Chiola Bona Secondina Neive 1913 FUGA DA POLA
Secondina,
in seconde nozze, andò in sposa ad un impiegato della Prefettura. Questi, inviato
a Pola la condusse con sé ad espletare il suo incarico e a vivere in una casa
favolosa “con mobili costruiti su misura”.
Tra il dicembre 1946 e il marzo 1947, circa 28.000
dei 32.000 abitanti di Pola abbandonarono la città dirigendosi lungo le sponde
italiane del Mare Adriatico. A trascinarli via dalle loro case la notizia
dell’imminente firma del Trattato di Pace di Parigi che, oltre a Pola, avrebbe
assegnato alla Jugoslavia di Tito anche Fiume, Zara e quasi tutta la restante
parte dell’Istria
Anche Secondina dovette abbandonare la sua bella
casa e in “fretta e furia” lasciare il marito e la casa che avevano realizzato.
Partì con un solo bagaglio “una valigia di cartone” dice, e tra gravi rischi e
visioni che le ritornano alla mente e le fanno ripetere: “quante cose brutte ,
brutte, brutte vidi!.”
Le chiedo perché dovette fuggire e mi risponde:
“…perché ci facevano fuori noi italiani. I tedeschi, e soprattutto i “titini”
imprigionavano e torturavano gli italiani che non lasciavano Pola. Mio marito
dovette rimanere, ed io fuggii. Gli italiani che non lasciavano la città
abbandonando tutti i loro beni, venivano catturati, torturati e poi li facevano
scomparire, legandoli schiena contro schiena per poi gettarli nelle Foibe.
Erano profondi pozzi, fosse del terreno, e io le
vidi. Ricordo che avendo sentito dire che avevano gettato delle persone nelle
Foibe, andammo a vedere dove vi erano queste grandi buche e vedendo un bambino
che scendeva in quegli antri chiedemmo cosa facesse e lui rispose che andava a
cercare il suo papà!”
Venne via da sola e ritornò a Neive nella casa
paterna. Il marito fu costretto a rimanere in Prefettura per circa un anno,
senza poter dare notizie di sé. I collegamenti sia telefonici che postali
furono interrotti e Secondina, per un lungo anno non seppe se era vivo o morto.
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