FRANCONE DELMONTE MARIA
1930 Levice
iniziai
le scuole nel periodo della Guerra d’Africa(1936) e nel 1938/39 iniziò quella
in Albania e Grecia. Mio fratello Pierino del 1922 era prigioniero in Germania,
e la famiglia visse la guerra a Levice. Scrivevo al fratello
e gli
comunicavo come vivevamo.Dovetti anche riferire la notizia della nascita del
fratellino che mamma partorì a quarantatre anni nel 1944.
LA
NASCITA DEL FRATELLINO
Pierino
non comprese che era nato un fratellino, pensò fosse un bimbo di persone che,
“sfollate” da Savona vivevano presso la nostra famiglia. Così quando tornò e
gli presentammo il fratellino scherzosamente gli disse di chiamarlo “nonno”. Tra
loro vi erano 22 anni di differenza d’età. Quando Pierino mi chiese perché non
gli avessi spiegato nelle lettere che era nato un loro fratellino, gli dissi
che avevo provato a dirglielo, ma intanto non lo seppi neppure io fino al
giorno della nascita e inoltre le lettere arrivavano zeppe di cancellature
della censura e si leggevano con grande difficoltà. Quando nacque Giuseppe era
il giorno dei Santi e ricordo che presi gli altri due fratellini per mano e andai
alla Messa, quando tornai scoprii che la mamma aveva partorito un bimbo e che
era il nono figlio di mamma Giuseppina(1900) e di Papà Davide (1890).
La
famiglia Francone adottò anche un bimbo “dr’ospidal”, e con le 7 Lire al mese
contribuiva ad allevare gli altri figli!
PAPA’
DAVIDE CHIAMATO GIUSEPPE E MAMMA GIULIA CHIAMATA GIUSEPPINA
L’
Anagrafe di un tempo era poco rispettata, e non solo perché la scarsa
istruzione faceva sì che i nomi venissero trascritti in modo scorretto, ma
anche perché vi era l’abitudine in famiglia di chiamarli in modo diverso dal
nome ufficiale indicato al momento della nascita o con il secondo nome indicato
e mai utilizzato. Io seppi a scuola che il padre era Davide e la mamma Giulia
poiché me lo ufficializzò la Maestra. Così tornai a casa scocciata perché non mi
avevano mai detto i veri nomi dei genitori!
A scuola
vi erano 4 aule con circa 25/30 allievi ciascuna, alle 11 in punto tutti
ascoltavano dall’altoparlante collegato alla radio, il Bollettino di guerra, e non si mangiava la colazione! e a casa si
scriveva il riassunto delle notizie ascoltate.
Mi è
rimasto impresso il discorso che Mussolini espresse quando presentò
“l’intervento della Campagna di Russia”. Trovai poco coerenti le parole e
sommessamente lo feci notare nel mio riassunto: < …il “duce” ha detto che
l’intervento in Russia permetterà di avere più lavoro per tutti e perciò
ARMIAMOCI E PARTITE! Il dubbio è: non dovrebbe essere ARMIAMOCI E PARTIAMO?>
Fortunatamente
quelle mie parole non procurarono conseguenze, ma ancora oggi non mi “va giù”
“l’ingiustizia” e il significato delle guerre. Io ero “Piccola italiana” e come
divisa avevo la gonna a pieghe nera, la camicetta bianca con la “M” stampata di
Mussolini e in testa una berretta che io chiamavo ”cauzèt” (calza). Effettuavamo
sempre l’ Istruzione – Ginnastica e all’uscita formavamo tre file e marciavamo
fino alla piazzetta dove un Fascista aveva il compito di farci effettuare il
saluto.
Urlava
“viva il re” e noi bambini con il braccio teso salutavamo e ripetevamo “viva il
re” e stessa cosa con “viva il duce”, poi dava il “ rompete le righe” e tutti
si correva all’Ufficio Postale a vedere se vi erano lettere dai militari ai
fronti di guerra. Zio Carlo (Delmonte) si sposò e il giorno dopo partì in
guerra.
Partecipò
alla guerra di Francia, poi fu inviato in Africa e in Albania e Grecia, rimase
lontano da casa per lunghi sette anni. Ricordo
ancora il gran rumore degli zoccoli di quello stuolo di bambine e bambine su e
giù per la via dell’Ufficio Postale, prima di avviarci ognuno alle proprie
cascine!
CONSIDERAZIONI
SU FASCISMO E FASCISTI NOSTRANI
Mi
intristisco sempre a pensare a quei tempi del fascio e alla vita “grama” che condussero le famiglie come la mia.
Vi erano
tre o quattro “fascistone e fasciston” che esaltate/i erano sempre pronti a
denunciarti, erano capaci di mandare al Confino un padre di famiglia! Come
esempio di “fascistona” ricordo la maestra che prese di mira il mio fratellino al quale la famiglia non potè
acquistare la divisa da “balilla”. Per un anno non lo considerò lo relegò in
fondo all’aula e lo “bocciò”(gli fece ripetere l’anno)! A me aveva provveduto
la nonna che mi acquistò la stoffa per realizzare la gonna a pieghe e la
camicetta della divisa, e così riuscii a partecipare a tutte le manifestazioni
dove pretendevano di far apprendere che né una nè due né tre verghe da sole
riuscivano a produrre, ma un “fascio” diventava una potenza! L’unica cultura
prodotta dall’istruzione fascista fu questa e ricordo la mamma che mi diceva di
pazientare e di moderare l’opposizione all’idea fascista per non creare
problemi alla famiglia.
LA
TREBBIATURA E L’AMMASSO
Al tempo
del fascio, quando veniva la trebbiatrice arrivavano anche i fascisti
dell’”ammasso” e ti lasciavano un quantitativo di grano per ogni componente
della famiglia al di sopra dei due anni. Il resto veniva portato con il carro e
i Buoi a Cortemilia.
Era
talmente poco il grano che ci lasciava l’annonaria che si rimaneva subito
senza e tante volte sentii mamma dire
che non aveva pane da darci per mangiare! Fortunatamente il nonno aveva
piantato tante piante da frutta:da mele, pere, prugne, fichi pesche ecc. e quando dicevamo che avevamo fame, mamma ci
dava un piccolo pezzo di pane e ci diceva di andare nel frutteto. Con la frutta
ci toglievamo la “fame”.
MIO
FRATELLO PIERINO
A otto
anni mio fratello Pierino, fu mandato da Servitò da una famiglia in Località
“Bruzòt”. I proprietari erano anziani e senza figli e ripagavano il lavoro di
Pierino con Grano e farina. “Porà maznà” povero bambino, pur piccolino andava
davanti ai buoi o a tagliare e voltare il fieno e a svolgere altri lavori
pesanti per aiutare la famiglia con tante bocche da sfamare!
I NAZISTI
Quando,
dopo l’otto settembre 1943 cominciarono ad arrivare i nazisti con i fascisti fu
veramente triste.
Arrivavano
colonne di militari con cavalli e camion e seminavano il terrore. Due miei
fratelli che erano di leva si erano costruiti un rifugio sotto terra per
nascondersi poiché se li prendevano o li mandavano in Germania o li uccidevano.
Io da ragazzina avevo il compito di andare ogni due giorni verso Cortemilia a
vedere se vi erano i nazifascisti. Le ragazze più grandi non potevano andare
perché era troppo pericoloso e così mandavano me. Avevamo un altro sistema per
comunicarci tra cascine, l’arrivo deinazifascisti: ci mettevamo alla finestra
ed emettevamo un “ TUUUUUU! Se avevamo saputo che erano a Prunetto o a
Cortemilia e “SON Lì” se li avevamo in
casa!
I miei
fratelli riuscirono sempre ad essere nascosti dal suocero di mio fratello
Pierino, ma ricordo i pianti di paura che fece mia mamma quando arrivarono con
i cani “molecolari”.
Una volta
mi avviai verso Levice ed incontrai una colonna di nazifascisti che veniva dal
paese. Purtroppo con grande paura e pensando agli insegnamenti della mamma che
mi diceva di recitare la Preghiera dell' ANGELO DI DIO, procedetti. Andai fino
in Chiesa e feci come aveva detto mamma, feci il Segno di Croce ed uscii.
Passai di fianco agli enormi cavalli e carri con munizioni e mi sentii chiamare
da uno che mi disse: <Andoa seti andà matotina?>Dove sei andata bambina? Strinsi il borsellino con libretto e “tessera
annonaria e risposi: <son andà a rà botega ma jerà gnente!>(sono andata
alla bottega del pane ma non c’era nulla!>. Questo disse qualcosa in tedesco
al milite del posto di blocco che mi fece segno di passare. Con grande timore
mi affiancai a uomini e cavalli e giunsi a casa dove mi attendeva preoccupata
mamma. Mi abbracciò piangendo perché vedendo i soldati che passavano nella
strada sopra, aveva temuto mi fosse successo qualcosa. Io scossa entrai in
casa, presi una sedia, vi salii sopra e urlai piangendo rivolta al Crocifisso: <Nosgnor
mi son stofia èd fé sa vita sì!>(Signore, io sono stnca di dover sempre
prendermi queste paure!)
Finito lo
sfogo entrò mamma che mi sgridò ancora perché ero salita pericolosamente! sulla
sedia!
Fu un
periodo terribile, e a mia figlia che mi dice che ho paura di tutto racconto le
paure che ho provato quando avevo 12 /13 anni, nel vedere tutti quegli uomini
armati e urlanti con carri armati e mezzi ed animali che terrorizzavano! Non mi
fu mai fatto del male, ma solo aver vissuto quei momenti è ancora motivo di
paura. Da casa a Levice impiegavo tre quarti d’ora e anche un’ora per
effettuare il tragitto!
I
PARTIGIANI
Dei
Partigiani non si aveva paura, loro si riunivano in bande e venivano a mangiare
da noi. Certo che qualcuno approfittava per svuotare le stalle e farsi i soldi!
Una volta vennero a prenderci un vitello che papà contava di vendere per
comprare il necessario per noi bambini. Nonostante la mamma li avesse
supplicati di non portarlo via, non si impietosirono. Papà li seguì per vedere
dove lo avessero portato e vide che lo avevano venduto dall’altra parte della
collina. Per chi aveva molti vitelli perderne uno era niente, ma per noi che ne avevamo uno solo era subito miseria!
DON MORRA
SI OFFRÌ COME OSTAGGIO
Un altro
fatto che non riesco a dimenticare avvenne un giorno in cui eravamo in Chiesa.
Terminata la funzione, il Parroco Don Morra ci disse di andare subito a casa e
di non gironzolare per il paese. Noi uscimmo per avviarci verso casa, ma
uscendo dalla piazzetta della Chiesa, vedemmo tre giovani legati per i polsi
alle inferriate della casa e dei “tedeschi”(nazifascisti) che sparavano negli
spazi tra loro per terrorizzarli. Questi urlavano “Mamma, Mammmaa!” e quelle
grida le sentii fino a casa e mi rimbombano ancora nella testa. Mentre venivamo
via, vedemmo che Don Morra uscì a parlare con quei nazisti. Si seppe che si
offrì come ostaggio e fece liberare i tre giovani. Al Parroco caricarono due
casse di munizioni sulle spalle e lo fecero procedere fino a Bergolo
schernendolo. Giunti al paese gli diedero ancora calci e lo lasciarono
ritornare. Per lo spavento e lo sforzo rimase a letto qualche giorno e anche se
si temette morisse, si riprese.
IL PAPÀ
MI MANDÒ A COPRIRE UN PARTIGIANO UCCISO
Un altro
orribile fatto che non dimentico.
In quasi
tutte le famiglie di Levice vi erano dei giovani sbandati nascosti. Qualcuno si
aggregò ai Partigiani ma altri preferirono rimenere ad aiutare e a farsi
nascondere.
Un certo
Faraci detto “Nino”, sentendo che vi erano i nazifascisti in paese decise di
uscire dal nascondiglio che gli davano i nostri vicini e scappò attraverso un
campo e fu visto correre. Gli spararono e lo uccisero proprio nel nostro
“pezzo” detto del “Pruz”(pero). Vi era un muretto che stava per raggiungere, ma
cadde proprio lì. Nessuno andò a prenderlo e mio padre, dopo un giorno ,
vedendo che i corvi cominciavano a beccarlo mi disse di andare a coprirlo con i “meirazzon” piante di meliga. A
malincuore andai perché me lo chiedeva mio papà. Piansi fi no in prossimità del
cadavere e singhiozzando presi delle piante secche di meliga e le tirai senza
guardare il povero corpo. Terminata l’opera tornai a casa ancora inorridita ma
soddisfatta di aver ubbidito al papà.
Alcuni
giorni dopo vennero dei Partigiani e portarono il povero corpo nel Cimitero
dove riposa ancora adesso.
ANGELO UCCISO PER INCIDENTE
In guerra
successero tanti fatti tristi e avvenne che Angelo dei “Nicorin” a soli sei
anni morì per un incidente colpito da un fucile di un partigiano. I partigiani
erano stanziati sulla “Langa” ed erano andati in questa famiglia di Angelo a
mangiare. Il comandante disse ai
partigiani di scaricare i fucili prima di entrare in casa. Tutti lo fecero ma
uno se ne dimenticò e appoggiando il fucile partì un colpo che prese Angelo
alla testa uccidendolo sul colpo.
Era un
bimbo con i riccioli proprio bello. La domenica precedente era stato scelto dal
Parroco a porre la medaglia preparata per la Madonna affinchè facesse terminare
la guerra. Il parroco lo aveva sollevato e lui aveva messo al collo della
statua la medaglia. Con quei riccioli biondi sembrava un angioletto che volava
dalla Madonna, e nella settimana avvenne
proprio così, volò in cielo!
PAPÀ
RISCHIA DI ESSERE DEPORTATO
Un
giorno, del 1944, mio padre sapendo che in un prato poco distante da casa
nascevano i “borèi trifo” decise di andare a raccoglierne un cestino per farli
preparare come sugo per la pasta. Quando fu nel campo, dopo aver raccolto
qualche fungo, alzò gli occhi e vide che vi era una colonna di tedeschi che
nella strada sopra procedeva in direzione Levice e quindi di casa sua. Sperando
di non essere visto si avviò verso casa e mi chiese di prendergli la camicia a
quadri da sostituire con quella nera che indossava. Dopo poco tempo arrivarono
i tedeschi e chiesero chi fosse l’uomo con la camicia nera che avevano visto
nel campo. Mio padre disse che era lui, ma questi non gli credevano e vista mia
madre col figlio più piccolo, chiesero dove essere il padre. A segni ma con
grande difficoltà continuarono a dire che era lui e ancora mi fece prendere la
camicia nera e la indossò, ma loro continuavano a urlare: <nein, nein, dove
essere ribelle!> e minacciavano con i fucili spianati. Eravamo tutti
terrorizzati e temevamo iniziassero a sparare. Non credevano che papà fosse il
padre del piccolo poichè era già avanti negli anni e anche la mamma aveva l”aria anssiana(dimostrava più anni!)! Ad un certo momento, Mamma ebbe
un’illuminazione, attaccò al seno il fratellino che iniziò a poppare di gusto!
sotto gli occhi stralunati dei soldati. Il Capitano a quella vista comprese e
mettendosi le mani in testa indicò di aver capito e fece cenno ai soldati
di uscire. Mio padre mi disse di andare a prendere il cesto delle uova per offrirne
a quei soldati che gradirono, ne presero due ciascuno e se ne andarono dopo
avere accarezzato i fratellini e sorelline più piccole e dimostrando nostalgia
dei loro figli e tanta malinconia. Quella fu la prima ed ultima volta che
vennero i tedeschi a casa nostra.
I
BOMBARDAMENTI
Quando
arrivavano gli aerei per avvisare dei bombardamenti, il papà oscurava ogni
finestra affinchè non si vedessero luci o bagliori, quindi faceva sedere tutti
noi bambini attorno al tavolo e i più
piccoli li teneva per un braccio, per avere un contatto nell’oscurità più
totale ed essere sicuro che non sfuggissero fuori incuriositi dal rumore
crescente prima dei piccoli aerei ”Pippo” e poi del bombardiere che faceva
tremare la casa. Li tratteneva tutti e otto e non aveva bisogno di chiedere di
stare in silenzio. Trattenevamo tutti il respiro e terrorizzati dal grande
frastuono, solo quando l’enorme aereo era lontano i più grandi senza muoversi
chiedevano dove era diretto. Il padre sottovoce chiariva: <Van a bombardé
Savona! o Tirin!> La mamma chiedeva ai più grandi di recitare una preghiera
per la gente di Savona che avrebbe subito il bombardamento. Il padre usciva e
poi raccontava di aver visto le luci e udito i rumori della deflagrazione delle
bombe su Savona, ma anche su Torino o Genova. Dalla Lanternazza, la cascina
dove abitavamo, si distinguevano bene i bagliori dei bombardamenti!
MIO
MARITO IN PRIGIONIA
Mio marito Delmonte Michele nato
a Levice il 22 marzo 1923, a settembre del 1943 fu arrestato al Brennero e
deportato in Polonia nel Campo di Linz. Un giorno chiesero chi sapeva mungere
le mucche. Un suo paesano lo invitò ad alzare la mano e così fece. Fu portato
dal prete che non aveva più manovali per la sua cascina. Fu messo al lavoro e
rimase dal parroco per tutta la prigionia. Lavorava per tutta la giornata e
alla sera veniva prelevato per trascorrere la notte nel campo. Al mattino
tornava alla cascina. Raccontava che in questo modo la prigionia fu meno dura
per lui e anche per il suo amico. Infatti lui mangiava a volontà perché era in
campagna e l’amico al quale aveva lasciato la sua gavetta, poteva prendere due
volte il rancio.
Mio
marito raccontava che alcuni mesi prima dell’arrivo dei russi i nazisti
obbligarono i prigionieri a scavare delle profonde trincee per ostacolare il
passaggio dei carri armati russi. Tutto fu inutile poiché a maggio 1945 i russi
con i loro grandi carri armati superarono le fosse ed entrarono nei campi e
liberarono tutti i prigionieri. Inorriditi per la situazione che trovarono
diedero libertà ai prigionieri di andare dove volessero per 24 ore. Loro per
prima cosa assaltarono panifici, botteghe di generi alimentari e zuccherifici
per togliersi la fame che li aveva ridotti a larve umane, poi, molti presero la
strada di casa e chi era troppo debilitato fu aiutato a rientrare.
LA FINE
DELLA GUERRA QUI A LEVICE
Quando
terminò la guerra io mi trovai in paese e corsi a casa urlando che era finita
la guerra. La mamma cercò di zittirmi e mi diceva di non urlare che c’era il
rischio di deportazione per il padre. Ma io urlavo più forte poiché avevo
sentito le campane di Prunetto, Gorzegno e anche delle Chiesette di campagna
che suonavano a “Baudetta” per annunciare la fine della guerra. Facevano
suonare dai reduci che tornavano dalla prigionia. Questi erano assaliti dai
famigliari che chiedevano notizie dei propri figli o mariti. Mio marito diceva
che era terribile non poter fornire notizie perché il ritorno dai luoghi di
prigionia fu ancora una tragedia per ognuno. Lui e i suoi compaesani tornarono
tutti ma con tempi diversi. Lui e altri fecero ritorno quasi tutto a piedi e
superando mille peripezie.
VERO
SANDRO ”LENIN” ANTIFASCISTA
A Levice
vi fu un Antifascista irriducibile, il suo nome era Vero Alessandro, fu
soprannominato “Lenin”. I fascistoni che vestivano come Mussolini le avevano
provate tutte per fare dire a Lenin che era fascista. Gli fecero bere
addirittura un litro di olio di ricino, ma lui non cedette e disse : peuri
masseme, ma mi sareu mai fascista.> ( potete uccidermi ma non sarò mai
fascista) Quando poi fu eliminato il duce, Lenin potè esprimere tutta la sua
gioia. Andò nella scuola dove andavamo noi e prese il grande quadro del duce,
gli legò un cordino e lo trascinò per le vie del paese dicendo <vieni a
vedere cosa hai combinato con i tuoi fascisti!> E tutti lo applaudivano e
gli urlavano < bravo Lenin!>