TESTIMONE
DELLA MEMORIA
Il padre, Giuseppe detto Condo, era del 1890 e partecipò alla Grande Guerra
come gli altri suoi due fratelli.
Sotto le
armi rimase sei o sette anni. Fu richiamato e combattè sul Carso raggiungendo
per meriti e anzianità il grado di Sergente.
Rientrò alcuni mesi prima dei fratelli che furono prigionieri. Rientrato conobbe (un’arditera) un’ereditiera, mia madre Ferrero Carmela), e si “sposò nella roba”. Mia mamma aveva perso il padre di 40 anni ed era la più grande con tre fratelli e sorelline piccole, aveva 18 anni. Avevano una discreta cascina in Località “Coste” e avevano bisogno per tirare avanti di un uomo per i lavori. Si sposarono e papà rimase per sette anni da mezzadro-proprietario con la famiglia della suocera. Intanto il nonno Sandri divise la proprietà tra tutti i figli e figlie e a mio padre toccò un po’ di terra e due camere dove siamo ora.
ALL’ACNA
DI CENGIO
Dopo la
guerra, mio zio andò a lavorare presso la fabbrica di Sostanze chimiche di
Cengio. Una volta disse a mio padre che se voleva avrebbe fatto assumere anche
lui. Subito, mio padre, un po' deluso dal lavoro di campagna decise di provare.
Si recò a Cengio e si rese conto che non sarebbe stata la scelta giusta. Vide
gli operai che uscivano dalla fabbrica ed erano tutti "gialli" in
viso, si respirava un'aria maleodorante e si convinse che non valeva la pena
andare a morire per qualche soldo in più! Disse: reù pi car meure an mez ar
ronze ma con aria bona!> preferisco morire in mezzo ai rovi ma con aria buona!> E così continuò a fare un
po' di muratore e lavoro in campagna. Anche mio zio dopo un po' di anni di
lavoro a Cengio, se ne andò a Torino dove si comprò una casetta che non si
godette molto perchè morì per un tumore, forse procurato da quei gas e
porcherie respirate all' ACNA!
IL PINO
DEL “PILON”
Il pino all’incrocio della frazione Catoni di Lequio Berria è sicuramente “secolare”. Io ero bambino e mio padre raccontava che gli successe un fatto strano! Nei pressi del pino vi era un campo che il padre andò a “lavoré” (arare con “ra rivolta”(aratro) ed essendo giunta la sera e non avendo terminato lasciò l’attrezzo nel campo. Al mattino ritornò e non trovò l’aratro, guardandosi attorno, alzò gli occhi e lo vide sopra quel pino che era già alto com’è ora!
Chissà se
qualche “masca” o qualche umano avesse realizzato lo scherzo! Fu un lavorone
districare il”voltin dal Pino!
Dove c’è il Pino è località “Pilon” ma nemmeno mio padre ricorda ci fosse un Pilone votivo nei pressi!
Anche in
località “Croce”, non si sa perché fu messa la croce! Io chiedevo al nonno e al
padre ma non sapevano darmi risposta. Quando tornai dalla prigionia trovai la
Croce marcita e caduta. Decisi di costruirne una e feci il piedestallo che vi è
tuttora.
Ho sempre
pensato che certi “simboli” se sono stati messi ci sarà stato un motivo e mi
piace Onorare la Memoria di chi li costruì.
LA SCUOLA
DI “MATELOTTI”
La scuola
fu costruita che io ero bambino e ricordo che andai ad aiutare. Parteciparono
tante persone della zona. Quando andai a scuola, nella nuova costruzione venne
una maestra di Somano: Prassede. Sposò poi Ghistin ‘d Chin di Lequio Berria,
ricordato perché fu un “giocatore di carte” !
Maestra Prassede Paolazzo Somano 1914 Lequio Berria 2014 e il Partigiano “Luigi”
A quel tempo le scuole iniziavano ad Ottobre,
eravamo del ‘44 in piena guerra civile. Noi maestre e maestri eravamo obbligati
ad avere la tessera del “fascio” e a portare,cucito sul grembiule nero o sulla
giacca la “M” . Per me era l’ iniziale di Maestra/o, ma per molti altri
ricordava il capo del fascismo. Quel Mattino ero arrivata di buon’ ora alla
scuola di San Frontiniano di Arguello dove avevo avuto Incarico di insegnante.
Avevo un buon passo e non temevo di far brutti incontri poichè ero conosciuta da
tutti come la fomna’d monsù Cagnass! Passando per il sentiero della Rombada
arrivavo rapidamente al Lavatoio dèr noz(delle noci) dove vi erano gli orti dei
Secco del Bricco, quindi salivo al Bricco dove vi erano i Partigiani e
attraverso la strada scendevo al Grop. Incontravo i miei piccoli allievi e
allieve del Bricco, della Cerrata e del Grop che pascolavano le pecore e mi
salutavano festosi dicendomi: as voghima dop signora maestra! E io: non tardate
e non fatevi mangiare il libro dalla pecora!. Loro ridevano divertiti.
Avrebbero portato a casa le pecore e sarebbero venuti a scuola dopo il pascolo
mattutino. Quando iniziarono ad arrivare, io avevo già preparato le lezioni
diversificate sui loro quadernini neri poichè erano di diverse età,ed ero già
uscita ad attenderli. Da sotto il gelso li vedevo spuntare dal sentiero del
“Fossà” e li riconoscevo ormai tutti e 35 anche se erano pochi i giorni di
scuola trascorsi insieme. Nel primo gruppo, notai, vi era uno più grande col
fucile a tracolla. Attesi che si avvicinassero al bivio e riconobbi un mio ex
allievo di Lequio Berria. Pensai venisse a salutarmi, invece lui scese per la
strada del Belbo che passa tuttora nella frazione Arditao proprio sotto San
Frontiniano. Chiesi a Carlo del Bricco ed ebbi conferma che era “Luigi” ‘d
Panfron. Carlo mi disse che andava a massé un “fascista”! Dissi ai bambini di
entrare e chiesi a Carlo di andare alla Lavagna come capoclasse poichè io
dovevo parlare con Luigi . Imboccai rapidamente la “sternija che porta al bivio
del Brichètt e giunsi dalle case d’Arditao proprio mentre arrivava Luigi. Con
le mani sui fianchi lo apostrofai chiedendogli:
<Non si viene più a salutare la tua maestra?>
Lui impacciato: < Sarei passato dopo, ora ho un ordine
da assolvere!>
ed io < euh là! I comandi te li dà solo il tuo
cervello e comunque prima vengono i sentimenti del cuore!> Mi guardò con due
occhi pieni di luce, compresi che aveva capito. Mi sorrise e mi chiese se
poteva venire a salutare i miei scolari. Certo che si gli risposi, e ci
avviammo per la strada da cui era venuto, risalimmo ar “foss” dopo che Luigi
ebbe nascosto il “moschetto” nel Crotin ( Piccola Grotta ancora oggi visibile)
. Nella vigna del “fossà” strizzò l’occhio a Dolfo che astutamente gli chiese:
èti pèrdì èr moschètt? (hai perso il moschetto?)Procedendo nella capezzagna
arrivammo dal Mo(gelso) e Luigi si sfogò raccontandomi che Gavarin gli aveva
ordinato di andare ad ammazzare un fascista a Cravanzana. Mi confidò che non ne
era troppo convinto ma il Capo voleva metterlo alla prova. Io lo ascoltai in
silenzio e quando terminò : < Luigi hai fatto la cosa migliore, chi siamo
noi per togliere la vita ad un nostro simile?>
Mi guardò e: < devo dire una cosa ai ragazzi del
Brich!> intendeva Carlo, Mario ed altri a cui aveva confidato dell’incarico
avuto.
Carlo Secco Arguello 1936 ci confermò il racconto della
Maestra!
Gli feci segno di entrare e salimmo i tre scalini che
portavano alla piccola aula. I bambini furono stupiti al vederlo e tutti lo
conoscevano. Rivolto a Carlo: < ho deciso che non vado ad uccidere nessuno
ed ora torno a dirlo al mio capo.! E se non mi vuole più nel gruppo partigiano
vuol dire che mi nasconderò> così fece e mi risulta che continuò a militare
con Gavarin fino al termine della guerra. Seppi che il capo gli affidò spesso
incarichi da porta ordini e gli disse: <Bravo hai deciso con la tua testa e
per questo sei da ammirare!> Gavarin stesso mi incontrò a Lequio e mi fermò:
<Brava maestra! Luigi o ra amprendì pì da chila che dao so comandant! (Brava
maestra, Luigi ha imparato più da lei che dal suo Comandante!>
Amabile:
partii soldato quando non avevo ancora vent’anni, ebbi abbastanza fortuna
poiché svolsi tre anni di servizio Militare relativamente vicino a casa. Fui
inquadrato nella Guardia di Frontiera e svolsi Servizio nelle Caserme di
Vinadio, Sant’Anna di Vinadio e Colle della Lombarda. Il Corpo della Guardia di
Frontiera era chiamato “Ra Vidoa”(la vedova), poiché aveva la divisa degli
Alpini ma col cappello senza Penna! Certo, non avere la penna degli Alpini mi
dispiaceva un po’, poi tutto passò!
Con
l’otto Settembre , data che segnò l’inizio dello “Sbandamento” tornai a casa e
come per tanti giovani, fu l’inizio di un periodo di paure per i Rastrellamenti
operati dai nazifascisti.
Quando si
capiva che arrivavano i repubblichini o i nazisti, si scappava e ci si
nascondeva nei boschi o in nascondigli predisposti.
Il
tredici Febbraio 1945 io e Massimo ‘d Pascol
mio
vicino di casa, che combinazione vuole sia qui oggi a confermare, avendo avuto
notizia del rastrellamento in atto su tutte le Langhe, con altri 4 o 5 giovani
, salimmo sul brich dell’”Erba Fresca” per avvistare i nazifascisti e poi
fuggire a nasconderci, ma non si fece in tempo, fummo colti di sorpresa (“pèid
saràm” (come salami).Ci facemmo catturare come degli sciocchi!) Avremmo potuto
nasconderci, come avevano fatto altre volte, ma”èr dèstin !”(il destino ) volle
che ci piombassero addosso . Non ci perquisirono neppure, intimarono di alzare
le mani, di incolonnarsi e di seguirli. Io e Massimo assistemmo impotenti
all’arresto di molti altri giovani e meno giovani, tra i quali vi furono anche gli
amici e vicini Oreste Sandri e Giacinto Gallesio che furono poi uccisi sullo
stradale per Benevello. Il triste “Corteo” fu fatto avanzare fin sulla strada
affinchè facesse da “Copertura” e infatti appena da Benevello partirono i colpi
di alcuni “Folaton” “sconsiderati” Partigiani, per rappresaglia uccisero Giacinto
e Oreste che collaboravano come Staffette con i Partigiani.
Con molti altri ci fecero procedere a piedi, prima fino a Diano e poi fino a Bra dove vi era la Caserma dei nazifascisti. Alcuni, dopo interrogatori e grazie all’intervento delle famiglie, furono rilasciati e poterono ritornare a casa, io fui caricato su di un camion e trasportato a Torino, da dove con delle tradotte fui trasferito in Germania. Dapprima fui in un campo di concentramento a Dresda in Sassonia quindi finii a Chemnitz.
I prigionieri erano
assegnati a vari Arbeitskommandos (distaccamenti di lavoro) per essere
impiegati in varie aziende o nelle fattorie della zona. Il campo fu liberato
dalle forze americane nel marzo 1945.
Il campo era presso la Friedrich-August
Kaserme a Dresda, e nel Lager ricordo che conobbi le “cimici”
che fastidiosissime mi procurarono terribili pruriti e irritazioni anche
dolorose. La permanenza in quel campo durò solo qualche giorno ma fu
sufficiente a farmi comprendere che la prigionia non sarebbe stata per nulla
divertente
Dopo le
foto, il libretto di lavoro e il numero di matricola fui portato a lavorare in
una grande officina militare dove si
riparavano gli automezzi militari.
Sul posto
di lavoro vi erano i militari con fucile e il cane che ti controllavano e se
sgarravi erano botte, ma se svolgevi i tuoi compiti non succedeva nulla. Lavoravo ad una “fossa” ed ero sempre sotto
agli automezzi, mi usciva solo la testa! In quella grande officina, vi erano
prigionieri italiani, francesi, cecoslovacchi e di altre nazionalità, ero con
un francese che mi faceva da interprete essendo da più tempo prigioniero. Il
mangiare era poco e ci si arrangiava rubacchiando qualche patata nei campi. Nei
primi mesi di “prigionia” , con i miei compagni,
ero libero di uscire e girare per il paese( che era come Alba) e si andava
nelle osterie dove si beveva una birra e si mangiava una patata lessa! E quindi
si rientrava al dormitorio. Negli ultimi mesi neppure le trattorie
funzionavano, per timore dei bombardamenti e perché non avevano nulla da
somministrare. Nonostante si facesse la “fame” mi abituai e non sentivo neppure
più l’esigenza di mangiare, e comunque il peso corporeo si ridusse di una
quindicina di chili!
I tedeschi ci davano per il sostentamento due panini di segala alla settimana e dall’Italia arrivavano per essere distribuite le sigarette Tre stelle e Africa. Ricevevo due pacchetti di sigarette al mese, ma non fumavo e così le vendevo ai francesi che mi davano un chilo di pane ogni otto sigarette. Per effettuare questo scambio, io e altri andavamo di sera a raccogliere “èr ciche”(i mozziconi di sigarette) così da averne per il “commercio”!
TORCHIO GIOVANNI -04-1915 Borgomale Cuneo
Caporale
2 Rgt.Alpini
CATTURA Fronte Italiano
Data cattura 09-09-1943
Data
rientro26-06-1945
Liberato
il 21 aprile 1945.
Stalag
XI B/ZKZ E poi Mauthausen
Stalag XI B
Fu
un campo per prigionieri di guerra tedesco, situato nei pressi di Fallinbostel,
nella Bassa Sassonia.
Alla
fine del 1940 erano lì internati circa 40 mila militari.
Solo
2.500 di loro erano però alloggiati nel campo; la maggioranza era invece stata
assegnata a vari Arbeitskommandos (distaccamenti di lavoro) e impiegati in
varie attività produttive (aziende agricole e industrie) presenti nella zona.
Noi in
fabbrica bollavamo la carolina all’entrata e all’uscita e al termine della
settimana ci davano una piccola “paga”. Io ho portato a casa dei soldi tedeschi
che ho conservato.
I
FRANCESI RICEVEVANO PACCHI DA CASA
Cosa mi
dispiaceva era che mentre i prigionieri francesi, che erano già da un anno in
prigionia, ricevevano pacchi con cibo e vestiario da casa, noi italiani non abbiamo
mai ricevuto nulla, nonostante da casa dicessero di aver spedito!
Quando
finì la guerra ci incamminammo per venire a casa e dopo aver chiesto la
direzione percorremmo una decina di chilometri orientandoci con l’autostrada.
Poi gli americani ci fermarono e ci portarono in un capannone che era stata una
fabbrica di munizioni. Avevano portato fuori tutti i macchinari e realizzato
dormitorio e refettorio. Ci davano da mangiare e a noi abituati a quel poco pane
nero, sembrava incredibile ricevere quei bei panini bianchi. Rimanemmo là circa
un mese. Eravamo liberi di uscire e noi si andava a cercare qualcosa da
mangiare: patate, frutta. Gli americani ce ne davano, ma non ci bastava.
Purtroppo eravamo in una zona al confine con l'Austria e coltivavano solo
patate, orzo, Segala e poca verdura. Si era in tanti e successero anche fatti
brutti. Un nostro amico di Torino più anziano perché richiamato un giorno andò
in un orto a prendere dell' insalata e rimase fulminato perché il proprietario
aveva messo la corrente elettrica per impedire che gli rubassero l'insalata!
Con la rugiada il nostro amico che aveva anche famiglia, rimase ucciso. Fu
penoso e noi lo portammo in Chiesa e poi al Cimitero. Un'altra volta andammo in
4 o 5 a mangiare ciliegie da alcuni alberi. Uno di noi salì sull'albero e ci buttava giù le ciliegie,
quando ad un certo punto arrivò il proprietario urlando in tedesco e con un
grande bastone. Noi che eravamo sotto fuggimmo allontanandoci, ma il giovane
sopra l'albero non riuscì e dovette attendere un bel po' prima di escogitare un
sistema per fuggire. Attese il momento propizio e si gettò sull'uomo che cadde
e non riuscì a colpire il nostro amico che più rapido scappò nonostante le urla
del tedesco.
I DEABATE.
La
famiglia DeAbate, da Torino, nel periodo della guerra si trasferì a Benevello,
erano antifascisti e due dei fratelli organizzarono una Banda di partigiani.
Durante la guerra ebbero anche una sorella che morì colpita da un proiettile.
DEABATE
ARGENTINA DI CRISTINA E LUIGI
BENEVELLO
(CN/I) il 24/05/1929
Scolaro
BENEVELLO
(CN/I) il 25/11/1944
DEABATE LUIGI 0/09/1924 ALBA (CUNEO)
Nome di battaglia AUGUSTO
PARTIGIANO COM 6° DIV GARIBALDI
FORM AUT Dal 01/10/1943 Al 01/01/1944
COM 6° DIV GAR Dal 02/01/1944 Al 07/06/1945
UFF.ADD. AL COM Dal 02/01/1944 Al 07/06/1945
Luogo di deportazione GERMANIA Dal 07/04/1944
Al 10/06/1945
ARRESTO/DEPORTAZIONE
DEABATE CARLO 05/03/1919 ALBA (CN) -
AERONAUTICA
1^AVIERE DI GOVERNO
Nome di battaglia CARLO DI BENEVELLO PARTIGIANO
COM 2° DIV LANGHE
Prima formazione COM 2° DIV LANGHE Dal
22/05/1944 Al 08/05/1945
CAPO
SQUADRA Dal 22/05/1944 Al 08/05/1945
La loro
squadra ebbe per un po' la base in una casa disabitata qui sopra di noi
all'"Erba fresca" e li aiutammo dando loro da mangiare. Certo, non
erano tanto ben visti dai contadini perchè qualcuno dei loro partigiani rubacchiava
anche!
Al
termine della guerra per andare a Torino alla sfilata del 25 Aprile presero un
Birocin( calesse) e il cavallo. Pensammo di non rivederlo più e invece dopo
qualche settimana ci riconsegnarono tutto.
MASSIMO “
‘d PASCOL”
Noi avevamo un cavallo che era una meraviglia, sarà stato 90 miria
900kg. Era una "macchina da lavoro" docile e ubbidiente era mai
stanco.Mio padre svolgeva attività di trasporto per conto terzi e trasportava
due volte a settimana carichi di legname fino a 200 Miria ad Alba.
Andava
anche a falciare per altri con la macchina, una delle prime qui da noi, e aveva
adattato l'attacco ad un stanga per i buoi a due per il cavallo e questo
lavorava che era un piacere vederlo! Quando i Partigiani vennero a farsi
prestare il cavallo, mio padre lo diede a malincuore perché era proprio
affezionato e perché temeva di non rivederlo più! Ben, lo riportarono ma da 90 Miria sarà ancora stato 30 Miria! Il padre lo curò e nutrì ma non fu più come
prima! Quando prendemmo il cingolino , uno dei primi in zona, il papà non
perdeva occasione per rimpiangere il suo cavallo. Una volta piovve tanto e non riuscimmo
a portare il cingolo da lá sotto casa al portico e da ignoranti, invece di
coprirlo mettemmo uno straccio nel tubo di scappamento e così si rovinò il
motore! Non so quante volte il padre ci disse:< r'aissu vù Er mè caval
r'avriu portaro a cá! Avessimo ancora avuto il mio cavallo saremmo riusciti a
trainarlo a casa!>
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