GRAZIELLA BOSIO GAI DI VALENTINA E GEPIN ARGUELLO
Graziella Gai: <Gepin, mio papà, ultimo nella foto di famiglia, quando ebbe cinque anni rimase orfano della mamma che morì di "Spagnola". Dopo pochi giorni, sempre a causa della influenza , morì anche una sorellina di otto anni”.
“Finin”
Filippetti Delfina Santo Stefano1898 Arguello 1970, la prima nella foto, fu
adottata dallo zio Carlo e da Bosio Rosina sua moglie originaria di Aure di
Arguello.
Finin, morì quando Graziella aveva 18 anni. Le raccontò che di Spagnola, nella borgata della Cerrata di Arguello, morirono la Nonna Margherita che era incinta, una sua figlia, due figli di Bosio Rosina e Carlo(detto Galon) e altri due cugini.
Quando morì la ragazzina (sorella del padre) lei era andata alla Farmacia a prendere dei medicinali e quando fu vicino a casa le dissero che la piccola era deceduta. Dalla rabbia scagliò nel forno quei medicinali e pianse tanto!”
<Io DEL 1951 feci la Prima
Comunione a 6 anni e dopo pochi anni
feci la Cresima indossando l’abito della prima Comunione nell’anno in cui mancò
Pellottiero Adriano Lucia “CIA DEI GIAMESI” nonna di Maria Rosa.
Ricordo delle Rogazioni con le donne “ Umiliate” vestite di Giallo e le giovani ”Figlie di Maria” vestite di Bianco con una fascia azzurra in vita e una medaglia della Madonna al collo con un nastro azzurro
.
Nel ’68 fui Priora ed ebbi il
ricordino che ho conservato
.
Gli uomini “Battuti” vestivano un saio grigio.
La PERPETUA DI DON ODELLO era “Lena” originaria di Narzole. Quando feci la prima Comunione ci fece la cioccolata, eravamo del 1957 e fu per me la prima volta che la mangiavo.
FININ fija d’èn Parco!
<Finin nata nel 1898 diceva con
orgoglio di essere stata abbandonata da una nobildonna. Aveva anche saputo chi
era suo padre, ma preferì vivere con i genitori che l’avevano presa
dall’Ospedale. Fu adottata dallo zio Carlo Gai e da sua Moglie Bosio Rosina.
Persona di grande garbo e
schiettezza, fu per me una vera guida. Tra i molti ricordi vi è la visita
che effettuammo al Parroco Don Odello Castino 1900 1957.
Finin mi prese per mano e mi spiegò che saremmo andate a far visita al Parroco Don Gioacchino che giaceva a letto gravemente ammalato. Mi disse come avrei dovuto comportarmi e cosa dire, ed io che avevo grande ammirazione per lei ubbidii alla lettera. Nel tragitto tra la “Cerrata” e la Canonica mi fece ripetere cosa dovevo dire, ed io che avevo sei anni ed avevo ricevuto da poco la mia Prima Comunione fui all’altezza del compito datomi. Ero emozionata, ma la mano di Finin mi forniva sicurezza. Mi fece suonare la Campanella all’ingresso della Casa Parrocchiale e venne ad aprirci Lena la Perpetua originaria di Narzole. Conoscevo bene anche Lena poiché mi aveva preparata per il Sacramento della Comunione con gli incontri del Catechismo e in quella Domenica di Maggio dopo la Funzione delle otto ci accompagnò in Canonica e ci preparò la cioccolata calda.
La perpetua ci accompagnò nella camera di Don Odello e sottovoce disse che era molto debole ma riceveva volentieri le visite dei parrocchiani. Ricordo come fosse oggi il grande letto in legno con l’alta “pajassa”. Salendo la scala mi ripetevo le parole e con voce squillante recitai ”Sia Lodato Gesù Cristo” e lui mi fece segno di avvicinarmi. Ebbi l’assenso di Finin e Lena e per vederlo meglio salii sulla traversa del letto. In dialetto gli dissi:
“ cos fassa forssa e co varissa
prèst!” ( si faccia forza e guarisca
presto!) Il Don abbozzò un sorriso e mi diede una carezza, al che mi venne
spontaneo di dargli un bacio e saltai sulle assi del pavimento, felice di aver
adempiuto al compito affidatomi. Nella penombra della camera vidi il sorriso di
approvazione di Finin e Lena e il saluto con la mano di Don Gioacchino.
Alla Domenica venne Don Giulio
, il vice Curato di Lequio Berria a celebrare la Messa ad Arguello e riferì che
Don Odello ringraziava quanti gli avevano fatto visita e gli aveva confidato
che aveva particolarmente gradito il bacio di Graziella.
Il Parroco venne a mancare dopo pochi mesi e mi è rimasto nel cuore e negli occhi il volto sofferente del Prete su quell’alto letto. Lo ricordo anche con l’abito lungo nero o bianco e il cappello tipico “biretta” intento a rispondere “Sempre sia Lodato”.
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