NONNO GIOVANNI BONA CHE HO RINOMINATO
LE ALLUVIONI DELLA MIA VITA
Mio papà e mia mamma si
sposarono nel
MULINO DI ARGUELLO
IL DISASTRO DEL 1948
Un’altra alluvione che ricordo
io è successa nel
Quando finimmo di ripristinare
accadde cosa mia nonna aveva previsto. Iniziò nuovamente a piovere alle otto di
mattina e a mezzogiorno e mezzo mio padre avendo visto da una posizione elevata
che a un chilometro, dove il Belbo si incanalava per portare acqua al mulino,
era saltato il bastione e la paratia decise di andare via e portammo gli
animali alla Masseria.
Il PONTE DI NAPOLEONE
Fu un’alluvione disastrosa,
lungo tutto il Belbo non rimase una pianta da frutta né un “mo” gelso e fino a
Canelli non rimase un ponte tranne quello di Campetto che fu fatto costruire da
Napoleone. Quando l’acqua si ritirò vi era solo sabbia ghiaia e “tronch” tronchi .
Tornammo a sistemare il canale
per poter macinare per l’Autunno poiché la gente veniva a macinare per farsi un
po’ di scorta per l’Inverno. Il lavoro di arginamento tenne finchè non arrivò
l’alluvione del 1968. .Dopo le catastrofi del ’26 e del ’48 nel 1952,
scegliemmo di allontanarci dal Belbo e sia io che mio cugino Witer che nel
frattempo aveva preso il mulino der Paré sotto Cerretto Langhe, vendemmo e ci
trasferimmo noi ad Arguello e lui a Cerretto.
LE MIE SCUOLE
Nato nel 1930 al mulino di
Arguello frequentai l^ 2^ 3^ classe ad Arguello, la quarta a Cravanzana e la
quinta a Cerretto. Siccome mia mamma voleva farmi studiare diedi l’esame di
ammissione ad Alba ma ,in attesa che finisse la guerra mi fecero ripetere nel
1941 la classe quinta ad Arguello .
Siccome la guerra non cessava e i pericoli per scendere ad Alba erano tanti
(tra bombardamenti, repubblichini Tedeschi e partigiani) mi mandarono a
imparare il mestiere di sarto “a ‘mprende a cuse”.
NESSUNA “COCCOLA E PAURA DI
NIENTE
Fin dalla prima classe ero da
solo,a salire, dal Mulino ad Arguello,eppure non mi hanno mai
accompagnato,”vissi gnun e‘coccole nessuna e se avevi paura ti arrangiavi!.
Partivo che era ancora notte e con trenta centimetri di neve si andava
ugualmente e non son mai stato assente. Mio padre mi metteva le fasce ai piedi
e mi infilava gli zoccoli. In quei tempi non c’erano soldi per comprare le
scarpe!
Arrivavo a scuola con i piedi
bagnati,poiché dopo 5 minuti di cammino le fasce erano fuori e fradice e mi
tenevo i piedi umidi fino alle due quando arrivavo a casa. Eppure la neve non
mi ha mai fatto paura , in quanto si abitava in un posto dove le comodità non
esistevano e i buoi e la carretta erano usati per lavoro e necessitavano di uno
davanti e uno dietro per “saré” frenare in discesa e “ molé ra
saroira”allentare in salita.
Ra calà con i beu e o lezon
SPAZZANEVE CON BUOI
Se venivano solo 30 o
I
MIEI MAESTRI SARTI
Il primo Marzo del 1945
iniziai la scuola da Sartò qui ad Arguello da Lorenzo Gatti.
Dopo sei mesi “Iè tacaje
d’andè a Tirin, e mi son sta sensa maestro”. (Decise di andare a Torino e io
rimasi senza maestro.) Trovai un sarto a Montelupo che aveva già un apprendista
di Lequio Berria .Andavo al Lunedì e tornavo a casa il sabato , o a piedi o in
bicicletta. Il sarto era nella Borgata
Brantegna.
Ci mantenevamo da casa eh! La
mamma mi preparava del coniglio e altre
vivande per tutta la settimana.
.Dal primo Settembre del ’45 a Settembre del ’46 rimasi a
Montelupo ma il fratello del sarto si ammalò di Tubercolosi e i “mè “ “i miei
genitori “chiesero consiglio ar Professor d’Alba e decisero di tenermi a casa ..
TRE
ANNI PER IMPARARE IL MESTIERE
L’apprendista di Lequio Berria
era Mario Delponte e aveva quasi
terminato il suo percorso per imparare il mestiere. Lorensin tornò ad Arguello
e gli insegnò a tagliare le stoffe e lui
fu pronto a lavorare. Io venni ancora un anno e mezzo a “cuse” a cucire ed ebbi
il mestiere. Agli inizi imparai a usare “ra gugia e er dià” l’ago e il ditale
per cucire ,in seguito mi fecero “perfiré” sopraffilare poiché non c’erano
ancora le macchine che cucivano a punto “Zic zac”. Per cucire a sopraggitto un
paio di pantaloni occorreva più di un’ora! Ci sono quattro pezzi e bisogna
“Perfireje tut antorna per nen chi se sfira la stofa.” Cucirli tutto intorno
affinchè non si sfili la stoffa..In seguito ho imparato a cucire a macchina e a
“Fé er braje”a fare i pantaloni. Le giacche a quei tempi si producevano tutte a mano. Antava amprande a pèrfiré er
pince davanti, a piché er matalote e er paramonture, a fissé er plastro ,a
ambastì re spaline con r’ovatta e a apliché na mania.”Bisognava imparare a
sopraffilare le pieghe che ci sono davanti, a piccare i risvolti anteriori, a
fissare la tela rigida del davanti, a imbastire le spalline con l’ovatta e ad
applicare la manica .Dopo aver imbastito tutto ,fatto la prova e applicato la
fodera occorreva cucire tutto a mano in modo definitivo. A cucire una giacca
compreso il “punto mosca” del collo ci volevano due ore e mezza ,”ma a esse
lèst.! Ma a essere svelto! Una giacca tutta cucita a mano richiedeva due giorni
di lavoro, mezza giornata i pantaloni e “mesa giornà per er corpèt” e mezza giornata
per il panciotto.
UN LAVORO COMPLICATO
In tanti anni di lavoro il
lavoro più delicato che feci fu la “vesta ar Parco Don Odello Parroco di
Arguello.Lui era gentilissimo . Molte volte mi prestò la sua Topolino che pur
più vecchia e “Marandà” (Malmessa)della mia partiva sempre al primo colpo,la
mia “A fava sempre tribulé”.(faceva tribolare)
Aveva piacere che gli
realizzassi una veste e insistè talmente che mi ingegnai di fargliela. Tribolai
,ma prendendo spunto da alcuni libri, la preparai e lo feci contento.
SENZA
CORRENTE ELETTRICA!
Dopo qualche anno di lavoro
acquistai una macchina da cucire di seconda mano solo a pedale poiché non era ancora arrivata la luce e così pure
usavo i ferri da stiro con la brace o da piastra .Bisognava fare attenzione
,perché se le piastre erano troppo calde rischiavi di sprecare tutto!
Quando poi arrivò la luce
acquistai una macchina professionale che ho ancora adesso e che permette di
cucire anche stoffe spesse per i “Paltò” cappotti.
ADESSSO
HO SMESSO!
Per tanti anni ho avuto
clienti da tutti i paesi dei dintorni, poi con l’avvento “der robe fàte” dei
vestiti già pronti, realizzavo solo più pantaloni e abiti per persone fuori
misura e che avevano piacere facessi loro degli abiti su misura.
Qualche hanno fa ho deciso di
smettere il lavoro di sarto e avvisati i clienti più affezionati ho chiuso con
il cucito.
Giovanni Bona di Arguello da Miriné e Sartò è andato in pensione e fa solo più il nonno di Michele e gli insegna qualche "trucco" segreto della palla pugno e pantalera . Il suo segreto per stare in forma però è :Mai sté frèm! Mai stare fermo!
BONA GIOVANNI RICORDO DEI TEDESCHI IN BELBO
BONA GIOVANNI ARGUELLO 1930
MIO PADRE PRESO DAI
NAZIFASCISTI
NEL RASTRELLAMENTO DEL 20 11 1944
Io nel 1944 avevo 14 anni, ne
dimostravo 17, 18 e pesavo 65 Kg, così non credevano che avessi solo quell’età!
Mostravo la carta d’identità ma per non rischiare di essere arrestato o essere
preso come ostaggio preferivo andarmi a nascondere quando effettuavano i
rastrellamenti. Quella Domenica sera del 16 Gennaio 1944 mio padre, tornando
dall’osteria del paese vide che a Cerretto erano arrivati i nazifascisti, comprese
perché i partigiani avevano preparato il profondo fosso in fondo alla strada
che da Cerretto scende in Belbo. Prevedendo che sarebbero arrivati anche da noi
al Mulino del Belbo accelerò il passo e giunto a casa disse:
< Sarà meglio che
nascondiamo qualcosa prima che arrivino!>
Prendemmo un po’ di lenzuola, biancheria e coperte e le mettemmo in un “cofo”(baule)
e lo nascondemmo sotto una catasta di “Fass èd méjrasson” (Fasci di piante di meliga). Al mattino alle sei scese per vedere se vi erano dei rumori e vide che c’era un autoblindo con una dozzina di camion e una compagnia di soldati che stavano scendendo. Si barricò in casa, ma non fece a tempo di avvisarci che sentì battere alla porta. Erano i tedeschi che erano scesi da Cerretto e dovevano andare al Brich Cisterna. Avevano già preso uomini in ostaggio a Cerretto (come già detto da Cavallo Italo e Mario Cavallotto ‘d Fantin) e facevano portare loro le cassette delle munizioni. Presero anche lui e solo più tardi noi ci accorgemmo che non tornava. Ci preoccupammo ancora di più quando sentimmo che i Partigiani, che erano in tanti a Cravanzana, iniziarono a sparare con le mitragliatrici alla testa dello squadrone sbucato alla Cascina della Cà bianca. Fortunatamente mio padre si trovò a fianco ad un interprete che capiva l’italiano e riuscì a spiegargli che non aveva potuto avvisare i famigliari e questi si sarebbero preoccupati. Mosso a compassione, questo gli fece segno di andarsene. Ringraziò e prese a tornare indietro, anche se altri soldati volevano rifilargli cassette di proiettili. Rischiò e riuscì a tornare al mulino. Al pomeriggio vennero altri tedeschi, avevano un ferito ma l’auto non funzionava, così obbligarono il nostro mezzadro “Vigio cagatreno” ad attaccare i buoi e a trainarla in paese a Cerretto. Temevamo che una volta arrivati in paese sequestrassero i buoi, e invece lo lasciarono ritornare con le bestie. Io e mio padre vedemmo tutto dal nascondiglio nella vigna sopra il mulino. In quei tempi avevamo tutti dei nascondigli perché se ti prendevano ti incolonnavano e ti deportavano in Germania. Quasi tutte le famiglie avevano costruito dei rifugi-nascondigli dove nascondere giovani che erano in età di servizio militare o anche sbandati dopo l’8 settembre 43.
Noi lo costruimmo nella vigna
sopra il mulino. Realizzammo un fossa dove ci stessero due o più persone, la
ricoprimmo con “drè steppe” assi a loro volta nuovamente mimetizzate con terra
e letame, poi avevamo praticato un foro per entrare che richiudevamo con una
grande pietra che simulava la continuazione del muro della
Piovà(terrazzamento). Lo utilizzammo parecchie volte anche per nascondere dei
militari sbandati che sarebbe stato pericoloso lasciar dormire in cascina. A
questi fornimmo abiti borghesi da sostituire con quelli militari che venivano
bruciati o nascosti,
STERMESSE NASCONDERSI
Piovà TERRAZZAMENTI
Fé COMPASSION
https://youtu.be/8yElceoF398 NASCONDIGLI
Al Mulino di Arguello avevamo
preparato un nascondiglio tra il ”Rodon” (RUOTA A PALE DEL MULINO AD ACQUA) e
il muro Avevamo costruito con delle assi un gabbiotto dove VITER , mio cugino
andava a nascondersi quando arrivavano i nazifascisti. Così non veniva in mente
a nessuno di andare a vedere in quello spazio. Una volta li vedemmo che
scendevano dalla strada che arriva da Cerretto, sembravano distanti, demmo
l’allarme ma quando furono dalle case di Pianponga non li vedemmo più! Erano
talmente tanti che i primi girammo gli occhi e ce li trovammo già davanti al
mulino che piazzavano le mitraglie. Ci fecero andare tutti nel cortile e
chiesero dove erano i Partigiani. Io e tutti dicemmo che non li avevamo visti.
Per spaventarci il comandante piantava certe urla in tedesco! Quella volta lì
da noi non presero nessuno invece
arrestarono due che abitavano in una “ciaborna di solo due stanzette una sotto
e una sopra” che era poco distante da noi lungo il Belbo. Questi vestivano come
dei partigiani e davano nell’occhio. Li fecero procedere davanti a tutti e
salirono verso Cravanzana. Gli ostaggi li facevano camminare davanti così se
qualche Partigiano sparava loro erano protetti e allertati!
Un altro nascondiglio lo costruimmo dalla casa qui sopra chiamata dèr Murin perché era anche nostra e ci andavamo quando c’era rischio di alluvioni. Dietro questa casa andando verso il bosco c’era uno “Scao” (essicatoio) e c’erano dei muri per terrazzamenti” Piovà ” , tra un muro e l’altro facemmo un scavo grande come una stanzetta e lo ricoprimmo con assi e ramaglie. Ci entravano 4 o 5 persone, quanti eravamo quelli che dovevano nasconderci al mulino.
ESSICATOIO "SCAO"Eh dei bei sbaruv !(spaventi)
ce li siamo presi tra sbandà, republican, tedesch e Partigian! Una volta
arrivarono dei soldati sbandati dalla Francia e ci chiesero di dar loro degli
abiti civili, in modo che potessero proteggersi dai nazifascisti. Noi li vestimmo
con quanto avevamo e loro ci lasciarono le loro divise. Ci sbrigammo a metterle
in un sacco e a nasconderlo, ma i Partigiani vennero e se lo fecero consegnare,
ce lo togliemmo volentieri, ma così rimanemmo senza abiti civili e senza quelli
militari che sarebbero potuti servire come stoffa a fine guerra!
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