Mio padre si chiamava Sulejman Kallajxhiu
MAMMA Burbuqe ROZA
NONNA HURMA BACAJ TERBAK VALONA 09 08 1927
ROZA Kallajxhiu DEL 1970 è nata a Valona ed è in Italia dal 1996.
Appassionata di storia è affezionata lettrice dei post
che vengono riportati sulla pagina Face Book
“TESTIMONI DELLA MEMORIA”.
Quando lessi il suo commento al post che ricordava le
atrocità commesse dai tedeschi in Albania, le chiesi se poteva narrarmi quanto le raccontò la nonna circa il periodo da loro vissuto nella guerra. Ci accordammo e le telefonai.
Roza visse in un villaggio della Prefettura di Valona,
TERBAK situato nella zona interna. La famiglia
composta da 6 figli di cui uno morì a un anno, visse
sottoposta alla dittatura comunista fino alla guerra civile
che portò la democrazia in Albania.
Roza ricorda che si viveva veramente male. I contatti erano
solo con le nazioni dell’area comunista e lo stato manteneva nella povertà e
nella fame la popolazione. Papà e mamma con i nonni ricevevano il pane con la
“Tessera” e un litro di latte al giorno che doveva bastare per tutta la
famiglia. Andava a scuola a Valona ed era in collegio. Alla sera lei e i suoi
compagni vedevano le luci di Brindisi e della costa Pugliese che dista 4 ore di
nave e chiedevano quali paesi fossero, ma non ricevevano indicazioni dalle
maestre e loro pensavano fossero paesi albanesi!
Lei era l’unica nipote che ascoltava interessata i ricordi della
nonna Hurma che visse il periodo della guerra caratterizzata dall’invasione italiana
e poi
Dai rastrellamenti dei tedeschi che terrorizzavano la
popolazione e deportavano i soldati italiani e gli
albanesi. Gli italiani si nascondevano e collaboravano con
i Partigiani. La nonna raccontava, ma si raccomandava
di non fare cenno di quelle storie poichè il regime
comunista non voleva si ricordasse quel periodo e vi
era rischio di subire severe punizioni. Non era
permesso allevare animali in privato e tutto era di
proprietà statale. Persino i cani non si potevano tenere.
Lei a sei sette anni trovò un cagnolino e ottenne dai
genitori di allevarlo e nutrirlo con un biberon. Un giorno il
cagnolino sfuggì alla sua protezione e uscì dal cortile, fu visto dalle guardie
che senza pietà lo uccisero. Roza soffrì tanto per la perdita di quel suo
amichetto e ancora oggi si emoziona al ricordo!
NONNA RACCONTÒ
Fino al ‘43 si visse sotto l’occupazione italiana, ma
dopo l’otto settembre ‘43 i tedeschi iniziarono a
terrorizzare la popolazione e a uccidere o deportare gli albanesi
che nascondevano soldati italiani e Partigiani.
Nonna Hurma raccontò a Roza di una terribile atrocità che
vide con i suoi occhi: nel villaggio isolato dove
viveva venivano sovente soldati italiani sbandati che
cercavano di raggiungere i porti per rientrare in Italia
ma sapendo che i tedeschi presidiavano, chiedevano
di essere nascosti. Un giorno vennero dei tedeschi e
intimarono alla nonna di Roza, che era ragazza, e a una signora
che era in gravidanza di riferire dove erano i Partigiani e i soldati italiani.
Loro dissero che
non sapevano, ma questi presero la donna incinta e
ridendo le aprirono il ventre per vedere se in grembo
avesse un maschio o una femmina!
Hurma terrorizzata riuscì a fuggire ma non dimenticò
mai quell’ atrocità!
Nonostante i tedeschi seminassero terrore e morte,
il nonno e la sua famiglia, continuavano ad aiutare i
soldati italiani e nonna le narrò che fu costruito un nascondiglio sotto il pavimento
della stalla per rifugiare alcune ragazze e proteggerle dai tedeschi. Una volta
due soldati italiani feriti chiesero protezione
e furono ricoverati nello scavo sotto la stalla.
Vennero i tedeschi e gettarono sottosopra la casa ma non
trovarono il nascondiglio.
I due soldati furono
curati da un medico che collaborava con i Partigiani. Una volta fu fermato dai
nazisti e gli fu chiesto dove andasse. Prontamente rispose che era stato
chiamato perché la vecchia nonna stava male. “Suta”, questo era il nome della
bisnonna, vedendo arrivare il medico scortato dai tedeschi, astutamente si mise
a letto e finse di stare male, e così prese per ifondelli i militari. Quando i
due soldati guarirono Nonno bis “Baci”, che era Partigiano, li fece entrare
nelle milizie e questi grati per l’aiuto prestato loro combatterono i tedeschi
fino alla fine della guerra.
Nel nascondiglio sotto la stalla furono nascosti anche
altri soldati italiani che poi si offrirono di collaborare
con i Partigiani.
Il nonno del papà di Roza, Sulaimān Kallajxhiu, fu
deportato e morì in prigionia nel ‘44. Solamente nel
1994 quando fu ripristinata la Democrazia, i suoi resti
furono rimpatriati e tumulati a Valona nel Cimitero della Libertà.
Roza completa i suoi ricordi chiedendo aiuto alla
mamma e racconta che il papà di nonna paterna SABRI SHKURTI fu deportato a Belgrado nel 1984 e di lui non si ebbero più notizie.
Roza ha ancora un ricordo suo: nel 1975/76 durante lo scavo per la costruzione di una casa più grande, il papà Sulaimān, ritrovò una piastrina e uno scheletro di un soldato italiano di cui ricorda solo il nome: Bartolomeo.
I resti furono composti in una cassetta e consegnati al
governo che provvide ad inviarli in Italia ( probabilmente
al SACRARIO MILITARE D’OLTREMARE DI BARI.
Grazie a questi racconti di Roza, ho effettuato alcuni
approfondimenti ed ho trovato questo articolo che mi è sembrato
interessante proporre per Onorare la
Memoria dei Partigiani Italiani ed Albanesi, esempio di
buoni Ideali.
Ai Partigiani Brigata “Gramsci”
Monumento di VALONA
Dialoghi Mediterranei, n. 37, maggio 2019
Il giornalista Gino Luka racconta (Albania News 7
Ottobre 2017), la propria appassionata ricerca di
conferme storiche di quanto affermato da sua nonna,
relativo all’atto di eroismo dei due giovani italiani,
Bartolomeo ed Aldo. Un giorno lesse per caso due
articoli in albanese che gettano luce sulla storia che i
vecchi raccontavano. Il primo è un articolo di Riza Lahi, ex
pilota nell’Aeronautica Militare, giornalista militare che ha lavorato presso
l’OSCE – in Tirana,
intitolato: “Due soldati italiani salvano Scutari dalla
distruzione totale”; e sempre Riza Lahi intervista anche il
Capo dei veterani LNCL di Scutari, Qemal Llazani (Movimentodi Liberazione
Nazionale).
All’inizio dell’intervista il Sig. Llazani si lamenta
poiché a Scutari mancano lapidi o monumenti che dovrebbero ricordaregli eroi
italiani e dice che non è mai tardi per onorare ilricordo dei due giovani
soldati italiani. Qemal Llazani racconta di essere stato nel campo di
concentramento di Pristina, dove aveva avuto conferma, da alcuni testimoni,
della veridicità di quanto narrato sui due italiani che, nella seconda guerra
mondiale, salvaronoScutari dalla distruzione, i cui nomi erano Bartolomeo e
Aldo. Qemal Llazani continua il suo raccontonarrando lo svolgimento dei fatti:
«Tutto è successo alle ore 2.00 circa dopo la
mezzanotte del 28 al 29 novembre 1944, quando
l’ultima squadra tedesca partì. Eh… sì … in due grandi
quartieri, al Livadhi i Sulçebegut, Perash e nel quartiere Skenderbeg,
c’erano enormi quantità di munizioni tedesche. I tedeschi avevano intenzione di
far saltare per aria i ponti di Shkodra, il Ponte di Buna e il Ponte di Bahçallek,
quasi tutto l’esercito tedesco era partito, lasciando indietro solo gli
esecutori del crimine mostruoso. Un plotone di militari in motociclette stava appiccando
il fuoco alle micce ai punti, dove si trovavano i depositi di munizione, di cui
ti ho appena raccontato. L’esplosione doveva diffondersi fino al punto di
concentrazione principale di munizioni ed esplosivi, che di conseguenza
avrebbero dovuto esplodere, per poi cancellare forse l’intera città. Le prime
esplosioni sono state sentite in tutta Scutari, ma in seguito non si è sentito
più niente. Meno male!
Grazie a due italiani che disinnescarono le mine.
Questi due genieri erano prigionieri di guerra che
Prestavano servizio nell’esercito tedesco come
specialisti, in genere nelle retrovie e senza armi. Non
erano né partigiani né rifugiati. In un momento in cui
una squadra di motociclisti ha appiccato il fuoco alle
micce, entrambi questi due bravi soldati si sono
precipitati a tagliarle. Hanno rischiato di rimanere uccisi
da qualche proiettile vagante, dalle fiamme o
dall’esplosione, ma è accaduto quello che forse essi
non sarebbero stati capaci di immaginare. Gli aguzzini
sono tornati indietro, li hanno presi con le mani nel
sacco. Uno è stato sepolto vivo a testa in giù, l’altro si
dice che sia scappato dileguandosi nella notte e
rifugiandosi rapidamente in una casa, dove si è messo in
salvo da una famiglia albanese. Per esplodere, quegli ordigni avrebbero dovuto
essere nuovamente riattivati e poi innescati, ma non c’era più tempo: gli esplosivi
e i sistemi d’innesco erano stati danneggiati.
Ci siamo interessati per conoscere i cognomi dei due
soldati italiani. Anche il Consolato Italiano di Scutari è
interessato, ma, per quanto ne so, nessuno sta
riuscendo a rintracciare la provenienza dei due giovani, se
hanno dei parenti, ecc. Saremmo onorati di poter contribuire a far conoscere la
storia di questi eroi, figli del popolo italiano e del popolo albanese».
Oltre a queste testimonianze, ne esiste anche un’altra, anche
se indiretta, quella del professor Ahmet Osia, docente di scienze agricole.
Ahmet Osja racconta di una rapsodia, cantata da un contadino di Gur i Zi,scritta
sulla scia del “Liuto delle Montagne” (Lahuta e Malcis di P. Gjergj Fishta,
poema epico famoso in Albania), e tra quei versi essenziali e passionali emergono
i nomi di entrambi gli eroi di Scutari: uno degli eroi si chiamava Bartolomeo e
l’altro Aldo, ma i cognomi non li ricorda nessuno. A questa serie di testimonianze
va aggiunta anche quella scritta a firma del Colonnello Sali Onuzi, che nelle
sue memorie di
guerra, sotto il titolo “Il 29 novembre 1944, giorno della liberazione
dell’Albania dall’occupazione nazifascista”,scrive:
«Dopo la mezzanotte del 28 novembre 1944, dopo
aver fatto saltare tutti i ponti prima di giungere in città
e dopo aver minato l’arsenale al quartiere di Perash, i
tedeschi tentarono di far saltare in aria anche altri
edifici importanti. Una parte dei cittadini aveva
abbandonato la città, altri aspettavano ansiosamente.
Il piano dei nazisti di far saltare per aria gli edifici in
parte fallisce perché due prigionieri italiani, costretti
con
altri militari a lavorare nell’installazione delle mine,
dopo la partenza dei tedeschi tagliarono i principali
collegamenti degli inneschi. Anche le unità guerrigliere hanno
tolto le mine dal resto della rete minata. Così la fabbrica del cemento, la
centrale elettrica e l’ospedale civile sono stati risparmiati.
Subito dopo un gruppo di militari tedeschi ritornò in
città, riuscirono a catturare i due italiani, e li
seppellirono vivi, uccidendo e ferendo allo stesso
tempo anche alcuni altri cittadini di Scutari. Sino ad
oggi, in assenza di documentazioni, confidiamo nella
collaborazione di tutti. Tutti noi siamo debitori, così
come i nostri genitori, perciò ci è sembrato doveroso
rendere pubblico quello che sappiamo. Lasciate che il
popolo sappia attraverso la stampa almeno una parte
della verità; sono convinto che questo percorso ci
porterà a una precisa identificazione dei gloriosi giovani italiani
ai quali va tutta la gratitudine del popolo di Scutari. Il Comune di Scutari
potrebbe e dovrebbe dimostrare la buona volontà di commemorare questi soldati
dedicando loro un monumento. Un monumento
del “soldato ignoto”, a ricordo dei caduti sui campi di
battaglia, le cui spoglie sono rimaste insepolte o
disperse. La consuetudine di onorare il ricordo di un
militare morto in guerra e di cui non è stato possibile
riconoscere l’identità è diffusa in diversi paesi del
mondo ed esiste anche in Albania “Ushtari i panjohur”.
Una tomba simbolica (cenotafio) dedicata alla memoria di
tutti i caduti e i dispersi in tutte le guerre».
Da quest’ultima affermazione del Colonnello Sali
Onuzi, ci arriva un segnale di considerazione e rispetto per
tutti i militari che hanno perso la vita per servire la propria Patria, i
propri ideali e il loro senso del dovere, che non termina con l’obbedire agli
ordini ma prevede anche il correre rischi per salvare civili inermi darappresaglie
sconsiderate.
Dalla narrazione del coraggio di Bartolomeo ed Aldo, i
cui cognomi forse non sapremo mai, è invece scaturito un
mito di abnegazione tale che i loro nomi e il loro eroico atto a difesa della
popolazione di Scutari, sono entrati a far parte delle gesta epiche, degne di
essere trasmesse oralmente sull’aria cantata del “Lahuta e Malcis”, come
raccontato da Ahmet Osja, attraverso lavoce di un semplice contadino di Gur i
Zi. Una ‘cantata che sa narrare, facendone emergere il valore attraverso versi
essenziali e passionali, le gesta di
Bartolomeo e Aldo, gli eroi italiani che, con il loro
spirito di abnegazione messo in atto contro la furia distruttiva
di una armata tedesca ormai allo sbaraglio, durante la
notte tra il 28 e il 29 novembre 1944, salvarono la bella
città di Scutari dalla distruzione.
Questa testimonianza emblematica, sembra voler
restituire un senso compiuto a tutta la storia di
interazioni, comprese quelle relazionali, affettive e
drammatiche, tra il popolo albanese e quello italiano,
avvenute sia in momenti storici passati che nei giorni
nostri.
Perché, in fondo, tra i due popoli, quello italiano e
quello albanese, c’è solo un braccio di mare da
attraversare, circa una cinquantina di miglia nautiche,
e le due coste, opposte tra loro, sono bagnate dalla
stessa acqua del Mar Adriatico più volte attraversata
da est verso occidente portando come bagaglio lingua
e cultura albanese, e da ovest verso oriente, portando
come bagaglio lingua e cultura italiana.
https://youtu.be/p7_miUxedFo?si=vBqBeuUWbZU6xvm9
Il
poema “Lahuta e Malcis” è composto da oltre 15.000 versi strutturati in trenta
canti. Il filo che lega questi canti è duplice: da un lato vengono celebrate
gli eroi e le guerre combattute dagli albanesi contro gli slavi e i turchi fine
all’indipendenza della patria (1912), dall’altro lato c’è il simbolo
mitologico, dove un ruolo cruciale ha la cosidetta Ora 6 dell'Albania. Intorno
ad essa sono raggruppate le varie Ore delle tribù, dei bajrak7 , delle case
etc., le quale interagiscono direttamente sulle vite e sul destino dei
personaggi. Dal momento che questo contributo tratterà i fenomeni della
traduzione, ci soffermeremo da subito sul titolo del poema, al centro del quale
c’è lo strumento musicale, Lahuta, tradotto rispettivamente in: die Laute
(tedesco) il liuto (italiano) e the lute (inglese).
Lahuta è uno strumento primitivo e semplice. È composto da
una cassa armonica di legno di forma ovale rivestita di pelle, che si chiama
shark ed ha una coda non molto lunga. Al posto delle corde ha un filo di crine
di cavallo, che si regola attraverso un unico bischero. Assomiglia al liuto
etiope, il quale differisce solo nella forma quadrangolare. Si suona con un
arco o una piccola bacchetta. (Palaj 2000, p.157)
L’Ora è solitamente raffigurata come un piccolo, colorato e
benigno serpente d'oro. Tuttavia, in alcune tradizioni Ora (ma anche Gjarpni i
Shtëpisë, Bolla e Shtëpisë o Ora e Shtëpisë) è una divinità domestica nella
mitologia e nel folklore albanese, associata al destino umano e alla buona
sorte (Elsie 2001, p.37). Tuttavia, in alcune tradizioni l’Ora è anche
descritta come una vecchia, figura mitologica simile a Nëna e Vatrës. Ora, nel
folklore meridionale la troviamo identificata con Zana. (Tirta 2004, p.21). 162
FLORA KOLECI bajrak7 , delle case etc., le quale interagiscono direttamente
sulle vite e sul destino dei personaggi.
Nessun commento:
Posta un commento