famiglia PIAZZA
Il papà, Piazza Giovanni 1895 volle dare il nome
di Ermenegilda a mia sorella per ricordare la zia che andò in America
SORELLA ROMILDA detta GILDA
Il papà
partecipò alla guerra del 1915 e a differenza della mamma non alzò mai le mani
su noi figli.
Da bambini
partivamo dalla cascina sotto Feisoglio e indossavamo gli zoccoli, tenevamo le
scarpe in mano e quando arrivavamo in paese dalla casa di Norina posavamo gli
zoccoli al riparo e mettevamo le scarpe.
A scuola
vi erano tre maestre, e ricordo la maestra “Libera” che era di Somano. Ci
portavano in piazza ad effettuare le marce con il saluto”romano” e per qualche
compagno più discolo era occasione per fare il passo lungo e darci i “pé ‘ntèr
cù” (calci nel sedere).
NONNA MI
REGALÒ I “ZOCRIN”
Nonna
Teresa Moreno, prendeva un po’ di pensione per l’adozione di Nandin ‘d
r’ospidal. Mi fece felice regalandomi un paio di “zocrin” zoccoletti proprio
graziosi. Avevano il cuoio colorato e il “mignin “ pelliccetta! Il papà me li
aveva risuolati con la gomma e oltre a essere belli tenevano caldi i piedi.
Nonna Teresa era andata a Torino ad adottare Armando detto “Nandin” che mi pare
fosse del 1915, poi ne adottò anche un altro, ma dopo due anni glielo vennero a
prendere perché la mamma lo volle con sé. Nonna si era affezionata al piccolo e
ci rimase proprio male.
ZIA GILDA CHE ANDÒ IN AMERICA
Zia sposò il fratello di “Nuto” della “Villa” borgata di Feisoglio e andarono in America.
Zia Gilda
tramite le lettere, raccontò che in America, loro emigranti non erano “ben
visti”. Ebbe quattro figli e a questi, lei, sempre raccontava dell’Italia e dei
nonni. Successe che due dei suoi bambini, senza dire nulla fuggirono di casa.
La loro scomparsa fu denunciata alla polizia, ma dopo un giorno i due fanciulli
tornarono. Fu chiesto loro perché fossero fuggito e loro risposero che volevano
andare a conoscere la nonna di cui lei aveva sempre parlato. La zia e nessuno
della sua famiglia non tornò più Dall’ America. Rimasero queste poche foto e i
ricordi della nonna.
NOI
BAMBINE CI COSTRUIVAMO LA BAMBOLA
Non
avevamo giocattoli ed allora ce li costruivamo. Per realizzare una bambola
prendevamo un pezzo di legno gli disegnavamo occhi naso e bocca , facevamo i
capelli con èr firè èd meira ( i fili del granturco e per tenerli fermi
mettevamo un pezzo di stoffa come “fassolèt” foulard.
STORIE DI GUERRA
Un giorno
ci avviammo dalla cascina dove abitavamo, per andare al paese di Feisoglio alla
Messa. Quando fummo a metà strada ci fermò un uomo armato che ci chiese dove
andavamo, noi riferimmo che si andava a Messa, e questi: <ascoltate me, non
andate in paese, tornate a casa, perché è pericoloso!> Alla mamma dispiaceva
perdere la Messa, e quasi quasi avrebbe proceduto ma il papà disse: <se ci
consiglia di tornare a casa è meglio che lo ascoltiamo!>, e così ritornammo
indietro. Io andavo sempre alla “Messa “prima” con la mamma, così poi quando
tornavamo aiutavo nelle faccende di casa!> Sulla strada, prima di arrivare a
casa sentimmo il “putiferio”di una sparatoria che durò tutto il giorno. Il giorno successivo fu
tranquillo, si disse che i repubblicani avevano perso e si erano ritirati. Mio
padre ricordo che commentò con un semplice<meno male!> a significare che
i fascisti gli stavano antipatici. Quella domenica si stette chiusi in casa ma
noi ragazze e ragazzi fummo felici perché non si andò neppure a pascolo!
In
un’altra occasione <staumo sarinda la méira> (stavamo sarchiando la
meliga) in un campo vicino al Belbo di fronte al mulino del Lavagello ma sul
versante di Feisoglio, passarono due fascisti che ci dissero: <lavorate,
lavorate!> noi continuammo il lavoro ma vedemmo che avevano due prigionieri
che conoscevamo, erano Talino e Giovanni, chissà dove volevano portarli!
Ricordo che mio padre disse coraggiosamente: < questi due hanno famiglia e
dei bambini! Se li portate via come faranno a procurare da mangiare per i loro
figli?> Non era vero perché i due erano senza figli, ma quelle parole si
vede toccarono il cuore dei due fascisti che rilasciarono i due prigionieri. Li
vedemmo passare e increduli ringraziarono solo con un cenno della mano.
NASCONDIGLI
Noi si
abitava in una cascina abbastanza isolata, ma arrivavano ugualmente i
repubblicani a cercare partigiani e giovani che erano in età del militare.
Quando si sentivano arrivare i fascisti veniva dato l’allarme e Gepino, mio
fratello, Dario e Luigi suoi compagni correvano a nascondersi. Per questo
costruimmo, di notte neh!, una “trapa” (buco) nella stalla con un cunicolo che
portava in un Crotin scavato nel tufo dove tenevamo il vino e la roba al
fresco. Una volta che erano entrati il papà copriva l’imboccattura con paglia e fieno e non si vedeva più nulla,
lasciava un po’ di apertura affinchè filtrasse aria per respirare poiché il
“crotin” non aveva prese d’aria e neppure le candele stavano accese! Quando
venivano controllavano l’elenco dei famigliari e con fare brusco chiedevano se
c’erano tutti, ricordo che mia madre altrettanto energicamente in piemontese
replicava: “certo ch’ii son!” (certo che ci sono!) e questi di solito se ne
andavano. Mio fratello non era stato messo nell’elenco perché del 1925 e se
veniva preso chissà cosa gli avrebbero fatto!
Una volta
vennero i fascisti e, si vede che erano stati mandati da qualche spia, chiesero
se non c’erano giovani soggetti alla leva, il padre disse deciso che non c’era
nessun giovane, ma questi insistevano e girarono per tutta la casa e la stalla
senza trovare nessuno e neppure il nascondiglio, poi un comandante fece per
salire sul fienile con la scala a pioli ma al secondo scalino il piolo si ruppe
e questo inferocito disse due bestemmie e ordinò agli altri di andare. Il padre
attese che si allontanassero e poi venne in casa a ridere con noi che avevamo
visto la scena dalla finestra. Più tardi furono fatti uscire i giovani dal
nascondiglio.
LA NONNA MORENO TERESA DI CRAVANZANA
STORIE DI
MASCHE
La nonna
raccontò a Maria anche alcune storie di Masche.
Una volta
nei sorì(luoghi esposti ad Est) di Cerretto Langhe vi erano tante vigne.
Successe che Rita nipote di Cina madre di Leo, stava trasportando le
uve con i buoi, questi di punto in bianco si bloccarono e non c’era verso di
farli muovere. Rita si mise a bastonare i buoi per avviarli, ma il padre Leo le
disse:<non bastonarli, c’è qualcuno che li “Comanda”!> Andò davanti ai
buoi e disse a voce alta:”Gheute che mi te strivazz!(togliti che ti do una frustata!)”E frustò con energia. I
buoi si riavviarono e il giorno dopo una vecchia di nome Fortunata( già da
altri indicata come Masca) portava i segni di una frustata.
Nonna
Moreno le narrò un altro fatto misterioso. Suo figlio, andava con una gerla a
caricare “èr tie di fazeu”(bucce dei fagioli) per cuocerle e darle alle pecore.
Mentre tornava dalla Località Relanghe verso i Brich, sentì la gerla
appesantirsi ed esclamò:”jelo èr diao an tsè tie?”C’è il diavolo in queste
bucce? Si sentì rispondere “Propi èr Diao son!(sono proprio il
Diavolo!)Spaventato, si guardò intorno, ma non vide nessuno, mollò la gerla e
tornò a casa di corsa dicendo che non sarebbe mai più passato per quella
strada. Maria esclama:<Elo vèj o relo in borèj!?(è vero o no!?) la nonna lo
raccontò!
RICORDI
DEI BIGATT E COCHÈT
Prendevamo
un’oncia di di smènz di Bigat (bachi). Finchè erano piccoli non c’era problema
poi crescendo bisignava nutrirli con le foglie di gelso ed era un gran lavoro.
Poi si chiudevano nel bozzolo” cochèt” e li portavamo a vendere, li pagavano
bene!
La mamma
utilizzava i cochèt “de scart” ( scartati perché non perfetti). Li metteva in
acqua bollente e con un attrezzo , che le aveva costruito papà, tirava su il
filo. Ne faceva tante “Marele” matasse” e poi gomitoli. La nonna, lavorando sto
filo al “crochèt” mi aveva realizzato una “Coefa” velo da Chiesa( una volta
perentrare in Chiesa le donne dovevano indossare la coefa!)
I LAVORI
DI UN TEMPO
Una volta si lavorava tutto a mano o con l’aiuto degli animali. An “nàval” a Feisoglio anadavamo anche noi bambine a “sarì” rà meria” la meliga con la zappa dove non si poteva andare con “ra sterpadora” estirpatrice.
Quando sposai Adolfo Cavallotto venni ad abitare qui a Cerretto Langhe
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