NEIVE BORGONUOVO
Beppe di Neive Arguello
LIMPIA E VIGIN SPAVÈNT
Olimpia non era molto alta , in compenso ….era molto larga”bondosa”. Vigin Spavènt ,il consorte, anche lui non era molto alto, anzi era proprio piccino. Tutto nervi, era un terzo di madama Limpia, la Priora delle “Miliate, (Umiliate)
il braccio sinistro di Don Antonio. Il destro era Monsù Badin der Mondèrcot Priore dei Batù Bianch con Monsù Abaldo come consigliere per la morale e tipografo ufficiale del paese.
Vigin e Limpia erano uno l’opposto dell’altra.
Lui bestemmiatore convinto e lei convinta credente praticante. In ogni modo, stavano
insieme, lui credeva di essere il padrone di casa ma chi menava la danza era
Olimpia. Quando uscivano, uno dietro l’altra, lei davanti col portamento un po’
affaticato ma tuttavia fiero, Vigin ,dietro, come un bambino che si prepara per
qualche “marminéla” birichinata–dispetto. Andatura saltellante da fanciullo con
ascendente in anziano artrosico. Lo sguardo da furetto era pronto a cogliere il
saluto “richiamo” di Camilo er saramé o di Fredin il ciclista, di Berto dra
Tabachina o di Gidio dr’osto dra Farmacista. Questi li salutava cambiando passo
e slegando le mani che teneva dietro la schiena ,un po’ per bilanciare la
postura e un po’ per ubbidire a Limpia che uscendo di casa gli aveva detto ”Gaote
sé man dan sacocia che t’jè scianchi e èt fèi ra figura der fagnan” (Togli le
mani dalle tasche che le strappi e fai la figura dello scansafatiche)Tutto
sommato, Vigin sentiva i consigli” dra comandoira” anche perché aveva
verificato che qualche modo garbato lo
aiutava a vendere uova e tome, alle madamin del mercato di Porta palazzo a
Torino. Aveva altri modi per richiamare la loro attenzione: urlava “Venite madamine che mi son Vigin èr
fìi dèr frèl dèr farinèl, col che con r’aso ‘d Pinèl o vèndiva èr tome an
piassa Castèl!(Venite signore che io sono Vigin, il figlio del fratello del “farinello”
che con l’asinello di Pinello vendeva le tome in piazza Castello). Le donne
incuriosite si avvicinavano alle sue ceste e lui parlando “italiacano”
presentava le sue uova e le sue robiole.
Quando incontravano Don Antonio, lei si fermava
per attendere:< “mè om” ( mio marito”)> che mettesse mano alla “Porila” (baschetto)
in segno di deferenza , e intanto giungeva le mani e con un inchino della testa
recitava :”Sia lodato Gesù Cristo”. Vigin,con un ghigno tra il dispettoso e il
rispettoso non si capiva cosa farfugliasse ma lo si può immaginare!
Ben distinto era invece il saluto che rivolgeva
a Felicin er maslé che da buon nostalgico gli alzava la mano destra. Era il
gesto che proponeva soprattutto a chi non era della sua linea politica. Vigin
sibilava un “Vatro a pié ‘nter …..” che faceva sorridere gli avventori del Bar
di Madama Talina. Limpia in questi casi era già avanti, proiettata verso i
banchi del mercato.
MAURO VERSIO
Vigin era rimasto
bambino, di quelli che una ne pensano e dieci ne fanno. Sulla soglia dei 60-65
anni d'età ebbe un incidente con la sua Ape carrozzetta e salvò la pelle per
miracolo. Dopo una breve convalescenza , riprese la sua attività e, dopo mille
raccomandazioni,tornò a far visita ai suoi affezionati clienti di Nichelino,Testona
Moncalieri,Torino città. La merce la sistemava in due capienti
"cavagne" di vimini, diventate insufficienti rispetto alle
richieste.Da due passò a quattro, per tre -quattro giorni alla settimana.Si
dice che madama Limpia,visti i risultati, si fosse insospettita.Il suo Vigin
non gliela diceva giusta. Senza dirgli nulla lo fece pedinare da alcuni
conoscenti di Torino che,nel giro di pochi giorni,le riferirono che il suo
Vigin,non solo aveva affittato,a Nichelino, un piccolo magazzino come deposito
per la merce trasportata in treno,nelle cavagne appunto, ma anche un' Ape
carrozzetta, simile a quella demolita nell'incidente, per le consegne in centro
città. La sera stessa della scoperta Limpia si preparò ad accogliere il suo
Vigin con qualche attenzione di troppo...(Caro Beppe,mi sono permesso di
continuare il tuo racconto,a modo mio,per quanto ne sapevo, un racconto a
quattro mani...)
LILIANA RATTI
Oh...Beppe....mi hai riportata indietro di
60/62 anni....io abitavo vicino a loro e d'estate di sera, in estate, ci
trovavamo da Talin ed Gaia con tutti i vicini e che...ghignate...con
Vigin....Ci facevamo sempre raccontare che...lui andava a dormire dopo Limpia
perché quella volta che era andato prima di lei.....:.Limpia non lo ha più
trovato nel letto e alla sua richiesta "anduva seti Vigin" (dove sei
Vigin)...lui rispose " sun an sa guardaroba che mang i pum"( Sono
sull’ armadio che mangio le mele).....non avevamo bisogno di “Colorado”.....per
passare un'ora in allegria...grazie per avermi riportato indietro....a quei
tempi.e di aver risvegliato in me dolci ricordi....
PREMIATA SALUMERIA PANETTERIA REVELLO VEDOVA GIUSEPPE
VIGIO ÈR PANATÈ ‘D RÈVÈL
Effettuava brevi apparizioni all’angolo della
casa della Bottega dei Revello. Il viottolo era quello che portava al cortile
del Forno e del mattatoio di Lucio e Felicin e poi al piazzale della Chiesa di
San Giuseppe. Vigio era il panettiere
aiutante di Lucio e Maria genitori di Edda e Ugo. Bustina bianca da panatè in
testa, faodarèt(grembiule) arrotolato in vita. Era richiamato dalla campanella
del passaggio a livello, si appoggiava con la mano alla recinzione della
ferrovia e aveva il tempo di salutare il Dott.Velatta sulla Topolino grigia e
Don Toso sul Motom Delfino e mentre transitava il treno, scappava a controllare
il pane nel forno. Salutava i macchinisti della vaporiera che sembravano più
neri ancora al suo confronto, sempre infarinato. Mentre il treno spariva nella galleria lui
era già nel Pastin!
Eccolo che spunta puntuale con il discendere
delle sbarre del passaggio a livello che segnalano o l’arrivo o il passaggio di
un treno. Non è un ferroviere, è Vigio il panettiere di Lucio ‘d Revel.
Esce dal portone del cortile che dà sulla
strada della Chiesa, ma lui non va verso la Chiesa , viene verso la provinciale
e si appoggia all’angolo della casa. Rimane per pochi minuti, e poi via lesto a
dare un’occhiata al forno. Se non è ora di sfornare ritorna sul “canton”a “fè
babola”( a far capolino) a salutè Nino “ er feroviè” che sfreccia in bicicletta
nel sentiero vicino alle rotaie verso la galleria per girare lo scambio. A
volte, al tabellone delle pubblicità fissato alla barriera di cemento della
strada ferrata, c’è da leggere un manifesto da morto oppure di una festa di
paese che sta affiggendo Abaldo il tipografo, allora bisogna fare attenzione
perché nel forno c’è il pane che non aspetta e Abaldo “o rè un co ra conta
vronté”(è uno che si ferma a raccontare volentieri). Se lo vedi correre via è
perché sta per scadere il tempo di cottura. Con la sua bustina bianca da
copricapo che pubblicizza il fornitore di lievito, la camicia infarinata e i
pantaloni a quadrettini bianchi e grigi per mimetizzare la farina, sembra un
folletto dei boschi: Ora c’è ora non c’è più.
Di lavoro ne fa tanto Vigio, perché con la
scusa che ha tempo, aspettando “ra cocia dra fornà”(la cottura dell’infornata),
lo chiama Lucio per buttare le fascine sulla cascina per far fuoco, lo chiama
Maria : “ <svoidme sa gavia Vigio per piasì”> Lo chiama Ginota,”fomra der maslé”(moglie del
macellaio :<Vigio , per piasì porta sa tripa a Felicin.>
Sempre con quel passo veloce riesce a far tutto
con un sorriso senza mai perdersi in chiacchiere, o se c’è na madama o madamin
la saluta andando via scusandosi e dicendo “Ca me speta in moment”( mi aspetti
un attimo) poi a volte quando torna sono andate via , ma lui sorride, sa che
loro sono comprensive, il suo lavoro è così!
Dopo avere sfornato il pane bisogna pulire il
forno e passare lo “ pnass” . Nel
pomeriggio Vigio andava a fare un sonnellino , poi preparava un po’ di “torcèt
, panin e galucio “. I grissini li preparava il mercoledì, così eran pronti per
il giorno di mercato. Madama Marietta “ ra Fnouia” che era nata a Trezzo e a
restava( era) ra mama ‘d Lucio e Felicin, quando preparava i grissini lo andava
ad aiutare a stirarli e gli dava consigli su quanto olio doveva mettere. Quando
eran cotti ne prendeva due ancora caldi
e si metteva a sedere sulla sedia di vimini che Maria poneva davanti al
negozio. Alle donne che entravano in negozio diceva: I ghèrssin ‘d Vigio rièss
fina a mangeie mi che son sènsa dènt!”.( i grissini di vigio riesco a mangiarli
anch’io che sono sdentata)
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