venerdì 5 aprile 2024

BONA GIOVANNI ARGUELLO 1930

 


                             



                               NONNO GIOVANNI BONA CHE HO RINOMINATO

 

LE ALLUVIONI DELLA MIA VITA

Mio papà e mia mamma si sposarono nel 1928 a Lequio Berria . La mamma veniva dalla Cascina Massa che dista tre chilometri dalla Chiesa e mi raccontava che quel giorno di fine Febbraio venne “in Fiocon” una nevicata che li costrinse a mettersi i “sòcro” zoccoli per raggiungere il paese. Io sono nato al mulino di Arguello dove mio padre e mio padrino Barba Paolin(il papà di Witer) facevano i miriné i mugnai. Nel 1926 ebbero grandi problemi in quanto oltre a perdere entrambi i genitori ci fu una alluvione che li costrinse a costruire un bastione di pietre con delle gabbie di ferro che proteggesse il mulino poiché Belbo aveva deviato il suo corso proprio verso il mulino. Fu un lavoro massacrante e lungo e proprio per questo non si trovavano manovali. Chi veniva lavorava una giornata, poi a "masanté" maneggiare quei massi si stancavano tantissimo e non tornavano il giorno dopo! 


                    MULINO DI ARGUELLO

IL DISASTRO DEL 1948

Un’altra alluvione che ricordo io è successa nel 1948. A Settembre, dopo un’estate di siccità ,a causa della quale non si poteva più macinare, alle sei di mattina iniziò a piovere impetuosamente a intervalli di un quarto d’ora. Il papà “o cisava” chiudeva la paratia affinchè l’acqua del Belbo non raggiungesse il canale della ruota del mulino ma alle sette avevavamo già l’acqua contro la casa. Belbo aveva saltato paratie e bastione. Piovve violentemente fino alle quattro del pomeriggio e poi continuò. Verso sera prendemmo  “er bestie” gli animali e salimmo nelle casetta su per la strada di Arguello.  Lavorammo otto giorni per ripristinare il bastione e il canale anche assumendo dei “manoà” manovali che però venivano solo una giornata perché il lavoro era massacrante:bisognava sollevare a mano massi di  pietra per sistemarli nelle gabbie di filo di ferro.

Quando finimmo di ripristinare accadde cosa mia nonna aveva previsto. Iniziò nuovamente a piovere alle otto di mattina e a mezzogiorno e mezzo mio padre avendo visto da una posizione elevata che a un chilometro, dove il Belbo si incanalava per portare acqua al mulino, era saltato il bastione e la paratia decise di andare via e portammo gli animali alla Masseria.



                IL FIUME BELBO A CAMPETTO

 

Il PONTE DI NAPOLEONE

Fu un’alluvione disastrosa, lungo tutto il Belbo non rimase una pianta da frutta né un “mo” gelso e fino a Canelli non rimase un ponte tranne quello di Campetto che fu fatto costruire da Napoleone. Quando l’acqua si ritirò vi era solo sabbia  ghiaia e “tronch” tronchi . 

Tornammo a sistemare il canale per poter macinare per l’Autunno poiché la gente veniva a macinare per farsi un po’ di scorta per l’Inverno. Il lavoro di arginamento tenne finchè non arrivò l’alluvione del 1968. .Dopo le catastrofi del ’26 e del ’48 nel 1952, scegliemmo di allontanarci dal Belbo e sia io che mio cugino Witer che nel frattempo aveva preso il mulino der Paré sotto Cerretto Langhe, vendemmo e ci trasferimmo noi ad Arguello e lui a Cerretto.

 

 

LE MIE SCUOLE

Nato nel 1930 al mulino di Arguello frequentai l^ 2^ 3^ classe ad Arguello, la quarta a Cravanzana e la quinta a Cerretto. Siccome mia mamma voleva farmi studiare diedi l’esame di ammissione ad Alba ma ,in attesa che finisse la guerra mi fecero ripetere nel 1941 la classe  quinta ad Arguello . Siccome la guerra non cessava e i pericoli per scendere ad Alba erano tanti (tra bombardamenti, repubblichini Tedeschi e partigiani) mi mandarono a imparare il mestiere di sarto “a ‘mprende a cuse”.

 

NESSUNA “COCCOLA E PAURA DI NIENTE

Fin dalla prima classe ero da solo,a salire, dal Mulino ad Arguello,eppure non mi hanno mai accompagnato,”vissi gnun e‘coccole nessuna e se avevi paura ti arrangiavi!. Partivo che era ancora notte e con trenta centimetri di neve si andava ugualmente e non son mai stato assente. Mio padre mi metteva le fasce ai piedi e mi infilava gli zoccoli. In quei tempi non c’erano soldi per comprare le scarpe!

Arrivavo a scuola con i piedi bagnati,poiché dopo 5 minuti di cammino le fasce erano fuori e fradice e mi tenevo i piedi umidi fino alle due quando arrivavo a casa. Eppure la neve non mi ha mai fatto paura , in quanto si abitava in un posto dove le comodità non esistevano e i buoi e la carretta erano usati per lavoro e necessitavano di uno davanti e uno dietro per “saré” frenare in discesa e “ molé ra saroira”allentare in salita.

 

Ra calà con i beu e o lezon

SPAZZANEVE CON BUOI 

Se venivano solo 30 o 40 centimetri di neve “a se sciancava a pé” si faceva il sentiero a piedi o la si toglieva con la pala, se venivano 50 o 60 cm si usavano “ra leza “spazzaneve e i buoi. In salita la tenevamo chiusa e in discesa salivamo in due o tre per schiacciare e mettevamo una pietra pesante sulla  punta. Mi ricordo che un anno nevicò solo due volte ma entrambe le volte ne vennero un metro e quindici. Impiegammo due giorni a spalare, dovevamo fare un sentiero abbastanza largo  e in più avevamo la strada di Arguello fino alla Masseria, verso Cravanzana fino alla Cà Bianca e verso Cerretto fino ai Parodi, dove mi son sposato io. Bisognava pulire le strade poiché la gente veniva a macinare con un sacco di meliga o grano in spalla e se trovava la neve poi non veniva più. Il nostro mulino con quello di Campetto era quello che macinava di più nonostante di mulini sul Belbo ce ne fossero tanti.

 

I MIEI MAESTRI SARTI

 



PER STIRARE LE MANICHE



Il primo Marzo del 1945 iniziai la scuola da Sartò qui ad Arguello da Lorenzo Gatti.

Dopo sei mesi “Iè tacaje d’andè a Tirin, e mi son sta sensa maestro”. (Decise di andare a Torino e io rimasi senza maestro.) Trovai un sarto a Montelupo che aveva già un apprendista di Lequio Berria .Andavo al Lunedì e tornavo a casa il sabato , o a piedi o in bicicletta. Il sarto era  nella Borgata Brantegna.    

Ci mantenevamo da casa eh! La mamma mi preparava del  coniglio e altre vivande per tutta la settimana.

.Dal primo Settembre  del ’45 a Settembre del ’46 rimasi a Montelupo ma il fratello del sarto si ammalò di Tubercolosi e i “mè “ “i miei genitori “chiesero consiglio ar Professor d’Alba  e decisero di tenermi a casa ..

 

 

TRE ANNI PER IMPARARE IL MESTIERE

 

L’apprendista di Lequio Berria era Mario Delponte  e aveva quasi terminato il suo percorso per imparare il mestiere. Lorensin tornò ad Arguello e  gli insegnò a tagliare le stoffe e lui fu pronto a lavorare. Io venni ancora un anno e mezzo a “cuse” a cucire ed ebbi il mestiere. Agli inizi imparai a usare “ra gugia e er dià” l’ago e il ditale per cucire ,in seguito mi fecero “perfiré” sopraffilare poiché non c’erano ancora le macchine che cucivano a punto “Zic zac”. Per cucire a sopraggitto un paio di pantaloni occorreva più di un’ora! Ci sono quattro pezzi e bisogna “Perfireje tut antorna per nen chi se sfira la stofa.” Cucirli tutto intorno affinchè non si sfili la stoffa..In seguito ho imparato a cucire a macchina e a “Fé er braje”a fare i pantaloni. Le giacche a quei tempi si producevano  tutte a mano. Antava amprande a pèrfiré er pince davanti, a piché er matalote e er paramonture, a fissé er plastro ,a ambastì re spaline con r’ovatta e a apliché na mania.”Bisognava imparare a sopraffilare le pieghe che ci sono davanti, a piccare i risvolti anteriori, a fissare la tela rigida del davanti, a imbastire le spalline con l’ovatta e ad applicare la manica .Dopo aver imbastito tutto ,fatto la prova e applicato la fodera occorreva cucire tutto a mano in modo definitivo. A cucire una giacca compreso il “punto mosca” del collo ci volevano due ore e mezza ,”ma a esse lèst.! Ma a essere svelto! Una giacca tutta cucita a mano richiedeva due giorni di lavoro, mezza giornata i pantaloni e “mesa giornà per er corpèt” e mezza giornata per il panciotto.

 

 


 


 

 

 

UN LAVORO COMPLICATO

 

In tanti anni di lavoro il lavoro più delicato che feci fu la “vesta ar Parco Don Odello Parroco di Arguello.Lui era gentilissimo . Molte volte mi prestò la sua Topolino che pur più vecchia e “Marandà” (Malmessa)della mia partiva sempre al primo colpo,la mia “A fava sempre tribulé”.(faceva tribolare)

Aveva piacere che gli realizzassi una veste e insistè talmente che mi ingegnai di fargliela. Tribolai ,ma prendendo spunto da alcuni libri, la preparai e lo feci contento.

SENZA CORRENTE ELETTRICA!

Dopo qualche anno di lavoro acquistai una macchina da cucire di seconda mano solo a pedale poiché  non era ancora arrivata la luce e così pure usavo i ferri da stiro con la brace o da piastra .Bisognava fare attenzione ,perché se le piastre erano troppo calde rischiavi di sprecare tutto!

Quando poi arrivò la luce acquistai una macchina professionale che ho ancora adesso e che permette di cucire anche stoffe spesse per i “Paltò” cappotti.

 

ADESSSO HO SMESSO!

Per tanti anni ho avuto clienti da tutti i paesi dei dintorni, poi con l’avvento “der robe fàte” dei vestiti già pronti, realizzavo solo più pantaloni e abiti per persone fuori misura e che avevano piacere facessi loro degli abiti su misura.

Qualche hanno fa ho deciso di smettere il lavoro di sarto e avvisati i clienti più affezionati ho chiuso con il cucito.

 

Giovanni Bona di Arguello da Miriné e Sartò è andato in pensione e fa solo più il nonno di Michele e gli insegna qualche "trucco" segreto della palla pugno e pantalera . Il suo segreto per stare in forma però è :Mai sté frèm! Mai stare fermo!


Giovanni, Angelo “o Cit”, Italo , Reste



 

https://youtu.be/7Ceg5SQV6-s                    

 BONA GIOVANNI RICORDO DEI TEDESCHI IN BELBO

BONA GIOVANNI  ARGUELLO 1930

MIO PADRE PRESO DAI NAZIFASCISTI

NEL RASTRELLAMENTO DEL 20 11 1944

Io nel 1944 avevo 14 anni, ne dimostravo 17, 18 e pesavo 65 Kg, così non credevano che avessi solo quell’età! Mostravo la carta d’identità ma per non rischiare di essere arrestato o essere preso come ostaggio preferivo andarmi a nascondere quando effettuavano i rastrellamenti. Quella Domenica sera del 16 Gennaio 1944 mio padre, tornando dall’osteria del paese vide che a Cerretto erano arrivati i nazifascisti, comprese perché i partigiani avevano preparato il profondo fosso in fondo alla strada che da Cerretto scende in Belbo. Prevedendo che sarebbero arrivati anche da noi al Mulino del Belbo accelerò il passo e giunto a casa disse:

< Sarà meglio che nascondiamo qualcosa prima che arrivino!>

Prendemmo un po’ di lenzuola, biancheria e coperte e le mettemmo in un “cofo”(baule)


e lo nascondemmo sotto una catasta di “Fass èd méjrasson” (Fasci di piante di meliga). Al mattino alle sei scese per vedere se vi erano dei rumori e vide che c’era un autoblindo con una dozzina di camion e una compagnia di soldati che stavano scendendo. Si barricò in casa, ma non fece a tempo di avvisarci che sentì battere alla porta. Erano i tedeschi che erano scesi da Cerretto e dovevano andare al Brich Cisterna. Avevano già preso uomini in ostaggio a Cerretto (come già detto da Cavallo Italo e Mario Cavallotto ‘d Fantin) e facevano portare loro le cassette delle munizioni. Presero anche lui e solo più tardi noi ci accorgemmo che non tornava. Ci preoccupammo ancora di più quando sentimmo che i Partigiani, che erano in tanti a Cravanzana, iniziarono a sparare con le mitragliatrici alla testa dello squadrone sbucato alla Cascina della Cà bianca. Fortunatamente mio padre si trovò a fianco ad un interprete che capiva l’italiano e riuscì a spiegargli che non aveva potuto avvisare i famigliari e questi si sarebbero preoccupati. Mosso a compassione, questo gli fece segno di andarsene. Ringraziò e prese a tornare indietro, anche se altri soldati volevano rifilargli cassette di proiettili. Rischiò e riuscì a tornare al mulino. Al pomeriggio vennero altri tedeschi, avevano un ferito ma l’auto non funzionava, così obbligarono il nostro mezzadro “Vigio cagatreno” ad attaccare i buoi e a trainarla in paese a Cerretto. Temevamo che una volta arrivati in paese sequestrassero i buoi, e invece lo lasciarono ritornare con le bestie. Io e mio padre vedemmo tutto dal nascondiglio nella vigna sopra il mulino. In quei tempi avevamo tutti dei nascondigli perché se ti prendevano ti incolonnavano e ti deportavano in Germania. Quasi tutte le famiglie avevano costruito dei rifugi-nascondigli dove nascondere giovani che erano in età di servizio militare o anche sbandati dopo l’8 settembre 43.

Noi lo costruimmo nella vigna sopra il mulino. Realizzammo un fossa dove ci stessero due o più persone, la ricoprimmo con “drè steppe” assi a loro volta nuovamente mimetizzate con terra e letame, poi avevamo praticato un foro per entrare che richiudevamo con una grande pietra che simulava la continuazione del muro della Piovà(terrazzamento). Lo utilizzammo parecchie volte anche per nascondere dei militari sbandati che sarebbe stato pericoloso lasciar dormire in cascina. A questi fornimmo abiti borghesi da sostituire con quelli militari che venivano bruciati o nascosti,

 

STERMESSE     NASCONDERSI

Piovà                  TERRAZZAMENTI

 Fé COMPASSION

 




 

https://youtu.be/8yElceoF398 NASCONDIGLI

Al Mulino di Arguello avevamo preparato un nascondiglio tra il ”Rodon” (RUOTA A PALE DEL MULINO AD ACQUA) e il muro Avevamo costruito con delle assi un gabbiotto dove VITER , mio cugino andava a nascondersi quando arrivavano i nazifascisti. Così non veniva in mente a nessuno di andare a vedere in quello spazio. Una volta li vedemmo che scendevano dalla strada che arriva da Cerretto, sembravano distanti, demmo l’allarme ma quando furono dalle case di Pianponga non li vedemmo più! Erano talmente tanti che i primi girammo gli occhi e ce li trovammo già davanti al mulino che piazzavano le mitraglie. Ci fecero andare tutti nel cortile e chiesero dove erano i Partigiani. Io e tutti dicemmo che non li avevamo visti. Per spaventarci il comandante piantava certe urla in tedesco! Quella volta lì da noi non presero nessuno  invece arrestarono due che abitavano in una “ciaborna di solo due stanzette una sotto e una sopra” che era poco distante da noi lungo il Belbo. Questi vestivano come dei partigiani e davano nell’occhio. Li fecero procedere davanti a tutti e salirono verso Cravanzana. Gli ostaggi li facevano camminare davanti così se qualche Partigiano sparava loro erano protetti e allertati!

Un altro nascondiglio lo costruimmo dalla casa qui sopra chiamata dèr Murin perché era anche nostra e ci andavamo quando c’era rischio di alluvioni. Dietro questa casa andando verso il bosco c’era uno “Scao” (essicatoio) e c’erano dei muri per terrazzamenti” Piovà ” ,  tra un muro e l’altro facemmo un scavo grande come una stanzetta e lo ricoprimmo con assi e ramaglie. Ci entravano 4 o 5 persone, quanti eravamo quelli che dovevano nasconderci al mulino.

                     ESSICATOIO      "SCAO"

Eh dei bei sbaruv !(spaventi) ce li siamo presi tra sbandà, republican, tedesch e Partigian! Una volta arrivarono dei soldati sbandati dalla Francia e ci chiesero di dar loro degli abiti civili, in modo che potessero proteggersi dai nazifascisti. Noi li vestimmo con quanto avevamo e loro ci lasciarono le loro divise. Ci sbrigammo a metterle in un sacco e a nasconderlo, ma i Partigiani vennero e se lo fecero consegnare, ce lo togliemmo volentieri, ma così rimanemmo senza abiti civili e senza quelli militari che sarebbero potuti servire come stoffa a fine guerra!

 


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