mercoledì 7 maggio 2025

FESSIA BOFFA IRMA BOSIA 1921

 

       



CASCINA GRILLO

FESSIA BOFFA IRMA BOSIA 1921

Nata a Bosia il 7 Gennaio 1921 da Morone Costantina (di Francesco) e di Cipriano Filippo del 1889 , Irma  abitava nella cascina Grillo poco distante dall’attuale abitazione, oltre il Belbo, proprio di fronte al paese. Tuttavia per andare a scuola doveva scendere fino in Belbo, attraversarlo e salire al paese. Ricorda che volò tante volte nel fiume poiché vi era soltanto una “pianchina” ponticello in legno e facilmente si scivolava nell’acqua!. Una volta un uomo vide che era caduta nell’acqua e corse a salvarla!

Frequentò fino alla quarta classe, poiché la quinta non c’era e bisognava andare a Castino. Aveva due maestre, una proprio brava, e l’altra proprio cattiva. L aseconda la maltrattava e la dileggiava davanti ai compagni chiamandola “fessiona”! Questo succedeva poiché la mamma non le aveva potuto acquistare la divisa di cui “Mussolini” aveva messo l’obbligo per le esercitazioni. La maestra era “accanita “ fascista, e così maltrattava Irma. Fortunatamente , un  giorno, la maestra buona sentì la collega che derideva la piccola e la riprese a muso duro dicendole che la bambina era molto intelligente e studiosa e che lei non avrebbe dovuto offenderla! La maestra si zittì e da allora cambiò modi!

Terminate le scuole, Irma aiutava la famiglia andando a raccogliere l’erba , e portando le pecore in “pastura” al pascolo.

 


Vasca per raccolta acqua

DA “SERVENTA” A TORINO

Quando ebbe  16 anni fu inviata a Torino presso la famiglia Cornaglia Il capo famiglia era un Maggiore dell’esercito e con la moglie e i sette figli cambiava sovente abitazione, a seconda della destinazione nella caserma! Si fece volere bene da tutti e la trattavano come una di famiglia. Lei svolgeva tutti i lavori : da governate dei bimbi a donna delle pulizie, a cuoca. Si ricorda di un ragazza che era da “serventa” da una sarta e siccome questa le faceva fare la fame, prima escogitò il sistema si farsi dare dal macellaio i ritagli di carne per il “cane” e poi chiese a Irma di metterle da parte un po’ di pasta. Così fece Irma , metteva a cuocere un po’ di pasta in più e poi la metteva in un sacchetto che infilava nascostamente nella tasca della compagna.

SPOSA A 24 ANNI

Tornò da Torino e andò in sposa,a 24 anni, di Boffa Alfredo della cascina Lupiano, che ne aveva 34 ed era reduce di guerra. I consuoceri erano contrari al matrimonio, ma il figlio non li ascoltò e sposò ugualmente Irma. Nei primi tempi andarono a vivere nella famiglia con suoceri altre tre figlie e i nonni, e sia pur per breve tempo Irma dovette ubbidire a tutti. Al marito disse fin da subito che non avrebbe sopportato la vita con la “Madona” suocera, ma Alfredo la rassicurò e appena fu possibile andarono a vivere, loro due soli nella casupola della nonna oltre il Belbo ma facendo i mezzadri per la famiglia del padre. La suocera era terribile e cattiva, divideva tutto facendosi dare la parte dei fagioli, delle nocciole, degli animali della stalla, e di tutto. Una volta Irma si fece coraggio e le disse: < ma perché non ci lasciate qualcosa in più da vivere? > La suocera le rinfacciò subito: < tu fai silenzio, che per quanto hai portato in dote non hai diritto di parlare!> Stessa risposta ricevette quando sposa da poco, aiutò il marito a fare legna in una riva molto scoscesa. La portavano a casa tutta in spalle e quando vide che il suocero la sceglieva e vendeva la migliore lasciando a loro le ramaglie e i tronchi più piccoli si “permise” di dire < ma non è giusto! Abbiamo fatto tanta fatica e siamo così ripagati!?> La suocera anche in questa occasione la zittì.  

A LEQUIO BERRIA A PIEDI DAL DOTTORE

Quando fu incinta del primo figlio, non smise di aiutare Alfredo a “massuché” rompere le zolle per seminare il grano! Si arava con i buoi e Irma con la zappa sminuzzava i”vaz” grosse zolle. Ma in quell’agosto di siccità il terreno era così arido che i “such” zolle, erano duri come pietre! Un giorno era a casa da sola ed ebbe delle “perdite di sangue”, e si sentì molto debole. Filipin arrivò e subito si arrabbiò sentendo le bestie della stalla che muggivano perché rimaste senza mangiare, ma Irma spiegò che se avesse potuto le avrebbe “ciadlà” ma proprio non ce la faceva! Il  marito comprese, ma lasciò che Irma andasse a piedi a Lequio Berria dal Dott. Cardone che era stato suo compagno d’armi nella guerra del 15/18. Quando il Medico la visitò le disse che era stata pazza ad andare a piedi, con l’emorragia avrebbe potuto morire per strada! Perse il bimbo, maschietto in gestazione di 4 mesi e dopo poco tempo riprese a faticare come prima.

LA FIGLIA RENATA : A PROPOSITO DI FATICHE!

Lei e sua sorella Francesca andavano a scuola in Campetto dalla Maestra Caterina Vacchetto che aveva l’abitudine di “picchiare” gli allievi, forse perché “zitella, ed era particolarmente cattiva. Per evitare il lavoro che le avrebbe attese al ritorno da scuola, si attardavano a giocare lungo il Belbo. Una volta, il padre vedendo che non arrivavano per portare al pascolo le pecore, mandò mamma Irma a cercare le due bambine munita di un “ramo di pino” per punirle del ritardo. Le due “birbe” sfuggirono alla mamma dicendole che erano più veloci! Ma fu inutile, poiché a casa ad attenderle vi era papà Alfredo che le accolse con una solenne dose di frustate pungenti del ramo di pino e le rinchiuse in un camera dove rimasero tutta la notte con solo pane ed acqua. Dopo di allora tornarono sempre puntuali da scuola per portare gli animali al pascolo!

Renata racconta intanto inizia la polenta

Quando ebbe 15 anni andò a lavorare da Ferrero, ma al ritorno occorreva dare una mano in campagna, e così era doppia fatica!

A diciotto anni non vedeva l’ora di andare via da quel posto impervio dove vi era solo da lavorare! Si sposò e andò ad abitare in un cascinale di pianura a Magliano Alfieri. Ma anche lì, dice< peggio che andar di notte!>. Si faceva una fatica enorme a lavorare 12 giornate di terreno coltivate a frutta! Si fecero grandi sacrifici per acquistare trattore ed attrezzature! Ebbero un figlio che per una “congestione” a venti anni morì!. A 56 anni morì anche il marito e rimase sola. Decise di tornare alla cascina Lupiano, nei posti che in fondo aveva sempre amato. Diede la parte alle sorelle e tornò a vivere con mamma Irma nella casa paterna. Fece abbattere la “lobia” Balcone che era pericolante e si mise all’opera per ristrutturare l’antica casa che l’aveva vista bambina. Montò il ponte e con dure giornate di lavorò  fece nuovamente uscire le pietre che avevano posato i suoi avi. Fu un lavoro faticoso, ma Renata ottenne ciò che voleva, e anche mamma Irma fu felice di vivere nella casa di pietra frutto di tanto lavoro e sacrificio.

 

NONNA IRMA:

MASCHE! IN FAVO CHERDE CHI JERO! CI FACEVANO CREDERE CHE ESISTEVANO!

Alla domanda: cosa erano ste masche, Irma sorride e dice: < erano dei burloni che si travestivano e facevano paura!>

Il fratello di Irma andava a vijé in una cascina dove c’erano delle “matote”ragazze e tornando a casa, di notte doveva passare lungo un campo dove c’erano dei “mejrasson” fasci di piante di meliga, una volta vide che questi fasci si muovevano e si spaventò tantissimo, tanto che tornò indietro dicendo che c’erano le masche e si fece accompagnare ma fino a casa le masche non le vide più! Erano dei burloni che si erano messi sotto quei fasci e li muovevano per spaventare!

Un altro caso di Masche si verificò raccontato dalle “povere donne” che portavano uova e tome a vendere al mercato di Cortemilia. Per essere sul mercato appena faceva giorno dovevano viaggiare nel buio e vi fu uno che escogitò un sistema per stendere un lenzuolo bianco che dondolava per spaventare quelle donne che fuggivano urlando alle Masche! Tornavano per farsi accompagnare dagli uomini, ma del lenzuolo non vi era più traccia. Così oltre allo spavento dovevano anche prendersi la sgridata dei mariti!

 

TOLON ÈR MASCON E IL PARROCO DI BOSIA

Sulla strada per venire qui da noi, in quel ciabòt che hai visto, viveva un uomo con la sua famiglia lo chiamavano Tolon ed era un “mascon”.

                          Ciabòt di Tolon

Una volta raccolsi un pezzo di legno per strada e lo portai nella stufa. Appena fu a contatto con il fuoco ed ebbi chiuso il coperchio, cominciammo a sentire delle urla atroci che spaventarono sia me che mio fratello più grande. Io chiesi cosa dovevo fare, ma neppure lui sapeva che fare. Ci allontanammo dalla stufa e a poco a poco le voci finirono. Una mia zia mi spiegò che quel pezzo di legno aveva ancora in sé un anima viva che non voleva bruciare!

Sempre questa mia zia mi raccontò che da bambina era solita passare davanti alla casa di Tolon e infastidirlo urlandogli “Tolon mascon!” Lui borbottava: “na vota o r’atra èt pagh!!” Lei sorrideva e pensava scherzasse, invece una volta salì su una pianta di ciliegie vide passare Tolon che la guardò ghignando, improvvisamente si trovò senza il vestito. Piangendo scese dall’albero e vide Tolon che rideva. Si dice che Tolon avesse “èr libr dèr masche”. 

IL GATTO NERO

La nonna Costantina raccontava che quando faceva la polenta veniva dalla finestra un gatto nero che la infastidiva poiché le faceva scendere porcherie nel paiolo. Venne l’occasione e con il “polentao” bastone per mescolare la polenta gli rifilò una botta sulla testa che lo fece fuggire miagolando di dolore. Il giorno dopo vide che Tolon aveva una vistosa ferita sulla fronte e allora lo collegò con il colpo che aveva inferto al gatto proprio tra naso e fronte!

WU DU A TOLON

Nonna Costantina ebbe un problema con un fratello di Irma, piangeva sempre. Una guaritrice le consigliò di mettere gli abitini del bimbo dentro una pentola d’acqua bollente e di punzecchiarli con un forchino. La nonna provò e alla sera il bimbo smise di lamentarsi. Al mattino vide passare Tolon con tutte ferite sul volto. Gli chiese cosa fosse successo e questi le disse < tr’ai pagame ben va là!> Mi hai pagato bene! Tutte le punzecchiature negli abitini si erano rivoltate su di lui!

BORA ÈR VÈJ!

Non lontano da loro viveva una famiglia, i Bora che avevano buone disponibilità economiche e prestavano soldi! Non erano molto ben visti ma siccome servivano erano rispettati. Ebbero tuttavia le loro peripezie! Il vecchio diede di matto e dopo una grandinata che rovinò i raccolti legò il Crocifisso ad un cordino e lo trascinò nella vigna urlando:” guarda cosa hai fatto!

TOLON IL FARFALLONE E IL PRETE!

                    Don Berrone

A proposito di Tolon mi raccontarono che una sera venne a vegliare(vié) da noi. Mia mamma era in attesa di me ed era nella camera sopra. Ad una certa ora mia mamma chiamò mio padre perché non si sentiva bene. Tolon disse che voleva vederla, mio padre e mio zio gli dissero di andarsene, prima con le buone e poi in malo modo. Lui sghignazzando disse :<Tanto voglio vederla mentre partorisce e ci riuscirò!> Dopo pochi giorni mia madre partorì e nacqui  io. Mia mamma però non si riprendeva e diceva a mio padre delle frasi sconnesse che preoccupavano quelli della famiglia, mia nonna mio zio e mia zia ed anche il papà. Diceva : <Fai andar via quel farfallone! > e mio padre<non vedo nessun farfallone> lei insisteva che prendesse una scopa per far andar via il farfallone!< è lì nell’angolo in alto, ora è dalla finestra , ora qui sulla coperta, adesso sulla culla della maznà( bambina)!>

 E nessun altro vedeva sto farfallone. Tutti si guardavano preoccupati e credevano farneticasse!

Inoltre, io piangevo in continuazione e non c’era verso èd paziéme(Tranquillizzarmi). Mia nonna, che era molto di Chiesa disse a mio padre di andare a Bosia a chiamare il prete. Questi venne subito e diede una benedizione alla camera , dopo poco la mamma si calmò e se le chiedevano se vedesse ancora il farfallone rispondeva di no. Io però continuavo a piangere e non sapevano come calmarmi, mi tenevano in braccio e piangevo, nella culla piangevo, non c’era verso. Finchè il prete chiese di prendermi in braccio, la nonna raccontò che gli volai letteralmente tra le braccia. Lui, dicono mi parlasse sottovoce e mi accarezzasse e piano piano smisi di piangere.

Mio zio accompagnò il parroco con il calesse e vedendolo molto agitato, senza farsi vedere lo seguì in Chiesa e si nascose nel confessionale. Raccontò che vide una scena incredibile. Subito il Parroco si inginocchiò, poi si alzò e iniziò a menare calci e pugni e a urlare parole indirizzate al demonio. Ci volle un po’ prima che si calmasse. Faceva paura, era tutto rosso in viso e mio zio temeva “ìi pièisa in corp” (gli prendesse un infarto).

Si diceva che il Parroco si era assunto il Demonio che Tolon aveva insinuato in me e mia mamma e in Chiesa riuscì a scacciarlo.

Di Tolon non si seppe mai a chi avesse lasciato il libro “dèr comand”, la nuora lo cercò a fondo in casa e attorno, poiché dicono che per morire “le masche “ devono lasciarlo a una persona o ad un albero! Ma non fu trovato.

 

 

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