sabato 29 luglio 2023

 

SECCO CARLO STORIE DELLA GUERRA




STORIE DI GUERRA

Gepin Brangero di Leviti, era del 1924. CARLO Raccontava che lo fecero ancora partire militare e andò dalle parti di Alessandria. All’otto settembre si avviò verso casa con un compagno, ma mentre procedevano per una strada di campagna giunse una “camionetta” con la mitragliatrice e cominciò a sparare. Lui si buttò in un campo di meliga e si salvò, invece il suo compagno rimase ucciso.

Il papà di Maria, invece del 1899 partì per la guerra di Libia che non aveva ancora 18 anni.

Mi ricordo di Annibale, il fratello dello zio Nando. Noi si lavorava nella vigna e lui venne a salutare perché il giorno dopo partiva.(Mossio Annibale classe 1922)nella foto con Mamma Paolina

Mio nonno (PROGLIO CARLO 8 GIUGNO 1882 MEDIO ISONZO 1917) quando fu richiamato per la Guerra del ‘15/’18 era già sposato ed aveva già mia mamma e mia nonna era in attesa della mamma di Dino. Successe che doveva venire in Licenza ma per un caso di omonimia lasciò partire un suo compagno e lui attese, ma nel frattempo fu ucciso in un combattimento.


Gepin della Cerrata, il papà di Alfonso che era del 1913 e anche lui sposato fu richiamato in guerra. Tra militare e prigionia fu lontano da casa per 10 lunghi anni. Diceva sempre: <vi auguro non abbiate figli maschi che non debbano fare il “soldato”!>



 



https://youtu.be/Zzu9d4r8bGM

NELLA SIBONA Lequio Berria

 


NELLA SIBONA Lequio Berria


LA MEMORIA RACCHIUSA NELLE OPERE DI Papà “Fiori”

https://youtu.be/B9Ui7XrBbDw






Grazie a Nella che mi permette di inserire nella Banca della Memoria, delle tradizioni e dell’identità dell’Alta Langa il loro grande papà Fiorentino Sibona detto “Fiori”. 

Onorato e felice di effettuare la visita nel museo di Fiori mi ritrovo immediatamente a collegare l’Artista ad altri ricordi che mi portano all’incontro che ebbi accompagnato da Nando di Bosia e Arguello. Successe tanti anni fa e trovammo èr “MÈJ DA BOSCH”, che si addice perfettamente a Fiori, nel laboratorio di “ Migliore da legno” . 

Unisco quel ricordo alle foto di famiglia e opere e mi avvio in un sogno che vuole Onorare la Memoria di un personaggio che spero approverà la mia”RETE” di memorie.

Accompagnato da Nando trovo Fiori che nato nel 1904 da Giuseppe del 1879 e Giovanna Sappa di Roddino, visse un infanzia  ai “Patach“ con le sorelle e fratelli Giuseppina, Caterina, Clemente e Celestina. Mi piace vederlo intento a realizzare giochi nel semplice laboratorio  “sota èr porti” (sotto il portico)del papà che era sì contadino ma come mi raccontarono Nando, Dilia, Augusto e molti altri, sapeva realizzare con il legno, attrezzi ceste mobili e riparare carri e carretti. Fiori sicuramente osservò il papà Giuseppe nel lavoro e mise in pratica quanto poi consigliò a Carlo del Brich di Arguello “ Bèjca j’atri a travajé e ar’abzogn ricordètne”. (Osserva gli altri a lavorare e al bisogno ricordatene)

Nel 1924 Fiori, dopo Avèj tirà èr bijèt vestì la divisa militare da Alpino e andò soldato fortunatamente senza guerra. Tornò e si sposò con Giuseppina Destefanis del 1913  ed ebbero quattro Bimbe: Franca che andò in cielo nel ‘93, Marisa, Nella e Palmina. Non furono tempi facili poichè la guerra a Lequio Berria la vissero pesantemente. Come raccontano Alfredo Secco, Sesto Mo, e hanno raccontato Secondina Bosio, Rosa Sibona Travaglio e Amedeo Castagnotti con l’arrivo dei tedeschi a Lequio si vissero momenti terribili e si assistette  ad atrocità che portarono troppi morti. (Vedi fatti del 29 Giugno 1944 e del Febbraio 1945). 

Fiori si rese sempre disponibile a collaborare per le necessità del paese e come racconta Alfredo Secco figlio di Cento, altro falegname storico del paese contribuirono a realizzare le casse per seppellire i poveri resti dei giovani Partigiani stroncati dalla furia nazifascista. Alfredo ricorda che parecchie persone del paese furono messe al muro per collaborazionismo(costruzione delle casse per la Maestra e i Partigiani uccisi) e poi salvati dal mitico Dottor Cardone, di cui tutti ricordano la professionalità e umanità. 

Quando la guerra finì Fiorin continuò a essere “ il mèj da bosch” per le necessità dei compaesani e degli amici dei paesi vicini ed esercitò anche altre arti quali il fabbro e il barbiere ma anche “L’affabulatore” e cantore per le sue bimbe. Anche nei periodi più bui e tristi come ricordarono, i preti che lo conobbero, seppe sempre confortare sè stesso e la famiglia con la profonda Fede in Dio. Fiorin ebbe da Dio il dono della longevità che gli permise di godere dell’affetto di molte persone che apprezzarono la sua gentilezza e disponibilità, e delle figlie e nipoti che raccontano ai propri figli la dolcezza, bontà e simpatia del nonno Fiorin che oltre a realizzare per loro “trottole ed altri giochi” insegnava filastrocche e Preghiere anche in piemontese!

Nei suoi lavori, vere opere d’arte, ha lasciato molti messaggi che in chi sa leggerli ispirano saggezza e invito ad apprezzare e rispettare la bellezza della natura e dei suoi doni. Osservare le sue opere è un arricchimento culturale che fa bene all’anima. Mi richiamano collegamenti di memorie legati a valori fondamentali quali la semplicità la precisione, l’espressività. 

Grazie Fiori, continua ad ispirarci nel Cammino terreno. 

Bona sèira Giaco Tross, le ninssole son pa noz

E le nos son pa ninssole, e  j’èmssé son  pa le nore.

E le nore son pa j’èmssé , e la tera l’è pà dané

E i dané son pa la tèra, e la paz l’è pà la guera.

E la guera l’è pa la paz, e la boca l’è pa ‘l naz

E ìl naz l’è nen la boca, e lo fuz l’è pa la roca

E la roca l’è pa ‘l fuz, e la fnestra l’è pa l’uss

E l’uss l’è pa la fnestra, e ‘n toch ‘d pan l’è pa la mnestra.

E la mnestra l’è pa ‘n toch ‘d pan. E la gata l’è pa ‘l can

E ‘l can l’è nen la gata, e ‘l maton l’è nen la mata

E  la mata l’è pa ‘l maton, e la tèra l’è pa ‘l mon

E ‘l mon l’è pa la tera, e 'l mèrcà l’è pa la féra

E la féra l’è pa ‘l mèrca, e lo preivi l’è pà ‘l frà

E lo frà l’è nen lo prèivi, e lo vin l’è bon da bèivi 

 



RACCONTI DELLE ESPERIENZE DI MAMMA E PAPA’ NELLA GUERRA

Anche se era piccola, Nella ricorda molto bene alcuni fatti del periodo della guerra. Quando i nazifascisti arrivavano a Lequio Berria in Piazza, venivano subito a controllare il cortile di Fiuri, essendo vicino e sulla strada. Quegli uomini armati, i loro passi e le loro urla Nella non  li dimentica a distanza di ormai tanti anni.

Una volta andarono per uno dei loro “rastrellamenti” alla ricerca di giovani di leva e Partigiani, ma anche per rovistare in casa e rubare oro, biancheria salami formaggi e quel poco che avevano. Per evitare che  prendessero loro le poche cose di casa, mamma e papà avevano nascosto sia biancheria che roba mangiativa dentro un baule e sopra  avevano messo un materasso che fungesse da lettino per lei.

Mamma le disse di dormire tranquilla e se avesse sentito dei rumori di fare finta di dormire e non muoversi per evitare che uomini cattivi mla portassero via! Vennero che lei  dormiva ed entrarono in casa, dopo aver frugato in tutte le camere un militare sferrò un calcio al baule e chiese cosa ci fosse dentro, lei  si svegliò  ma non si mosse, mamma prontamente disse che vi erano abiti e fasce delle bambine! E aggiunse: <se vuole vedere guardi pure!> e fece per sollevarla! Ma il tedesco se ne andò! Il bluff della mamma era riuscito!

In un’altra occasione vennero e chiesero dove fossero gli uomini, e lei disse che suo marito era via per lavoro! In realtà il papà era nascosto nel solaio al quale si accedeva attraverso una botola della cucina. I militari frugarono nelle camere, poi uno chiese di vedere oltre la botola! La mamma gli indicò tremante la scala che aveva realizzato Fiuri e questi la appoggiò e salì qualche gradino. Quando fu a metà una voce dal cortile ordinò di andare. Alla mamma e al papà si allargò il cuore! Quando se ne furono andati e mamma comunicò il cessato allarme il padre scese ancora spaventato e raccontò sempre che lo avevano salvato le preghiere che aveva recitato. Era un uomo di grande Fede e sempre  insegnò a confidare nel buon DIO e a pregare.

Il fatto più terribile successe quando i nazifascisti arrivarono improvvisamente e puntando il mitragliatore al petto di papà gli ordinarono di fornire loro della legna che doveva servire come carburante per il camion con motore a fuoco! 


Fiori disse che non aveva legna pronta in quel momento! Questi gli diedero tempo 24 ore per preparare i pezzi della misura che volevano oppure “kaputt” . Il papà di Nella, sapendo che non scherzavano chiese aiuto alla gente del paese e tutti collaborarono nel  procurargli dei pali di castagno da segare per i tedeschi! Si mise all’opera ma quando fece buio dovette fare i conti con “il coprifuoco” e con gli aerei che bombardavano se vedevano delle luci! Finchè non ebbe terminato, la mamma  Pina e le bambine rimasero con gli occhi al cielo per avvisare se avessero avvistato o udito  bombardieri! La mamma avvistò ben due volte aerei e si dovette spegnere ogni luce e attendere fossero transitati. Dopo tanto lavoro, papà ebbe pronto il mucchio di legna per i tedeschi che senza ringraziare se ne andarono.

Dopo un paio di visite dei nazifascisti Papà Fiori, avendo sentito che requisivano tutto quello che poteva loro servire, decise di portare in campagna la sua moto a cui teneva tanto. Chiese aiuto ad alcuni amici del paese e all’ imbrunire la portarono nei pressi di una cascina di Lequio  e la calarono in un “Crotin” , quindi ricoprirono l’accesso con fasci di legna e frasche. Alla fine della guerra la recuperò felice e ringraziò Dio per avergli permesso di riutilizzarla.

 

 

Nella conferma anche il racconto di Alfredo Secco . Quando a Febbraio i tedeschi e i fascisti effettuarono la strage di Partigiani e della Maestra , il medico Cardone chiese a Cento Secco, il padre di Alfredo e a Fiuri di costruire le bare per i poveri cadaveri. Loro le realizzarono ma quando tornarono i nazifascisti furono accusati di insubordinazione agli ordini: avevano detto di non rimuovere i cadaveri! Con La forza i tedeschi trascinarono in piazza i falegnami Cento con il figlio Alfredo di 15 anni, Fiuri ed altri sette o otto e li misero al muro. Intanto che si stava per compiere un’altra strage giunse il Dottor Cardone che si assunse la colpa, se di colpa si poteva parlare, di aver ordinato ai falegnami di preparare le bare. Tutti furono rilasciati e poterono tornare alle loro case, ma grande fu lo spavento.

 

venerdì 28 luglio 2023

FIORINO CORRADO MARGHERITA LEQUIO BERRIA

 Fiorino Margherita Lequio Berria 





Margherita Fiorino Corrado (Lequio Berria 1945 di Torrengo Giuseppina 1914 e di Giovanni Francesco Lequio Berria 1912

 

https://youtu.be/ik8_zWeK_tc    

Mio papà nella guerra

Rita: <Mio padre, Alpino, partecipò alla guerra di Francia e raccontava che gli successe, mentre era sul Fronte di guerra, di imbattersi in un commmilitone che ferito e con una gamba fratturata, gemeva infreddolito e si preparava a morire. Francesco senza esitare gettò via il tascapane e si caricò sulle spalle qull’omino sofferente. Papà era grande e grosso e trasportò per trenta e più chilometri il compagno che continuva a dirgli :<lasciami qui, salvati, rischi di essere colpito anche tu!> Ma papà Francesco lo portò fino all’infermeria da campo e lo salvò.

<Tanti anni dopo, negli anni ottanta, avevamo mio marito Angelo in Ospedale e mio papà venne con me a fargli visita. Intanto che eravamo vicino al letto, papà sentì una voce che gli ricordava quella di quel compagno Alpino di tanti anni prima sul Fronte francese. Mi disse:<Rita, chiedi a quell’uomo se è Aldo Giretti> Mentre gli rispondevo che non osavo disturbare, l’uomo che parlava con la moglie, alzò gli occhi e incontrarono quelli di mio papà. Mio padre si avvicinò al letto e gli chiese. <Sei Aldo Giretti? > E lui < sì e tu sei Giovanni Fiorino?> I due Alpini si chiamarono per nome. Per dieci minuti rimasero abbracciati ed emozionati piangendo. Dopo tanti anni la casualità aveva fatto sì che potessero ritrovarsi e ricordare quel fatto avvenuto nel 1940.

Ho il rammarico di non avere chiesto altre notizie a mio papà ma ricordo che da piccolina ero rimasta impaurita dai racconti che papà faceva con gli amici. Alle Vijà “vegliate” gli uomini parlavano tanto delle difficoltà incontrate durante la guerra ed erano ricorrenti storie di soldati feriti, uccisi. Quel parlare dei morti impressionò molto noi bambine, al punto che io e mia sorella quando si saliva la scala per andare in camera a dormire guardavamo se ci fosse qualcuno nascosto dietro una tenda dell’armadio a muro o sotto le lenzuola. Queste paure fecero si che non chiedemmo mai notizie circa la guerra e lasciassimo che si confidassero tra loro uomini quei ricordi.

Sentii raccontare della fame grande che patì nei sei lunghi anni di vita militare: <…non avendo neppure acqua, raccoglievano la pipì del mulo nel gavettino e vi facevano bollire le bucce di patata che recuperavano sui letamai.Quello era il nutrimento. >

Papà nacque a Lequio Berria nella casa che poi divenne dei Secco genitori di Alfredo in via Canetti. In questa casa, i nonni che io non ho conosciuto, Avevano dei “Tlé” Telai e svolgevano attività di tessitori di canapa. Nonna morì a 35 anni nel dare la luce ad un figlio.

LA MAMMA TORRENGO Giuseppina 1914: LAVANDAIA

Mia mamma, dalla cascina Frati di Cerretto Langhe andava ad Albaretto Torre da due o tre famiglie benestanti o dove le donne lavoravano in campagna a “fè ra lèssija” il “bucato”. Due o tre volte l’anno andava a lavare la biancheria che era composta per lo più di lenzuola di tela di canapa. Dopo averle lavate “ij torzivo” le torcevano per far uscire l’acqua e quindi le stendevano ad asciugare su delle corde sorrette dar “cavaglie” ( pali incrociati). Mamma raccontava che l’uso della “soda” le spellava le mani poiché si bruciava la pelle. Ricordava che andava presso la famiglia Giordano di Ortensia che aveva tre figli maschi.


 



giovedì 27 luglio 2023

                          VOLPIANO BO GIOVANNA BORGOMALE 1921





https://youtu.be/KRtWAM29GBc          

 

 https://youtu.be/RO7Qb0THUNE          

Giovanna raccontò 

Nella nostra casa avevamo una camera chiamata ”rà stanssia scura”, lì c’era il caminetto” fornèl” dove si faceva scaldare l’acqua per la Lessija e poi, alla sera si facevano cuocere le patate nella brace. Intanto che si aspettava che le patate cuocessero ci scaldavamo lì attorno. A volte venivano le famiglie dei fratelli e delle sorelle e allora stavamo nella stalla perchè in casa non ci stavamo più. Quando veniva mio zio da Monpiano di Cappelletto lui raccontava le storie di masche.

Lo zio viveva a Benevello ed aveva dei poderi e un Ciabòt (casotto per attrezzi e da riparo) nei pressi di Mompiano. A quei tempi si diceva ci fosse nei paraggi una vecchia donna che possedeva il “libro del Comando” e creava problemi ai contadini o passanti che transitavano per la scorciatoia che da Benevello portava alla Cascina Langa e poi a Mompiano e Cappelletto di Trezzo Tinella.

Una volta lo zio si trovò in fondo al Vallone dal quale si risale per la strada di San Bovo e gli successe che si trovò bloccato nell’andatura e non riusciva a procedere. Sentì una voce che diceva:<Girmè antorna due vote e mi ‘t lass andé!(Girami attorno due volte ed io ti lascio andare> Si guardò intorno ma non vide nessuno se non una grande quercia. Si stropicciò gli occhi e si diede due manate in testa per scrollarsi, ma nulla da fare, non riusciva a muovere i piedi e le gambe. Nuovamente sentì la voce, si sedette per riposare un momento, ma quando si rimise in piedi sentì i piedi ancora bloccati al terreno. Dopo essersi guardato nuovamente attorno, sommessamente chiese: <Chi séti? Chi sei?> ma come risposta ricevette nuovamente l’indicazione precedente:<Girmè antorna due vote e mi ‘t lass andé!(Girami attorno due volte ed io ti lascio andare>. Cominciava ad adirarsi ed era già quasi un quarto d’ora che era lì bloccato, si decise di accondiscendere alla richiesta e disse: < và bèn giroma antorna a sa pianta! Va bene giriamo intorno a quest’albero!> Detto questo i piedi si sbloccarono, ma fece per avviarsi nel sentiero e sentì la voce:<fa nèn èr furb! Non fare il furbo!> e si trovò nuovamente inchiodato con un piede avanti e uno dietro. Veramente spazientito esclamò due bestemmie e disse:<sa sa fomra finija, giroma antorna a sa pianta! facciamola finita, giriamo attorno a sto albero!>. Appena sentì i piedi liberi girò una volta attorno all’albero e si avviò, ma fu nuovamente bloccato e sentì la voce:< reu ditè doi gir! ho detto due giri!>, effettuò il secondo giro intorno alla quercia e fu libero di risalire per il sentiero. Continuava a guardarsi indietro e attorno ma non vide e non incontrò nessuno. Quando superò l’arrabbiatura sorrise e sperò di non essere impazzito. Quando arrivò in Serra, incontrò Pasqualin, un anziano suo amico e gli raccontò il fatto accaduto. Questi sorridendo:< pijtra nèn, à rè sà veija malefica ca sè smora e an fà pèrdè tèmp! Non preoccuparti, è quella vecchia malefica che si diverte e ci fa perder tempo!>.

In un’altra occasione, mentre si recava con il cavallo e il carro a portare qualche coppo delle assi e una damigiana al Ciabòtt nei pressi di Mompiano, per effettuare delle riparazioni poiché era grandinato e il temporale aveva guastato vigna recinzione e tetto, e quando arrivò alla discesa della Cascina Langa, per il sentiero carro e cavallo si rovesciarono effettuando due giri. Lui aveva la cavezza in mano, poiché procedeva a piedi davanti al cavallo, ma non vi fu verso di trattenerlo. Mollò la cavezza e il carro e cavallo si fermarono trenta metri più avanti con il carico al posto come nulla fosse successo. Raggiunse il cavallo e il carro e constatò che tutto era in ordine e il cavallo stava bene, non era neppure spaventato! Lui invece raccontò il fatto solo a Giovanna, che era bambina, poiché temeva che gli adulti non gli credessero e lo prendessero per matto.

Zio Pietrin, per giustificare le sue esperienze con la Masca di Mompiano, raccontava volentieri e chiedeva conferma al fratello e ai vicini portando Giovanna e altri bambini alle “vijà” veglie” e diceva : nèh ‘t ricordti cola vota, che vita per porté rà machina da bate èr gran? ti ricordi quella volta, che fatica per portare la trebbiatrice?>

Dovevano trainare con i buoi, la trebbiatrice. Per salire alla cascina del Brich, da Monte Marino vi era una salita molto ripida e dovettero attaccare ben quattro coppie di buoi. Quando furono a metà salita i buoi si bloccarono e non vi fu verso di smuoverli. Provarono ad andare a prendere i buoi di Rapalin, che avevano fama di essere buoi speciali, ma non successe nulla. Neanche a sostituire quelli di Minòt che erano i più deboli perché non li teneva bene, non successe nulla. Tribolarono due belle ore poi dettero retta a Pasqualin , che era il più anziano e da parecchio tempo diceva: <sì jè re man èd Ginassa! Se ra porti nèn sì risolvima gnènte! Qui c’è la mano di Gina la Masca, se non la portate qui non risolviamo niente!> Mio padre che era il più garbato, andò da Gina e la pregò di recarsi dalla salita dèl Brich per risolvere quel problema con i buoi e riuscire a trainare la trebbiatrice nell’aia. La donna fu fatta salire sul calesse e trasportata dalla salita. Appena fu sul posto chiese di rimanere da sola con i buoi e disse agli uomini di allontanarsi. Girò un po’ attorno al traino, quasi a studiare il da farsi, poi chiamò Pasqualin e gli diede le direttive:< beuta sa cobia e ès beu da sol s’atra cobia e ès beu sì e ancora parèi e parèi. Metti questa coppia e questo bue da solo, quest ‘altra coppia e questo da solo e ancora così e così> Quando Pasqualin  ebbe terminato di agganciare tutti i buoi Gina disse allo zio: < ti ch’èt sèi èr pi giovo stà davanti e tèn èr sovastr. Vojatri daré a possé! Tu che sei il più giovane vai davanti e tieni la corda. Voi dietro a spingere>. Pasqualin toccò il primo bue e diede una voce: <euh su!> Questi partirono e trainarono la pesante trebbia come fosse un fuscello. Riportarono Gina al suo casolare e lo zio ricordò che il padre non solo gli diede un barlètt di vino, ma per tenersela buona la invitò al pranzo “ dèr bate èr gran”. Nonostante il Prevosto avesse fatto gli occhiacci al capo famiglia quando la vide, la trattarono come una persona di riguardo e non ebbero mai più problemi. 

 


lunedì 24 luglio 2023

 

Chiola Bona Secondina Neive 1913  FUGA DA POLA





https://youtu.be/kv2cqqZ_6ls   


Secondina, in seconde nozze, andò in sposa ad un impiegato della Prefettura. Questi, inviato a Pola la condusse con sé ad espletare il suo incarico e a vivere in una casa favolosa “con mobili costruiti su misura”.

Tra il dicembre 1946 e il marzo 1947, circa 28.000 dei 32.000 abitanti di Pola abbandonarono la città dirigendosi lungo le sponde italiane del Mare Adriatico. A trascinarli via dalle loro case la notizia dell’imminente firma del Trattato di Pace di Parigi che, oltre a Pola, avrebbe assegnato alla Jugoslavia di Tito anche Fiume, Zara e quasi tutta la restante parte dell’Istria

Anche Secondina dovette abbandonare la sua bella casa e in “fretta e furia” lasciare il marito e la casa che avevano realizzato. Partì con un solo bagaglio “una valigia di cartone” dice, e tra gravi rischi e visioni che le ritornano alla mente e le fanno ripetere: “quante cose brutte , brutte, brutte vidi!.”

Le chiedo perché dovette fuggire e mi risponde: “…perché ci facevano fuori noi italiani. I tedeschi, e soprattutto i “titini” imprigionavano e torturavano gli italiani che non lasciavano Pola. Mio marito dovette rimanere, ed io fuggii. Gli italiani che non lasciavano la città abbandonando tutti i loro beni, venivano catturati, torturati e poi li facevano scomparire, legandoli schiena contro schiena per poi gettarli nelle Foibe.

Erano profondi pozzi, fosse del terreno, e io le vidi. Ricordo che avendo sentito dire che avevano gettato delle persone nelle Foibe, andammo a vedere dove vi erano queste grandi buche e vedendo un bambino che scendeva in quegli antri chiedemmo cosa facesse e lui rispose che andava a cercare il suo papà!”

Venne via da sola e ritornò a Neive nella casa paterna. Il marito fu costretto a rimanere in Prefettura per circa un anno, senza poter dare notizie di sé. I collegamenti sia telefonici che postali furono interrotti e Secondina, per un lungo anno non seppe se era vivo o morto.

 

 

 

 

 

 

 

 


martedì 11 luglio 2023

Abbà SEBASTIANO Bastianin

 

https://youtu.be/2B6fMdEDv6s

Abbà Sebastiano Partigiano "Bastianin" 

ABBÀ  SEBASTIANO 26/08/1927  CRAVANZANA (CUNEO) -

Nome di battaglia BASTIANIN  PARTIGIANO 

Ultima formazione 2° DIV LANGHE 6° BRG BELBO

Prima formazione FORMAZIONI GARIBALDINE Dal 25/10/1943 Al 15/10/1944

CAPO NUCLEO Dal 15/10/1944 Al 31/12/1944

Seconda formazione 2° DIV LANGHE 6° BRG BALBO Dal 16/10/1944 Al 07/06/1945

Grado conseguito COMANDANTE SQUADRA Dal 01/01/1945 Al 08/05/1945

 

Avendo saputo delle sue “gesta” e che era vivente alla casa di riposo della Pedaggera, passai a chiedere di lui. Mi attendevo un personaggio deciso e che avesse molte cose da raccontare, invece incontrai un vecchietto timoroso, al quale feci fatica a tirar fuori le parole.

Abbà Sebastiano del 1927 di Cravanzana, frequentò fino alla classe quinta le scuole, poi aiutò il padre nella falegnameria. Non partì militare poiché aveva partecipato alla Resistenza come Partigiano. Si trovarono a “fè na batuva” ad ostacolare i Carabinieri che cercavano di arrestare dei giovani del 1924 “renitenti” alla chiamata  alle armi. Attaccarono la Caserma per prendere le armi, ma mi disse “Bastianin” non “facemmo nessun morto”, presero le armi e spararono qualche colpo per spaventarli. In seguito a questo attacco sulla strada che da Bosia sale a Cravanzana, (in Localià Lano) i Partigiani avvistarono una “camionetta” proveniente da Alba con quattro Carabinieri graduati. Il mezzo si era fermato poiché aveva bucato una gomma. Un Carabiniere sparò al Partigiano Tamagnone Mario di 32 anni e lo uccise, i compagni risposero uccidendo tutti e quattro i gendarmi.

Tamagnone Mario di Antonio SAVONA 24 5 1914 Operaio C.V.L. Garibaldi Comando Div Bevilacqua

Caduto a Bosia 17 12 1943

Il gruppo partigiano di Bastianin faceva capo al Comandante Mauri, mentre il gruppo di Tamagnone era della Brigata Garibaldi e proveniva da Savona.

Dopo questi fatti arrivarono molti uomini della milizia fascista e Bastianin e compagni si nascosero nei boschi. La loro sede era a Bossolasco e ricorda che in uno scontro a fuoco un Partigiano di Torino che aveva nome di battaglia “Nibale” fu colpito da un proiettile che rimbalzò sulla bomba a mano che aveva alla cintola e gli salvò la vita.

 

GIANO  GIOVANNI  29/01/1926  TORINO (TORINO) -

Nome di battaglia ANNIBALE Qualifica ottenuta FERITO 

Prima formazione 4° DIV GARIBALDI Dal 01/06/1944 Al 10/04/1945

PARTIGIANO Dal 01/06/1944 Al 10/04/1945

Seconda formazione DIV MONFERRATO Dal 10/04/1945 Al 07/06/1945

PARTIGIANO Dal 10/04/1945 Al 07/06/1945

Ricordò altri compagni Partigiani e li nominò con il nome di Battaglia: Ercole, Franco, Lupo. Con un po’ di emozione, mi disse di essere dispiaciuto di aver perso tanti ricordi. Tuttavia quando gli menzionai “Meghi” si illuminò e dicendomi che era “in gamba” mi chiese se era ancora in vita.

Quando chiesi se aveva conosciuto “John” scattarono i ricordi: <sì che l’ho conosciuto, era con me nella banda dei “Guastatori”di “Muscun” e del Comandante “Poli” della VI Divisione poi II LANGHE, andammo a Castagnole Lanze a caricare una bomba e la portammo a Borgomale per far saltare il ponte. Collegai io i fili per farla esplodere. Creò una buca enorme che procurò grande difficoltà per due giorni ai nazifascisti che provenivano da Manera. La spoletta come un proiettile la vedemmo passare sopra il castello. Prima avevamo avvisato la gente di Borgomale che avremmo fatto saltare il ponte!> ( Il fatto è raccontato dai Testimoni Carmine Angelo Partigiano John e Chiesa Pierino di Borgomale)

GABBRIELLI  ALBERTO 

 01/05/1906  LIVORNO (LIVORNO) -

VIAGGIATORE COMMERCIO 

 Arma GENIO  GENIO RADIOTELEGRAFISTI SEZIONE SPEC. CIRENAICA
SOLDATO
Distretto militare SAVONA

Nome di battaglia LUPO  PARTIGIANO 

 FORM GARIBALDI Dal 18/09/1943 Al 30/05/1944

COMANDANTE BTG Dal 18/09/1943 Al 30/12/1944

Seconda formazione 99° BRG GARIBALDI Dal 30/05/1944 Al 08/06/1945

COMANDANTE BRG Dal 30/12/1944 Al 30/03/1945

VARESE ERCOLE 

22/09/1918  TORINO (TORINO) -

  Professione STUDENTE COMMERCIANTE 

ESERCITO 
Grado conseguito ALL.UFFICIALE  TORINO

Nome di battaglia ERCOLE  PARTIGIANO Periodo attività  Ultima formazione 6° BRG BELBO CMD

Prima formazione GRUPPO CANELLI Dal 16/09/1943 Al 18/11/1943

Grado conseguito COMANDANTE SQUADRA Dal 16/09/1943 Al 18/11/1943

Seconda formazione 16° BRG GAR Dal 18/11/1943 Al 12/09/1944

Grado conseguito COMANDANTE DIST Dal 18/11/1943 Al 12/09/1944

Terza formazione 6° BRG BELBO COM Dal 12/09/1944 Al 07/06/1945

Grado conseguito COMANDANTE BRG Dal 12/08/0944 Al 07/06/1945

 

NOE'  RENATO 14/12/1921  MONFORTE D'ALBA (CUNEO) -

Professione STUDENTE UNIVERSITARIO LETTERE

ESERCITO  FANTERIA Reparto 3° RGT ALPINI
SOTTOTENENTE  FRANCIA Distretto militare MONDOVI'

Nome di battaglia MUSCUN  PARTIGIANO Periodo attività  Ultima formazione 1° DIV AUT 2° BRG

FORM. BALBO Dal 01/01/1944 Al 29/06/1944

Grado conseguito VICE COM.TE BANDA Dal 01/01/1944 Al 29/06/1944

Seconda formazione GRUPPO AUT GUASTATORI Dal 29/06/1945 Al 15/02/1945

Grado conseguito VICE COM.TE GRUPPO Dal 29/06/1944 Al 15/02/1945

Terza formazione 1° DIV AUT 2° BRG Dal 15/02/1945 Al 08/06/1945

Grado conseguito COMANDANTE BRG Dal 15/02/1945 Al 08/06/1945

 

 

 

CARMINE  ANGELO 22/07/1925  CALOSSO (ASTI)

Professione RADIOTECNICO 

Nome di battaglia John  Qualifica ottenuta PARTIGIANO Periodo attività  Ultima formazione 2° DIV LANGHE

Prima formazione 2° DIV LANGHE CDO Dal 01/07/1944 Al 07/06/1945

PARTIGIANO Dal 16/08/1944 Al 08/05/1945