domenica 14 settembre 2025

GIACOSA GINO NEVIGLIE 1926

 





              GIACOSA LUIGI 1926 NEVIGLIE



Noi Giacosa di “Rivaèrta” eravamo 3 fratelli: Nibale,io e Mentore.

Mio padre Giacosa Pasquale


tornò dalla Grande Guerra gravemente ferito ad una mano. Era nel Battaglione “Genio Militare” e andava in prima linea a preparare le trincee, fu colpito da una scheggia di “snapples” che gli fracassò una mano. Quando cambiava il tempo la mano gonfiava e gli procurava un dolore terribile. Ciò nonostante non ricevette nessuna pensione di guerra.

Noi del 1926 ci chiamarono ancora soldato ma non ci presentammo!

Io con Dino Fogliati, mio vicino, che era ci nascondevamo sempre perché avevamo saputo che se ci prendevano i nazifascisti o ti mandavano sul fronte di Cassino, o ti mandavano con la Todt a lavorare sulla ferrovia con il moschetto a tracolla, o peggio rischiavamo la fucilazione alla schiena. Noi i fascisti non potevamo vederli, ma con i rastrellamenti eravamo veramente a rischio. Pensai anche di andare con i Partigiani e mio padre che conosceva Gildo Comandante dei Partigiani Verdi Giustizia e Libertà, perché era stato in guerra con suo padre, andò a parlargli. Lui però gli disse che per il momento era meglio se rimanevo a casa a disposizione. Per mio papà fu meglio così perché potevo continuare ad aiutarlo in campagna, ma passammo dei momenti veramente di paura. Lui con la sua mantellina da Alpino della guerra del ‘15 faceva la guardia se arrivavano da Neive,  perché sti fascistoni esaltati erano anche a Neive. Una volta andammo a nasconderci in uno Rian e rimanemmo due giorni, poi tornammo a casa perché avevamo fame ma il padre vide che i nazifascisti erano già in Valgranda e ci consigliò di scappare nuovamente. Venne anche mio fratello Mentore perché anche se più giovane rischiava di essere preso .  Andammo verso il Tanaro con l'idea di andare a Magliano ma il traghetto non funzionava perché Tanaro era troppo "grosso".

Un' altra volta dormimmo ai Toninet e appena mettemmo piede in cortile a casa, papà ci mandò via perché erano già in Rivaerta. Andammo   in una “Tampa” poco lontana da casa che aveva tutte “gazìe” acacie attorno e ci immergemmo in quell'acqua fino al petto nonostante fosse a Dicembre! Ricordo che arrivò il cane di mio fratello più giovane andato per tartufi. Sto cagnèt si mise ad abbaiare girando in tondo attorno alla fossa. Fortuna che la mamma riuscì a distrarre i fascisti che se ne andarono con un fiasco e qualche salame. Mamma aveva fatto bollire una gallina per scaldarci , ma non riuscimmo a mangiare, ci fu un altro allarme e dovemmo di nuovo andare a nasconderci. C'era in San Sisto un soldato meridionale sbandato che si era costruito un nascondiglio ma era troppo piccolo per ospitarci tutti. Vennero altre volte sia i repubblichini che i partigiani a cercare armi e nel mentre a portare via qualcosa da mangiare, e noi dovevamo sempre scappare. Da mangiare se ne dava a tutti, ma se ti trovavano armi erano grane. Vi erano poi le spie che non sapevi se erano partigiani o fascisti! Ai Toninet si fidarono di un vicino e gli confidarono che Pinoto aveva portato a casa dalla guerra un moschetto e questo fece venire i fascisti che crearono problemi! Così anche dopo la guerra, tra vicini non si parlarono più! Furono tempi complicati e pensare che per noi che avevamo

17/ 18 anni avrebbero potuto essere i più belli!

NONNO VIGIN GIACOSA   

 Mio nonno Luigi che rinomino, era nato a Motta di Costigliole nel 1854, era analfabeta ma grande lavoratore. Mi raccontava che aveva visto Garibaldi salire sul treno a Motta ed aveva i pantaloni con un “tacon sul culo”!

Quando aveva una sessantina d'anni si caricava in spalla una Cavagna da Pan con trenta kg. di uva “Lignenga” Luglienga e partiva da in Rivaerta a piedi. Faceva una pausa a Tre stelle e una alla Madonna degli Angeli, andava a venderla in piazza ad Alba. Acquistava un etto di acciughe e tornava a fare colazione a casa! Mi diceva sempre di studiare, ma io non lo ascoltai frequentai la quarta e poi la quinta la feci serale ormai già grande.

IL PERIODO FASCISTA

Al tempo della guerra quando ero bambino "avanguardista" si andava a Neviglie a fare esercitazioni e ci avevano insegnato a smontare il "Moschetto". Ricordo che in un'occasione ci schierarono e ci  passò in rassegna il Dott. Velatta e altri due fascisti di Neive.

Nel 1944 invece, per un rastrellamento arrivarono in Rivaerta nientemeno che i terribili Gagliardi e Rossi. Cercavano dei Partigiani e misero al muro anche i ragazzini come mio fratello Mentore di 12 anni. Dissero che se non parlavano li avrebbero fucilati. Mia madre e le altre mamme erano disperate e i ragazzi spaventatissimi. Meno male che l'autista repubblichino, impietosito, per tranquillizzare le mamme si avvicinò alla mia e le sussurrò: < non preoccupatevi, non uccideranno nessuno, vogliono solo spaventarli!> Fu così, ma riuscirono a terrorizzare tutti. Portarono via tutti gli abiti da uomo che trovavano. A me presero la giacca con la coccarda della Leva. Dissero che non avevano preso i figli ma avevano i loro vestiti! Meno male che mia madre previdente era andata Mango a piedi a comprare la stoffa e aveva fatto venire da Neive il Sarto Mabile Giacosa per realizzarci pantaloni e giacca. Erano tempi brutti anche a causa delle spie. Noi nei dintorni ne avevamo uno che  ce ne combinò parecchie. Oltre ai vestiti avvisò i fascisti che avevamo una bici e questi vennero a requisirla. Era una bellissima Washington. Mio padre, quando vide Pietrin scendere dalla "scurssa" 'd Raimond disse : tardo nèn a rivé! ( Intendeva i fascisti) Ed infatti dopo poche ore arrivarono a prenderci la bici!

Un' altra terribile spia fu la maestra, proprio la nostra. Era proprio malvagia dentro. A scuola si faceva portare le canne e provava piacere a farci sanguinare le mani. In quanto a delazioni era terribile. Quando c'erano ancora i Carabinieri a Neive, prima dello sbandamento, andava a denunciare noi renitenti alla leva, o i partigiani. Però il Maresciallo, che era persona corretta, non le dava retta ,non raccolse la denuncia della maestra che era andata a fare i nostri nomi di renitenti e le disse che lui aveva ben altre grane. I suoi carabinieri per proteggerli dagli assalti dei partigiani li faceva dormire da un parente in località “Soc” oltre il Tinella. Se ci avessero presi ci avrebbero impiccati al balcone di Talin!

Allora lei andava fino a Cuneo a denunciare, e poi questi comunicavano ad Alba! Io e Dino andammo una volta sola a dormire in un Ciabot in Castlissan poi capimmo di essere stati visti e andammo altrove. Infatti dopo pochi giorni arrivarono e lo incendiarono. Pensa che dormivamo su delle fascine.

IL TRENO IN TANARO AD ALBA E I

 BOMBARDAMENTI SU NEIVE

 Ricordo il fatto del treno che un Partigiano fece partire dalla stazione di Neive senza macchinista e mandò a saltare in Tanaro dal ponte abbattuto di Alba. 

Ho ancora in mente i bombardamenti che gli alleati effettuarono su Neive. Quando bombardarono alla Stazione di Neive noi ci eravamo rifugiati in cantina in Rivaèrta e da un finestrotto vedemmo gli aerei che si presero r' anviar (l'avvio) dalla collina dei Rivetti e poi lasciarono cadere le bombe che noi vedemmo e poi si schiantarono uccidendo la mamma di Levi Romano, Pietro 'd Toso, Cavallo e ferito altri. Le pietre dei muri della cantina vibrarono com'è vi fosse stato un terremoto. Qui a Neviglie non bombardarono ma qualcuno fu fatto segno di pattuglie . Cesco 'd Rapalin era nascosto con noi, poi decise di prendere un'altra direzione.Fu visto poiché era allo scoperto, e gli intimarono l'alto là. Lui si mise a correre e gli andò bene che non fu raggiunto dai proiettili. Noi dal nascondiglio vedemmo i proiettili che alzavano il terreno attorno a lui.

SCAMPAI ALLE SS

Io in due situazioni ebbi a pochi passi i nazisti delle SS  e mi andò bene! Un giorno ero con mio padre a seminare con l'aratro di legno in un terreno sopra la strada che porta a Neviglie. Vedemmo arrivare da Giovaninèt un' auto militare tedesca. Quando fu nella nostra direzione, si fermò. Io non potevo più scappare e rimasi con le mani attaccate ai manici dell'aratro e la testa bassa. Sentii che chiedevano della Caserma dei carabinieri ma con il cuore a mille rimasi bloccato. Solo quando il padre indicò la direzione per la caserma lzai leggermente gli occhi e vidi che i due se ne andavano ridendo consapevoli di avermi terrorizzato. Effettivamente avevo atteso che mi  chiedessero di andare da loro, ma loro avevano altro da fare e fortunatamente non mi considerarono. Un'altra volta ero a Neive Borgonuovo dall'Ala ,proprio di fianco a dove mise il distributore tuo padre Michelino. Era giorno di mercato, arrivò improvvisamente un sidecar armato che si fermò a due passi da me. A me e a quei pochi attorno si gelò il sangue. Impauriti attendemmo ci chiedessero di alzare le mani ,invece vollero sapere un'indicazione e ripartirono. Ci guardammo, eravamo tutti impietriti e tirammo un sospiro di sollievo.

A fine guerra i partigiani presero la maestra e le tagliarono i capelli a "rascc" ( a zero).

Pietrin invece, temendo di essere ucciso, quando capì  che lo avrebbero solo schiaffeggiato, in preda a crisi isterica urlava piangendo e ridendo:< ancora, datemene ancora!> Per gli spaventi che ci avevano fatto provare, sono sincero sarei andato anch'io a dare loro qualche schiaffo!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Guerra fu terribile e voglio ricordare I miei vicini di San Sisto


L’ALPINO FOGLIATI EMILIO di PIO MARINA (San Donato) E DI GIUSEPPE

NEVIGLIE (CN/I) il 22/08/1921

Contadino

FFAA Regie DIV ALPINA CUNEENSE 2^ RGT

Foto archivio Emiliano Fogliati

 

Il mio amico di fughe dai rastrellamenti. Lui era più esparto perchè era già stato in Guerra in Grecia e Russia

FOGLIATI DINO REDUCE DI RUSSIA MORTO AD ALBA NEL 1961 investito da un’auto.


   FOGLIATI DINO

            


            PIO MARINA      FOGLIATI GIUSEPPE

               









venerdì 5 settembre 2025

KALLAJXHIU ROZA 1970 VALONA ALBANIA ARGUELLO

 




Mio padre si chiamava Sulejman Kallajxhiu

MAMMA Burbuqe                       ROZA 


                          




NONNA HURMA BACAJ TERBAK VALONA 09 08 1927

ROZA  Kallajxhiu DEL 1970 è nata a Valona ed è in Italia dal 1996.

Appassionata di storia è affezionata lettrice dei post

che vengono riportati sulla pagina Face Book

“TESTIMONI DELLA MEMORIA”. 

Quando lessi il suo commento al post che ricordava le

atrocità commesse dai tedeschi in Albania, le chiesi se poteva narrarmi quanto le raccontò la nonna circa il periodo da loro vissuto nella guerra. Ci accordammo e le telefonai.

Roza visse in un villaggio della Prefettura di Valona,

TERBAK situato nella zona interna. La famiglia

composta da 6 figli di cui uno morì a un anno, visse

sottoposta alla dittatura comunista fino alla guerra civile che portò la democrazia in Albania.

Roza ricorda che si viveva veramente male. I contatti erano solo con le nazioni dell’area comunista e lo stato manteneva nella povertà e nella fame la popolazione. Papà e mamma con i nonni ricevevano il pane con la “Tessera” e un litro di latte al giorno che doveva bastare per tutta la famiglia. Andava a scuola a Valona ed era in collegio. Alla sera lei e i suoi compagni vedevano le luci di Brindisi e della costa Pugliese che dista 4 ore di nave e chiedevano quali paesi fossero, ma non ricevevano indicazioni dalle maestre e loro pensavano fossero paesi albanesi!

Lei era l’unica nipote che ascoltava interessata i ricordi della nonna Hurma che visse il periodo della guerra caratterizzata dall’invasione italiana e poi

Dai rastrellamenti dei tedeschi che terrorizzavano la

popolazione e deportavano i soldati italiani e gli

albanesi. Gli italiani si nascondevano e collaboravano con i Partigiani. La nonna raccontava, ma si raccomandava

di non fare cenno di quelle storie poichè il regime

comunista non voleva si ricordasse quel periodo e vi

era rischio di subire severe punizioni. Non era

permesso allevare animali in privato e tutto era di

proprietà statale. Persino i cani non si potevano tenere.

Lei a sei sette anni trovò un cagnolino e ottenne dai

genitori di allevarlo e nutrirlo con un biberon. Un giorno il cagnolino sfuggì alla sua protezione e uscì dal cortile, fu visto dalle guardie che senza pietà lo uccisero. Roza soffrì tanto per la perdita di quel suo amichetto e ancora oggi si emoziona al ricordo!

NONNA RACCONTÒ

Fino al ‘43 si visse sotto l’occupazione italiana, ma

dopo l’otto settembre ‘43 i tedeschi iniziarono a

terrorizzare la popolazione e a uccidere o deportare gli albanesi che nascondevano soldati italiani e Partigiani.

Nonna Hurma raccontò a Roza di una terribile atrocità che vide con i suoi occhi: nel villaggio isolato dove

viveva venivano sovente soldati italiani sbandati che

cercavano di raggiungere i porti per rientrare in Italia

ma sapendo che i tedeschi presidiavano, chiedevano

di essere nascosti. Un giorno vennero dei tedeschi e

intimarono alla nonna di Roza, che era ragazza, e a una signora che era in gravidanza di riferire dove erano i Partigiani e i soldati italiani. Loro dissero che

non sapevano, ma questi presero la donna incinta e

ridendo le aprirono il ventre per vedere se in grembo

avesse un maschio o una femmina!

Hurma terrorizzata riuscì a fuggire ma non dimenticò

mai quell’ atrocità!

Nonostante i tedeschi seminassero terrore e morte,

il nonno e la sua famiglia, continuavano ad aiutare i soldati italiani e nonna le narrò che fu costruito un nascondiglio sotto il pavimento della stalla per rifugiare alcune ragazze e proteggerle dai tedeschi. Una volta due soldati italiani feriti chiesero protezione

e furono ricoverati nello scavo sotto la stalla.

Vennero i tedeschi e gettarono sottosopra la casa ma non trovarono il nascondiglio.

 I due soldati furono curati da un medico che collaborava con i Partigiani. Una volta fu fermato dai nazisti e gli fu chiesto dove andasse. Prontamente rispose che era stato chiamato perché la vecchia nonna stava male. “Suta”, questo era il nome della bisnonna, vedendo arrivare il medico scortato dai tedeschi, astutamente si mise a letto e finse di stare male, e così prese per ifondelli i militari. Quando i due soldati guarirono Nonno bis “Baci”, che era Partigiano, li fece entrare nelle milizie e questi grati per l’aiuto prestato loro combatterono i tedeschi fino alla fine della guerra.

Nel nascondiglio sotto la stalla furono nascosti anche

altri soldati italiani che poi si offrirono di collaborare con i Partigiani.

Il nonno del papà di Roza, Sulaimān Kallajxhiu, fu

deportato e morì in prigionia nel ‘44. Solamente nel

1994 quando fu ripristinata la Democrazia, i suoi resti

furono rimpatriati e tumulati a Valona nel Cimitero della Libertà.

Roza completa i suoi ricordi chiedendo aiuto alla

mamma e racconta che il papà di nonna paterna SABRI SHKURTI fu deportato a Belgrado nel 1984 e di lui non si ebbero più notizie.

Roza ha ancora un ricordo suo: nel 1975/76 durante lo scavo per la costruzione di una casa più grande, il papà Sulaimān,  ritrovò una piastrina e uno scheletro di un soldato italiano di cui ricorda solo il nome: Bartolomeo.

I resti furono composti in una cassetta e consegnati al

governo che provvide ad inviarli in Italia ( probabilmente

al SACRARIO MILITARE D’OLTREMARE DI BARI.

Grazie a questi racconti di Roza, ho effettuato alcuni

approfondimenti ed ho trovato questo articolo che mi è sembrato interessante proporre per Onorare la

Memoria dei Partigiani Italiani ed Albanesi, esempio di

buoni Ideali.

                       Ai Partigiani Brigata “Gramsci”


Monumento di VALONA


Dialoghi Mediterranei, n. 37, maggio 2019

Il giornalista Gino Luka racconta (Albania News 7

Ottobre 2017), la propria appassionata ricerca di

conferme storiche di quanto affermato da sua nonna,

relativo all’atto di eroismo dei due giovani italiani,

Bartolomeo ed Aldo. Un giorno lesse per caso due

articoli in albanese che gettano luce sulla storia che i

vecchi raccontavano. Il primo è un articolo di Riza Lahi, ex pilota nell’Aeronautica Militare, giornalista militare che ha lavorato presso l’OSCE – in Tirana,

intitolato: “Due soldati italiani salvano Scutari dalla

distruzione totale”; e sempre Riza Lahi intervista anche il Capo dei veterani LNCL di Scutari, Qemal Llazani (Movimentodi Liberazione Nazionale).

All’inizio dell’intervista il Sig. Llazani si lamenta poiché a Scutari mancano lapidi o monumenti che dovrebbero ricordaregli eroi italiani e dice che non è mai tardi per onorare ilricordo dei due giovani soldati italiani. Qemal Llazani racconta di essere stato nel campo di concentramento di Pristina, dove aveva avuto conferma, da alcuni testimoni, della veridicità di quanto narrato sui due italiani che, nella seconda guerra mondiale, salvaronoScutari dalla distruzione, i cui nomi erano Bartolomeo e Aldo. Qemal Llazani continua il suo raccontonarrando lo svolgimento dei fatti:

«Tutto è successo alle ore 2.00 circa dopo la

mezzanotte del 28 al 29 novembre 1944, quando

l’ultima squadra tedesca partì. Eh… sì … in due grandi

quartieri, al Livadhi i Sulçebegut, Perash e nel quartiere Skenderbeg, c’erano enormi quantità di munizioni tedesche. I tedeschi avevano intenzione di far saltare per aria i ponti di Shkodra, il Ponte di Buna e il Ponte di Bahçallek, quasi tutto l’esercito tedesco era partito, lasciando indietro solo gli esecutori del crimine mostruoso. Un plotone di militari in motociclette stava appiccando il fuoco alle micce ai punti, dove si trovavano i depositi di munizione, di cui ti ho appena raccontato. L’esplosione doveva diffondersi fino al punto di concentrazione principale di munizioni ed esplosivi, che di conseguenza avrebbero dovuto esplodere, per poi cancellare forse l’intera città. Le prime esplosioni sono state sentite in tutta Scutari, ma in seguito non si è sentito più niente. Meno male!

Grazie a due italiani che disinnescarono le mine.

Questi due genieri erano prigionieri di guerra che

Prestavano servizio nell’esercito tedesco come

specialisti, in genere nelle retrovie e senza armi. Non

erano né partigiani né rifugiati. In un momento in cui

una squadra di motociclisti ha appiccato il fuoco alle

micce, entrambi questi due bravi soldati si sono

precipitati a tagliarle. Hanno rischiato di rimanere uccisi da qualche proiettile vagante, dalle fiamme o

dall’esplosione, ma è accaduto quello che forse essi

non sarebbero stati capaci di immaginare. Gli aguzzini

sono tornati indietro, li hanno presi con le mani nel

sacco. Uno è stato sepolto vivo a testa in giù, l’altro si

dice che sia scappato dileguandosi nella notte e

rifugiandosi rapidamente in una casa, dove si è messo in salvo da una famiglia albanese. Per esplodere, quegli ordigni avrebbero dovuto essere nuovamente riattivati e poi innescati, ma non c’era più tempo: gli esplosivi e i sistemi d’innesco erano stati danneggiati.

Ci siamo interessati per conoscere i cognomi dei due

soldati italiani. Anche il Consolato Italiano di Scutari è

interessato, ma, per quanto ne so, nessuno sta

riuscendo a rintracciare la provenienza dei due giovani, se hanno dei parenti, ecc. Saremmo onorati di poter contribuire a far conoscere la storia di questi eroi, figli del popolo italiano e del popolo albanese».

Oltre a queste testimonianze, ne esiste anche un’altra, anche se indiretta, quella del professor Ahmet Osia, docente di scienze agricole. Ahmet Osja racconta di una rapsodia, cantata da un contadino di Gur i Zi,scritta sulla scia del “Liuto delle Montagne” (Lahuta e Malcis di P. Gjergj Fishta, poema epico famoso in Albania), e tra quei versi essenziali e passionali emergono i nomi di entrambi gli eroi di Scutari: uno degli eroi si chiamava Bartolomeo e l’altro Aldo, ma i cognomi non li ricorda nessuno. A questa serie di testimonianze va aggiunta anche quella scritta a firma del Colonnello Sali Onuzi, che nelle sue memorie di

guerra, sotto il titolo “Il 29 novembre 1944, giorno della liberazione dell’Albania dall’occupazione nazifascista”,scrive:

«Dopo la mezzanotte del 28 novembre 1944, dopo

aver fatto saltare tutti i ponti prima di giungere in città e dopo aver minato l’arsenale al quartiere di Perash, i

tedeschi tentarono di far saltare in aria anche altri

edifici importanti. Una parte dei cittadini aveva

abbandonato la città, altri aspettavano ansiosamente.

Il piano dei nazisti di far saltare per aria gli edifici in

parte fallisce perché due prigionieri italiani, costretti con

altri militari a lavorare nell’installazione delle mine,

dopo la partenza dei tedeschi tagliarono i principali

collegamenti degli inneschi. Anche le unità guerrigliere hanno tolto le mine dal resto della rete minata. Così la fabbrica del cemento, la centrale elettrica e l’ospedale civile sono stati risparmiati.

Subito dopo un gruppo di militari tedeschi ritornò in

città, riuscirono a catturare i due italiani, e li

seppellirono vivi, uccidendo e ferendo allo stesso

tempo anche alcuni altri cittadini di Scutari. Sino ad

oggi, in assenza di documentazioni, confidiamo nella

collaborazione di tutti. Tutti noi siamo debitori, così

come i nostri genitori, perciò ci è sembrato doveroso

rendere pubblico quello che sappiamo. Lasciate che il

popolo sappia attraverso la stampa almeno una parte

della verità; sono convinto che questo percorso ci

porterà a una precisa identificazione dei gloriosi giovani italiani ai quali va tutta la gratitudine del popolo di Scutari. Il Comune di Scutari potrebbe e dovrebbe dimostrare la buona volontà di commemorare questi soldati dedicando loro un monumento. Un monumento

del “soldato ignoto”, a ricordo dei caduti sui campi di

battaglia, le cui spoglie sono rimaste insepolte o

disperse. La consuetudine di onorare il ricordo di un

militare morto in guerra e di cui non è stato possibile

riconoscere l’identità è diffusa in diversi paesi del

mondo ed esiste anche in Albania “Ushtari i panjohur”.

Una tomba simbolica (cenotafio) dedicata alla memoria di tutti i caduti e i dispersi in tutte le guerre».

Da quest’ultima affermazione del Colonnello Sali

Onuzi, ci arriva un segnale di considerazione e rispetto per tutti i militari che hanno perso la vita per servire la propria Patria, i propri ideali e il loro senso del dovere, che non termina con l’obbedire agli ordini ma prevede anche il correre rischi per salvare civili inermi darappresaglie sconsiderate.

Dalla narrazione del coraggio di Bartolomeo ed Aldo, i

cui cognomi forse non sapremo mai, è invece scaturito un mito di abnegazione tale che i loro nomi e il loro eroico atto a difesa della popolazione di Scutari, sono entrati a far parte delle gesta epiche, degne di essere trasmesse oralmente sull’aria cantata del “Lahuta e Malcis”, come raccontato da Ahmet Osja, attraverso lavoce di un semplice contadino di Gur i Zi. Una ‘cantata che sa narrare, facendone emergere il valore attraverso versi essenziali e passionali, le gesta di

Bartolomeo e Aldo, gli eroi italiani che, con il loro spirito di abnegazione messo in atto contro la furia distruttiva

di una armata tedesca ormai allo sbaraglio, durante la

notte tra il 28 e il 29 novembre 1944, salvarono la bella

città di Scutari dalla distruzione.

Questa testimonianza emblematica, sembra voler

restituire un senso compiuto a tutta la storia di

interazioni, comprese quelle relazionali, affettive e

drammatiche, tra il popolo albanese e quello italiano,

avvenute sia in momenti storici passati che nei giorni

nostri.

Perché, in fondo, tra i due popoli, quello italiano e

quello albanese, c’è solo un braccio di mare da

attraversare, circa una cinquantina di miglia nautiche,

e le due coste, opposte tra loro, sono bagnate dalla

stessa acqua del Mar Adriatico più volte attraversata

da est verso occidente portando come bagaglio lingua

e cultura albanese, e da ovest verso oriente, portando

come bagaglio lingua e cultura italiana.


https://youtu.be/p7_miUxedFo?si=vBqBeuUWbZU6xvm9

 

Il poema “Lahuta e Malcis” è composto da oltre 15.000 versi strutturati in trenta canti. Il filo che lega questi canti è duplice: da un lato vengono celebrate gli eroi e le guerre combattute dagli albanesi contro gli slavi e i turchi fine all’indipendenza della patria (1912), dall’altro lato c’è il simbolo mitologico, dove un ruolo cruciale ha la cosidetta Ora 6 dell'Albania. Intorno ad essa sono raggruppate le varie Ore delle tribù, dei bajrak7 , delle case etc., le quale interagiscono direttamente sulle vite e sul destino dei personaggi. Dal momento che questo contributo tratterà i fenomeni della traduzione, ci soffermeremo da subito sul titolo del poema, al centro del quale c’è lo strumento musicale, Lahuta, tradotto rispettivamente in: die Laute (tedesco) il liuto (italiano) e the lute (inglese).

Lahuta è uno strumento primitivo e semplice. È composto da una cassa armonica di legno di forma ovale rivestita di pelle, che si chiama shark ed ha una coda non molto lunga. Al posto delle corde ha un filo di crine di cavallo, che si regola attraverso un unico bischero. Assomiglia al liuto etiope, il quale differisce solo nella forma quadrangolare. Si suona con un arco o una piccola bacchetta. (Palaj 2000, p.157)

 

L’Ora è solitamente raffigurata come un piccolo, colorato e benigno serpente d'oro. Tuttavia, in alcune tradizioni Ora (ma anche Gjarpni i Shtëpisë, Bolla e Shtëpisë o Ora e Shtëpisë) è una divinità domestica nella mitologia e nel folklore albanese, associata al destino umano e alla buona sorte (Elsie 2001, p.37). Tuttavia, in alcune tradizioni l’Ora è anche descritta come una vecchia, figura mitologica simile a Nëna e Vatrës. Ora, nel folklore meridionale la troviamo identificata con Zana. (Tirta 2004, p.21). 162 FLORA KOLECI bajrak7 , delle case etc., le quale interagiscono direttamente sulle vite e sul destino dei personaggi.

 


                                                                    

 


mercoledì 3 settembre 2025

CARDINO LIBERO NEIVE 1923

 









MOGLIE Luigina Roagna

 

CARDINO LIBERO Neive 1923 2015 DI Gepin e Macco Irma

Libero è nato ai Macolin, un gruppo di cascine in fondo alla Borgata Balluri di Neive. Dal suo cortile mi dice “ da sì voghima èr mar!” (da qui vediamo il mare!) e mi indica con il bastone l’ampia ansa che effettua il fiume Tanaro laggiù tra le albere. Gli mostro una fotografia di mio padre sul Guzzino e subito ricorda: “Catro sì Michelino,  e ti, quante vote ro piate an brass!” (Ecco Michelino! e tu, quante volte ti ho tenuto tra le mie braccia!).È trascorso tanto tempo, e Libero indicando le ginocchia dolenti sospira” Noi abbiamo lavorato troppo! “ Lo dice ma non è convinto. La conferma che vorrebbe ancora svolgere del lavoro sta nelle parole della nipote Cinzia:” Dobbiamo nascondergli le chiavi del trattore, altrimenti si sentirebbe di andare nel noccioleto!”

I MAESTRI  LA SCUOLA E LA PASTURA NEI Gorèi

Andava a scuola a Neive “antèr pais”(Nel paese), lui e i suoi compagni  percorrevano i due chilometri per andare a scuola, tornavano per pranzo e nuovamente a scuola. Ricorda di aver avuto parecchi insegnanti: il Maestro Balbo, il Maestro Gallo, il Maestro Cigliutti, la maestra Natassia che veniva da un paese di montagna vicino a Mondovì e ancora la Maestra Bordino.

Fin dai primi anni di scuola Libero tornava alle 16 e - < Piava tre o quatr vache e séz o sèt fè>(prendevo le quattro mucche e le sei o sette pecore) e le portava <an pastura antì gorèi> al pascolo sulle sponde del Tanaro dove vi sono ancora oggi le piante di “gora”(salici). Aveva sempre il libro “sota r’asselle” (sotto il braccio), e mentre gli animali pascolavano lui studiava. A quei tempi da tutte le cascine del circondario, Balluri, Bordini, Albesani si portavano le mucche nei gorreti del Tanaro. C’erano circa ottanta o novanta mucche che pascolavano lungo il Tanaro, pagavano l’affitto al Comune. Le mucche erano valide come i buoi e le utilizzavano per tutti i lavori. Andò a scuola fino in quarta classe poi, il giorno che morì suo padre disse al Maestro Balbo:

 -< Doman vèn pì nèn a scora!> (domani non vengo più a scuola!> Doveva lavorare per “fé andé rà cassina> (per tirare avanti la cascina). La mamma svolgeva il lavoro di sarta e produceva le tome da vendere, toccò a lui farsi carico del lavoro nelle vigne e nei campi. Per un po’ di anni lui e la mamma tennero il sistema del papà.

                          

 A VENDERE LE UVE

              


                            

 

 Si portava a vendere l’uva ad Alba, tutte le piazze erano piene di “carton”(Carri) con “j’arbi”(navazze) piene di uva. A Neive e Alba vi erano tanti “Sènsàl “(Mediatori) e Libero ricorda Gepo Terranino, Giacon Tognin e Carlucio, Centin Vacca, Gioaninèt ma lui era molto amico con Leonin Giacosa. Se però volevi guadagnare un po’ di più portavi il carro in piazza e aspettavi i compratori che venivano dalla pianura di Fossano, Savigliano, Saluzzo.

Libero dice che iniziò a portare le uve in piazza che aveva ancora i pantaloni corti. <èm piava in piazì!>(Mi divertivo!>. Caricava il contenuto di una “bonza giusta èd 90 miglia”(una botte di novanta Miriagrammi) dentro all’Arbi e col carton trainato dalla mula si recava ad Alba per effettuare tre Mercati alla settimana.

                     I PARROCI DI NEIVE

Chiesa di San Gervasio


Libero ricorda i Parroci della sua infanzia che si recavano tutte le Domeniche alla Chiesetta di San Gervasio per celebrare la Messa. Don Tarditi, con i grandi zoccoli, lo si sentiva arrivare da in casa, Don Gallo era quello che “on fava ra dotrina”( ci faceva il catechismo), e ancora ricorda Don Bollano.

         

                                 Don Moriondo

    DON BOLLANO                                       DON GALLO

         


DON BOLLANO

                       


  DON TARDITI

RICORDI DELLA GUERRA

In tutti gli angoli vi erano nascondigli, vi erano camere sotto terra.

Quando qui ai Balluri vi fu il rastrellamento io dormii!-rimasi una notte su di un salice. I salici venivano “copà”potati e sarà stato ampio due volte questo tavolo. Era situato di fronte alla Chiesa di San Gervasio.

Qui era un inferno, i nazifascisti giravano casa per casa a cercare i partigiani e prelevavano giovani e uomini.

Fuggii a Magliano Alfieri da mia sorella e potevo starmene tranquillo, ma non lo ero e pensavo sempre a mia madre e alla casa, così una notte feci ritorno. Aprii lentamente “na girosia”(persiana), per vedere se tutto era a posto ed ebbi la sorpresa di notare due “ufficiali tedeschi” che dormivano in cucina, stazionarono una settimana a casa nostra. A quel punto richiusi piano la persiana e ripresi la strada per Magliano.

Nella nostra stalla, una sera rinchiusero 47 giovani rastrellati partendo da Castagnole Lanze. Si resero conto che tra gli animali e il posto ristretto sarebbero morti, e allora li trasferirono alla “Creusa” da Nando, poi furono tutti deportati in Germania.

DEVIATO QUEL LANCIO

Un aereo sorvolò la nostra zona e avrebbe dovuto effettuare un lancio per i partigiani che avevano la base qui sotto. Improvvisamente però, quando fu dalla galleria ferroviaria fu deviato da segnalazioni di qualcuno che avendo conosciuto i segnali fece sganciare in un’altra zona. Fu un gioco da ragazzi asserire che l’aereo aveva sbagliato il lancio. Corsero ad avvisare di andare a ritirare i bidoni con i materiali! Peccato che altri bidoni, quelli con i soldi, erano stati prelevati e nascosti. Fu la fortuna di qualcuno! Ormai son tutti morti.

Qualcuno però li vide, ma non parlò mai!

Cinzia: Raccontagli di cosa succedeva al tuo nonno quando andava per tartufi.

Libero: io non diedi mai interesse per quei fatti, ma èr parin raccontava che quando partiva per tartufi e passava davanti al Cimitero, gli appariva un gatto nero che lo accompagnava, il cane si nascondeva tra le sue gambe impaurito. Siccome il cane era disturbato da questa presenza diede una bastonata a sto gatto e questo sparì. Ma non lo uccise neh! perché non esisteva! Eh una volta avevano tempo per raccontare queste storie! Oggi non c'è più tempo! 😏 Dicevano ci fosse Marieta 'd Bona madre di Fredo che aveva èr libr dèr comando! Cinzia: < lo hanno ancora trovato nella casa vecchia! >

Libero: iera co Pietro do Lanternin che dicevano fosse un mascon. Faceva apparire un agnellino davanti al cavallo di parin che si arrestava. Succedeva sempre quando passava davanti al Cimitero! A me non successe mai, e pensare che passai tante volte andando per tartufi.

Libero: Da bambino partivo da solo e andavo a salutare "Michelone Portoné del traghetto di Barbaresco. Era un uomo che sarà stato alto più di due metri, fece sempre il traghettatore. Io gli portavo un po' di caffè e lui era contento.