venerdì 16 maggio 2025

FRANCONE DELMONTE MARIA 1930 LEVICE

 







FRANCONE DELMONTE MARIA 1930 Levice

iniziai le scuole nel periodo della Guerra d’Africa(1936) e nel 1938/39 iniziò quella in Albania e Grecia. Mio fratello Pierino del 1922 era prigioniero in Germania, e la famiglia visse la guerra a Levice. Scrivevo al fratello

e gli comunicavo come vivevamo.Dovetti anche riferire la notizia della nascita del fratellino che mamma partorì a quarantatre anni nel 1944.

LA NASCITA DEL FRATELLINO

Pierino non comprese che era nato un fratellino, pensò fosse un bimbo di persone che, “sfollate” da Savona vivevano presso la nostra famiglia. Così quando tornò e gli presentammo il fratellino scherzosamente gli disse di chiamarlo “nonno”. Tra loro vi erano 22 anni di differenza d’età. Quando Pierino mi chiese perché non gli avessi spiegato nelle lettere che era nato un loro fratellino, gli dissi che avevo provato a dirglielo, ma intanto non lo seppi neppure io fino al giorno della nascita e inoltre le lettere arrivavano zeppe di cancellature della censura e si leggevano con grande difficoltà. Quando nacque Giuseppe era il giorno dei Santi e ricordo che presi gli altri due fratellini per mano e andai alla Messa, quando tornai scoprii che la mamma aveva partorito un bimbo e che era il nono figlio di mamma Giuseppina(1900) e di Papà Davide (1890).

       

La famiglia Francone adottò anche un bimbo “dr’ospidal”, e con le 7 Lire al mese contribuiva ad allevare gli altri figli!

PAPA’ DAVIDE CHIAMATO GIUSEPPE E MAMMA GIULIA CHIAMATA GIUSEPPINA

L’ Anagrafe di un tempo era poco rispettata, e non solo perché la scarsa istruzione faceva sì che i nomi venissero trascritti in modo scorretto, ma anche perché vi era l’abitudine in famiglia di chiamarli in modo diverso dal nome ufficiale indicato al momento della nascita o con il secondo nome indicato e mai utilizzato. Io seppi a scuola che il padre era Davide e la mamma Giulia poiché me lo ufficializzò la Maestra. Così tornai a casa scocciata perché non mi avevano mai detto i veri nomi dei genitori!

A scuola vi erano 4 aule con circa 25/30 allievi ciascuna, alle 11 in punto tutti ascoltavano dall’altoparlante collegato alla radio, il Bollettino di guerra, e  non si mangiava la colazione! e a casa si scriveva il riassunto delle notizie ascoltate.

Mi è rimasto impresso il discorso che Mussolini espresse quando presentò “l’intervento della Campagna di Russia”. Trovai poco coerenti le parole e sommessamente lo feci notare nel mio riassunto: < …il “duce” ha detto che l’intervento in Russia permetterà di avere più lavoro per tutti e perciò ARMIAMOCI E PARTITE! Il dubbio è: non dovrebbe essere ARMIAMOCI E PARTIAMO?>

Fortunatamente quelle mie parole non procurarono conseguenze, ma ancora oggi non mi “va giù” “l’ingiustizia” e il significato delle guerre. Io ero “Piccola italiana” e come divisa avevo la gonna a pieghe nera, la camicetta bianca con la “M” stampata di Mussolini e in testa una berretta che io chiamavo ”cauzèt” (calza). Effettuavamo sempre l’ Istruzione – Ginnastica e all’uscita formavamo tre file e marciavamo fino alla piazzetta dove un Fascista aveva il compito di farci effettuare il saluto.

Urlava “viva il re” e noi bambini con il braccio teso salutavamo e ripetevamo “viva il re” e stessa cosa con “viva il duce”, poi dava il “ rompete le righe” e tutti si correva all’Ufficio Postale a vedere se vi erano lettere dai militari ai fronti di guerra. Zio Carlo (Delmonte) si sposò e il giorno dopo partì in guerra.

Partecipò alla guerra di Francia, poi fu inviato in Africa e in Albania e Grecia, rimase lontano da casa per lunghi sette anni.  Ricordo ancora il gran rumore degli zoccoli di quello stuolo di bambine e bambine su e giù per la via dell’Ufficio Postale, prima di avviarci ognuno alle proprie cascine!

CONSIDERAZIONI SU FASCISMO E FASCISTI NOSTRANI

Mi intristisco sempre a pensare a quei tempi del fascio e alla vita “grama”  che condussero le famiglie come la mia.

Vi erano tre o quattro “fascistone e fasciston” che esaltate/i erano sempre pronti a denunciarti, erano capaci di mandare al Confino un padre di famiglia! Come esempio di “fascistona” ricordo la maestra che prese di mira il  mio fratellino al quale la famiglia non potè acquistare la divisa da “balilla”. Per un anno non lo considerò lo relegò in fondo all’aula e lo “bocciò”(gli fece ripetere l’anno)! A me aveva provveduto la nonna che mi acquistò la stoffa per realizzare la gonna a pieghe e la camicetta della divisa, e così riuscii a partecipare a tutte le manifestazioni dove pretendevano di far apprendere che né una nè due né tre verghe da sole riuscivano a produrre, ma un “fascio” diventava una potenza! L’unica cultura prodotta dall’istruzione fascista fu questa e ricordo la mamma che mi diceva di pazientare e di moderare l’opposizione all’idea fascista per non creare problemi alla famiglia.

LA TREBBIATURA E L’AMMASSO

Al tempo del fascio, quando veniva la trebbiatrice arrivavano anche i fascisti dell’”ammasso” e ti lasciavano un quantitativo di grano per ogni componente della famiglia al di sopra dei due anni. Il resto veniva portato con il carro e i Buoi a Cortemilia.

Era talmente poco il grano che ci lasciava l’annonaria che si rimaneva subito senza  e tante volte sentii mamma dire che non aveva pane da darci per mangiare! Fortunatamente il nonno aveva piantato tante piante da frutta:da mele, pere, prugne, fichi pesche ecc.  e quando dicevamo che avevamo fame, mamma ci dava un piccolo pezzo di pane e ci diceva di andare nel frutteto. Con la frutta ci toglievamo la “fame”.

MIO FRATELLO PIERINO

A otto anni mio fratello Pierino, fu mandato da Servitò da una famiglia in Località “Bruzòt”. I proprietari erano anziani e senza figli e ripagavano il lavoro di Pierino con Grano e farina. “Porà maznà” povero bambino, pur piccolino andava davanti ai buoi o a tagliare e voltare il fieno e a svolgere altri lavori pesanti per aiutare la famiglia con tante bocche da sfamare!

I NAZISTI

Quando, dopo l’otto settembre 1943 cominciarono ad arrivare i nazisti con i fascisti fu veramente triste.

Arrivavano colonne di militari con cavalli e camion e seminavano il terrore. Due miei fratelli che erano di leva si erano costruiti un rifugio sotto terra per nascondersi poiché se li prendevano o li mandavano in Germania o li uccidevano. Io da ragazzina avevo il compito di andare ogni due giorni verso Cortemilia a vedere se vi erano i nazifascisti. Le ragazze più grandi non potevano andare perché era troppo pericoloso e così mandavano me. Avevamo un altro sistema per comunicarci tra cascine, l’arrivo deinazifascisti: ci mettevamo alla finestra ed emettevamo un “ TUUUUUU! Se avevamo saputo che erano a Prunetto o a Cortemilia e “SON Lì”  se li avevamo in casa!

I miei fratelli riuscirono sempre ad essere nascosti dal suocero di mio fratello Pierino, ma ricordo i pianti di paura che fece mia mamma quando arrivarono con i cani “molecolari”.

Una volta mi avviai verso Levice ed incontrai una colonna di nazifascisti che veniva dal paese. Purtroppo con grande paura e pensando agli insegnamenti della mamma che mi diceva di recitare la Preghiera dell' ANGELO DI DIO, procedetti. Andai fino in Chiesa e feci come aveva detto mamma, feci il Segno di Croce ed uscii. Passai di fianco agli enormi cavalli e carri con munizioni e mi sentii chiamare da uno che mi disse: <Andoa seti andà matotina?>Dove sei andata bambina?  Strinsi il borsellino con libretto e “tessera annonaria e risposi: <son andà a rà botega ma jerà gnente!>(sono andata alla bottega del pane ma non c’era nulla!>. Questo disse qualcosa in tedesco al milite del posto di blocco che mi fece segno di passare. Con grande timore mi affiancai a uomini e cavalli e giunsi a casa dove mi attendeva preoccupata mamma. Mi abbracciò piangendo perché vedendo i soldati che passavano nella strada sopra, aveva temuto mi fosse successo qualcosa. Io scossa entrai in casa, presi una sedia, vi salii sopra e urlai piangendo rivolta al Crocifisso: <Nosgnor mi son stofia èd fé sa vita sì!>(Signore, io sono stnca di dover sempre prendermi queste paure!)

Finito lo sfogo entrò mamma che mi sgridò ancora perché ero salita pericolosamente! sulla sedia!

Fu un periodo terribile, e a mia figlia che mi dice che ho paura di tutto racconto le paure che ho provato quando avevo 12 /13 anni, nel vedere tutti quegli uomini armati e urlanti con carri armati e mezzi ed animali che terrorizzavano! Non mi fu mai fatto del male, ma solo aver vissuto quei momenti è ancora motivo di paura. Da casa a Levice impiegavo tre quarti d’ora e anche un’ora per effettuare il tragitto!

I PARTIGIANI

Dei Partigiani non si aveva paura, loro si riunivano in bande e venivano a mangiare da noi. Certo che qualcuno approfittava per svuotare le stalle e farsi i soldi! Una volta vennero a prenderci un vitello che papà contava di vendere per comprare il necessario per noi bambini. Nonostante la mamma li avesse supplicati di non portarlo via, non si impietosirono. Papà li seguì per vedere dove lo avessero portato e vide che lo avevano venduto dall’altra parte della collina. Per chi aveva molti vitelli perderne uno era niente, ma per noi  che ne avevamo uno solo era subito miseria!

DON MORRA SI OFFRÌ COME OSTAGGIO

Un altro fatto che non riesco a dimenticare avvenne un giorno in cui eravamo in Chiesa. Terminata la funzione, il Parroco Don Morra ci disse di andare subito a casa e di non gironzolare per il paese. Noi uscimmo per avviarci verso casa, ma uscendo dalla piazzetta della Chiesa, vedemmo tre giovani legati per i polsi alle inferriate della casa e dei “tedeschi”(nazifascisti) che sparavano negli spazi tra loro per terrorizzarli. Questi urlavano “Mamma, Mammmaa!” e quelle grida le sentii fino a casa e mi rimbombano ancora nella testa. Mentre venivamo via, vedemmo che Don Morra uscì a parlare con quei nazisti. Si seppe che si offrì come ostaggio e fece liberare i tre giovani. Al Parroco caricarono due casse di munizioni sulle spalle e lo fecero procedere fino a Bergolo schernendolo. Giunti al paese gli diedero ancora calci e lo lasciarono ritornare. Per lo spavento e lo sforzo rimase a letto qualche giorno e anche se si temette morisse, si riprese.

IL PAPÀ MI MANDÒ A COPRIRE UN PARTIGIANO UCCISO

Un altro orribile fatto che non dimentico.

In quasi tutte le famiglie di Levice vi erano dei giovani sbandati nascosti. Qualcuno si aggregò ai Partigiani ma altri preferirono rimenere ad aiutare e a farsi nascondere.

Un certo Faraci detto “Nino”, sentendo che vi erano i nazifascisti in paese decise di uscire dal nascondiglio che gli davano i nostri vicini e scappò attraverso un campo e fu visto correre. Gli spararono e lo uccisero proprio nel nostro “pezzo” detto del “Pruz”(pero). Vi era un muretto che stava per raggiungere, ma cadde proprio lì. Nessuno andò a prenderlo e mio padre, dopo un giorno , vedendo che i corvi cominciavano a beccarlo mi disse di andare a coprirlo  con i “meirazzon” piante di meliga. A malincuore andai perché me lo chiedeva mio papà. Piansi fi no in prossimità del cadavere e singhiozzando presi delle piante secche di meliga e le tirai senza guardare il povero corpo. Terminata l’opera tornai a casa ancora inorridita ma soddisfatta di aver ubbidito al papà.

Alcuni giorni dopo vennero dei Partigiani e portarono il povero corpo nel Cimitero dove riposa ancora adesso.

ANGELO  UCCISO PER INCIDENTE

In guerra successero tanti fatti tristi e avvenne che Angelo dei “Nicorin” a soli sei anni morì per un incidente colpito da un fucile di un partigiano. I partigiani erano stanziati sulla “Langa” ed erano andati in questa famiglia di Angelo a mangiare. Il comandante  disse ai partigiani di scaricare i fucili prima di entrare in casa. Tutti lo fecero ma uno se ne dimenticò e appoggiando il fucile partì un colpo che prese Angelo alla testa uccidendolo sul colpo.

Era un bimbo con i riccioli proprio bello. La domenica precedente era stato scelto dal Parroco a porre la medaglia preparata per la Madonna affinchè facesse terminare la guerra. Il parroco lo aveva sollevato e lui aveva messo al collo della statua la medaglia. Con quei riccioli biondi sembrava un angioletto che volava dalla Madonna,  e nella settimana avvenne proprio così, volò in cielo!

PAPÀ RISCHIA DI ESSERE DEPORTATO

Un giorno, del 1944, mio padre sapendo che in un prato poco distante da casa nascevano i “borèi trifo” decise di andare a raccoglierne un cestino per farli preparare come sugo per la pasta. Quando fu nel campo, dopo aver raccolto qualche fungo, alzò gli occhi e vide che vi era una colonna di tedeschi che nella strada sopra procedeva in direzione Levice e quindi di casa sua. Sperando di non essere visto si avviò verso casa e mi chiese di prendergli la camicia a quadri da sostituire con quella nera che indossava. Dopo poco tempo arrivarono i tedeschi e chiesero chi fosse l’uomo con la camicia nera che avevano visto nel campo. Mio padre disse che era lui, ma questi non gli credevano e vista mia madre col figlio più piccolo, chiesero dove essere il padre. A segni ma con grande difficoltà continuarono a dire che era lui e ancora mi fece prendere la camicia nera e la indossò, ma loro continuavano a urlare: <nein, nein, dove essere ribelle!> e minacciavano con i fucili spianati. Eravamo tutti terrorizzati e temevamo iniziassero a sparare. Non credevano che papà fosse il padre del piccolo poichè era già avanti negli anni e anche la mamma aveva l”aria anssiana(dimostrava più anni!)! Ad un certo momento, Mamma ebbe un’illuminazione, attaccò al seno il fratellino che iniziò a poppare di gusto! sotto gli occhi stralunati dei soldati. Il Capitano a quella vista comprese e mettendosi le mani  in testa indicò di aver capito e fece cenno ai soldati di uscire. Mio padre mi disse di andare a prendere il cesto delle uova per offrirne a quei soldati che gradirono, ne presero due ciascuno e se ne andarono dopo avere accarezzato i fratellini e sorelline più piccole e dimostrando nostalgia dei loro figli e tanta malinconia. Quella fu la prima ed ultima volta che vennero i tedeschi a casa nostra.

I BOMBARDAMENTI

Quando arrivavano gli aerei per avvisare dei bombardamenti, il papà oscurava ogni finestra affinchè non si vedessero luci o bagliori, quindi faceva sedere tutti noi  bambini attorno al tavolo e i più piccoli li teneva per un braccio, per avere un contatto nell’oscurità più totale ed essere sicuro che non sfuggissero fuori incuriositi dal rumore crescente prima dei piccoli aerei ”Pippo” e poi del bombardiere che faceva tremare la casa. Li tratteneva tutti e otto e non aveva bisogno di chiedere di stare in silenzio. Trattenevamo tutti il respiro e terrorizzati dal grande frastuono, solo quando l’enorme aereo era lontano i più grandi senza muoversi chiedevano dove era diretto. Il padre sottovoce chiariva: <Van a bombardé Savona! o Tirin!> La mamma chiedeva ai più grandi di recitare una preghiera per la gente di Savona che avrebbe subito il bombardamento. Il padre usciva e poi raccontava di aver visto le luci e udito i rumori della deflagrazione delle bombe su Savona, ma anche su Torino o Genova. Dalla Lanternazza, la cascina dove abitavamo, si distinguevano bene i bagliori dei  bombardamenti!

 

MIO MARITO IN PRIGIONIA

 Mio marito Delmonte Michele nato a Levice il 22 marzo 1923, a settembre del 1943 fu arrestato al Brennero e deportato in Polonia nel Campo di Linz. Un giorno chiesero chi sapeva mungere le mucche. Un suo paesano lo invitò ad alzare la mano e così fece. Fu portato dal prete che non aveva più manovali per la sua cascina. Fu messo al lavoro e rimase dal parroco per tutta la prigionia. Lavorava per tutta la giornata e alla sera veniva prelevato per trascorrere la notte nel campo. Al mattino tornava alla cascina. Raccontava che in questo modo la prigionia fu meno dura per lui e anche per il suo amico. Infatti lui mangiava a volontà perché era in campagna e l’amico al quale aveva lasciato la sua gavetta, poteva prendere due volte il rancio.

Mio marito raccontava che alcuni mesi prima dell’arrivo dei russi i nazisti obbligarono i prigionieri a scavare delle profonde trincee per ostacolare il passaggio dei carri armati russi. Tutto fu inutile poiché a maggio 1945 i russi con i loro grandi carri armati superarono le fosse ed entrarono nei campi e liberarono tutti i prigionieri. Inorriditi per la situazione che trovarono diedero libertà ai prigionieri di andare dove volessero per 24 ore. Loro per prima cosa assaltarono panifici, botteghe di generi alimentari e zuccherifici per togliersi la fame che li aveva ridotti a larve umane, poi, molti presero la strada di casa e chi era troppo debilitato fu aiutato a rientrare.

LA FINE DELLA GUERRA QUI A LEVICE

Quando terminò la guerra io mi trovai in paese e corsi a casa urlando che era finita la guerra. La mamma cercò di zittirmi e mi diceva di non urlare che c’era il rischio di deportazione per il padre. Ma io urlavo più forte poiché avevo sentito le campane di Prunetto, Gorzegno e anche delle Chiesette di campagna che suonavano a “Baudetta” per annunciare la fine della guerra. Facevano suonare dai reduci che tornavano dalla prigionia. Questi erano assaliti dai famigliari che chiedevano notizie dei propri figli o mariti. Mio marito diceva che era terribile non poter fornire notizie perché il ritorno dai luoghi di prigionia fu ancora una tragedia per ognuno. Lui e i suoi compaesani tornarono tutti ma con tempi diversi. Lui e altri fecero ritorno quasi tutto a piedi e superando mille peripezie.

 

 

VERO SANDRO ”LENIN” ANTIFASCISTA

 

A Levice vi fu un Antifascista irriducibile, il suo nome era Vero Alessandro, fu soprannominato “Lenin”. I fascistoni che vestivano come Mussolini le avevano provate tutte per fare dire a Lenin che era fascista. Gli fecero bere addirittura un litro di olio di ricino, ma lui non cedette e disse : peuri masseme, ma mi sareu mai fascista.> ( potete uccidermi ma non sarò mai fascista) Quando poi fu eliminato il duce, Lenin potè esprimere tutta la sua gioia. Andò nella scuola dove andavamo noi e prese il grande quadro del duce, gli legò un cordino e lo trascinò per le vie del paese dicendo <vieni a vedere cosa hai combinato con i tuoi fascisti!> E tutti lo applaudivano e gli urlavano < bravo Lenin!>

 

 



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