anche tu?) Io pensai scherzasse,ma lui ribadì.”Vai a prendere la tua roba che tra poco si parte! Mollai tutto corsi in camerata e lo dissi ad altri e salimmo su sti aerei.L’unica paura era di essere abbattuti, ma la voglia di tornare era talmente tanta che rischiai! Un Capitano mi disse “abbiamo poco combustibile ma fino in Sicilia dovremmo arrivare!

Quasi al termine del carburante ,atterrammo nel bel mezzo di un bombardamento, non diedi il tempo all’apparecchio di fermarsi che mi buttai con la borsa “ed coram” (di cuoio) e così fecero i miei compagni,scavalcammo l’alta rete dell’aeroporto e non sapendo dove eravamo salimmo su dei camion militari che andavano a Catania. Era quasi buio ed eravamo a digiuno dal mattino.Trovammo una piola che aveva solo formaggio pane e 2 fiaschi di vino,Mentre ci rifocillavamo suonò l’allarme e l’oste con la famiglia corse nel rifugio antiaereo ,lo disse anche a noi ma “ròvo già beivu an poch e soma fregasne der bombardamènt! Non siamo andati e anzi ci siamo addormentati sui tavoli! Al mattino l’oste ci trovò ancora lì e commentò: “almeno loro hanno dormito!”

Natale 1943 ra vita … a variva manc na canson

Tra un bombardamento e l’altro arrivammo a Messina e poi a Napoli e quindi rientrammo in Caserma a Cameri. Fui inviato all’aeroporto di Caselle da dove con l’8 Settembre me ne tornai a casa dopo due anni e mezzo di Africa, evitando i posti di blocco tedeschi. Vidi ancora tanti fatti atroci e posso dire che fu un periodo veramente drammatico. “tra partigian e repubblican e tedesch èt capivi pì gnènte!  Si uccideva con una facilità incredibile e ra vita a variva manc na cansòn! (e la vita non valeva nemmeno una canzone







CAPRA CARLO REDUCE DI RUSSIA

IN RUSSIA

15 GIORNI IN TRENO E 10 A PIEDI

L'ALPINO CARLO CAPRA CLASSE 1921 RACCONTA..... 

INTERVISTA A CURA DI BEPPE FENOCCHIO





Partii soldato il 10 Gennaio 1941,andai a Mondovì e fui arruolato nel Battaglione Mondovì-11°a Compagnia del 1° Reggimento alpini. Facemmo l’addestramento a Mondovì e i campi a Vinadio, l’anno successivo, il 2 Agosto 1942 ci trasferirono in Russia. Mi avevano messo nei Conducenti muli e me ne fu assegnato uno. Partimmo il due e arrivammo il 17 Agosto. La destinazione era il Caucaso,poi arrivati in Russia ci fecero camminare più di dieci giorni in strade sterrate con “in povrass e gnènte da bèive!”Con questa marcia arrivammo dove eravamo destinati: “ansìma ar Don”(sulle rive del fiume Don) . Io e il mio mulo fummo scelti per andare al Comando di Divisione.

 250 muli e 250 uomini

 Un Colonnello ci disse ,indicandoci la stalla accampamento, “stalì, fin co fioca nèn a rè ra vostra cà e non avete nulla da fare, ma preparatevi,perché quando nevicherà”r’ avrèi da voghe cheicòs!” Allora noi abbiamo scavato “dii boch”(delle fosse nella terra ) e ci siamo scavati la cucina sottoterra. Eravamo in un capannone dove c’erano 250 muli in una metà, nell’altra metà dormivamo noi soldati conducenti muli. Per dormire ci preparammo delle brande con del legno recuperato nei boschi e dei rami ,sui quali mettemmo un po’ di paglia. Quando venne il freddo, pur nel capannone”con 500 bestie “antra noi e i mù ,er fià o iéra tut giasà” .

Sedicimila miche ‘d pan (sedicimila pagnotte di pane)

Con i muli si andava a caricare “ra roba “ai magazzini e la portavamo alla Sussistenza , qui producevano  16 mila Miche ‘d pan” che poi altri muli portavano in linea. Noi , con il Comando Divisione eravamo un po’ lontani dalle prime linee, tuttavia se avessero voluto bombardarci avrebbero potuto benissimo. Ci passavano sopra con gli aerei e lanciavano dei manifestini che dicevano: Non consideriamo nemici gli Italiani, arrendetevi o sarete annientati!” Ma chi elo co và a arèndse!? “Mi comandava nèn e fova cos chì im divo i Comandant!” (Ma chi è che va ad arrendersi!? Io non comandavo, e facevo cosa mi dicevano i comandanti!).

I ran sarane lì (ci chiusero lì)

Verso il 17 Gennaio iniziò la ritirata, prima ci fecero andare sulle rive del Don, poi tornammo indietro per 4 giorni e non incontrammo nessuno , poi trovammo i Russi e ci fu un combattimento “da ra matin fin ché o so o rè andà sota! Iè  staie tanti ‘d sì mort e frì che…roma lassaje lì neh!,voti ch’ìi porteisso andoa? An tristèss tèmp da dré son rivane a col! I ran sarané  lì! (dal mattino fino a che il sole tramontò, ci furono tanti morti e feriti e li lasciammo lì poichè non sapevamo dove portarli! Nel contempo arrivarono i Russi anche da dietro e ci furono addosso, ci chiusero lì!) Il 26 gennaio, in piena ritirata, a Nikolajevka c'è una sanguinosa battaglia per aprirsi un varco nello sbarramento sovietico: muoiono dai quattro ai seimila soldati C’era tutta la Divisione e fu in quel momento che il Generale bruciò la Bandiera italiana! Radunò i comandanti ,e ai ufissiai ch’o rava antorna “ disse “ Oramai soma pèrdu, arangéve se pori!”8 ormai siamo persi, arrangiatevi se potete!)

Son campame ra cuverta an spala e son andà…..(Mi gettai una coperta in spalla e andai...

Vigin do Scairòt,fìi ed Michel do Scairòt” ò  iéra mè cusin!(era mio cugino”)lui era nella decima Compagnia e io nell’11 a  “soma sempre stò ansèm!(siamo sempre stati insieme) Ci dicemmo” non perdiamoci, tanto dobbiamo stare prigionieri e non c’è null’altro da fare!” Detto questo volle andare ancora fino dai muli , nel mentre “ ii ruvlo pà er mè Tenent (arrivò il mio Tenente) che era di San Michele Mondovì, con il Tenente Gatti di Bossolasco “ch’om fa < andoma Capra, bèica gnènte!” (andiamo Capra non aspettare niente) ,mi buttai la coperta in spalla e partii con loro,” Mè cusin è rò pi nèn vistro e ò rè pi nèn tornò a cà!” Mio cugino non l’ho più visto e non è più tornato a casa! Passammo davanti a un campo e camminammo tutta la notte “o iéra ed neut, sednò in brusavo ! Era di notte , e non ci potevano vedere, altrimenti ci avrebbero sterminati!) In quella notte le mitraglie dei Russi “son avnije rosse ,da ra forsa ch’ ì sparavo!” Sono diventate incandescenti per lo sparare. Al mattino abbiamo trovato dei Tedeschi, loro avevano ancora le armi, le slitte e tutto.

R’ispirassion a ra torna salvame!(L’ispirazione mi ha salvato!)

Gli ufficiali ci dicono di andare presso delle case per scaldarci e asciugarci un po’ poiché eravamo “gelati”! “Scapiss,ravo marciò tuta ra not antra fioca! Certo, avevamo camminato tutta la notte nella neve!”.Comunque ,sti Ufficiali ci dissero anche “ chi vuole venire bene,chi non vuole vada ,perché non sappiamo se facciamo bene o male a fermarci”.A mì, an tèss moment ié vnime n’ispirassion: fatt èt vèii nèn,son nen andò! In quel momento mi venne un’ispirazione, fatto ,non fermarti , e non andai” Non riuscirono ad arrivare dalle case perché uscirono dei carri armati Russi che iniziarono a sparare,”bonor” (fortuna) che vedendo un gruppo di Tedeschi ,deviarono il fuoco su di loro! Tuttavia vidi ancora il mio Tenente e il Tenente Gatti,ma d’iatri è rò pi nen vist gnun! (ma degli altri che andarono verso le case non vidi più nessuno!)

Soma restò antra doi!(Siamo rimasti in due!)

Quando i Russi si allontanarono per inseguire i Tedeschi, mi sollevai dalla neve e vidi che eravamo rimasti solo io e un Capitano cappellano militare, questi mi dice: “stoma sì ,mi ìi dag na Benedission a sì mort e po’ ,pì ché sté pèrsoné jè nen a fé.(stiamo qui,io impartisco una Benedizione a questi morti e poi non c’è altro da fare che farsi prendere prigionieri).

In lontananza si vedevano dei movimenti e gli dissi:”Io voglio raggiungere quel posto laggiù, se sono Russi pace, se sono Italiani mi aggrego!”Mi avviai da solo e il Cap.Cappellano rimase là. Laggiù, trovai gli Alpini della Tridentina della Julia,

j’ero Italian! Èti capì?(erano italiani! Hai capito?). Dopo sei o sette giorni ritrovai nuovamente il Cappellano che mi disse;

Ho fatto la strada che hai fatto te!

La Tridentina era ancora in forza, i suoi alpini avevano ancora le armi,quelli della Julia un po’ meno. Noi rimanemmo sbandà con la Tridentina e la Julia. Presso questo Reparto ritrovai tre miei compagni: uno di Limone uno di Frabosa , e uno di Monasterolo. Con questi trovammo un mulo con la slitta, era di un Alpino mort srà- gelato.

Coraggio ragazzi ,siamo fuori!  
Marciammo fino alla fine della ritirata ma dovemmo ancora passare attraverso una battaglia che fu durissima. Ricordo che bombardavano e c’era il Generale del Corpo d’armata che “dricc o braiova: coraggio ragazzi che siamo fuori!”.Passammo attraverso un paese di case fatte di paglia,buttarono un po’ di bombe incendiarie e queste presero fuoco,così potemmo andare oltre. Camminammo ancora due giorni e arrivammo dove c’era il treno. Io iniziavo avere i piedi congelati e mi andò bene che salìi sul treno! Laggiù ,almeno,  mangiavamo patate e rape, sul treno nessuno ci dava niente! Arrivammo in una stazione e trovai uno che aveva “na mica ed pan” gli chiesi quanto voleva ,mi disse che non voleva soldi ma vestiario. Avevo due maglioni, me ne tolsi uno e lo scambiai con la pagnotta di pane.

In Ospedale a Varsavia

Arrivammo a Varsavia dove ci portarono in Ospedale e rimanemmo 8 giorni, ci tagliarono le scarpe e ci medicarono i piedi congelati.< O rè lì chi ran rancame r’onge dij dì di pè!> Sensa anestesia!(mi tolsero le unghie delle dita dei piedi. senza anestesia neh! Per questo intervento ,ricordo che impallidii, ma per farmi riprendere un infermiere mi buttò dell’alcool an trà schina, (alcool nella schiena) Sì che son arpiame lì!(mi son ripreso subito) Da Varsavia siamo venuti in Italia, eravamo tutti senza scarpe, ci fasciarono i piedi con delle pezze di coperta militare.
UN COLONNELLO PROPRIO (Marì- Cattivo)

Mi portarono in Ospedale a Sant' Eremo in Colle in provincia di Bari .Ci rimasi finché non fui guarito , poi mi mandarono a casa in convalescenza. Dopo settanta giorni andai a Savigliano presso l’Ospedale militare per la visita di controllo. Trovai un Colonnello medico “propi marì!”proprio cattivo. Mi indicò un soldato al quale avevano tagliato tutte le dita dei piedi e mi disse: “Vedi questo? Lui è congelato “e tì trèi gnènte! (tu non hai nulla).Mi diede quattro mesi di Categoria “Menomato” per cui non potevo andare nelle compagnie operative. Contento, perché speravo di rimanere a Mondovì in magazzino, dopo 4 giorni fui spedito a Monza in una Caserma presidiaria del 5° Reggimento Alpini. Qui, tutti gli Ufficiali erano dei richiamati, e si stava bene, non si faceva nulla. Il mio Tenente era un Avvocato di Milano” in brav’om chiellà! “un bravo uomo!”. Quando si giunse all’8 Settembre , cominciammo vedere le tradotte che portavano militari in Germania e il Colonnello non voleva che lasciassimo la caserma! Noi dicevamo:”Iste, adèss da na man,i vèno sì,i n pio e in porto an Germania!”(sta’ vedere che adesso vengono i Tedeschi e ci portano in Germania!).  Chiesi al mio Tenente” ma cosa antlo fé sì?”(Cosa bisogna fare?) lui mi rispose “Fa’ mac che scapé, po scap co mì!”Era proprio uno bravo, mi disse ancora “se vieni denunciato per diserzione io ti difendo per niente!”

NUOVAMENTE IN CAMMINO

Al mattino scappai con uno di Alessandria e uno di Genova. Scappammo attraverso i campi e andammo da una famiglia in campagna e ci diedero degli abiti da borghesi. Andammo a prendere il treno a Milano e nonostante ci fosse pieno di Tedeschi non ci dissero nulla poiché non eravamo vestiti da militari! Sul treno ,i ferrovieri ci consigliarono di scendere prima di Alessandria poiché c’era il posto di blocco. Scendemmo prima e riprendemmo a camminare attraverso i campi finchè non ci trovammo a dover attraversare il fiume Tanaro. Ci indicarono una famiglia che aveva un navèt, senonché ci dissero che “Tane o rava portairo via!”,ci mostrarono un guado dove erano già passati altri e seguendo quello di Genova che sapeva nuotare, andammo sull’altra riva. Con il treno arrivai alla Stazione di Barbaresco, da lì, a piedi salIi in Como  e poi an Borine ,finalmente a casa, “Dop d’anlora son mai pì scapà da ca! Dopo allora non andai più via di casa!

La figlia di Michel der Castlé venne a chiedermi per sapere di suo marito e non voleva credere che fosse arrivato in Russia e non tornato ! Suo marito era nella Compagnia dei Complementari . Mi ricordavo che quando scendemmo dal treno gli portai lo zaino, poi io andai da un’altra parte, inoltre, quando arrivammo noi la ritirata era già iniziata da un po’! Chissà dove era finito suo marito!

Anta trovése ant coi moment là! (Bisogna trovarsi in quelle situazioni!)

Quando ci dissero “si salvi chi può” e ci eravamo già avviati in 25 o 30 , arrivò un colonnello e non voleva che andassimo,cercava quelli della Cuneense e ordinava di rimanere! Siccome però si era capito che rimanere in coda voleva dire essere presi dai Partigiani Russi,nessuno lo ascoltava. Successe che arrivarono due aerei a mitragliare e avreste dovuto vedere quel Colonnello come scappava!! E i militari che gli urlavano:”perché non stai in coda con la Cuneense?” Dovevate sentire “con chi iero arvirà!”perché ….anta prové a trovése ant coi momènt là!” (come erano arrabbiati ! perché bisogna aver provato quelle situazioni!!”

Dopo 10 giorni di ripiegamento e 200 chilometri di marce, morirono 13990 Alpini (di cui 390 ufficiali) su 20.460 Alpini (17460 + 3000 dei Battaglioni Complemento) qual era l'organico della Divisione Cuneense.


CAVALLOTTO FRANCO RODDI D'ALBA 1934

CAVALLOTTO FRANCO RODDI D'ALBA 1934

 IL DOLORE INVIVIBILE DI FRANCO

                      RACCONTI DEL 2011




       


                  





TESTIMONIANZA REGISTRATA DA Beppe  di Anna e Michelino Fenocchio
Testimone di un’uccisione

https://youtu.be/Hu1WWUA6K4Y       

 Mio padre Carlo

https://youtu.be/nkmghA4mE8M      

Antefatto del rastrellamento

https://youtu.be/uA_IOp-g-2o    

Racconto della rappresaglia 24 08 4 

  https://youtu.be/wIzOa7DFyu0                 

       “Ci sono dolori che non hanno tempo, immobili , enormi, mille volte più forti delle nostre capacità di soffrire, restano lì inesorabili come pugnali nel cuore. Una vita non basta per guarire certe ferite….”

Franco Cavallotto di Carlo


Incontrando Franco, che dal 1945 scrive della sua vita e di quella di suo padre,ho avuto la conferma che esistono persone che sanno essere forti nelle situazioni più difficili,sanno convivere con terribili ricordi,e riescono ,con grande forza d’animo a ricostruire la loro vita pensando all’educazione dei propri figli e nipoti.

Lascio a voi valutare quanto sia stato arduo portare avanti una vita segnata da fatti così tragici!


LE CARTOLINE DEL REGIO ESERCITO

Per ben tre volte ricevemmo a casa la cartolina del Regio Esercito che dichiarava” Disperso” mio padre!

La prima volta dichiarato scomparso sotto una slavina sulle montagne del fronte francese, la seconda naufragato la notte di Natale 1941,quando gli Inglesi affondarono la nave Firenze che trasportava le truppe in Albania e la terza quando fu dato per disperso nella Ritirata di Russia presso il fiume Don.

STAVO RACCOGLIENDO FIORI DI SPERONELLA
Avevo otto anni ed ero al pascolo con le mie due pecore e vedo arrivare una “camionetta” con quattro uomini in camicia nera e uno a dorso nudo. Stavo raccogliendo fiori di Speronella per farne un braccialettino da regalare alla mia sorellina. La camionetta si fermò proprio di fronte a me , scese l’uomo scamiciato e venne verso di me. Quasi volesse dirmi qualcosa mi guardò, poi ,realizzando che ero un bambino riprese a correre. Dall’automezzo partì una raffica che lo falciò! Ho ancora in mente l’urlo di quel giovane <Mamma ,mamma!”, e negli occhi lo scalciare la polvere il sangue che vidi! Atterrito scappai a casa a raccontare l’accaduto e mi rimase il tormento di non aver fatto nulla per aiutare e soccorrere quel povero,  non so se partigiano o fascista.

24 AGOSTO 1944

Don Demetrio Castelli            Agostino Morando                 Carlo Cavallotto
DI partigiani fecero un’imboscata ai Tedeschi a pochi metri da casa nostra ,nei pressi del ponte sul torrente Talloria , sotto Roddi, provocando una rappresaglia che culminò con l’uccisione di mio padre Cavallotto Carlo, di Agostino Morando e del Curato Don Castelli.

Vidi tutto salendo dalla nostra vicina, Secondina, che era intenta a “sgranaté i faseu”(Sgranare i fagioli dal bacello) sulla terrazza .Notai i partigiani che da sotto il ponte uscivano come ad aspettare qualcuno. Infatti sentii il rumore dei motori e notai il polverone nella piana, erano la moto e la camionetta tedesca che arrivavano. Quando furono qui sotto, vidi la motocicletta e l’automezzo con i soldati Tedeschi con la divisa estiva. Appena superarono la curva partì la prima raffica ,colpirono la motocicletta e il motociclista si gettò nel fosso, i militari della camionetta si gettarono nella “meira” a sinistra, ebbe inizio una sparatoria terribile. Secondina ,impaurita iniziò a chiamare Agostino ”Gusto”, il marito , che si era nascosto sotto casa. Attirò l’attenzione dei soldati tedeschi che alzarono il tiro verso di noi sulla terrazza. A quel punto  fuggimmo verso casa mia dove la mamma e la nonna avevano chiuso le “aure” (ante).La sparatoria durò una mezza ora poi cessò. Uscimmo e notammo macchie di sangue sul marciapiede e che non c’era più la bicicletta di mio padre contro il muro. Arrivò il cantoniere sig. Garelli che andò a chiamare mio padre “pajarin préss a ra macchina da bate èr gran”(pagliarino al seguito della macchina per trebbiare il grano)in Valle Talloria. Io con la mamma  le sorelline e la nonna salimmo dai Morando dove nel frattempo era giunto il Curato Don Castelli inviato dal Parroco a vedere cosa fosse successo.

Dopo poco ci raggiunse mio padre  e  fu messo al corrente, ricordo che mia madre guardando dalla finestra esclamò: “Carlo ,set’ fiisi nén sì ò sarìa méi!”(Carlo se non fossi qui sarebbe meglio!) Aveva visto i militari superstiti che si muovevano dal campo di granturco dove si erano nascosti. Quello che aveva preso la bicicletta, pur ferito, era andato a Pollenzo a chiedere rinforzi e ci accerchiarono nella casa di Agostino.Entrarono nel cortile e con una violenza inaudita chiesero chi fosse il proprietario della cascina. Agostino si fece avanti e fu schiaffeggiato, così pure fecero con Don Castelli al quale trovarono un libretto con l’elenco dei bambini del Catechismo e dissero:”Lista ribelli eh!” Poi l’ufficiale si avvicinò a mio padre e fece per schiaffeggiarlo, mio padre gli afferrò il braccio e lo scaraventò a terra. In un  attimo gli furono tutti addosso a picchiarlo e colpirlo con i fucili. Io,urlando :”lasciatelo stare!” mi aggrappai alle gambe di papà e mi colpirono col calcio del fucile al  ginocchio sinistro e svenni. Mi  trascinarono al piano superiore in una stanza con  Secondina mia mamma le sorelline e la nonna e ci rinchiusero fermando la porta con dei sacchi di grano. Quando ripresi i sensi mi trascinai dalla finestra e vidi mio padre Agostino e Don Castelli che costretti a portare i vitelli presi dalla stalla,guardavano verso di noi preoccupati. Avevano incendiato entrambe le Travà, e noi  rinchiusi  in mezzo cominciavamo sentire il fumo invadere la camera eil botto delle travi che bruciando ricadevano sul soffitto. I minuti furono interminabili e ci preparammo a morire, quando sentimmo il rumore di una moto. Era un soldato Tedesco che ,forse, preso dal rimorso  o inviato dai superiori ,venne, sfondò la porta e ci fece scendere sotto. Ci mise faccia al muro e dicendo Kaputt, caricò il mitragliatore. Io ,aggrappato alla veste di mia madre ero atterrito e osservavo impaurito quell’inferno. Le fiamme stavano bruciando tutto, i conigli che erano sulla travà squittivano e come palle di fuoco saltavano a terra senza vita. Chiudendo gli occhi pensai “benvenga un proiettile a porre fine a questi momenti terribili!”. Ad occhi chiusi attesi il colpo. Sentimmo invece il rumore della moto che si allontanava. Ci girammo e scendendo in strada in lontananza potemmo distinguere il corteo dei prigionieri e dei tedeschi con gli animali. Scorsi mio padre che alzò un braccio per salutarci e scomparve dopo la curva. Fu l’ultima volta che vidi mio padre, nella notte dopo averli torturati nella cinta di Pollenzo e fatto scavare la fossa li uccisero.

Si sperò fino all’ultimo che li avessero deportati e che fossero vivi. A Gennaio del 1945,quando i tedeschi se ne andarono da Pollenzo ,un contadino che aveva visto passare i tre prigionieri uno dei quali con la veste da prete,andò dal Parroco a riferire che sapeva dove erano stati fucilati e sotterrati.

<Il racconto di questi fatti mi costa grande fatica ma ho voluto scriverli per tramandarli ai miei figli, nipoti e a tutti quelli che tendono a dimenticare quei periodi tristi. Non ho mai voluto essere commiserato, anche perché mi sono convinto che se abbiamo il cuore ombrato dalla nebbia dell’odio e dell’ignoranza non gustiamo il fascino che sprigiona per noi la luce delle stelle. Tutte le luci che la notte accende sul nostro capo, si spengono se il nostro cuore non sente il loro richiamo.>
                                   RACCONTI DEL 2021
Franco racconta la storia della nonna Cristina 

CAVALLOTTO PIETRO GIUSEPPE 1897 DI BIGLINO MARIA CRISTINA E DEL FU CARLO FRANCESCO

 

Biglino Maria Cristina nata a Piana Biglini, la nonna di Franco Cavallotto, fu mandata da “serva” all’età di 12 anni, presso una famiglia di Roddi. All’età di 14 anni fu messa incinta dal “padrone”. A 15 anni Cristina ebbe il primo figlio. Nell’anno della nascita di Pietro Giuseppe morì la moglie di Carlo Cavallotto, da tempo malata. Il Cavallotto sposò la “serva” Cristina e da lei ebbe 6 figli, morì nel 1912 lasciando la povera ragazza di poco più di vent’anni.

Il primo figlio di Cristina andò alla guerra del 1915 /18 e cadde sul Carso il 14 Ottobre 1917. Anche il secondo figlio andò in guerra ma riuscì a tornare.

La giovane vedova con sei figli sposò in seconde nozze Cavallotto Francesco figlio unico che lavorava a Torino ed aveva i genitori che abitavano nella Piana di Roddi. Si sposò a 40 anni e morì a 52 per un infarto.

Il padre di Franco, Carlo, quando morì il padre aveva appena 12 anni. Il fratellastro maggiore che era diventato capo famiglia svolgeva un’attività di vendita concime per la campagna ma fece fallimento e dopo aver dilapidato le risorse della famiglia si mise a vendere “èr mistà” i santini davanti alle Chiese. Impiegò come vaccaro il fratellastro Carlo ( papà di Franco) in Borzone di Grinzane Cavour, un altro fratello lo mise da mezzadro, e le due sorelle le sistemò da “servente” (domestiche) una a Genova e una a Monforte.

Carlo fu spostato come servitò al “Colombè” di Diano d’Alba e qui nella vigna conobbe la figlia dei Sandrone e a 18 anni la sposò. Dal matrimonio nacque Franco. Dopo sei mesi di matrimonio Carlo fu chiamato alle armi e iniziò le peripezie ben descritte dal figlio Franco nel libro “I MIEI RICORDI”.



Carlo svolse due anni di servizio militare, poi fu richiamato e inviato alla frontiera per la “Guerra con la Francia”. Travolto da una valanga fu dato per disperso la prima volta, Franco aveva 5 anni e ricorda le urla della mamma quando il messo Comunale andò a notificarle la morte del marito.