CASCINA GRILLO
FESSIA BOFFA IRMA BOSIA 1921
Nata a Bosia il 7 Gennaio 1921
da Morone Costantina (di Francesco) e di Cipriano Filippo del 1889 , Irma abitava nella cascina Grillo poco distante
dall’attuale abitazione, oltre il Belbo, proprio di fronte al paese. Tuttavia
per andare a scuola doveva scendere fino in Belbo, attraversarlo e salire al
paese. Ricorda che volò tante volte nel fiume poiché vi era soltanto una
“pianchina” ponticello in legno e facilmente si scivolava nell’acqua!. Una
volta un uomo vide che era caduta nell’acqua e corse a salvarla!
Frequentò fino alla quarta
classe, poiché la quinta non c’era e bisognava andare a Castino. Aveva due
maestre, una proprio brava, e l’altra proprio cattiva. L aseconda la
maltrattava e la dileggiava davanti ai compagni chiamandola “fessiona”! Questo
succedeva poiché la mamma non le aveva potuto acquistare la divisa di cui
“Mussolini” aveva messo l’obbligo per le esercitazioni. La maestra era
“accanita “ fascista, e così maltrattava Irma. Fortunatamente , un giorno, la maestra buona sentì la collega che
derideva la piccola e la riprese a muso duro dicendole che la bambina era molto
intelligente e studiosa e che lei non avrebbe dovuto offenderla! La maestra si
zittì e da allora cambiò modi!
Terminate le scuole, Irma
aiutava la famiglia andando a raccogliere l’erba , e portando le pecore in
“pastura” al pascolo.
Vasca per raccolta acqua
DA “SERVENTA” A TORINO
Quando ebbe 16 anni fu inviata a Torino presso la
famiglia Cornaglia Il capo famiglia era un Maggiore dell’esercito e con la
moglie e i sette figli cambiava sovente abitazione, a seconda della
destinazione nella caserma! Si fece volere bene da tutti e la trattavano come
una di famiglia. Lei svolgeva tutti i lavori : da governate dei bimbi a donna
delle pulizie, a cuoca. Si ricorda di un ragazza che era da “serventa” da una
sarta e siccome questa le faceva fare la fame, prima escogitò il sistema si
farsi dare dal macellaio i ritagli di carne per il “cane” e poi chiese a Irma
di metterle da parte un po’ di pasta. Così fece Irma , metteva a cuocere un po’
di pasta in più e poi la metteva in un sacchetto che infilava nascostamente
nella tasca della compagna.
SPOSA A 24 ANNI
Tornò da Torino e andò in
sposa,a 24 anni, di Boffa Alfredo della cascina Lupiano, che ne aveva 34 ed era
reduce di guerra. I consuoceri erano contrari al matrimonio, ma il figlio non
li ascoltò e sposò ugualmente Irma. Nei primi tempi andarono a vivere nella
famiglia con suoceri altre tre figlie e i nonni, e sia pur per breve tempo Irma
dovette ubbidire a tutti. Al marito disse fin da subito che non avrebbe sopportato
la vita con la “Madona” suocera, ma Alfredo la rassicurò e appena fu possibile
andarono a vivere, loro due soli nella casupola della nonna oltre il Belbo ma
facendo i mezzadri per la famiglia del padre. La suocera era terribile e
cattiva, divideva tutto facendosi dare la parte dei fagioli, delle nocciole,
degli animali della stalla, e di tutto. Una volta Irma si fece coraggio e le
disse: < ma perché non ci lasciate qualcosa in più da vivere? > La
suocera le rinfacciò subito: < tu fai silenzio, che per quanto hai portato in
dote non hai diritto di parlare!> Stessa risposta ricevette quando sposa da
poco, aiutò il marito a fare legna in una riva molto scoscesa. La portavano a casa
tutta in spalle e quando vide che il suocero la sceglieva e vendeva la migliore
lasciando a loro le ramaglie e i tronchi più piccoli si “permise” di dire <
ma non è giusto! Abbiamo fatto tanta fatica e siamo così ripagati!?> La suocera
anche in questa occasione la zittì.
A LEQUIO BERRIA A PIEDI DAL
DOTTORE
Quando fu incinta del primo
figlio, non smise di aiutare Alfredo a “massuché” rompere le zolle per seminare
il grano! Si arava con i buoi e Irma con la zappa sminuzzava i”vaz” grosse
zolle. Ma in quell’agosto di siccità il terreno era così arido che i “such”
zolle, erano duri come pietre! Un giorno era a casa da sola ed ebbe delle
“perdite di sangue”, e si sentì molto debole. Filipin arrivò e subito si
arrabbiò sentendo le bestie della stalla che muggivano perché rimaste senza
mangiare, ma Irma spiegò che se avesse potuto le avrebbe “ciadlà” ma proprio
non ce la faceva! Il marito comprese, ma
lasciò che Irma andasse a piedi a Lequio Berria dal Dott. Cardone che era stato
suo compagno d’armi nella guerra del 15/18. Quando il Medico la visitò le disse
che era stata pazza ad andare a piedi, con l’emorragia avrebbe potuto morire
per strada! Perse il bimbo, maschietto in gestazione di 4 mesi e dopo poco
tempo riprese a faticare come prima.
LA FIGLIA RENATA : A PROPOSITO
DI FATICHE!
Lei e sua sorella Francesca
andavano a scuola in Campetto dalla Maestra Caterina Vacchetto che aveva
l’abitudine di “picchiare” gli allievi, forse perché “zitella, ed era
particolarmente cattiva. Per evitare il lavoro che le avrebbe attese al ritorno
da scuola, si attardavano a giocare lungo il Belbo. Una volta, il padre vedendo
che non arrivavano per portare al pascolo le pecore, mandò mamma Irma a cercare
le due bambine munita di un “ramo di pino” per punirle del ritardo. Le due
“birbe” sfuggirono alla mamma dicendole che erano più veloci! Ma fu inutile,
poiché a casa ad attenderle vi era papà Alfredo che le accolse con una solenne
dose di frustate pungenti del ramo di pino e le rinchiuse in un camera dove
rimasero tutta la notte con solo pane ed acqua. Dopo di allora tornarono sempre
puntuali da scuola per portare gli animali al pascolo!
Renata
racconta intanto inizia la polenta
Quando ebbe 15 anni andò a
lavorare da Ferrero, ma al ritorno occorreva dare una mano in campagna, e così
era doppia fatica!
A diciotto anni non vedeva
l’ora di andare via da quel posto impervio dove vi era solo da lavorare! Si
sposò e andò ad abitare in un cascinale di pianura a Magliano Alfieri. Ma anche
lì, dice< peggio che andar di notte!>. Si faceva una fatica enorme a
lavorare 12 giornate di terreno coltivate a frutta! Si fecero grandi sacrifici
per acquistare trattore ed attrezzature! Ebbero un figlio che per una
“congestione” a venti anni morì!. A 56 anni morì anche il marito e rimase sola.
Decise di tornare alla cascina Lupiano, nei posti che in fondo aveva sempre
amato. Diede la parte alle sorelle e tornò a vivere con mamma Irma nella casa
paterna. Fece abbattere la “lobia” Balcone che era pericolante e si mise
all’opera per ristrutturare l’antica casa che l’aveva vista bambina. Montò il
ponte e con dure giornate di lavorò fece
nuovamente uscire le pietre che avevano posato i suoi avi. Fu un lavoro
faticoso, ma Renata ottenne ciò che voleva, e anche mamma Irma fu felice di
vivere nella casa di pietra frutto di tanto lavoro e sacrificio.
NONNA IRMA:
MASCHE! IN FAVO CHERDE CHI
JERO! CI FACEVANO CREDERE CHE ESISTEVANO!
Alla domanda: cosa erano ste
masche, Irma sorride e dice: < erano dei burloni che si travestivano e
facevano paura!>
Il fratello di Irma andava a
vijé in una cascina dove c’erano delle “matote”ragazze e tornando a casa, di
notte doveva passare lungo un campo dove c’erano dei “mejrasson” fasci di
piante di meliga, una volta vide che questi fasci si muovevano e si spaventò
tantissimo, tanto che tornò indietro dicendo che c’erano le masche e si fece
accompagnare ma fino a casa le masche non le vide più! Erano dei burloni che si
erano messi sotto quei fasci e li muovevano per spaventare!
Un altro caso di Masche si
verificò raccontato dalle “povere donne” che portavano uova e tome a vendere al
mercato di Cortemilia. Per essere sul mercato appena faceva giorno dovevano
viaggiare nel buio e vi fu uno che escogitò un sistema per stendere un lenzuolo
bianco che dondolava per spaventare quelle donne che fuggivano urlando alle
Masche! Tornavano per farsi accompagnare dagli uomini, ma del lenzuolo non vi
era più traccia. Così oltre allo spavento dovevano anche prendersi la sgridata
dei mariti!
TOLON ÈR MASCON E IL PARROCO
DI BOSIA
Sulla strada per venire qui da
noi, in quel ciabòt che hai visto, viveva un uomo con la sua famiglia lo
chiamavano Tolon ed era un “mascon”.
Ciabòt di Tolon
Una volta raccolsi un pezzo di
legno per strada e lo portai nella stufa. Appena fu a contatto con il fuoco ed
ebbi chiuso il coperchio, cominciammo a sentire delle urla atroci che
spaventarono sia me che mio fratello più grande. Io chiesi cosa dovevo fare, ma
neppure lui sapeva che fare. Ci allontanammo dalla stufa e a poco a poco le
voci finirono. Una mia zia mi spiegò che quel pezzo di legno aveva ancora in sé
un anima viva che non voleva bruciare!
Sempre questa mia zia mi
raccontò che da bambina era solita passare davanti alla casa di Tolon e
infastidirlo urlandogli “Tolon mascon!” Lui borbottava: “na vota o r’atra èt
pagh!!” Lei sorrideva e pensava scherzasse, invece una volta salì su una pianta
di ciliegie vide passare Tolon che la guardò ghignando, improvvisamente si
trovò senza il vestito. Piangendo scese dall’albero e vide Tolon che rideva. Si
dice che Tolon avesse “èr libr dèr masche”.
IL GATTO NERO
La nonna Costantina raccontava
che quando faceva la polenta veniva dalla finestra un gatto nero che la
infastidiva poiché le faceva scendere porcherie nel paiolo. Venne l’occasione e
con il “polentao” bastone per mescolare la polenta gli rifilò una botta sulla
testa che lo fece fuggire miagolando di dolore. Il giorno dopo vide che Tolon
aveva una vistosa ferita sulla fronte e allora lo collegò con il colpo che
aveva inferto al gatto proprio tra naso e fronte!
WU DU A TOLON
Nonna Costantina ebbe un
problema con un fratello di Irma, piangeva sempre. Una guaritrice le consigliò
di mettere gli abitini del bimbo dentro una pentola d’acqua bollente e di
punzecchiarli con un forchino. La nonna provò e alla sera il bimbo smise di lamentarsi.
Al mattino vide passare Tolon con tutte ferite sul volto. Gli chiese cosa fosse
successo e questi le disse < tr’ai pagame ben va là!> Mi hai pagato bene!
Tutte le punzecchiature negli abitini si erano rivoltate su di lui!
BORA ÈR VÈJ!
Non lontano da loro viveva una
famiglia, i Bora che avevano buone disponibilità economiche e prestavano soldi!
Non erano molto ben visti ma siccome servivano erano rispettati. Ebbero
tuttavia le loro peripezie! Il vecchio diede di matto e dopo una grandinata che
rovinò i raccolti legò il Crocifisso ad un cordino e lo trascinò nella vigna
urlando:” guarda cosa hai fatto!
TOLON IL FARFALLONE E IL PRETE!
A proposito di Tolon mi
raccontarono che una sera venne a vegliare(vié) da noi. Mia mamma era in attesa
di me ed era nella camera sopra. Ad una certa ora mia mamma chiamò mio padre
perché non si sentiva bene. Tolon disse che voleva vederla, mio padre e mio zio
gli dissero di andarsene, prima con le buone e poi in malo modo. Lui
sghignazzando disse :<Tanto voglio vederla mentre partorisce e ci
riuscirò!> Dopo pochi giorni mia madre partorì e nacqui io. Mia mamma però non si riprendeva e diceva
a mio padre delle frasi sconnesse che preoccupavano quelli della famiglia, mia
nonna mio zio e mia zia ed anche il papà. Diceva : <Fai andar via quel
farfallone! > e mio padre<non vedo nessun farfallone> lei insisteva
che prendesse una scopa per far andar via il farfallone!< è lì nell’angolo
in alto, ora è dalla finestra , ora qui sulla coperta, adesso sulla culla della
maznà( bambina)!>
E nessun altro vedeva sto farfallone. Tutti si
guardavano preoccupati e credevano farneticasse!
Inoltre, io piangevo in continuazione
e non c’era verso èd paziéme(Tranquillizzarmi). Mia nonna, che era molto di
Chiesa disse a mio padre di andare a Bosia a chiamare il prete. Questi venne
subito e diede una benedizione alla camera , dopo poco la mamma si calmò e se
le chiedevano se vedesse ancora il farfallone rispondeva di no. Io però
continuavo a piangere e non sapevano come calmarmi, mi tenevano in braccio e
piangevo, nella culla piangevo, non c’era verso. Finchè il prete chiese di
prendermi in braccio, la nonna raccontò che gli volai letteralmente tra le
braccia. Lui, dicono mi parlasse sottovoce e mi accarezzasse e piano piano
smisi di piangere.
Mio zio accompagnò il parroco
con il calesse e vedendolo molto agitato, senza farsi vedere lo seguì in Chiesa
e si nascose nel confessionale. Raccontò che vide una scena incredibile. Subito
il Parroco si inginocchiò, poi si alzò e iniziò a menare calci e pugni e a
urlare parole indirizzate al demonio. Ci volle un po’ prima che si calmasse.
Faceva paura, era tutto rosso in viso e mio zio temeva “ìi pièisa in corp” (gli
prendesse un infarto).
Si diceva che il Parroco si
era assunto il Demonio che Tolon aveva insinuato in me e mia mamma e in Chiesa
riuscì a scacciarlo.
Di Tolon non si seppe mai a
chi avesse lasciato il libro “dèr comand”, la nuora lo cercò a fondo in casa e
attorno, poiché dicono che per morire “le masche “ devono lasciarlo a una
persona o ad un albero! Ma non fu trovato.
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