mercoledì 31 luglio 2024

BOLLA DARIO CERRETTA DI CERRETTO LANGHE 1936

 


L’ALPINO FISARMONICISTA AMANTE DELLE LANGHE




 

 

https://youtu.be/v534LHoOmfg   DARIO MUSICA E RICORDI  


                 


Bolla Dario nato a Cerretta di Cerretto Langhe alla  “Srea ‘d mèz” Cerretta di mezzo nel 1936 da Eugenia Bianco e Angelo del 1896. Eravamo cinque figli, la sorella Giuseppina del 1926, un fratello del 1930, un'altra sorella del 1938 e Caterina del 1941

I nonni furono Tommaso e Maria la nonna  morì a 44 anni lasciando orfano il mio papà Angelo che fu cresciuto dal nonno.


   



Papà Angelo                          Mamma Bianco Eugenia

 

Mio padre, del 1893, fu ferito ad una gamba nella Grande Guerra e così tornò a casa prima del termine della guerra.

Vivo tuttora nella casa che fu costruita dai miei bisnonni più di duecento anni orsono.

Poco sopra l’abitazione, su indicazione del papà ho scavato ed ho trovato una sorgente che alimenta un pozzo con sei litri d’acqua all’ora. Io e mio fratello scavammo per parecchi anni, ma fummo ripagati delle fatiche. Scoprii che l’acqua sgorga sopra due pietre che formano una canalina e sotto vi era un metro di sabbia che dovetti tirare via . Riempii con del cemento e così deviai l’acqua nella cisterna del pozzo.

 

RICORDI DELLA GUERRA

Avevo solo otto/nove anni ma ricordo che nel 1944/45 passavano i repubblicani ed io “sparavo” loro con lo”sciopèt” che mi era costruito con il legno di Sambuco svuotato e le palline di “rista” Canapa.

I Fascisti mi guardavano male, ma interveniva il papà a proteggermi spiegando loro che “scherzavo”.   Ricordao che incendiarono un camion nella riva, e che parecchi giovani venivano a nascondersi nell’ovile “grotta” scavata sotto la casa. Un mio vicino di casa, che a quel tempo aveva appena 18 anni, essendo della leva del 1926, Drocco Annibale Partigiano “Bruno” della 99° Brigata Garibaldi, fu visto in un campo che andava a nascondersi e la milizia sparò qualche colpo, poi lo inseguì. Annibale fece in tempo a nascondersi in una grotta nello “rian” Rio, i militi passarono a pochi metri ma non lo scovarono. Nei “rastrellamenti” prendevano tutti e sovente li deportavano in Germania!

Il cognato Conterno Amilcare fu deportato in Germania e raccontava di avere sofferto la fame unitamente a tante angherie. Con i compagni di prigionia, andavano di notte a raccattare le bucce di patate che venivano date alle galline e di nascosto le facevano bollire per mangiarle.

 

 

LA GRANDINE NEL 1948

Nel 1948 nella zona di Cerretta vi fu una grandinata terribile che ruppe persino le viti. Distrusse tutti i raccolti e il papà fu costretto a mandare tutti i figli da “Sèrvitò” e “servènte”. Io a 14 anni fui “giustà” sistemato  a Monchiero alla cascina “Loa” che è lungo la ferrovia di Farigliano dove il lavoro consisteva nel togliere la neve, scavare i fossi per piantare le viti. Si era di febbraio e si lavorava sotto la neve!

RimasI due anni, il primo anno ricevettI cinque mila Lire lire il secondo ebbI l’aumento e percepii nove mila lire. In seguito andai a lavorare presso un trattorista di Roddino che aveva anche la macchina per trebbiare il grano.

 A 18 anni il padrone mi fece prendere la patente e così iniziai a guidare la sua Balilla. Andai a scuola guida da Cagnasso a Dogliani e presi la patente di guida e così giravo che un piacere. In questa azienda si lavorava anche fino a tarda sera con il grande trattore “da fé passé” per effettuare i profondi fossi per piantare le viti. 

Si andava profodo più di un metro e si effettuava un grande lavoro. Prima vi erano delle “sloire” alle quali si legavano grosse funi collegate a pali di ferro piantati fino a tre metri e con il “vindo” (argano) si richiamava l’aratro per poi spostarlo di nuovo ed approfondire il solco, Ma quando procurò il trattore


In seguito andai dal mugnaio di Sinio “Benvenuto”. che Il “miriné” era già anzianotto ma grande lavoratore. Arrivava con il camion “Leoncino” alla sera,  carico di sacchi di grano e mi diceva di portarli sul granaio,io, sì che avevo vent’anni ma ero minuto di corporatura e non ce la facevo a trasportare quei sacchi da 120 Kg su per la scaletta ripida! Così Benvenuto mi obbligava a effettuare un  giro più lungo e a portarli in un’altra camera. Anche il padrone lavorava fino a tardi, ma la fatica del trasporto sacchi era tutta per me.

Quando ebbi l’età andai Militare e grazie alla patente fui utilizzato come autista e presi la patente di terzo grado per la guida degli autoarticolati che mi sarebbe servita anche nel lavoro da civile.

La PASSIONE per la FISARMONICA.

Fin da giovane mi piaceva la musica e conobbi mia moglie in una sala da ballo. Ti dicevo che andai a Torino per fare il foghista,



 

 

DA AUTISTA A “FUOCHISTA”

Dopo tanti anni come autista di autoarticolati e avendo corso tanti rischi , a causa dei ritmi di lavoro assurdi, si arrivava da un viaggio alle tre di notte e si ripartiva alle cinque di mattina, decisi di cambiare lavoro e frequentai le scuole per diventare “ fuochista “ delle grandi caldaie per il riscaldamento dei grandi palazzi di

Torino. Conobbi una ragazza, Teresa, ottima ballerina, e la sposai. Abbiamo avuto tre figli e negli anni settanta andai in pensione.


 

 

Perché girando con il camion vedevo nelle fornaci questi addetti seduti e pensai fosse un buon lavoro migliore del camionista. Un giorno chiesi ad un anziano cosa si dovesse fare per apprendere il lavoro. Questi mi disse che dovevo andare a scuola e poi sostenere un esame per ottenere il Patentino di Fuochista. Cosí feci, ed ottenuto il brevetto andai a svolgere il lavoro in una grande casa   con più alloggi, di proprietà di una famiglia col figlio maestro di musica. Lo sentivo sempre suonare ed un giorno non sentendolo chiesi ai genitori dove fosse e loro mi spiegarono che insegnava musica al Conservatorio. Allora gli chiesi se poteva insegnarmi a suonare la fisa, e lui iniziò con le note e il solfeggio. Fu complicato abbinare la scuola di musica al lavoro , ma tanta era la passione che ce la feci. Dopo i primi rudimenti e le prove sulla sua fisarmonica sorse il problema della mancanza di uno strumento su cui esercitarmi a casa. Mi confidai con la mamma del maestro e questa lo disse al figlio che mi propose di acquistare la sua fisa “Organtone” che lui aveva sostituita con una più leggera. La presi al volo e gliela pagai poco per volta, due milioni, ed è ancora questa che uso adesso.

 


 

 

Questo è l'album che usavo per suonare VOLA COLOMBA,...... Poi venne la famiglia e misi un po' da parte la musica ed esercitandomi poco nel solfeggio e nel suonare, che bisogna mantenere costanti, persi la scioltezza delle dita e l'abilità. Quando andai in pensione e tornai a suonare con l'organo del Santuario son contento di aver ripreso la vecchia passione. Sa ti faccio sentire qualcosa, anche se le dita sono un po' intorpidite dall'età e dal lavoro di Campagna.


RITORNO A CERRETTA

Appena fui in pensione, tornai nella casa paterna a coltivare la vigna e le nocciole e ad allevare qualche coniglio “nanetto” e galline ovaiole.   L’odore dei fumi di città mi davano fastidio, mentre qui anche d’inverno sto benissimo anche senza termosifoni. Ogni giorno mi esercito con la fisarmonica e il canto ed sono l’organista ufficiale del Santuario della Cerretta. Prima di lasciarti andar via voglio farti assaggiare due bicchieri del mio vino Dolcetto e Bacò che produco alla maniera di un tempo. Voglio anche mostrarti le sei galline che allevO con “mèira sciapà” che coltivo e produco io stesso.

 Ai conigli fornisco pane secco e “brot” che mi procuro attorno casa.

Qui sto bene, anche se il lavoro non mi manca. Devo anche difendere le mie galline dalle poiane e dalla volpe!


 

La poiana se mi vede non scende e se ne va, io allora mi siedo qui su questa "topa" e leggo un po', così le mie “cocche” sono libere di girare al sicuro. Dopo un' oretta le chiamo dentro con un po' di pane Secco spaccato e Meliga pure sciapà. Con la volpe invece non è bastato mettere la rete alta e fare la guardia. È riuscita ad entrare e quando ho capito che era dentro ho chiuso la recinzione, ma lei mi ha visto, si è arrampicata e nel saltare per fuggire ha spanciato! Si è fatta male ma è scappata, tuttavia dei conoscenti mi han detto di aver trovato in fondo ad un noccioleto qui sotto, una volpe morta già da qualche giorno. Eh bisogna proteggere ste gallinelle.

( Sembra che loro lo ringrazino, gli girano attorno e si allontanano di poco). Dario mi Mostra anche il Crotin scavato dal bisnonno. < Vedi, qui l'ho rinforzato e faccio cantina. Qui nel Crotin, in questo solco dove si accumula acqua che arriva dalla parete. Qui già il bisnonno e il nonno già mettevano " a meuj i gorètt" a mollo i rami di salice per legare i tralci di vite . Pure io uso ancora i gorètt per la vigna e per l'orto. Questo cestino lo ha realizzato mio padre proprio con i gorètt.

CROTIN DELLE “TORTAGNE”

Dove già il nonno Tommaso e poi il papà mettevano i rami di salice, ginestra e lata a mollo






Il nodo col gorèt

 

 

            Dario orgoglioso del suo pozzo e sorgente




 


Dario realizza cestini e ceste come gli insegnò suo padre




 Cesto intrecciato da papà

 

 


DARIO PREPARA UNA PIANTINA DI “DARMASSIN”


DARIO AL FORNO DI FAMIGLIA


 VPLTA DEL FORNO REALIZZATA DAL NONNO                                                   "Tomà"


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 





sabato 20 luglio 2024

AGOSTO GIACINTO 1923 SOMANO

 


AGOSTO GIACINTO di “Cinèt”    SOMANO 1923

 Giacinto, figlio di Lorenzo “Cinèt” e di Abbio Giovanna (andata avanti a 102 anni).

 


               


                    BRUTTI RICORDI DI SCUOLA

NacquI alla Borgata Sant’ Antonio, dove vivo tuttora. In famiglia eravamo sette e si percorrevano a piedi i due chilometri per arrivare alla scuola nel paese di Somano. Prima di andare a scuola ci recavamo al pascolo con le pecore. La maestra non era di quelle comprensive e quando vide che, stanco mi addormentai, mi diede una solenne dose di “patéle” (botte) e la punizione: da scrivere cento volte ”a scuola non si dorme!”.Io eseguii il “penso”, ma non svolsi il problema e così dovetti sorbirmi un’altra dose di botte. Inutile dire che non ho un bel ricordo della maestra!


                

                 ULTIMI GIOCHI COL PADRE! POI

 

 

 

A MANGIAR PANE A CASA D’ALTRI (DA SERVO!)

A 11 anni, fui mandato “ a mangé ‘r pan à cà djàtri!”(a mangiar pane a casa d’altri!). Questo modo di dire elegante, è usato per spiegare che le bambine e i bambini di un tempo, già in tenera età venivano messi a servizio: (da sèrvènte e sèrvito’).

Lavorai alla Cascina Campolungo a Bonvicino, e il papà riceveva duecentocinquanta lire all’anno, questo fu negli anni 1934/35, quindi fui trasferito alla Cascina degli Ebrei ai Garombi di Monchiero dove ricevevo ben cinquecento lire all’anno. Andai anche a Monforte dove il ”padron” si chiamava Costantino ed aveva un figlio. Qui si stava abbastanza bene, certo che mi controllavano se prendevo un pezzetto di pane in più di quello assegnato! Effettuai ancora uno spostamento, in una cascina di Novello, il padre percepiva ben mille lire all’anno per il lavoro prestato da me. Era gente alla grande! possidenti ma solo da lavoro! Questi “padroni” erano aderenti al Fascio e pertanto mI mandavano alle esercitazioni Pre-militari che si tenevano il sabato, ma appena aveva effettuata la presenza, mi facevano ritornare al lavoro. Io consapevole dei mieii diritti dissi ai “padroni”: <…io vi denuncio, poiché il regolamento prevede che si PARTECIPI all’esercitazione!> A malincuore dovettero lasciarmi effettuare il corso del sabato fascista!

Possedevano tante vigne e io ero addetto a irrorare le viti “dé r’eva”. Dovevo pompare con la macchina in spalla quell’acqua scura con il “ramital” che sostituiva il verderame (antiperonospera). I due figli giovani erano al Servizio Militare e così per giorni e giorni dovevo girare per le vigne con quel carico d’acqua e con le cinghie chesi piantavano nella pelle spalle fino a scorticarmi!. Mi portavano il pranzo dove lavoravo, così con l’ultimo boccone ero già pronto a non perdere tempo e a riprendere il lavoro!

La “padrona” era brava!, <oh sì sì, rosari ne diceva tanti!>, mi diceva- < oh poverino sei stanco, sa che ti riempio la “macchina” così ti aiuto!!” Io con un sorriso: < eh già, così non mi fermo mai!!>

DURA E FATICOSA LA VITA

Dormivo in una camera con un letto nel quale ci rimanevo poco. Alle quattro <sonava in dèsvijarin fastidioz!grrrr!>(suonava la sveglia!) Ed io assonnato dicevo <smorta lolì che reu sèntì!!>(spegni quell’affare che ho sentito!) e scendevo ad iniziare la lunga giornata da “sèrvito”. Avevano una stalla in campagna con una dozzina di bestie e altrettanto in paese, pertanto al mattino ”sgurava ra stàla an campagna”(pulivo la stalla in campagna) e al pomeriggio pulivo la stalla in paese! < jéra sèmpre ‘ntra buza!> (ero sempre nello sterco!).

Fu dura, ma a sollevarmi da quelle fatiche arrivò la Naja.

 


 

“LA NAJA” SOLLIEVO PER GIACINTO!

Arruolato un anno prima, per esigenze di guerra, fui inquadrato nell’Artiglieria Divisionale. Inviato a Rimini per alcuni mesi, apprezzai la vita militare poiché in confronto al lavoro trascorreva come una vacanza: Colazione, un po’ di istruzione “avanti marsch, dietro front ecc.” , manutenzione dell’arma e poi si attendeva il rancio. Mi chiedevo perché la chiamavano naja!?

Dopo l’addestramento andai a Nola e quindi feci la Campagna di Grecia “per spezzare le reni ai Greci! Come disse Mussolini”. Si disse che le donne greche erano cattive , ma io le comprendevo perché vi era una massa di gente che razziava tutto (italiani tedeschi! Neh!)

DA BARI CON LA NAVE CAMPIDOGLIO

Giunti in mezzo al mare vi fu un Capitano che, senza apparente motivo, diede l’ordine di indossare i salvagente e di buttarsi in mare. Sulla nave vi erano 1400 militari che come me rimasero perplessi e preoccupati alla sola idea di buttarsi in mare. La maggior parte non sapeva nuotare e inoltre un tuffo in quelle condizioni significava morte sicura. Dopo un po’ di trambusto si notò che il Capitano e un tenente discutevano e guardavano in mare. Da una scialuppa che era stata calata con due uomini a bordo ne risalirono cinque probabilmente artificieri. Dopo un breve periodo in cui furono fermati i motori si riprese la navigazione e tutto  fu tranquillo fino all’arrivo a Valona. Mi feci l’idea che quel Capitano era stato un po’ esagerato a emanare il comando di abbandonare la nave. Se i militari avessero ubbidito se ne sarebbero salvati ben pochi. Questa è una delle tante riflessioni che mi fecero comprendere chei comandanti non avevano per niente a cuore la vita di tanti giovani militari.

LICENZA PER LA MORTE DEL PAPÀ

 

Mentre ero in Grecia, ricevetti la comunicazione della morte del papà. Ebbi un mese di Licenza, poi al termine dei trenta giorni mi presentai al Maresciallo dei Carabinieri di Bossolasco e gli dissi che quasi quasi non sarei rientrato. Il Maresciallo si infuriò e, mi convinse a ripartire. Rientrai a Nola, quindi fui portato all’aeroporto di Bari dove risultammo in cinque in più. Il Comandante ci mise in riga e sorteggiò con una conta casuale i cinque che dovevano rimanere a terra per partire il giorno dopo. Tra questi vi fui anche io. I cinque esclusi io compreso ci  scocciammo per il rinvio di partenza, ma quando il giorno dopo il Comandante ci disse che eravamo stati fortunati perché l’aereo del giorno prima era stato abbattuto, lo ringraziammo e sperammo che il volo per loro andasse bene. Fu così e, quando l’aereo atterrò , ringraziai il buon Dio per essere scampato, ma non fu la prima né l’ultima volta che lo ringraziai!

Giunto a Patrasso decisi di non raggiungere Missolungi dove avrei dovuto tornare al Presidio.(La sua Divisione, la “Casale” nel 1942/43 fu dislocata nella zona compresa fra il golfo di Arta e quello di Patrasso, con presidi ad Agrinion, Amphilokia e Missolungi. Durante tutto il periodo che rimase in detto territorio, partecipò ad operazioni di rastrellamento ed anti-partigiane a Agrinion, Katoki, Mussura, Krisovitza, Scutera, Sariadafino.) Per raggiungere Missolungi, situata in una zona paludosa dove regnava la Malaria e per questo occorreva assumere il CHININO ogni giorno, avreI dovuto prendere un traghetto e viaggiare tre ore.

RimasI a Patrasso ed ebbI il conforto del consiglio di un Capitano che, quasi sapesse che fine avrebbero fatto alcuni Presidi, compreso quello della Divisione Acqui mi disse di non rimanere e infatti dopo pochi giorni arrivò l’ordine di disarmarsi e di consegnarsi ai tedeschi!

Ancora oggi non riesco a comprendere come ben nove Divisioni italiane e sei tedesche non riuscirono a tenere testa a un piccolo esercito come quello greco. Certo la guerriglia era peggio della guerra vera e propria, con i pastori albanesi e la popolazione che collaboravano, ma fiutai l’intrigo quando ad Atene vidi con i miei occhi portar via il Generale senza sparare un colpo e noi soldati fummo abbandonati nelle mani dei tedeschi.! I soldati furono disarmati e, caricati sulle tradotte, deportati in Germania.

 


GERMANIA: CAMPI DI LAVORO

In un primo tempo, i prigionieri furono internati a Coblenza, giunsi con altre migliaia di soldati il sabato e il lunedì; con altri 500 prigionieri fui prelevato per essere condotto a lavorare in una fabbrica a Trier(Treviri). Vi era un civile addetto a suddividere ulteriormente il gruppo ed io fui inserito in un gruppo di una trentina di internati militari.

Ogni mattina e ogni sera un “CHEF” (CAPO) aveva il compito di trasferirci, a piedi, dal Campo al luogo di lavoro.

 

UNA CAREZZA ED UN SORRISO

Il percorso per giungere alla fabbrica passava davanti a delle case. Un giorno, io che aveva 21 anni  ed ero un giovinastr!”, vidi una ragazzina, che guardava transitare quella squadra di giovani. Senza pensarci su, usii dai ranghi e andai a dare una carezza e un sorriso a quella fanciulla. Potevano esserci conseguenze, e invece non successe nulla. Il giorno dopo il nonno della ragazzina si presentò al campo e chiese di prelevare il giovane Agosto Giacinto, proprio io! Fu l’inizio della mia “Prigionia fortunata”. Accolto in quella casa ”cascina” dove non vi erano altri uomini se non il nonno anziano e tanto lavoro da svolgere, trovai una famiglia. Ebbi del vestiario pulito e conducevo una vita come appartenente alla famiglia. La domenica mi recavo alla Messa e nel giro di un mese ebbi un Documento che mi permetteva di circolare liberamente. Nella casa vi era una motocicletta e fui autorizzato ad utilizzarla per spostarmi nella zona.

In quella cascina lavoravo con i cavalli alla produzione di patate, barbabietole da zucchero e anche tabacco. Nei primi tempi faticai un po’ a comunicare con la ragazza, ma questa era buona e intelligente e mi aiutò. In uno dei primi giorni mi fece comprendere che vi erano da raccogliere le patate, ed io capii,  mi avviai nel campo dietro la casa. Ero intento a raccogliere patate quando giunse una squadra di SS che pensando stessi rubando le patate mi puntò il fucile per arrestarmi, ma la ragazza vide la scena e chiarì con i militari, poi commentò: <SS no god, solo capaci ad ammazzare!>.  

 



VIDI UNA TRADOTTA DI EBREI

La visione che più mi fece rabbrividire fu quando, siccome avevo un lasciapassare e potevo girare con il Guzzi messomi a disposizione dalla famiglia dove lavoravo, decisi di andare a visitare la stazione ferroviaria. Intanto che gironzolavo arrivò una tradotta carica di prigionieri Ebrei. Una donna mi fece segno di porgerle dell’acqua della fontana che avevo vicino. Io incurante delle guardie presi una scatola d’acqua e feci per porgergliela, ma sentii il sibilo di un proiettile passarmi a pochi centimetri dall’orecchio sinistro e delle urla mi intimarono di andarmene.Così feci ma ancora oggi mi chiedo come si può sparare a chi porge acqua a chi ha sete!

Al termine della guerra andai anche a ficcare il naso in una Camera a gas e Forni crematori e compresi come li usavano, vidi anche un mucchio di ceneri!.

Rimasi turbato! Non ho mai compreso perché amazzarono così tante persone, Neppure adesso che sono vecchio comprendo cosa spinse tante persone ad uccidere tanti loro simili!

 

 

 

 

https://youtu.be/tVN4Yyx6N4E        GIACINTO

A fine guerra rientrai a casa, con l’idea di ritornare in quella famiglia che mi aveva praticamente adottato. Il nonno mi disse che mi attendevano. Purtroppo al mio rientro trovai la maestra che mi raccontò dell’uccisione di mio fratello. Con una tale situazione dissi addio al proposito di lasciare tutto a mio fratello e sorella e ripartire per Trier. Forse mi scrissero per invitarmi a tornare ma neppure risposi. Ripresi a coltivare la mia terra e ad allevare qualche bestia. Ed eccomi qua a raccontare

 


                         GIACINTO APICULTORE


               AGOSTO CATERINA SOMANO 1926

 

 

 

https://youtu.be/AKqbl5EnNt8 CATERINA

 

In famiglia eravamo Mamma papà, Giacinto del 1923 io del 1926 e Carlo, quello che uccisero i nazisti, lui era del 1930.

Abitavamo nella Frazione di San Antonio di Somano e già i nonni facevano i contadini lì. Avevamo qualche pecora, galline e una mucca. Producevamo le tome e il Martedi da Somano a Dogliani si andava a vendere le tome che portavamo nel Cavagn e le uova in una borsa. A volte mi caricavo anche un agnello che portavo a vendere, sempre a piedi ma non al mercato e al mattino presto perché erano già tempi “brutti”. Fu una gioventù triste e senza tante comodità. Non vi era che un piccolo negozio in paese  e niente radio, telefono o televisione

QUANDO UCISERO MIO FRATELLO   

Alla sera prima, nella frazione vi erano i Partigiani che dormirono in una nostra stalla dove tenevamo le bestie. Al mattino, quando non era ancora giorno, sentimmo i partigiani che fuggivano e arrivarono i nazifascisti. I repubblicani che arrivarono dopo l’uccisione incolpavano i “nostri”, Io ricordo che un soldato con un’ arma lunga così urlò “rauss rauss a mio fratello e intanto gli sparò. Lui era fuori e rientrò affannato e impaurito per l’arrivo dei nazisti. Lui non scappò perché era giovane, ma questo dopo avergli sparato puntò l’arma su mia madre e la spinse ad aprire le porte per guardare se vi era qualcuno. Erano fuggiti tutti, eravamo rimaste io e mia mamma e vi erano solo più persone molto vecchie e i bambini.

                                   


Mio fratello Giacinto nel 1942 partì mlitare e fu accompagnato da mio padre a Dogliani da dove avrebbe preso il “trenino” per Monchiero. L’anno successivo morì mio padre e nel ’44 uccisero mio fratello Carlo.

Rimanemmo solo mia madre ed io e di Giacinto non avevamo notizie. Non sapevamo dove fosse né se fosse vivo o morto. Nel 1945 lo vedemmo tornare a casa, 2 ch’o jera mair pèid  na candèira!” era magro come una candela. Il periodo della guerra fu un terribile e non si dimentica mai.

Ricordo anche la paura provata quando sparavano dalla “Lovera” e cadevano i bossoli di fucile e mortaio sui nostri tetti. Per ripararci trascorrevamo notti intere coricatei sulla paglia in un Crotin ( piccola grotta sotto la casa). Provammo sempre tanta paura.

I giovani rimasti e gli uomini a meno che non fossero vecchi vecchi si nascondevano, Il “Maleur” sfortuna di mio fratello Carlo fu di essere un ragazzino “ ben piantà” grande per i suoi 14 anni e così lo presero per un giovane partigiano. E pensare che la sera prima era con i Partigiani che suonava la fisarmonica a bocca, mai più pensava che il giorno dopo la sua vita sarebbe finita.

 

 


 

Intanto a novembre 1944 il Comune di Somano venne invaso dal terrore  del grande Rastrellamento effettuato dalle imponenti forze nazifasciste. Queste attaccarono i Partigiani Autonomi(della I Divisione) e i Garibaldini(6° Divisione).I Partigiani arretrarono ma i nazifascisti seminarono paura e morte tra i contadini e i Partigiani caduti nel rastrellamento.

Il 16 Novembre, la colonna “Dal Piaz” del raggruppamento “Cacciatori degli Appennini” al comando del col. Aurelio Languasco invase la zona di Somano e dintorni incendiando e saccheggiando abitazioni. Gli uomini di Somano e delle frazioni cercarono di nascondersi, ma in qualche occasione furono sorpresi dai militari che avevano ordine di sparare senza intimare l’alt o valutare chi fossero i fuggitivi. Fu il caso del fratello di Giacinto, Carlo, di appena 14 anni sorpreso a fuggire  tornò a nascondersi tra le braccia della mamma ma fu ucciso senza pietà nonostante le implorazioni della madre.. In quel giorno, a Somano furono  uccisi anche Agosto Giovanni del 1892, Bassignana Giovanni del 1901, e Occelli Carlo di Bonvicino del 1915 tutti contadini che per timore di essere deportati correvano a nascondersi. Caddero anche, sotto i colpi dei nazifascisti il Partigiano della Form. Mauri I Divisione Maffeo Duilio “Carlo” Brigadiere dei Carabinieri originario di Torino  e  il Partigiano Garibaldino Cornero Luigi “Biulot” del 1921.

 

 

 

 

  

mercoledì 3 luglio 2024

VERONESE PROTTO BRUNA CITTADELLA(PADOVA) PEZZOLO FEISOGLIO

 



MAESTRA Bruna Veronese Protto
infanzia a Pezzolo Valle Uzzone e Perletto, poi a Feisoglio. Da 74 anni nelle Langhe.

Nata a Cittadella(Padova) Il nonno paterno fu il factotum del Marchese Camerino di Vicenza, ma in seguito alla prima guerra Mondiale i Marchesi decaddero e la famiglia del nonno (tutta al servizio dei Camerino) si disgregò .

La mamma Emilia Mattiello (di Anacleto) del 1905 a vent’anni andò sposa in una famiglia numerosissima dove vi erano cognate e cognati da sposare. Con due bimbi piccoli comprese che non avrebbe avuto futuro e così convinse il marito, partirono con un baule al seguito, Brunetta di un anno e il fratello di due, andarono a Pezzolo valle Uzzone da mezzadri presso una cascina dove il proprietario li aiutò molto. Vissero nella miseria ma non fecero mai la fame, poiché la mamma sapeva come ricavare il mangiare dai prodotti della terra.

              LA GRANDE MAMMA EMILIA

               Mamma Emilia alla festa degli 80 anni 

Mamma Emilia Mattiello rimase orfana che era piccolina. Il papà aveva un fratello, che morì in guerra e ne sposò la moglie così ebbe molti fratelli della seconda mamma e solamente Florindo della prima moglie.

La mamma si “arrabattava”, svolgeva tutti i mestieri, cuciva ed essendo stata inserviente all’Ospedale di Vicenza sapeva svolgere molte attività. Si fece subito apprezzare per l’abilità e la disponibilità, così tutti le chiedevano aiuto. Certo non la pagavano per le sue prestazioni però la retribuivano con prodotti della terra: frutta verdura, uova o un pollo, e questo era utile per sfamare la famiglia. Abitavano tra Pezzolo e Bergolo e,ricorda Brunetta: <mi mandavano a prendere il pane a Pezzolo e tornando ne mangiavo una pagnotta, anche se avevo solo 5 o 6 anni, astutamente la mangiavo tutta intera per non lasciare pezzi che mi avrebbero tradita, mamma se ne sarebbe accorta! >

Comunque la fame non la fecero mai, poiché mamma anche in periodo di guerra, quando mancava tutto, preparava il ”tortlòt“ Tortino di patate sulla stufa, o le cucinava in altro modo. La ricorda che tornava sempre in casa con il grembiulino pieno di erbette o frutti della terra. Li tirò su così, con tanti sacrifici preparando il mangiare con una zucchina, fagiolini , patate e dice:< non credo lei abbia mangiato tutte le volte che ebbe fame! Pur di sfamare noi!>

Purtroppo ci furono periodi che quando avevano allevato qualche pollo o gallina arrivavano i fascisti o i partigiani e glieli portavano via. Si cercava di nascondere qualcosa ma era anche pericoloso!

 

Mamma fu sempre risoluta, lei mancò a 96 anni papà finì i suoi giorni ad 80 anni. Quando fu da sola andò ad abitare con un figlio a Santo Stefano Roero ma si vergognava ad andare a ritirare la pensione e più di una volta disse: <chissà se me la sono guadagnata questa pensione!>.

Attilio, Bruna, fratello Fausto e sorella Clorinda (infermieri) sorella minore Faustina ..mamma Emilia in visita ai due figli infermieri presso l'ospedale di Chieri.

 


 PAPÀ DAVIDE “CAVALIERE DI VITTORIO VENETO”

Il  papà, Davide proveniva da una grande famiglia del vicentino

(I Veronese avevano avuto 12 figli ma solo 7 erano viventi, e un figlia morì di Spagnola.) Era una famiglia che grazie al lavoro dal Marchese stava bene.

Tutti( zio Mario, zio Gino, zio Rino, zio Luigi ecc.)

erano al servizio dei Marchesi e il papà apprese tanti mestieri. A Pezzolo e poi a Perletto si rendeva utile in tanti lavori e soprattutto, essendo stato  addetto alle stalle, veniva chiamato per dare una mano nei parti o nella cura degli animali. Anche lui veniva retribuito in natura. Grazie a ciò la famiglia potè tirare avanti facendosi benvolere e senza fare la fame.

Quando era in Collegio e veniva a casa per qualche giorno sentiva papà che diceva alla mamma: < facciamola venire a casa, così ci dà una mano, io sono stanco!> Mamma più giovane ed energica gli rispondeva: < vai, vai va ancora a vendere questi due polli per pagare la retta, facciamo ancora uno sforzo per alcuni mesi e poi vediamo. Il suo obiettivo era fare in modo che Brunetta si diplomasse, e ci riuscì.

In famiglia erano cinque figli: un fratello del 1926,andato avanti a 95 anni, lei del 1927 una sorella del 1933, un fratello del 1935, e la sorella minore del 1940.

PAPÀ ACQUISTÒ UN “CIABÒT”

Papà del 1901 partì ancora per la guerra del 15/18 e perse un occhio rimanendo invalido. Percepiva una pensione di 150 Lire al mese che permisero di acquistare il Ciabòt e i manufatti per ripararlo. 5 Lire al giorno per quei tempi erano un buon aiuto.
             Bruna nel cortile della casa di Perletto


Acquistò un “Ciabòt” (Casupola) a Perletto, ricorda Bruna: <era proprio malridotto! Ci pioveva dentro da tutte le parti!> Grazie anche alla vendita dell’oro che mamma Emilia aveva ereditato quale unica figlia orfana, fu possibile acquistare i coppi e rendere abitabile il Ciabòt. Furono tempi duri , ma la guerra livellò! , e così si era tutti poveri. Il peggio arrivò dopo la guerra quando mancavano i soldi per acquistare i prodotti che gli americani avevano procurato. La mamma, povera donna faceva i salti mortali, lei riuscì a crescere tutti.


MAESTRA Bruna con Sonia figlia di un vicino di casa a cui era morta la moglie di tisi...nonna Emilia l'ha cresciuta fino a 18 mesi e poi restituita al papà.

VOLEVO DIVENTARE MAESTRA

Fin da piccolina le piaceva la scuola e voleva diventare maestra e così la sua insegnante e il Parroco prepararono le richieste per il Collegio. Le fecero ripetere la classe quarta e poi, con la Borsa di studio, fu inserita in Collegio dove rimase fino a diciassette anni. La Mamma aveva frequentato la terza elementare e il papà non l’aveva neppure terminata. Papà aveva però il dono di una mente matematica. Andava al mercato a Cortemilia e tornando a casa realizzava mentalmente il conteggio di quanto aveva ricavato e speso. Lui la aiutava nell’aritmetica e mamma nei “Pensierini”!

IL COLLEGIO

Ha un brutto ricordo del Collegio, poiché chi aveva i soldi era meglio trattato e lei che aveva avuto la borsa di studio era poco considerata. Le Suore erano poco caritatevoli poiché “spinte” in Convento, contro voglia, per avere meno bocche da sfamare in casa. Rammenta che parecchie Suore al termine della guerra uscirono dal Convento.

Bruna con la classe del collegio..


BRUNA E L’AIUTO NEI LAVORI

Chiedo a Maestra Bruna se aiutava i genitori: < Oh sì, quanta feuja reu sborà! (quanta foglia di gelso raccolto!) I bachi si tenevano poiché erano la prima entrata di guadagno per la famiglia. Nel 1940 venni a casa per l’estate e la guerra era iniziata il dieci di Giugno. Avevamo un’oncia e mezza di uova di bachi Andavo sulle piante di gelso prelevavo la foglia e riempivo i sacchi, poi però non ce la facevo a portarli a casa e così veniva il papà a prenderli.>

Quando nacque l’ultima mia sorella fu il tempo della Fiera di Cortemilia e mio papà non poteva andare a vendere i Cochèt (bozzoli) e così mandò me, a quel tempo avevo tredici o 14 anni. Mi mandavano anche a vendere una cesta di uova e tome che produceva la mamma. Le faceva soprattutto per la famiglia ma ne vendeva anche. Le preparava inizialmente con il latte della mucca, poi si procurarono anche due pecore e una capra e aumentò la produzione. Andavo sempre io al mercato>

 


 

                        L’ALBERO DI NATALE

                    SORELLE E FRATELLINO

Maestra Bruna si sovviene dell’albero di Natale che preparava lei con il fratellino:< Papà ci tagliava un pinetto e ci comprava qualche mandarino per decorarlo. Non riuscivamo mai a mangiarli! Poiché li foravamo per infilare il filo per appenderli e così marcivano! Ma eravamo felici anche solo di guardarli!>

IL PERIODO DELLA GUERRA

Maestra Bruna ha il triste ricordo dei 13 Partigiani uccisi a Perletto e pure vide quelli che uccisero al Ponte. La visione dei corpi di quei giovani partigiani è sempre nella sua mente! La guerra fu una cosa terribile e, ribadisce: <fu difficile da giustificare chi sparava dalla torre per poi fuggire e lasciare la popolazione nelle grinfie dei nazifascisti!>.

Lei aveva 13 anni quando iniziò la guerra e 18 quando terminò ma ne vide di tutti i colori. Proprio negli anni della guerra lei era in collegio ad Ovada. Nel 1944 siccome Ovada era molto esposta ai bombardamenti essendo tra Alessandria e Genova, il collegio fu chiuso e lei tornò a casa. Quell’anno lì andò a lezione a Cortemilia da Insegnanti che erano sfollati da Genova. Anche in questo frangente, la mamma fece tanti sacrifici per mandarla a lezione. Andava a piedi e la mamma le preparava un panino con il pane nero e un uovo fritto che mangiava tornando per quei sentieri. Mangiava e studiava e nel 1945 riuscì a diplomarsi.

 

RICORDI DA SUPPLENTE E MAESTRA

Iniziò come Maestra Supplente a Bruceto di Cortemilia, poi a Gorrino, a Castelletto Uzzone, a Cravanzana dove conobbe il futuro marito Attilio Protto, quindi a  Borgomale, e poi di ruolo a Feisoglio a 22 anni nel ’49.

Agli inizi della carriera e anche per gli anni successivi, il lavoro di maestra consisteva principalmente nell’insegnare a far di conto e a leggere e scrivere per far la propria firma. I genitori erano quasi tutti analfabeti e con mentalità maschiliste. Lei e il marito Attilio faticarono molto a cercare di convincere i genitori a far procedere le bambine negli studi! I maschi dovevano “studiare” ma le femmine dovevano solo maritarsi presto e “nei soldi”! Incontrarono molta resistenza anche nelle famiglie che avevano possibilità economiche e in molti casi dovevano addirittura faticare a farli frequentare fino alla classe terza e poi quinta. Prima vi era il lavoro e poi se rimaneva tempo li mandavano a scuola! Alcune ragazzine per le quali la Maestra Bruna e il marito Attilio( che per la sua disponibilità ad aiutare, da tutti fu chiamato “Maestro” anche se non ebbe la possibilità di diplomarsi poiché il padre non gli fornì i soldi per gli studi!)  riuscirono a convincere i genitori a proseguire gli studi, riconoscenti, a distanza di tanti anni passano a salutare e a ringraziare la loro Maestra.

Maestra Bruna ricorda i sacrifici dedicati alle bambine e ai bambini, ma anche le soddisfazioni che ottennero. In particolare racconta di un bambino che arrivò da un orfanotrofio e impiegò parecchio tempo a non coprirsi nel gesto di ripararsi dalle botte quando la maestra gli si avvicinava per accarezzarlo. La figlia di Bruna, Mimma rammenta  la gratitudine degli occhi dei bambini che d’inverno arrivavano dalle cascine più distanti fradici ed infreddoliti e ringraziavano la maestra che lasciava la scolaresca per salire a prendere abiti asciutti dei propri figli. Lei nell’ascoltare, si intenerisce e con naturalezza dice: “pòrè maznà ! se non davo io qualche attenzione e un po’ d’affetto non ne avrebbero avuto da nessuno!>

Bruna con una delle due scolaresche di Feisoglio


Un ultimo ricordo lo ha raccolto lo scrivente da una sua ex allieva di ormai ottant’anni: Romana mi disse: < oh se vedi la mia Maestra dalle un abbraccio e ringraziala per quanto ha fatto per noi bambine e bambini di quei tempi. Era severa ma giusta! La ricordo quando non molti anni fa sentii la sua voce che proveniva dalla Chiesa e la vidi intenta a insegnare il Catechismo ai nipoti dei suoi ex allievi!>

Buon Cammino Maestra Bruna anche se hai le gambe dolenti! Sappiamo che tu comprendi il significato del saluto!


Appendice:


 MATTIELLO FLORINDO DI ANACLETO 1892 Vicenza

Caporale  3 Reggimento Cavalleria   25 12  1918

Ospedale Da Campo N. 178 per Malattia

Bruna con una scolaresca di Feisoglio in gita in Belbo e allevamento di castori