venerdì 16 maggio 2025

FRANCONE DELMONTE MARIA 1930 LEVICE

 







FRANCONE DELMONTE MARIA 1930 Levice

iniziai le scuole nel periodo della Guerra d’Africa(1936) e nel 1938/39 iniziò quella in Albania e Grecia. Mio fratello Pierino del 1922 era prigioniero in Germania, e la famiglia visse la guerra a Levice. Scrivevo al fratello

e gli comunicavo come vivevamo.Dovetti anche riferire la notizia della nascita del fratellino che mamma partorì a quarantatre anni nel 1944.

LA NASCITA DEL FRATELLINO

Pierino non comprese che era nato un fratellino, pensò fosse un bimbo di persone che, “sfollate” da Savona vivevano presso la nostra famiglia. Così quando tornò e gli presentammo il fratellino scherzosamente gli disse di chiamarlo “nonno”. Tra loro vi erano 22 anni di differenza d’età. Quando Pierino mi chiese perché non gli avessi spiegato nelle lettere che era nato un loro fratellino, gli dissi che avevo provato a dirglielo, ma intanto non lo seppi neppure io fino al giorno della nascita e inoltre le lettere arrivavano zeppe di cancellature della censura e si leggevano con grande difficoltà. Quando nacque Giuseppe era il giorno dei Santi e ricordo che presi gli altri due fratellini per mano e andai alla Messa, quando tornai scoprii che la mamma aveva partorito un bimbo e che era il nono figlio di mamma Giuseppina(1900) e di Papà Davide (1890).

       

La famiglia Francone adottò anche un bimbo “dr’ospidal”, e con le 7 Lire al mese contribuiva ad allevare gli altri figli!

PAPA’ DAVIDE CHIAMATO GIUSEPPE E MAMMA GIULIA CHIAMATA GIUSEPPINA

L’ Anagrafe di un tempo era poco rispettata, e non solo perché la scarsa istruzione faceva sì che i nomi venissero trascritti in modo scorretto, ma anche perché vi era l’abitudine in famiglia di chiamarli in modo diverso dal nome ufficiale indicato al momento della nascita o con il secondo nome indicato e mai utilizzato. Io seppi a scuola che il padre era Davide e la mamma Giulia poiché me lo ufficializzò la Maestra. Così tornai a casa scocciata perché non mi avevano mai detto i veri nomi dei genitori!

A scuola vi erano 4 aule con circa 25/30 allievi ciascuna, alle 11 in punto tutti ascoltavano dall’altoparlante collegato alla radio, il Bollettino di guerra, e  non si mangiava la colazione! e a casa si scriveva il riassunto delle notizie ascoltate.

Mi è rimasto impresso il discorso che Mussolini espresse quando presentò “l’intervento della Campagna di Russia”. Trovai poco coerenti le parole e sommessamente lo feci notare nel mio riassunto: < …il “duce” ha detto che l’intervento in Russia permetterà di avere più lavoro per tutti e perciò ARMIAMOCI E PARTITE! Il dubbio è: non dovrebbe essere ARMIAMOCI E PARTIAMO?>

Fortunatamente quelle mie parole non procurarono conseguenze, ma ancora oggi non mi “va giù” “l’ingiustizia” e il significato delle guerre. Io ero “Piccola italiana” e come divisa avevo la gonna a pieghe nera, la camicetta bianca con la “M” stampata di Mussolini e in testa una berretta che io chiamavo ”cauzèt” (calza). Effettuavamo sempre l’ Istruzione – Ginnastica e all’uscita formavamo tre file e marciavamo fino alla piazzetta dove un Fascista aveva il compito di farci effettuare il saluto.

Urlava “viva il re” e noi bambini con il braccio teso salutavamo e ripetevamo “viva il re” e stessa cosa con “viva il duce”, poi dava il “ rompete le righe” e tutti si correva all’Ufficio Postale a vedere se vi erano lettere dai militari ai fronti di guerra. Zio Carlo (Delmonte) si sposò e il giorno dopo partì in guerra.

Partecipò alla guerra di Francia, poi fu inviato in Africa e in Albania e Grecia, rimase lontano da casa per lunghi sette anni.  Ricordo ancora il gran rumore degli zoccoli di quello stuolo di bambine e bambine su e giù per la via dell’Ufficio Postale, prima di avviarci ognuno alle proprie cascine!

CONSIDERAZIONI SU FASCISMO E FASCISTI NOSTRANI

Mi intristisco sempre a pensare a quei tempi del fascio e alla vita “grama”  che condussero le famiglie come la mia.

Vi erano tre o quattro “fascistone e fasciston” che esaltate/i erano sempre pronti a denunciarti, erano capaci di mandare al Confino un padre di famiglia! Come esempio di “fascistona” ricordo la maestra che prese di mira il  mio fratellino al quale la famiglia non potè acquistare la divisa da “balilla”. Per un anno non lo considerò lo relegò in fondo all’aula e lo “bocciò”(gli fece ripetere l’anno)! A me aveva provveduto la nonna che mi acquistò la stoffa per realizzare la gonna a pieghe e la camicetta della divisa, e così riuscii a partecipare a tutte le manifestazioni dove pretendevano di far apprendere che né una nè due né tre verghe da sole riuscivano a produrre, ma un “fascio” diventava una potenza! L’unica cultura prodotta dall’istruzione fascista fu questa e ricordo la mamma che mi diceva di pazientare e di moderare l’opposizione all’idea fascista per non creare problemi alla famiglia.

LA TREBBIATURA E L’AMMASSO

Al tempo del fascio, quando veniva la trebbiatrice arrivavano anche i fascisti dell’”ammasso” e ti lasciavano un quantitativo di grano per ogni componente della famiglia al di sopra dei due anni. Il resto veniva portato con il carro e i Buoi a Cortemilia.

Era talmente poco il grano che ci lasciava l’annonaria che si rimaneva subito senza  e tante volte sentii mamma dire che non aveva pane da darci per mangiare! Fortunatamente il nonno aveva piantato tante piante da frutta:da mele, pere, prugne, fichi pesche ecc.  e quando dicevamo che avevamo fame, mamma ci dava un piccolo pezzo di pane e ci diceva di andare nel frutteto. Con la frutta ci toglievamo la “fame”.

MIO FRATELLO PIERINO

A otto anni mio fratello Pierino, fu mandato da Servitò da una famiglia in Località “Bruzòt”. I proprietari erano anziani e senza figli e ripagavano il lavoro di Pierino con Grano e farina. “Porà maznà” povero bambino, pur piccolino andava davanti ai buoi o a tagliare e voltare il fieno e a svolgere altri lavori pesanti per aiutare la famiglia con tante bocche da sfamare!

I NAZISTI

Quando, dopo l’otto settembre 1943 cominciarono ad arrivare i nazisti con i fascisti fu veramente triste.

Arrivavano colonne di militari con cavalli e camion e seminavano il terrore. Due miei fratelli che erano di leva si erano costruiti un rifugio sotto terra per nascondersi poiché se li prendevano o li mandavano in Germania o li uccidevano. Io da ragazzina avevo il compito di andare ogni due giorni verso Cortemilia a vedere se vi erano i nazifascisti. Le ragazze più grandi non potevano andare perché era troppo pericoloso e così mandavano me. Avevamo un altro sistema per comunicarci tra cascine, l’arrivo deinazifascisti: ci mettevamo alla finestra ed emettevamo un “ TUUUUUU! Se avevamo saputo che erano a Prunetto o a Cortemilia e “SON Lì”  se li avevamo in casa!

I miei fratelli riuscirono sempre ad essere nascosti dal suocero di mio fratello Pierino, ma ricordo i pianti di paura che fece mia mamma quando arrivarono con i cani “molecolari”.

Una volta mi avviai verso Levice ed incontrai una colonna di nazifascisti che veniva dal paese. Purtroppo con grande paura e pensando agli insegnamenti della mamma che mi diceva di recitare la Preghiera dell' ANGELO DI DIO, procedetti. Andai fino in Chiesa e feci come aveva detto mamma, feci il Segno di Croce ed uscii. Passai di fianco agli enormi cavalli e carri con munizioni e mi sentii chiamare da uno che mi disse: <Andoa seti andà matotina?>Dove sei andata bambina?  Strinsi il borsellino con libretto e “tessera annonaria e risposi: <son andà a rà botega ma jerà gnente!>(sono andata alla bottega del pane ma non c’era nulla!>. Questo disse qualcosa in tedesco al milite del posto di blocco che mi fece segno di passare. Con grande timore mi affiancai a uomini e cavalli e giunsi a casa dove mi attendeva preoccupata mamma. Mi abbracciò piangendo perché vedendo i soldati che passavano nella strada sopra, aveva temuto mi fosse successo qualcosa. Io scossa entrai in casa, presi una sedia, vi salii sopra e urlai piangendo rivolta al Crocifisso: <Nosgnor mi son stofia èd fé sa vita sì!>(Signore, io sono stnca di dover sempre prendermi queste paure!)

Finito lo sfogo entrò mamma che mi sgridò ancora perché ero salita pericolosamente! sulla sedia!

Fu un periodo terribile, e a mia figlia che mi dice che ho paura di tutto racconto le paure che ho provato quando avevo 12 /13 anni, nel vedere tutti quegli uomini armati e urlanti con carri armati e mezzi ed animali che terrorizzavano! Non mi fu mai fatto del male, ma solo aver vissuto quei momenti è ancora motivo di paura. Da casa a Levice impiegavo tre quarti d’ora e anche un’ora per effettuare il tragitto!

I PARTIGIANI

Dei Partigiani non si aveva paura, loro si riunivano in bande e venivano a mangiare da noi. Certo che qualcuno approfittava per svuotare le stalle e farsi i soldi! Una volta vennero a prenderci un vitello che papà contava di vendere per comprare il necessario per noi bambini. Nonostante la mamma li avesse supplicati di non portarlo via, non si impietosirono. Papà li seguì per vedere dove lo avessero portato e vide che lo avevano venduto dall’altra parte della collina. Per chi aveva molti vitelli perderne uno era niente, ma per noi  che ne avevamo uno solo era subito miseria!

DON MORRA SI OFFRÌ COME OSTAGGIO

Un altro fatto che non riesco a dimenticare avvenne un giorno in cui eravamo in Chiesa. Terminata la funzione, il Parroco Don Morra ci disse di andare subito a casa e di non gironzolare per il paese. Noi uscimmo per avviarci verso casa, ma uscendo dalla piazzetta della Chiesa, vedemmo tre giovani legati per i polsi alle inferriate della casa e dei “tedeschi”(nazifascisti) che sparavano negli spazi tra loro per terrorizzarli. Questi urlavano “Mamma, Mammmaa!” e quelle grida le sentii fino a casa e mi rimbombano ancora nella testa. Mentre venivamo via, vedemmo che Don Morra uscì a parlare con quei nazisti. Si seppe che si offrì come ostaggio e fece liberare i tre giovani. Al Parroco caricarono due casse di munizioni sulle spalle e lo fecero procedere fino a Bergolo schernendolo. Giunti al paese gli diedero ancora calci e lo lasciarono ritornare. Per lo spavento e lo sforzo rimase a letto qualche giorno e anche se si temette morisse, si riprese.

IL PAPÀ MI MANDÒ A COPRIRE UN PARTIGIANO UCCISO

Un altro orribile fatto che non dimentico.

In quasi tutte le famiglie di Levice vi erano dei giovani sbandati nascosti. Qualcuno si aggregò ai Partigiani ma altri preferirono rimenere ad aiutare e a farsi nascondere.

Un certo Faraci detto “Nino”, sentendo che vi erano i nazifascisti in paese decise di uscire dal nascondiglio che gli davano i nostri vicini e scappò attraverso un campo e fu visto correre. Gli spararono e lo uccisero proprio nel nostro “pezzo” detto del “Pruz”(pero). Vi era un muretto che stava per raggiungere, ma cadde proprio lì. Nessuno andò a prenderlo e mio padre, dopo un giorno , vedendo che i corvi cominciavano a beccarlo mi disse di andare a coprirlo  con i “meirazzon” piante di meliga. A malincuore andai perché me lo chiedeva mio papà. Piansi fi no in prossimità del cadavere e singhiozzando presi delle piante secche di meliga e le tirai senza guardare il povero corpo. Terminata l’opera tornai a casa ancora inorridita ma soddisfatta di aver ubbidito al papà.

Alcuni giorni dopo vennero dei Partigiani e portarono il povero corpo nel Cimitero dove riposa ancora adesso.

ANGELO  UCCISO PER INCIDENTE

In guerra successero tanti fatti tristi e avvenne che Angelo dei “Nicorin” a soli sei anni morì per un incidente colpito da un fucile di un partigiano. I partigiani erano stanziati sulla “Langa” ed erano andati in questa famiglia di Angelo a mangiare. Il comandante  disse ai partigiani di scaricare i fucili prima di entrare in casa. Tutti lo fecero ma uno se ne dimenticò e appoggiando il fucile partì un colpo che prese Angelo alla testa uccidendolo sul colpo.

Era un bimbo con i riccioli proprio bello. La domenica precedente era stato scelto dal Parroco a porre la medaglia preparata per la Madonna affinchè facesse terminare la guerra. Il parroco lo aveva sollevato e lui aveva messo al collo della statua la medaglia. Con quei riccioli biondi sembrava un angioletto che volava dalla Madonna,  e nella settimana avvenne proprio così, volò in cielo!

PAPÀ RISCHIA DI ESSERE DEPORTATO

Un giorno, del 1944, mio padre sapendo che in un prato poco distante da casa nascevano i “borèi trifo” decise di andare a raccoglierne un cestino per farli preparare come sugo per la pasta. Quando fu nel campo, dopo aver raccolto qualche fungo, alzò gli occhi e vide che vi era una colonna di tedeschi che nella strada sopra procedeva in direzione Levice e quindi di casa sua. Sperando di non essere visto si avviò verso casa e mi chiese di prendergli la camicia a quadri da sostituire con quella nera che indossava. Dopo poco tempo arrivarono i tedeschi e chiesero chi fosse l’uomo con la camicia nera che avevano visto nel campo. Mio padre disse che era lui, ma questi non gli credevano e vista mia madre col figlio più piccolo, chiesero dove essere il padre. A segni ma con grande difficoltà continuarono a dire che era lui e ancora mi fece prendere la camicia nera e la indossò, ma loro continuavano a urlare: <nein, nein, dove essere ribelle!> e minacciavano con i fucili spianati. Eravamo tutti terrorizzati e temevamo iniziassero a sparare. Non credevano che papà fosse il padre del piccolo poichè era già avanti negli anni e anche la mamma aveva l”aria anssiana(dimostrava più anni!)! Ad un certo momento, Mamma ebbe un’illuminazione, attaccò al seno il fratellino che iniziò a poppare di gusto! sotto gli occhi stralunati dei soldati. Il Capitano a quella vista comprese e mettendosi le mani  in testa indicò di aver capito e fece cenno ai soldati di uscire. Mio padre mi disse di andare a prendere il cesto delle uova per offrirne a quei soldati che gradirono, ne presero due ciascuno e se ne andarono dopo avere accarezzato i fratellini e sorelline più piccole e dimostrando nostalgia dei loro figli e tanta malinconia. Quella fu la prima ed ultima volta che vennero i tedeschi a casa nostra.

I BOMBARDAMENTI

Quando arrivavano gli aerei per avvisare dei bombardamenti, il papà oscurava ogni finestra affinchè non si vedessero luci o bagliori, quindi faceva sedere tutti noi  bambini attorno al tavolo e i più piccoli li teneva per un braccio, per avere un contatto nell’oscurità più totale ed essere sicuro che non sfuggissero fuori incuriositi dal rumore crescente prima dei piccoli aerei ”Pippo” e poi del bombardiere che faceva tremare la casa. Li tratteneva tutti e otto e non aveva bisogno di chiedere di stare in silenzio. Trattenevamo tutti il respiro e terrorizzati dal grande frastuono, solo quando l’enorme aereo era lontano i più grandi senza muoversi chiedevano dove era diretto. Il padre sottovoce chiariva: <Van a bombardé Savona! o Tirin!> La mamma chiedeva ai più grandi di recitare una preghiera per la gente di Savona che avrebbe subito il bombardamento. Il padre usciva e poi raccontava di aver visto le luci e udito i rumori della deflagrazione delle bombe su Savona, ma anche su Torino o Genova. Dalla Lanternazza, la cascina dove abitavamo, si distinguevano bene i bagliori dei  bombardamenti!

 

MIO MARITO IN PRIGIONIA

 Mio marito Delmonte Michele nato a Levice il 22 marzo 1923, a settembre del 1943 fu arrestato al Brennero e deportato in Polonia nel Campo di Linz. Un giorno chiesero chi sapeva mungere le mucche. Un suo paesano lo invitò ad alzare la mano e così fece. Fu portato dal prete che non aveva più manovali per la sua cascina. Fu messo al lavoro e rimase dal parroco per tutta la prigionia. Lavorava per tutta la giornata e alla sera veniva prelevato per trascorrere la notte nel campo. Al mattino tornava alla cascina. Raccontava che in questo modo la prigionia fu meno dura per lui e anche per il suo amico. Infatti lui mangiava a volontà perché era in campagna e l’amico al quale aveva lasciato la sua gavetta, poteva prendere due volte il rancio.

Mio marito raccontava che alcuni mesi prima dell’arrivo dei russi i nazisti obbligarono i prigionieri a scavare delle profonde trincee per ostacolare il passaggio dei carri armati russi. Tutto fu inutile poiché a maggio 1945 i russi con i loro grandi carri armati superarono le fosse ed entrarono nei campi e liberarono tutti i prigionieri. Inorriditi per la situazione che trovarono diedero libertà ai prigionieri di andare dove volessero per 24 ore. Loro per prima cosa assaltarono panifici, botteghe di generi alimentari e zuccherifici per togliersi la fame che li aveva ridotti a larve umane, poi, molti presero la strada di casa e chi era troppo debilitato fu aiutato a rientrare.

LA FINE DELLA GUERRA QUI A LEVICE

Quando terminò la guerra io mi trovai in paese e corsi a casa urlando che era finita la guerra. La mamma cercò di zittirmi e mi diceva di non urlare che c’era il rischio di deportazione per il padre. Ma io urlavo più forte poiché avevo sentito le campane di Prunetto, Gorzegno e anche delle Chiesette di campagna che suonavano a “Baudetta” per annunciare la fine della guerra. Facevano suonare dai reduci che tornavano dalla prigionia. Questi erano assaliti dai famigliari che chiedevano notizie dei propri figli o mariti. Mio marito diceva che era terribile non poter fornire notizie perché il ritorno dai luoghi di prigionia fu ancora una tragedia per ognuno. Lui e i suoi compaesani tornarono tutti ma con tempi diversi. Lui e altri fecero ritorno quasi tutto a piedi e superando mille peripezie.

 

 

VERO SANDRO ”LENIN” ANTIFASCISTA

 

A Levice vi fu un Antifascista irriducibile, il suo nome era Vero Alessandro, fu soprannominato “Lenin”. I fascistoni che vestivano come Mussolini le avevano provate tutte per fare dire a Lenin che era fascista. Gli fecero bere addirittura un litro di olio di ricino, ma lui non cedette e disse : peuri masseme, ma mi sareu mai fascista.> ( potete uccidermi ma non sarò mai fascista) Quando poi fu eliminato il duce, Lenin potè esprimere tutta la sua gioia. Andò nella scuola dove andavamo noi e prese il grande quadro del duce, gli legò un cordino e lo trascinò per le vie del paese dicendo <vieni a vedere cosa hai combinato con i tuoi fascisti!> E tutti lo applaudivano e gli urlavano < bravo Lenin!>

 

 



domenica 11 maggio 2025

PAOLAZZO CAGNASSO PRASSEDE SOMANO 1914 LEQUIO BERRIA 2014

 











Maestra Prassede Paolazzo Cagnasso Somano 1914 Lequio Berria 2014 e il Partigiano “Luigi”


A quel tempo le scuole iniziavano ad Ottobre, eravamo del ‘44 in piena guerra civile. Noi maestre e maestri eravamo obbligati ad avere la tessera del “fascio” e a portare,cucito sul grembiule nero o sulla giacca la “M” . Per me era l’ iniziale di Maestra/o, ma per molti altri ricordava il capo del fascismo. Quel Mattino ero arrivata di buon’ ora alla scuola di San Frontiniano di Arguello dove avevo avuto Incarico di insegnante. Avevo un buon passo e non temevo di far brutti incontri poichè ero conosciuta da tutti come la fomna’d monsù Cagnasso Passando per il sentiero della Rombada arrivavo rapidamente al Lavatoio dèr noz(delle noci) dove vi erano gli orti dei Secco del Bricco, quindi salivo al Bricco dove vi erano i Partigiani e attraverso la strada scendevo al Grop. Incontravo i miei piccoli allievi e allieve del Bricco, della Cerrata e del Grop che pascolavano le pecore e mi salutavano festosi dicendomi: as voghima dop signora maestra! E io: non tardate e non fatevi mangiare il libro dalla pecora!. Loro ridevano divertiti. Avrebbero portato a casa le pecore e sarebbero venuti a scuola dopo il pascolo mattutino. Quando iniziarono ad arrivare, io avevo già preparato le lezioni diversificate sui loro quadernini neri poichè erano di diverse età,ed ero già uscita ad attenderli. Da sotto il gelso li vedevo spuntare dal sentiero del “Fossà” e li riconoscevo ormai tutti e 35 anche se erano pochi i giorni di scuola trascorsi insieme. Nel primo gruppo, notai, vi era uno più grande col fucile a tracolla. Attesi che si avvicinassero al bivio e riconobbi un mio ex allievo di Lequio Berria. Pensai venisse a salutarmi, invece lui scese per la strada del Belbo che passa tuttora nella frazione Arditao proprio sotto San Frontiniano. Chiesi a Carlo del Bricco ed ebbi conferma che era “Luigi” ‘d Panfron. Carlo mi disse che andava a massé un “fascista”! Dissi ai bambini di entrare e chiesi a Carlo di andare alla Lavagna come capoclasse poichè io dovevo parlare con Luigi . Imboccai rapidamente la “sternija che porta al bivio del Brichètt e giunsi dalle case d’Arditao proprio mentre arrivava Luigi. Con le mani sui fianchi lo apostrofai chiedendogli:

<Non si viene più a salutare la tua maestra?>

Lui impacciato: < Sarei passato dopo, ora ho un ordine da assolvere!>

ed io < euh là! I comandi te li dà solo il tuo cervello e comunque prima vengono i sentimenti del cuore!> Mi guardò con due occhi pieni di luce, compresi che aveva capito. Mi sorrise e mi chiese se poteva venire a salutare i miei scolari. Certo che si gli risposi, e ci avviammo per la strada da cui era venuto, risalimmo ar “foss” dopo che Luigi ebbe nascosto il “moschetto” nel Crotin ( Piccola Grotta ancora oggi visibile) . Nella vigna del “fossà” strizzò l’occhio a Dolfo che astutamente gli chiese: èti pèrdì èr moschètt?(hai perso il moschetto?)Procedendo nella capezzagna arrivammo dal Mo(gelso) e Luigi si sfogò raccontandomi che Gavarin gli aveva ordinato di andare ad ammazzare un fascista a Cravanzana. Mi confidò che non ne era troppo convinto ma il Capo voleva metterlo alla prova. Io lo ascoltai in silenzio e quando terminò : < Luigi hai fatto la cosa migliore, chi siamo noi per togliere la vita ad un nostro simile?>

Mi guardò e: < devo dire una cosa ai ragazzi del Brich!> intendeva Carlo, Mario ed altri a cui aveva confidato dell’incarico avuto. Gli feci segno di entrare e salimmo i tre scalini che portavano alla piccola aula. I bambini furono stupiti al vederlo e tutti lo conoscevano. Rivolto a Carlo: < ho deciso che non vado ad uccidere nessuno ed ora torno a dirlo al mio capo.! E se non mi vuole più nel gruppo partigiano vuol dire che mi nasconderò> così fece e mi risulta che continuò a militare con Gavarin fino al termine della guerra. Seppi che il capo gli affidò spesso incarichi da porta ordini e gli disse: <Bravo hai deciso con la tua testa e per questo sei da ammirare!> Gavarin stesso mi incontrò a Lequio e mi fermò:             

<Brava maestra! Luigi o ra amprendì pì da chila che dao so comandant! (Brava maestra, Luigi ha imparato più da lei che dal suo Comandante!>  

mercoledì 7 maggio 2025

FESSIA BOFFA IRMA BOSIA 1921

 

       



CASCINA GRILLO

FESSIA BOFFA IRMA BOSIA 1921

Nata a Bosia il 7 Gennaio 1921 da Morone Costantina (di Francesco) e di Cipriano Filippo del 1889 , Irma  abitava nella cascina Grillo poco distante dall’attuale abitazione, oltre il Belbo, proprio di fronte al paese. Tuttavia per andare a scuola doveva scendere fino in Belbo, attraversarlo e salire al paese. Ricorda che volò tante volte nel fiume poiché vi era soltanto una “pianchina” ponticello in legno e facilmente si scivolava nell’acqua!. Una volta un uomo vide che era caduta nell’acqua e corse a salvarla!

Frequentò fino alla quarta classe, poiché la quinta non c’era e bisognava andare a Castino. Aveva due maestre, una proprio brava, e l’altra proprio cattiva. L aseconda la maltrattava e la dileggiava davanti ai compagni chiamandola “fessiona”! Questo succedeva poiché la mamma non le aveva potuto acquistare la divisa di cui “Mussolini” aveva messo l’obbligo per le esercitazioni. La maestra era “accanita “ fascista, e così maltrattava Irma. Fortunatamente , un  giorno, la maestra buona sentì la collega che derideva la piccola e la riprese a muso duro dicendole che la bambina era molto intelligente e studiosa e che lei non avrebbe dovuto offenderla! La maestra si zittì e da allora cambiò modi!

Terminate le scuole, Irma aiutava la famiglia andando a raccogliere l’erba , e portando le pecore in “pastura” al pascolo.

 


Vasca per raccolta acqua

DA “SERVENTA” A TORINO

Quando ebbe  16 anni fu inviata a Torino presso la famiglia Cornaglia Il capo famiglia era un Maggiore dell’esercito e con la moglie e i sette figli cambiava sovente abitazione, a seconda della destinazione nella caserma! Si fece volere bene da tutti e la trattavano come una di famiglia. Lei svolgeva tutti i lavori : da governate dei bimbi a donna delle pulizie, a cuoca. Si ricorda di un ragazza che era da “serventa” da una sarta e siccome questa le faceva fare la fame, prima escogitò il sistema si farsi dare dal macellaio i ritagli di carne per il “cane” e poi chiese a Irma di metterle da parte un po’ di pasta. Così fece Irma , metteva a cuocere un po’ di pasta in più e poi la metteva in un sacchetto che infilava nascostamente nella tasca della compagna.

SPOSA A 24 ANNI

Tornò da Torino e andò in sposa,a 24 anni, di Boffa Alfredo della cascina Lupiano, che ne aveva 34 ed era reduce di guerra. I consuoceri erano contrari al matrimonio, ma il figlio non li ascoltò e sposò ugualmente Irma. Nei primi tempi andarono a vivere nella famiglia con suoceri altre tre figlie e i nonni, e sia pur per breve tempo Irma dovette ubbidire a tutti. Al marito disse fin da subito che non avrebbe sopportato la vita con la “Madona” suocera, ma Alfredo la rassicurò e appena fu possibile andarono a vivere, loro due soli nella casupola della nonna oltre il Belbo ma facendo i mezzadri per la famiglia del padre. La suocera era terribile e cattiva, divideva tutto facendosi dare la parte dei fagioli, delle nocciole, degli animali della stalla, e di tutto. Una volta Irma si fece coraggio e le disse: < ma perché non ci lasciate qualcosa in più da vivere? > La suocera le rinfacciò subito: < tu fai silenzio, che per quanto hai portato in dote non hai diritto di parlare!> Stessa risposta ricevette quando sposa da poco, aiutò il marito a fare legna in una riva molto scoscesa. La portavano a casa tutta in spalle e quando vide che il suocero la sceglieva e vendeva la migliore lasciando a loro le ramaglie e i tronchi più piccoli si “permise” di dire < ma non è giusto! Abbiamo fatto tanta fatica e siamo così ripagati!?> La suocera anche in questa occasione la zittì.  

A LEQUIO BERRIA A PIEDI DAL DOTTORE

Quando fu incinta del primo figlio, non smise di aiutare Alfredo a “massuché” rompere le zolle per seminare il grano! Si arava con i buoi e Irma con la zappa sminuzzava i”vaz” grosse zolle. Ma in quell’agosto di siccità il terreno era così arido che i “such” zolle, erano duri come pietre! Un giorno era a casa da sola ed ebbe delle “perdite di sangue”, e si sentì molto debole. Filipin arrivò e subito si arrabbiò sentendo le bestie della stalla che muggivano perché rimaste senza mangiare, ma Irma spiegò che se avesse potuto le avrebbe “ciadlà” ma proprio non ce la faceva! Il  marito comprese, ma lasciò che Irma andasse a piedi a Lequio Berria dal Dott. Cardone che era stato suo compagno d’armi nella guerra del 15/18. Quando il Medico la visitò le disse che era stata pazza ad andare a piedi, con l’emorragia avrebbe potuto morire per strada! Perse il bimbo, maschietto in gestazione di 4 mesi e dopo poco tempo riprese a faticare come prima.

LA FIGLIA RENATA : A PROPOSITO DI FATICHE!

Lei e sua sorella Francesca andavano a scuola in Campetto dalla Maestra Caterina Vacchetto che aveva l’abitudine di “picchiare” gli allievi, forse perché “zitella, ed era particolarmente cattiva. Per evitare il lavoro che le avrebbe attese al ritorno da scuola, si attardavano a giocare lungo il Belbo. Una volta, il padre vedendo che non arrivavano per portare al pascolo le pecore, mandò mamma Irma a cercare le due bambine munita di un “ramo di pino” per punirle del ritardo. Le due “birbe” sfuggirono alla mamma dicendole che erano più veloci! Ma fu inutile, poiché a casa ad attenderle vi era papà Alfredo che le accolse con una solenne dose di frustate pungenti del ramo di pino e le rinchiuse in un camera dove rimasero tutta la notte con solo pane ed acqua. Dopo di allora tornarono sempre puntuali da scuola per portare gli animali al pascolo!

Renata racconta intanto inizia la polenta

Quando ebbe 15 anni andò a lavorare da Ferrero, ma al ritorno occorreva dare una mano in campagna, e così era doppia fatica!

A diciotto anni non vedeva l’ora di andare via da quel posto impervio dove vi era solo da lavorare! Si sposò e andò ad abitare in un cascinale di pianura a Magliano Alfieri. Ma anche lì, dice< peggio che andar di notte!>. Si faceva una fatica enorme a lavorare 12 giornate di terreno coltivate a frutta! Si fecero grandi sacrifici per acquistare trattore ed attrezzature! Ebbero un figlio che per una “congestione” a venti anni morì!. A 56 anni morì anche il marito e rimase sola. Decise di tornare alla cascina Lupiano, nei posti che in fondo aveva sempre amato. Diede la parte alle sorelle e tornò a vivere con mamma Irma nella casa paterna. Fece abbattere la “lobia” Balcone che era pericolante e si mise all’opera per ristrutturare l’antica casa che l’aveva vista bambina. Montò il ponte e con dure giornate di lavorò  fece nuovamente uscire le pietre che avevano posato i suoi avi. Fu un lavoro faticoso, ma Renata ottenne ciò che voleva, e anche mamma Irma fu felice di vivere nella casa di pietra frutto di tanto lavoro e sacrificio.

 

NONNA IRMA:

MASCHE! IN FAVO CHERDE CHI JERO! CI FACEVANO CREDERE CHE ESISTEVANO!

Alla domanda: cosa erano ste masche, Irma sorride e dice: < erano dei burloni che si travestivano e facevano paura!>

Il fratello di Irma andava a vijé in una cascina dove c’erano delle “matote”ragazze e tornando a casa, di notte doveva passare lungo un campo dove c’erano dei “mejrasson” fasci di piante di meliga, una volta vide che questi fasci si muovevano e si spaventò tantissimo, tanto che tornò indietro dicendo che c’erano le masche e si fece accompagnare ma fino a casa le masche non le vide più! Erano dei burloni che si erano messi sotto quei fasci e li muovevano per spaventare!

Un altro caso di Masche si verificò raccontato dalle “povere donne” che portavano uova e tome a vendere al mercato di Cortemilia. Per essere sul mercato appena faceva giorno dovevano viaggiare nel buio e vi fu uno che escogitò un sistema per stendere un lenzuolo bianco che dondolava per spaventare quelle donne che fuggivano urlando alle Masche! Tornavano per farsi accompagnare dagli uomini, ma del lenzuolo non vi era più traccia. Così oltre allo spavento dovevano anche prendersi la sgridata dei mariti!

 

TOLON ÈR MASCON E IL PARROCO DI BOSIA

Sulla strada per venire qui da noi, in quel ciabòt che hai visto, viveva un uomo con la sua famiglia lo chiamavano Tolon ed era un “mascon”.

                          Ciabòt di Tolon

Una volta raccolsi un pezzo di legno per strada e lo portai nella stufa. Appena fu a contatto con il fuoco ed ebbi chiuso il coperchio, cominciammo a sentire delle urla atroci che spaventarono sia me che mio fratello più grande. Io chiesi cosa dovevo fare, ma neppure lui sapeva che fare. Ci allontanammo dalla stufa e a poco a poco le voci finirono. Una mia zia mi spiegò che quel pezzo di legno aveva ancora in sé un anima viva che non voleva bruciare!

Sempre questa mia zia mi raccontò che da bambina era solita passare davanti alla casa di Tolon e infastidirlo urlandogli “Tolon mascon!” Lui borbottava: “na vota o r’atra èt pagh!!” Lei sorrideva e pensava scherzasse, invece una volta salì su una pianta di ciliegie vide passare Tolon che la guardò ghignando, improvvisamente si trovò senza il vestito. Piangendo scese dall’albero e vide Tolon che rideva. Si dice che Tolon avesse “èr libr dèr masche”. 

IL GATTO NERO

La nonna Costantina raccontava che quando faceva la polenta veniva dalla finestra un gatto nero che la infastidiva poiché le faceva scendere porcherie nel paiolo. Venne l’occasione e con il “polentao” bastone per mescolare la polenta gli rifilò una botta sulla testa che lo fece fuggire miagolando di dolore. Il giorno dopo vide che Tolon aveva una vistosa ferita sulla fronte e allora lo collegò con il colpo che aveva inferto al gatto proprio tra naso e fronte!

WU DU A TOLON

Nonna Costantina ebbe un problema con un fratello di Irma, piangeva sempre. Una guaritrice le consigliò di mettere gli abitini del bimbo dentro una pentola d’acqua bollente e di punzecchiarli con un forchino. La nonna provò e alla sera il bimbo smise di lamentarsi. Al mattino vide passare Tolon con tutte ferite sul volto. Gli chiese cosa fosse successo e questi le disse < tr’ai pagame ben va là!> Mi hai pagato bene! Tutte le punzecchiature negli abitini si erano rivoltate su di lui!

BORA ÈR VÈJ!

Non lontano da loro viveva una famiglia, i Bora che avevano buone disponibilità economiche e prestavano soldi! Non erano molto ben visti ma siccome servivano erano rispettati. Ebbero tuttavia le loro peripezie! Il vecchio diede di matto e dopo una grandinata che rovinò i raccolti legò il Crocifisso ad un cordino e lo trascinò nella vigna urlando:” guarda cosa hai fatto!

TOLON IL FARFALLONE E IL PRETE!

                    Don Berrone

A proposito di Tolon mi raccontarono che una sera venne a vegliare(vié) da noi. Mia mamma era in attesa di me ed era nella camera sopra. Ad una certa ora mia mamma chiamò mio padre perché non si sentiva bene. Tolon disse che voleva vederla, mio padre e mio zio gli dissero di andarsene, prima con le buone e poi in malo modo. Lui sghignazzando disse :<Tanto voglio vederla mentre partorisce e ci riuscirò!> Dopo pochi giorni mia madre partorì e nacqui  io. Mia mamma però non si riprendeva e diceva a mio padre delle frasi sconnesse che preoccupavano quelli della famiglia, mia nonna mio zio e mia zia ed anche il papà. Diceva : <Fai andar via quel farfallone! > e mio padre<non vedo nessun farfallone> lei insisteva che prendesse una scopa per far andar via il farfallone!< è lì nell’angolo in alto, ora è dalla finestra , ora qui sulla coperta, adesso sulla culla della maznà( bambina)!>

 E nessun altro vedeva sto farfallone. Tutti si guardavano preoccupati e credevano farneticasse!

Inoltre, io piangevo in continuazione e non c’era verso èd paziéme(Tranquillizzarmi). Mia nonna, che era molto di Chiesa disse a mio padre di andare a Bosia a chiamare il prete. Questi venne subito e diede una benedizione alla camera , dopo poco la mamma si calmò e se le chiedevano se vedesse ancora il farfallone rispondeva di no. Io però continuavo a piangere e non sapevano come calmarmi, mi tenevano in braccio e piangevo, nella culla piangevo, non c’era verso. Finchè il prete chiese di prendermi in braccio, la nonna raccontò che gli volai letteralmente tra le braccia. Lui, dicono mi parlasse sottovoce e mi accarezzasse e piano piano smisi di piangere.

Mio zio accompagnò il parroco con il calesse e vedendolo molto agitato, senza farsi vedere lo seguì in Chiesa e si nascose nel confessionale. Raccontò che vide una scena incredibile. Subito il Parroco si inginocchiò, poi si alzò e iniziò a menare calci e pugni e a urlare parole indirizzate al demonio. Ci volle un po’ prima che si calmasse. Faceva paura, era tutto rosso in viso e mio zio temeva “ìi pièisa in corp” (gli prendesse un infarto).

Si diceva che il Parroco si era assunto il Demonio che Tolon aveva insinuato in me e mia mamma e in Chiesa riuscì a scacciarlo.

Di Tolon non si seppe mai a chi avesse lasciato il libro “dèr comand”, la nuora lo cercò a fondo in casa e attorno, poiché dicono che per morire “le masche “ devono lasciarlo a una persona o ad un albero! Ma non fu trovato.

 

 

lunedì 5 maggio 2025

BALBO RENZO TORINO 1930 PARTIGIANO "PULCE" " BALILLA"

 



   

https://youtu.be/J_IMcPtRQLw             

BALBO RENZO RICORDO DI PARTIGIANI

 25 aprile 2012 a Valdivilla

Renzo iniziò:

< Ringrazio quello che resta della seconda Divisione Langhe:

il figlio di "Binda" di Perletto Valle Uzzone

                   


                                              "Tito" 

"Tito" Persico Gualtiero, veniva dall’alta Valle Bormida ma è finito Autonomo. È stato uno dei più fervidi “Comunisti” della II Divisione Langhe Autonomi militari “Mauri”. Sempre difeso da tutti, perché c’era molta gente che voleva “fargli le scarpe” e a quei tempi voleva dire tagliargli i piedi per prendergli le scarpe. 


Meghi, che ha rappresentato il “Punto di Incontro, di coraggio. Nella sua casa posta sul bivio a Lequio Berria tra Benevello e Diano d’Alba. Lei ha rappresentato tutto per II Div. Langhe.

Ha rappresentato la Bellezza Partigiana, la bellezza “austera” “Lassmé sté!” lei dice “così bisognava essere!”

Il figlio di Castrone “Solente”. Dormii con tuo padre allo Scorrone per tre mesi. Tra tuo papà e "Rossin" Pancrazio. Pancrazio che voleva vedere Mauri e quando venne in visita alla Squadra del “Grigio” non potè andare perché io gli avevo rubato i pantaloni ed era in mutande! Mi detestò per tutta la vita!

 CASTRONE  LUIGI 30/05/1922 COSSANO BELBO (CUNEO) -

CONTADINO ESERCITO Arma GUARDIA ALLA FRONTIERA  
Nome di battaglia SOLENTE Prima formazione CDO 2° DIV LANGHE Dal 15/11/1943 Al 01/05/1944Grado conseguito 

CAPO NUCLEO Dal 15/11/1943 Al 31/12/1943Seconda formazione CDO 2° DIV

 LANGHE Dal 18/07/1944 Al 08/05/1945 conseguito 

COMANDANTE SQUADRA Dal 01/01/1944 Al 31/12/1944

COMANDANTE DIST Dal 01/01/1945 Al 08/05/1945


CARMINE JOHN

Poi c’è John che rese possibili materialmente molteplici combattimenti. L’uomo che ha gestito il parco macchine e camion della II Divisione Langhe.

L’unico che si intendeva di motori e che sapeva guidare perfettamente auto e camion.

Vi racconto anche questo: una delle due signorine Colla che venne ad avvisarmi di scappare perché la milizia mi cercava, mi disse anche che il comandante dei cacciatori degli Appennini, quello che organizzò il rastrellamento e strage a Bricco di Neive del 16 agosto, arrabiatissimo le confidò: <se non fosse stato per un lavativo che guidò la macchina come un pazzo, Balbo lo avrei avuto steso già da tempo!> Quell’autista pazzo era Angelo Carmine detto John. Guidava una 1100 cabriolet che al posto dei parafanghi aveva due assi.

                                              


  ROSSELLO RENZO 

Renzo Rossello Partigiano “Foco” è il Testimone di quanto successe alla Caserma Govone di Alba all’otto Settembre 1943. Lui si salvò perché rimase chiuso alcuni giorni in uno stanzino, ma quando uscì vide tanti cadaveri in grigioverde gettati sul letamaio.

                 


 NANO ORESTE 

Il testimone dell’Eccidio del Topiné ( Pilone del Chiarla sette giovani trucidati) Oreste Nano “Ornan” della Polizia Partigiana che ricorda il padre dei fratelli Rivera che diventò con i capelli bianchi di colpo quando vide i corpi straziati dei suoi figli. Ricordò anche la testimonianza di un giovane del Brich do Giola tornato dalla Russia che disse: < li vidi come li uccidevano, uno li teneva per il colletto e l’altro gli sparava in fronte, poi li gettavano nello rian>

A Nano noi partigiani rubammo la moto che aveva nascosto con cura in un crotin. Ma alla fine della guerra gliela abbiamo ridata!

                               CANOVA DI NEIVE FRANCO PICCINELLI 
PAOLO FARINETTI( VICINO AL LABARO) LIDIA ROLFI - 
GEN. PORCARI "LIBERO" - BEPPE PRESSENDA                            


Voglio ancora ricordare il Comandante Paolo qui rappresentato dal figlio Oscar. Io ho sempre voluto bene a Paolo che fornì i prigionieri tedeschi per lo scambio con mio padre Umberto che da 8 mesi era prigioniero e marciva negli infernot delle Nuove di Torino. Fu sottoposto a due false fucilazioni da parte delle SS naziste. Volevano che scrivesse una dichiarazione di resa di GIOVANNI Balbo “Pinin”, suo fratello, poi ucciso qui a Valdivilla, di suo nipote e di suo figlio  Adriano. Mio padre tranquillamente sempre si rifiutò.

 

Voglio ricordare

 GIULIO CORDARA “SAINT ETIENNE"


https://www.granaidellamemoria.it/index.php/it/archivi/memorie-di-piemonte/eligio-germano-e-giulio-cordara  

 Fu un Partigiano che non si tirava mai indietro.

L’ultima volta che mi trovai con lui, fu a Santo Stefano Belbo, poco prima della fine della guerra, non aveva più il Saint Etienne ma un Bren ed io gli portavo la cassetta con le munizioni

CORDARA GIULIO 10/08/1925 CANELLI (ASTI) -

MECCANICO

Forze armate ESERCITO Arma ARTIGLIERIA Reparto 19° BTG ARTIGLIERIA CONTRAEREA

Nome di battaglia "SAINT Etienne" Qualifica ottenuta PARTIGIANO  COM 2° DIV LANGHE

Prima formazione FORM. GARIBALDI Dal 20/10/1943 Al 30/03/1944 Grado conseguito PARTIGIANO Dal 20/10/1944 Al 07/06/1945

Seconda formazione 16° DIV GAR Dal 31/03/1944 08/08/1944

COM 2° DIV LANGHE Dal 08/08/1944 Al 07/06/1945

FU ferito a MOMBARUZZO   Data del ferimento 10/1944

 STORIA DI RENZO:

Renzo Balbo nacque a Torino nel 1930, ma la sua famiglia è originaria di Cossano Belbo dove ha la casa ed è proprietaria di alcuni vigneti tra Cossano e Santo Stefano Belbo. Il giovane Renzo a Cossano Belbo, durante la seconda guerra mondiale, visse l’esperienza della guerra partigiana che vide protagonisti molti esponenti della sua famiglia: da suo padre Umberto allo zio Giovanni Balbo, famoso partigiano eroe caduto nell’imboscata tedesca di Valdivilla e cugino del Comandante Poli ovvero Piero Balbo. Lo stesso Renzo venne utilizzato con compiti di staffetta. La casa dei Balbo nel 1944 per rappresaglia venne rasa al suolo dai tedeschi.

https://youtu.be/hWYgkrEI6rs      che nessuno osi toccare il Ricordo

 https://youtu.be/HJkaWU6tlSc    RICORDO GIOVANNI BALBO PININ






< Ecco perché vi è la necessità di creare delle Memorie dirette. Occorre creare delle Memorie che accettino, aldilà delle idee pre-costituite degli storici che ti dicono: “bè, in fin dei conti la storia è stata quella e a seconda dei cassetti ognuno ci inserisce una scheda che fa comodo”

Fare Memoria anche “demistificando” la retorica della Memoria partigiana: <non tutti sono stati eroi- ma non tutti sono stati vigliacchi- alcune azioni hanno avuto un buon esito, altre ne hanno avuto poche…>

Però io voglio dire che in fin dei conti, se nessuno si fosse mosso sarebbe stato molto peggio.

Inoltre voglio ricordare le parole di mio zio “Pinin” al Comando di Castino. Dopo che si riuscì a liberare mio padre dagli “infernot” delle carceri “Nuove” di Torino, dove rimase 8 mesi! Zio Pinin disse a mio padre:< …varda Umberto che a finiss nèn sì, ma a finiss a Roma> Guarda Umberto che (sta Resistenza) non finisce qui ma a Roma!>     Questa era l’idea di Giovanni Balbo. 

              .

…..perchè vi è la necessità che nessuno osi toccare quel Ricordo perché: <sul ponte di Cossano bandiera nera, è il lutto dei Ribelli che fan la guerra, la meglio gioventù che va sotto terra!

Al ponte di Cossano il Belbo passa e l’acqua che vi scorre s’è fatta rossa.

Ma il giorno della riscossa non è lontano, e voi fascisti ci rivedrete ancora con l’arma in mano.

Questo canto è nato nella mia famiglia e nelle nostre zone sull’aria del canto degli Alpini della Cuneense.

https://youtu.be/njbp3a0UPMM?si=p6GGfj7Enxg66QRE


https://youtu.be/njbp3a0UPMM?si=p6GGfj7Enxg66QRE


 

Sul ponte di Perati
bandiera nera:
l'è il lutto degli Alpini
che va a la guera.

L'è il lutto della Julia
che va a la guera
la meglio gioventù[2]
che va sot'tera.

Sull'ultimo vagone
l'è l'amor mio
col fazzoletto in mano
mi dà l'addio.

Col fazzoletto in mano
mi salutava
e con la bocca i baci
la mi mandava.

Queli che son partiti
non son tornati
sui monti della Grecia
sono restati.

Sui monti della Grecia
c'è la Vojussa
del sangue degli Alpini
s'è fatta rossa.

Un coro di fantasmi
vien zo dai monti:
l'è il coro de li Alpini
che son morti.

Gli Alpini fan la storia,
la storia vera:
l'han scritta con il sangue
e la penna nera.

Alpini della Julia
in alto il cuore:
sul ponte di Perati
c'è il tricolore!