sabato 19 luglio 2025

RIVETTI SERGIO 1935 CASASSE DI NEIVE

 


RIVETTI SERGIO CASASSE DI DI NEIVE 1935





                    Viecca Rosa        Rivetti Oreste


RIVETTI ORESTE NATO NEL 1900 in frazione Casasse di Neive sposò VIECCA Rosa nata nel 1904 nella frazione poco distante denominata “VIECCA”. I Rivetti di Casasse ebbero origine qui, a Casasse. Erano tre fratelli e tre sorelle: ONORINO fu il più grande e combattè la guerra del 1915 18 

ORESTE 1900 evitò di poco la guerra e fu ancora inviato a pattugliare a Schio -GIOVANNI(GIOANOTO) 1903- PALMINA 1914 mancata nel 2017 a 103 anni Sposò CAVALLO( DOI E MEZA) –LUIGIA (VIGIOTA) Sposò VIGIN CAVAGNIN DI NEVIGLIE,  CATERINA sposò il fratello di Dario Arossa il Partigiano “Caccia” e furono genitori del Dottor Alvise che lavorò a Torino.

Dalla parte di mamma erano tre sorelle Rosina mamma di Sergio, Pierina del 1916 non si sposò e rimase fin da ragazzina come (Serventa)donna di servizio dai Conti De Maria a Neive, Pasqualina si sposò a Cavallermaggiore, e ancora vi erano Mario che andò in Russia e tornò con i postumi del congelamento ai piedi (fu impiegato a Torino alla Michelin) e Vigioto (padre di Carla )  che rimase ai Viecca.

A lavorare la campagna rimase solo Oreste con il figlio Sergio, mentre i due fratelli andarono a Torino . La casa paterna di GIUSEPPE( Pinolin) fu divisa in tre parti ai tre fratelli alla morte del padre e la parte ereditata dalla figlia CLARA di ONORINO detto “NORATO” fu venduta a Silvia (figlia di Sergio) cinque anni fa, l’altra parte di casa dello zio Giovanni fu rilevata da Sergio quando ritornò da Torino con il pensionamento.

Originariamente vi era una cucina e un cucinino con due camere sopra, la cucina era collegata tramite una porta alla stalla con fienile sopra e letamaia davanti. La costruzione della Cascina di fronte fu il terzo blocco che andò in eredità a Gioanoto e poi rilevato da Sergio. Sergio ricorda che dove siamo noi ora vi era la stalla con cucina adiacente affinchè fosse riscaldata, dalla cucina si accedeva alla scala in legno che conduceva alle due camere da letto. A piano terreno vi era  “ra sara” la sala e “èr grané” Il granaio.

Nel 1957 all’esistente portico, il padre di Sergio Oreste spese un milione e fece costruire la stalla per suo uso.

"RA RAZON DRA CORT"

Ernestina (suocera di Michlin ), la vicina, aveva il Diritto di Passaggio e di fermata nel cortile e in un primo tempo concesse a Oreste di realizzare un pozzo, poi quando lo ebbe realizzato glielo fece chiudere. Il padre raccontava “roma picà per doi invern e peu roma doviro saré!” (lavorammo con il piccone per due inverni poi ce lo fece chiudere) Questa era proprio un po’ “barivela” bizzarra. Era vedova e andò a La Spezia, si mise con uno (forse un prete) che la consigliò!

IL BOMBARDAMENTO A “RA STASSION” NEIVE BORGO NUOVO

NEL 1945 IL VENERDì SANTO eravamo andati alle Funzioni in Chiesa, quando sentimmo gli aerei fuggimmo a nasconderci nella galleria ferroviaria. Mio padre sentì il bombardamento e si precipitò per venire a cercarci. Spaventatissimo ci trovò che uscivamo dalla galleria e vedemmo i morti che erano rimasti colpiti perché avevano tentato di raggiungere casa propria, come la mamma di Romano Levi, e Pietro Toso e gli altri che si erano trovati allo scoperto.



Nella foto prima della divisione si vede dietro il granaio con “re frà” l’inferriata e tutta la famiglia Rivetti.

Nonna Rosa, Sergio, Franco (il marito e la figlia Nedelia di Gioanoto(accoccolato) con la moglie della Valle Talloria), Serafino Arossa (fratello di Dario “Caccia”) con il figlio Dott. Alvise e la figlia.

Grazie Sergio di Casasse di Neive,  Giuseppina di Rodello che con Silvia mi avete permesso di conoscere storie di personaggi delle vostre famiglie e così di ricordarli e ONORARE LA LORO MEMORIA!

 PINOLIN ORESTE DEL 1900 ROSIN di Viecca DEL 1904, NORATO,GIOANOTO 1903, PALMINA 1914 2017, VIGIOTA E VIGIN ‘D CAVAGNIN, CATERINA, Pierina 1916, Pasqualina, Mario Reduce di Russia, SERAFINO FRATELLO DI “CACCIA”, IL DOTTOR ALVISE AROSSA , ERNESTINA, I VICINI Bindello genitori di Serafino "Caduto" in U.r.s.s. e Silio Marasso.Qui da noi si fece la fame! Avevamo due pecore e una capra e poca terra. Mangiavamo gran polenta e toma.Per evitare che la Polizia Annonaria che era al seguito della “machina da bate èr gran” la trebbiatrice e requisiva gran parte del grano, se ne nascondeva un po’ sulla cascina e lo si batteva con una cavaglia per poi portarlo a macinare al Mulino Rosso lì sul Tinella. Terminata la quinta fui “gistà” sistemato da vaché a Cavallermaggiore. Rimasi due anni poi andai da servitò a Castagnole poi un anno qui vicino da “Minin”. Con i primi soldi che portai a casa da Castagnole mio padre acquistò un vitello poi una mucca e pian piano arrivammo ad avere quattro o cinque animali. Io e mio padre si continuò ad andare da manovali svolgendo i lavori che trovavamo. Lavoravamo dalle cinque di mattina alla sera col buio per poco o niente. Mia sorella terminate le scuole andò da “serventa” presso la farmacista Tota Pregno di Costigliole e vi rimase finchè si sposò.

La famiglia di mio padre fu l’unica che rimase in campagna. Le sue sorelle quando furono in età da marito andarono ad abitare alla “stassion” di Neive (Borgonuovo) perché dovevano trovare un “buon partito. E fu così!

Voglio raccontarti la storia di mio padre e della sua famiglia.  Come già detto lui fu l' unico che rimase in campagna con il nonno Pinolin. I suoi fratelli e sorelle andarono tutti, chi a Torino chi spose con artigiani o commercianti.  Mio padre e mia madre misero su famiglia  qui con il padre che comandava e non li considerava. Mia madre e mia nonna non si sedettero mai a tavola. Pinolin  quando entrava in cucina buttava il cappello e loro dovevano essere pronte a prenderlo e a servire il padrone! Pinolin aveva un occhio di riguardo per i figli che avevano avuto il coraggio di andare a vivere nella città. Questi arrivavano ben vestiti, con la Vespa e poi con l'automobile e l'omaggio di un etto di caffè e facevano si che aumentasse l'apprezzamento per loro. A mia sorella dava un pezzo di caramella e alle cuginette di Torino ne offriva due o tre! Quando venne il tempo della divisione dei beni  le sorelle pretesero la "legittima" da mio padre mentre gli altri fratelli avevano tranquillamente avuto la loro parte! Mio padre aveva ereditato la terra che aveva sempre lavorato e non aveva soldi per liquidare le quattro Mila lire alle sorelle e così dovette indebitarsi! Io che avevo assistito a tutte queste ingiustizie dopo anni di fatiche da servitò e manovale di campagna, quando tornai dal Servizio militare non volli più sentire parlare di campagna e me ne andai a cercare lavoro a Torino. Partivo al mattino e tornavo alla sera. Un giorno girando per via Fabrizi incontrai la zia Fina che insistette affinchè rimanessi a dormire da loro. Rimasi stupito poiché avevano una camera sola a pianterreno dove svolgeva la sua attività di “maglierista- majera” e dietro un ripostiglio dove vi era una poltrona sulla quale dormiva zio Onorato e un lettone dove dormivano lei il marito e le bimbe e fece dormire anche me! Tornai a casa e considerai che la nostra famiglia pur non avendo grandi risorse viveva in modo molto più decoroso.  

Sergio con i nipotini


 








martedì 15 luglio 2025

FERRARIS GIUSEPPE 1943 GORZEGNO

 



https://youtu.be/Z6C1FlZRunA          

 RICORDO Della Lèssija alla TAMPA

< Ricordo molto bene mia mamma Luigina che faceva “lèssija” con il mastello di legno. Metteva la biancheria poi ricopriva con un telo e sopra la cenere, quindi passava e ripassava tante volte l’acqua bollente. Poi portava la biancheria al ruscello o alla tampa per risciacquarla. D’inverno era “dura” poiché la tampa ghiacciava e allora, dove c’era la pietra che serviva da lavatoio si rompeva il ghiaccio e si sciacquava lenzuola ed altro. Ci si portava un secchiello d’acqua calda perché altrimenti ghiacciavano mani e robe! 


Beppe Ferraris nacque a Gorzegno  nel 1943 da Luigina 1912 nata a Pezzolo Valle Uzzone da Benedetto e Ludovina

 Nel 1917, nonno Benedetto morì a causa del “ mar èd Costa” (una brutta polmonite). Lasciò la moglie con Enrico del 1912, Luigina del 1914 e Michele che nacque dopo alcuni mesi nel 1917.

Nonna Ludovina rimase a lavorare quell’ettaro e mezzo di terra attorno ad un Ciabot!

Nonna Ludovina era nata a Vesime e raccontava che da ragazzina andava a piedi fino a Monesiglio per lavorare in Filanda. Rimaneva una quarantina di giorni lontana da casa e lavorava in un ambiente malsano e puzzolente.

 

MAMMA LUIGINA

Nel 1920, ad appena 6 anni, fu mandata in una famiglia di Bergolo. Il suo lavoro  consisteva nel pascolare capre “andava a scò”.

Naturalmente non ebbe la possibilità di andare a scuola e trascorse la sua vita da “serventa” fino a 23 anni quando si sposò. Andò presso tante famiglie, ricordava quella di Carretto di Cairo Montenotte, dove rimase per sette lunghi anni. A vent’anni andò a Ventimiglia a svolgere un lavoro di Commessa in un negozio di alimentari. Qui imparò un po’ di lingua francese. Prima di sposarsi tornò a Cortemilia come commessa e ritrovò, Angelo quel bambino conosciuto  quando fu da  serventa a sei anni!.

Si sposarono nel 1937 e senza  festa né viaggio di nozze andarono a vivere in una cascinotta in frazione Doglio di Cortemilia. Rimasero solo un anno come mezzadri e poi con le poche masserizie( un letto, un armadio,un baule, una stufa, un tavolo e qualche sedia) che possedevano, si trasferirono  a Olmo Gentile.

 


                               Foto Archivio Primo Culasso

 

Rimasero un anno e nel 1939, altro San Martino a Torre Bormida. Nel 1940 si trasferirono a Gorzegno, Cascina Robertiero dei Troia.e vi rimasero tre anni.

I BAMBINI D'R'OSPIDAL.

Mamma e papà agli inizi del loro matrimonio effettuarono dei tentativi per avere in affidamento un bambino "abbandonato". Era anche un modo per avere un contributo economico che aiutava nel bilancio famigliare, ma non ebbero fortuna. I primi due bambini risultarono  ingestibili e furono riportati all'orfanotrofio. Il terzo bambino del 1936 Raimondo,si inserì bene con mamma e papà, era un bel ricciolino biondo che si fece volere bene. Quando ormai i miei genitori, lo consideravano famigliare, venne la madre per riprenderlo con sè! Mamma la rima volta non lo lasciò andare, poi la signora tornò con tanto di documenti e accompagnata dai carabinieri e i genitori affidatari dovettero a malincuore lasciarlo partire. Si rimase in contatto e Raimondo e la madre tornarono alcune volte a trovarci. Per mia mamma Luigina furono esperienze che la segnarono e meno male che il Buon Dio le concesse di avere anche dei figli suoi.>


PAPÀ ANGELO D'R'OSPIDAL            Mio papà Angelo, nato a Torino a nove mesi fu portato a Bergolo e allattato da Ida Viglione insieme ad una bimba. A sei sette anni iniziò a fare il servitò e riuscí a malapena ad imparare a leggere e a scrivere.   Mantenne il Cognome della mamma ma nonostante mia madre gli avesse detto molte volte di fare ricerche per sapere chi fosse sua madre, lui non volle mai tentare.


                                                 

Papà PRESO DI MIRA DAI NAZISTI.

<Quando nel 1943 vennero i nazisti e repubblichini a Gorzegno, mio padre era al lavoro in un campo. Una pattuglia gli intimò di alzare le mani e di andare verso di loro. Il padre, temendo di essere deportato si mise a correre a zig zag e a saltare da una “piovà” all'altra. Quelli iniziarono a sparargli ma riuscì a nascondersi in un crotin e vi rimase tutta la notte. I vicini che avevano assistito alla scena raccontarono che avevano temuto fosse stato colpito. Tornò al mattino dopo e disse che mentre correva sotto i proiettili si mise a pregare, anche se non era religioso.>

 

1943 NASCITA DI GIUSEPPE

Mamma Luigina era molto religiosa e vedendo che aveva difficoltà ad avere figli espresse un “voto”: se fosse stata esaudita nelle Preghiere avrebbe messo nome Giuseppe al primogenito o Maria se fosse stata femmina.

Nacque Giuseppe che dopo pochi mesi rivelò essere affetto da rachitismo “èr pé drà crava”. Papà Angelo si recò da un Settimino di Castelletto Uzzone che gli fornì una cura. Consisteva nel mettere per mezz’ora al giorno il bimbo nudo, supino sull’erba del prato davanti a casa e nell’appoggiare sull’addome una pietra piatta non molto pesante! Il rimedio funzionò e Giuseppe guarì perfettamente crescendo regolarmente.

 

Nel 1943 la famigliola si trasferì nella cascina ”Cà ‘d Nato” di Gorzegno..

Nel 1944 altro trasferimento nel territorio di Gorzegno in una cascina ad un chilometro di distanza “a cà ‘d Pignata”

Qui la mamma si ammalò gravemente tanto che le fu somministrata l’Estrema Unzione, ma grazie al Settimino di Cessole fu curata con erbe e guarì miracolosamente. Nel 1946 nacque la bimba Luciana e nel 1948 Luciano.

LA LITE “ A Cà ‘D PIGNATA”

La cascina era di proprietà dei Devalle che erano emigrati in America e non avevano più dato notizie. Era disabitata, ma la gestiva Erminio amico di papà Angelo. Insistette molto affinchè i Ferraris vi andassero ad abitarci ed Angelo e Luigina accettarono. Dopo pochi mesi Erminio, in malo modo ordinò che se ne andassero. Il padre non si fece mettere paura e disse che non si sarebbe mosso. Iniziò una lite con intervento dei Carabinieri che non portò a nulla se non ad aumentare le prese di posizione dei paesani. Persino a scuola, Giuseppe fu preso di mira dai compagni  che lo insultavano e riportando le parole ascoltate in famiglia lo maltrattavano chiamandolo “Ladro di abitazione”. Il padre non mollò e pur convocato dai Carabinieri che dovevano agire in base alle denunce sporte da Erminio, non si fece impaurire. Si portava in bicicletta il piccolo Giuseppe, per intenerire i Carabinieri, ma si manteneva sulle sue posizioni. Quando i proprietari Devalle si fossero fatti vivi lui avrebbe chiarito, ma finchè avesse potuto lavorare quei terreni sarebbe rimasto. Fu così che la famiglia Ferraris rimase nella cascina fino al 1989.


Giuseppe :< Dopo l'attività dell’ allevamento dei bigat, in famiglia si decise di tenere lo "strop" gregge . Per svolgere tale attività occorreva avere il caprone e ricordo che solitamente lo si acquistava alle fiere, o di Cravanzana o Castino. Nel ‘56 tardammo ad acquistarlo e dovemmo recarci   all'ultima Fiera dell'anno a Mombaldone. Partimmo a piedi, mio padre ed io che avevo una dozzina d'anni. Riuscimmo ancora a trovare un bel “Buch” che pagammo ben 15.000 lire a “Ciut” di Lequio Berria. Ripartimmo per fare ritorno e ci fermammo la notte da conoscenti di Olmo Gentile. Al mattino riprendemmo la strada per Gorzegno ed arrivammo sfiniti io e il caprone, invece il padre di 43 anni era ancora pimpante. Il costo del Caprone era molto alto, a occorre considerare che per per ogni capretta ingravidata si ricavavano ben due mila lire, inoltre con il latte della doppia mungitura mamma Luigina produceva delle ottime tome che si portavano a vendere ai mercati di Niella Belbo il Giovedì e di Monesiglio il Martedì. Il lavoro era tanto la puzza che si assorbiva a causa del Caprone era notevole, tanto da essere tenuti a debita distanza quando si andava i paese, ma il lavoro rendeva e bisognava pur fare qualcosa!

MAMMA LUIGINA 

Giuseppe: <A quarantasei anni Mamma, ebbe una ricaduta della malattia di insufficienza renale. Fu ricoverata ad Alba e mai smise di preoccuparsi per la sua famiglia. Conobbe una signora di La Morra e le raccontó delle difficoltà che avevamo a Gorzegno, dell'intenzione di andarsene dall'Alta Langa e si scambiarono gli indirizzi su di un foglietto. Mamma fu dimessa, ma dopo pochi mesi si aggravò e raccomandando il figlio più piccolo alla figlia Luciana lasciò questo mondo. Nel 1961 la signora Pasqualina di La Morra mandò a cercare i famigliari di Luigina conosciuta in Ospedale per affidare loro una Cascina ai Plicotti dell'Annunziata. Fu una svolta della nostra vita per la quale ringraziamo sempre mamma. Inizialmente ci trasferiamo io e Luciano rispettivamente di diciotto e tredici anni, il padre ci seguí in seguito. Io non ebbi tentennamenti a lasciare quella casa senza luce e senza acqua, occorreva procurarsela a una fonte a duecentro metri.

 



Inoltre era un caseggiato cadente poiché a causa della prolungata lite e delle poche risorse non avevamo mai effettuato riparazioni. Pertanto, pur con difficoltà ai Plicotti  dell’Annunziata iniziammo una nuova vita .




lunedì 14 luglio 2025

SIBONA GIUSEPPE 1935

 




https://youtu.be/WfKiQLSccpQ 

 

https://youtu.be/2NlgCu_LBVI      

 

https://youtu.be/2NlgCu_LBVI

 




 

Sibona Giuseppe Nato a Monforte nel 1935

La mamma Caffa Maria del 1914 e Luigi “Vigin” del 1906 si sposarono e rimasero per un po’ di tempo alla Cascina Paterna nominata ”Cellano” ai Pozzetti di Lequio Berria con il nonno Domenico “Mini” del 1881 e i fratelli e sorelle più giovani ancora da sposare.

Il fratello Mario ricorda: <la mamma raccontava che mise tutte le sue cose dentro un “faudarass” di tela per raccogliere l’erba e lasciarono il suocero e i cognati.>

Giuseppe racconta:

Mio padre  e mia madre decisero di andare via per cercare un’altra casa dove abitare e lavorare. Dapprima si sistemarono alla cascina da nonni materni( Caffa Giuseppe e Cane Giuseppina1875 1945) in località “Capela” in Borine di Lequio Berria e il papà aiutava gli zii nei lavori. Intanto cercò una sistemazione da mezzadro. La trovò alla Località ”Torsela” Torricella di Monforte. Si trattava di un Ciabòt (costruzione con due camere, una sotto e una sopra e la scala da fuori) di proprietà di “Tiradoss” un tale che si trovava in prigione perchè condannato a due anni per aver rubato due galline. I figli dissero che potevano rimanere finchè il padre non avesse scontato la pena. Io nacqui proprio in quel Ciabòt. Intanto mio padre trovò una casa di abitazione di proprietà del Dottor Gaetini di Monforte, a quei tempi molto ricco e conosciuto poiché curava i malati recandosi da loro con il calesse e il cavallo. In questa sistemazione rimanemmo da mezzadri fino al 1941 ed io intanto frequentai la prima classe. A San Martino del 1941 ci trasferimmo in una cascina all’interno del muro di cinta del “Castello della Volta” di Barolo. Qui rimanemmo fino al 1948, anno in cui nacque mio fratello Mario. Intanto erano nati una sorella nel 1937 e Giovanni nel 1941.

LA GUERRA AL CASTELLO DELLA VOLTA

Con la guerra tutto divenne più difficile, e soprattutto, con l’arrivo dei nazifascisti che effettuavano continui rastrellamenti alla ricerca di Partigiani e uomini renitenti alla leva, la vita per mio padre e la famiglia divenne complicata. Papà, quando era avvisato che arrivavano fuggiva e nessuno sapeva dove andasse a nascondersi. Essendo del 1906 era a rischio di arresto poiché non aveva risposto alla chiamata alle armi. Riuscì sempre a fuggire prima dell’arrivo dei soldati, ma nel ’44 giunsero all’improvviso e lo trovarono intento al lavoro. Vollero vedere i documenti siccome non potè giustificare il perché non fosse “a combattere per la patria” lo presero e lo misero al muro della cinta del Castello  per fucilarlo. Io, che avevo nove anni mi misi a urlare come impazzito:< non uccidete mio papà come facciamo senza di lui?> Le mie urla colpirono un ufficiale che intimò al plotone di esecuzione già pronto a sparare di fermarsi. Disse che lo avrebbero deportato in Germania e poi avrebbero deciso cosa fare. Caricarono il papà sul camion e ci presero un vitello ed un maiale. Si recarono alla loro sede a Barolo presso l’albergo di Brezza e mentre scaricavano gli animali gli intimarono di rimanere fermo contro un muro altrimenti”Kaputt”. Mio padre rimase un po’ fermo, poi vedendo che erano impegnati e in difficoltà a scaricare il maiale, valutò di fuggire imboccando il viottolo che portava al lavatoio in località Pian drà Fava e così fece. Non fu inseguito né preso di mira e così risalì lo “rian” che c’è tra Novello e Barolo e se ne tornò a casa al Castello della Volta. Lo vedemmo arrivare e fu un sollievo per la mamma per me e mia sorellina, il fratellino Giovanni aveva appena sei mesi.

 

PAPÀ CI PORTÒ VIA DA CASA

Alla mamma disperata e in lacrime per quanto era successo, il papà disse di prendere due coperte e lui avrebbe preso una “Faussetta” per tagliare  qualche palo e dei rami per preparare una capanna ed un giaciglio in un profondo canalone dove saremmo stati al sicuro.

Prese anche un rastrello per ammucchiare delle foglie e preparare un letto rudimentale. Dormimmo per due mesi in quel ricovero nascosto. Di giorno la mamma saliva da sola alla casa e prelevava le uova. Le cucinava su di un fuoco di rami secchi e mangiavamo uova e il pane che il papà recuperava dai suoi amici di cascine isolate di Vergne. Con l’arrivo del freddo fummo ospitati nella stalla di una cascina di un amico di Vergne. Nella Primavera del ’45 tornammo ad abitare alla casa del Castello, ma il padre continuò a stare molto guardingo poiché arrivarono ancora a spaventarci.

Nel periodo della guerra io frequentai le scuole a Barolo, per modo di dire, perché, una volta si arrivava a scuola e il Maestro Cucco ci rimandava a casa per l’arrivo dei tedeschi, un altro giorno il papà aveva bisogno che lo aiutassi davanti ai buoi per arare, o per andare a fare legna o andare al pascolo. Quindi furono più i giorni che non frequentai di quelli che fui a scuola. Diedi l’esame di quinta ma non so come fecero a promuovermi!

A BAROLO FINO AL 1948

Rimanemmo al Castello della Volta fino al 1948 e nacque mio fratello Mario. Intanto mio padre era rimasto solo a Lequio Berria e non ce la faceva più a mandare avanti la Cascina del Possèt e ci trasferimmo con la mia famiglia. Con il Geometra Gallina di Mango fu stipulato un accordo per tutelare mio padre e i fratelli e le sorelle. Si stabilì che mio padre avrebbe versato al nonno Cinque mila Lire al mese finchè fosse stato in vita, poi alla sua morte avrebbe versato “la legittima “ ai fratelli e sorelle.

Mio padre accettò, ma solo dopo si rese conto che  a recuperare quei soldi con il lavoro della campagna e della cascina era impossibile. Allora decidemmo di andare io e lui da manovali, ma ancora non bastava. Decise di sistemarmi da Servitò a Monticello d’Alba. L’accordo fu che mi avrebbe retribuito con Lire 190.000 all’anno e che ogni settimana, quando il sabato venivo a casa per il giorno di riposo mi avrebbe dato dieci mila lire, io li avrei portati al nonno che nel frattempo si era trasferito ad Alba in via Ospedale. Ormai anziano, si sistemò in due camere e arrotondava la misera pensione da Cav. Di Vittorio Veneto svolgendo lavori umili come “stalliere” (manovale nelle stalle) e “busé” (raccoglitore di sterco di cavallo).

RICORDI DEI NONNI paterni


 Alla cascina del Possèt di Lequio Berria vivevano Nonno Domenico detto Mini 1881 e Nonna Castagnotti Giuseppina. Avevano già 6 figli quando nonno Mini fu richiamato per la Guerra Europea del 1915/18. Nel 1917 nonna Giuseppina si ammalò di “Spagnola” e morì. Rimasero da soli 6 orfanelli: Giovanni detto Giovanin era il più grande ed era del 1905, Luigi Vigin, nostro papà era del 1906, poi vi era Celestina, Paolin, ……..,  e la più piccola del 1915 Felicina.

Papà mi raccontava sempre che loro più grandi vennero “adottati” dai vicini e loro in cambio aiutavano nell’andare al pascolo o andando “’dvan ai beu” e in altri lavori.

La più piccola Felicina fu presa dalla zia Suora che era a Lequio Berria e la allevò finchè poi andò in Convento a Savigliano e divenne Suor Sofia, andò Avanti nel 2000.

Papà Luigi si diede da fare e anche se aveva solo 11 anni si mise a produrre “tajarin e lasagne” con le uova delle sue galline e la farina che recuperava dai vicini. Aveva imparato dalla mamma Pina a stendere la sfoglia ad arrotolarla e tagliare lasagne e tajarin così sfamava fratelli e sorelle.   

Lo zio Giovanin quando ebbe 13 o 14 anni se ne andò di casa e raggiunse Genova e svolse il lavoro di “Foricc” (manovale dei muratori) non se ne seppe più nulla finchè fu comunicato al nonno che era morto in un incidente mentre in bicicletta era in città a Genova.

Ai Possèt venne una ragazza incinta, era la moglie di zio Giovanni. Fu accolta in famiglia e a Settembre 1935 partorì il bimbo a cui fu dato nome Giovanni come il papà

Zio Paolo ”Paolin” sposò la vedova di suo fratello e fece da padre al nipote. Ebbero altri cinque figli e forse è ancora vivente Luigi.

RICORDI DEI NONNI MATERNI

I nonni materni della località Capela di Borine di Lequio Berria  erano Caffa Giuseppe di San Donato di Mango e Cane Giuseppina 1875 + 1945

Ebbero 8 figli e ne adottarono 3 dr’Ospidal. Furono tre femmine. Adottavano solo le bimbe forse perché poi si sposavano e non potevano vantare diritti sull’eredità e perché fino a dodici anni ricevevano un contributo dallo stato.

I figli furono

Tina, la più grande, del 1896. Andò sposa a soli sedici anni a Castino alla Cascina”Can”.

Stevo Giovanni del 1898 che fu Mutilato di guerra

Mario del 1909

Pietrin del 1912 Vigia del 1914 si sposò al Vilè di Borgomale

Una ragazza “ventirina” sposò un cugino di papà Luigi.

La più giovane fu nostra mamma Giuseppina del 1914

Ricordo che il nonno Gepin si sedeva vicino alla stufa e cuoceva i Patatin nella cenere. Li spellava, mi prendeva sulle ginocchia e insieme mangiavamo quei teneri frutti della terra. Io felice, andavo da mamma e le dicevo: “o rè propi brao o nono ch’om dà i patatin da mangé!” Era già anziano e chissà quante difficoltà aveva già passato, però sapeva esprimere tanto affetto per i bambini.

La nonna Pina la ricordo alta e “ardija” (attiva) fino al termine dei suoi giorni.

AI POZZETTI SI VISSE IN GRAVE DIFFICOLTÀ

Mia mamma mi mandava dalla  vicina “Gina” a chiedere du uova in prestito per fare la dozzina e poi mi mandava alla bottega a prendere due etti di zucchero e due etti di petrolio da mettere nel “lume” ed avere un po’ di luce alla sera. Di questo zucchero e petrolio se ne aveva per due giorni e poi occorreva sperare che le galline producessero sufficienti uova da restituire a Gina poter nuovamente andare a scambiare alla bottega, altrimenti si “faceva cinghia” e si stava al buio

 

 

IL MIO LAVORO DA SÈRVITÒ

Come ho già detto verso i 15 anni, siccome il papà aveva bisogno dei soldi per riscattare la cascina dal nonno e dai fratelli, andai a servizio prima a Monticello d’Alba dove faticai tanto e poi a Roddino per tre anni. Lavoravo in campagna ed accudivo gli animali della stalla. A Roddino avevano tanti campi e commerciavano in tronchi di albero. Avevano anche due cavalli ai quali ero addetto per la loro pulizia personale e della stalla. Mi affezionai tantissimo a questi animali e quando me ne andai mi dispiacque lasciarli.

Al mattino davo loro fieno e biada e li strigliavo, poi li utilizzavo per arare o per qualsiasi lavoro. Erano forti e docili.

In vigna davo l’acqua di verderame con le gomme lunghe e c’era un uomo che pompava. Era faticoso ma sempre meglio che darla con la macchina in spalla come faceva mio padre.

Andai anche un anno in Vaccheria dove faceva molto caldo, ma mio padre sceglieva i posti dove pagavano di più! Andai militare e quando tornai dal Servizio militare andai ancora a servizio a Sinio.

VENNE A CERCARMI A CASA.

Io e mio padre stavamo “lavorando” (arando) in un campo e Venuto ‘d Sini venne a chiedermi se volevo andare al suo servizio. Gli dissi che se mi pagava bene sarei andato, diversamente non intendevo più svolgere quel lavoro sotto padrone. Mi chiese quanto volevo ed io e il padre, siccome era mezzogiorno lo invitammo a pranzare con noi. Era uno alla buona e si accontentò del poco che avevamo, poi parlammo di affari. Gli dissi che avrei voluto 500.000 mila Lire all’anno. Lui non battè ciglio e mi disse: < bèn, mi tii dag ma senssa “mance”!> Io ribattei orgoglioso che dovunque ero stato a servizio non avevo mai chiesto mance e chi aveva ritenuto me le meritassi me le aveva date. Si fece il contratto e devo dire che fu il padrone che mi diede più mance, ogni Domenica mi dava soldi perché soddisfatto del lavoro che avevo svolto. Da Nuto ero tuttofare, lavoravo in campagna e anche nel mulino. I vicini si chiedevano come facessi ad andare d’accordo con Nuto che era buono ma anche mezzo pazzo e lunatico.

Una volta arrivò un vecchietto con una decina di chili di grano da macinare e siccome si stava andando via con il camioncino, lo trattò malissimo e iniziò a sbattere i “parott” e èr garossette del mulino, io intervenni e lo feci ragionare. Gli dissi: <Venuto non fare così perché offendi me!> Quelle parole furono sufficienti a farlo calmare e dopo un po’ mi disse che avevo ragione.

In un’altra occasione eravamo a zappare nelle vigne e venne anche un suo zio che aveva settantotto anni. Venuto venne a vederci e iniziò a deridere lo zio dicendogli che era lento. Anche in questa occasione gli dissi di pensare a quando noi fossimo stati della età dello zio e così chiese scusa allo zio Mario e mi disse che avevo ragione e riconobbe di aver sbagliato.

A FÈ ÈR “MORÀN-È”( MORENE)

In un’altra occasione, mentre eravamo intenti a realizzare le “Morene” per produrre il Tross”(terriccio come concime naturale), Venuto prese una vecchia mucca alla quale attaccò l’aratro, ma questa non ce la faceva! Lui si infuriò e si rivolse al filare di fagioli e fece per prendere uno dei pali con la chiara intenzione di battere la mucca “per fera andé!” per farla muovere, io mi buttai davanti  e gli dissi< se picchi la bestia io me ne vado e non mi vedi mai più!> Gettò via il palo e mi chiese:< ..ma cosa fomni?> cosa facciamo? Io con fermezza ribattei: <Prendiamo un’altra mucca nella stalla e le mettiamo in coppia!> Sorrise e così facemmo. Era un personaggio singolare che pur avendo 15 anni più di me, aveva bisogno di qualcuno che lo facesse ragionare.

IL MULINO DI BENVENUTO

Il mulino di Benvenuto era ad acqua ed elettrico, quando vi era l’acqua si sollevava il “Serraglio” e facendo girare il “Rodon” si macinava, se non vi era acqua si collegava la corrente elettrica. Prima che arrivasse la corrente elettrica quasi tutti i mulini macinavano soltanto con l’energia dell’acqua e quindi quando c’era. Ricordo il mulino sotto Cerretto Langhe, quello di Arguello, che furono rovinati dalle alluvioni del 1948, quello dello “Riao” sotto Roddino al quale andavo quando ero da “servitò a Roddino, quello di Lequio Berria da Lipo, quello di Tre Cunei, quello di Romolo a Campetto e tanti altri sul Belbo.

TERMINAI DA SERVITÒ DA BENVENUTO

Venuto era un uomo strano ma buono e non voleva che me ne andassi, ma al termine dell’annata decisi che dopo nove anni di lavoro sotto padrone era l’ora di provare a realizzare qualcosa per la mia vita. Lo zio di famiglia mi abbracciò e si raccomandò affinchè tornassi l’anno successivo. Non gli dissi che non sarei più tornato, ma lo capì poiché “o piorava pèi ‘d na maznà” piangeva come un bambino.

 

 

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martedì 8 luglio 2025

CIGLIUTI BEPPE 1934 SERRA BOELLA NEIVE

 

BEPPE                      MAESTRA ANNA BOELLA

DON PAOLO BEPPE CIGLIUTI PRESSENDA GIUSEPPE Partigiano "PIN"


https://youtu.be/BmPI01R8FsA   Beppe Cigliuti spiega l’origine del Sacello della Canova

 

 https://youtu.be/04Tdlg5JqXE   Beppe Cigliuti

Racconto dell’eccidio della Canova

BEPPE CIGLIUTI BRICCO DI NEIVE 1934

L’origine del Sacello della Canova di Neive

Il Sacello della Canova fu voluto da Giovanni Voghera nonno della Maestra Anna Boella



                            e del Partigiano Valerio Boella “Walter” 

                           ucciso il 15 Aprile 1945 ad Alba.

2010 Beppe Cigliuti Racconta ai ragazzi il ricordo dell’Eccidio del 16 agosto 1944.      

< La Cappella votiva è ubicata a duecento metri da dove sono caduti tre Partigiani 


OTTAVIO MOLINARIS “NEGUS”

EVASIO PISTONE “TAURUS”

VOGLIOLO LORENZO “ENZO”


È dove mio padre, con altri del posto, dopo la battaglia, vennero a caricare i morti. Sentirono dei lamenti e trovarono il Partigiano

 Molinaris Teresio “Stambecco”   che ferito alla colonna vertebrale rimase paralizzato ma visse fino al 1975


Caddero anche Talin (Ferrero Natale) e Luigi il cuoco fucilati alla Torretta di San Donato. 

Il 16 agosto 1944 si sentiva nell’aria che qualcosa doveva succedere. Io avevo dieci anni e praticamente avevo i partigiani in casa. Vi era una formazione composta di 17 o 18 ragazzi che da alcuni giorni si aspettavano il Rastrellamento. Quel giorno nel primo pomeriggio arrivò una colonna di repubblichini da Alba e da Canelli. Il primo scontro avvenne proprio in Località Serra Boella dove vi è ancora il cippo al Partigiano "Gordon"


TIBALDI ENRICO DI MARIO  15/09/1921 TORINO

Laccatore  

Nome di battaglia “GORDON” 

COM 2° DIV LANGHE BRIGATA BELBO

Caduto il 16/08/1944 NEIVE LOC.SERRA BOELLA FUCILATO

I primi spari si udirono nel primo pomeriggio poiché quando i repubblichini furono sulla collina di Serra Boella videro l’ultimo gruppo di partigiani che si stava riparando nel bosco. Erano stati presi in contrattempo poiché non pensavano sarebbero giunti fino lì. Furono visti e presi di mira, alcuni furono feriti ed aiutati dai compagni riuscirono a fuggire.

Una parte dei repubblichini prese i sentieri e si lanciò all’inseguimento dei partigiani altri , ebbero l’indicazione di questa strada e con gli autocarri raggiunsero la collina della Canova così da circondare i partigiani feriti. Catturarono il Partigiano Gordon e lo condussero in Serra Boella dove fu interrogato e occorre dire che scagionò gli abitanti di Bricco.  Fu fucilato dove ancora oggi vi è lapide a ricordo.