sabato 19 aprile 2025

PIAZZA CAVALLOTTO MARIA FEISOGLIO 1928

 



                                

                                                       famiglia PIAZZA





PIAZZA CAVALLOTTO MARIA 1928 FEISOGLIO
Noi eravamo tre sorelle: io, Caterina ed Ermenegilda(Romilda) ed un fratello Giuseppe.

 Il papà, Piazza Giovanni 1895 volle dare il nome di Ermenegilda a mia sorella per ricordare la zia che andò in America

                       

             SORELLA ROMILDA detta GILDA

 

Il papà partecipò alla guerra del 1915 e a differenza della mamma non alzò mai le mani su noi figli.

Da bambini partivamo dalla cascina sotto Feisoglio e indossavamo gli zoccoli, tenevamo le scarpe in mano e quando arrivavamo in paese dalla casa di Norina posavamo gli zoccoli al riparo e mettevamo le scarpe.

A scuola vi erano tre maestre, e ricordo la maestra “Libera” che era di Somano. Ci portavano in piazza ad effettuare le marce con il saluto”romano” e per qualche compagno più discolo era occasione per fare il passo lungo e darci i “pé ‘ntèr cù” (calci nel sedere).

 

 NONNA TERESA MORENO

NONNA MI REGALÒ I “ZOCRIN”

Nonna Teresa Moreno, prendeva un po’ di pensione per l’adozione di Nandin ‘d r’ospidal. Mi fece felice regalandomi un paio di “zocrin” zoccoletti proprio graziosi. Avevano il cuoio colorato e il “mignin “ pelliccetta! Il papà me li aveva risuolati con la gomma e oltre a essere belli tenevano caldi i piedi. Nonna Teresa era andata a Torino ad adottare Armando detto “Nandin” che mi pare fosse del 1915, poi ne adottò anche un altro, ma dopo due anni glielo vennero a prendere perché la mamma lo volle con sé. Nonna si era affezionata al piccolo e ci rimase proprio male.

 

 

 

         

                              

  ZIA GILDA CHE ANDÒ IN AMERICA

 Zia sposò il fratello di “Nuto” della “Villa” borgata di Feisoglio e andarono in America.

Zia Gilda tramite le lettere, raccontò che in America, loro emigranti non erano “ben visti”. Ebbe quattro figli e a questi, lei, sempre raccontava dell’Italia e dei nonni. Successe che due dei suoi bambini, senza dire nulla fuggirono di casa. La loro scomparsa fu denunciata alla polizia, ma dopo un giorno i due fanciulli tornarono. Fu chiesto loro perché fossero fuggito e loro risposero che volevano andare a conoscere la nonna di cui lei aveva sempre parlato. La zia e nessuno della sua famiglia non tornò più Dall’ America. Rimasero queste poche foto e i ricordi della nonna.

NOI BAMBINE CI COSTRUIVAMO LA BAMBOLA

Non avevamo giocattoli ed allora ce li costruivamo. Per realizzare una bambola prendevamo un pezzo di legno gli disegnavamo occhi naso e bocca , facevamo i capelli con èr firè èd meira ( i fili del granturco e per tenerli fermi mettevamo un pezzo di stoffa come “fassolèt” foulard.

 

 STORIE DI GUERRA

Un giorno ci avviammo dalla cascina dove abitavamo, per andare al paese di Feisoglio alla Messa. Quando fummo a metà strada ci fermò un uomo armato che ci chiese dove andavamo, noi riferimmo che si andava a Messa, e questi: <ascoltate me, non andate in paese, tornate a casa, perché è pericoloso!> Alla mamma dispiaceva perdere la Messa, e quasi quasi avrebbe proceduto ma il papà disse: <se ci consiglia di tornare a casa è meglio che lo ascoltiamo!>, e così ritornammo indietro. Io andavo sempre alla “Messa “prima” con la mamma, così poi quando tornavamo aiutavo nelle faccende di casa!> Sulla strada, prima di arrivare a casa sentimmo il “putiferio”di una sparatoria che durò tutto  il giorno. Il giorno successivo fu tranquillo, si disse che i repubblicani avevano perso e si erano ritirati. Mio padre ricordo che commentò con un semplice<meno male!> a significare che i fascisti gli stavano antipatici. Quella domenica si stette chiusi in casa ma noi ragazze e ragazzi fummo felici perché non si andò neppure a pascolo!

In un’altra occasione <staumo sarinda la méira> (stavamo sarchiando la meliga) in un campo vicino al Belbo di fronte al mulino del Lavagello ma sul versante di Feisoglio, passarono due fascisti che ci dissero: <lavorate, lavorate!> noi continuammo il lavoro ma vedemmo che avevano due prigionieri che conoscevamo, erano Talino e Giovanni, chissà dove volevano portarli! Ricordo che mio padre disse coraggiosamente: < questi due hanno famiglia e dei bambini! Se li portate via come faranno a procurare da mangiare per i loro figli?> Non era vero perché i due erano senza figli, ma quelle parole si vede toccarono il cuore dei due fascisti che rilasciarono i due prigionieri. Li vedemmo passare e increduli ringraziarono solo con un cenno della mano.

NASCONDIGLI

Noi si abitava in una cascina abbastanza isolata, ma arrivavano ugualmente i repubblicani a cercare partigiani e giovani che erano in età del militare. Quando si sentivano arrivare i fascisti veniva dato l’allarme e Gepino, mio fratello, Dario e Luigi suoi compagni correvano a nascondersi. Per questo costruimmo, di notte neh!, una “trapa” (buco) nella stalla con un cunicolo che portava in un Crotin scavato nel tufo dove tenevamo il vino e la roba al fresco. Una volta che erano entrati il papà copriva l’imboccattura  con paglia e fieno e non si vedeva più nulla, lasciava un po’ di apertura affinchè filtrasse aria per respirare poiché il “crotin” non aveva prese d’aria e neppure le candele stavano accese! Quando venivano controllavano l’elenco dei famigliari e con fare brusco chiedevano se c’erano tutti, ricordo che mia madre altrettanto energicamente in piemontese replicava: “certo ch’ii son!” (certo che ci sono!) e questi di solito se ne andavano. Mio fratello non era stato messo nell’elenco perché del 1925 e se veniva preso chissà cosa gli avrebbero fatto!

Una volta vennero i fascisti e, si vede che erano stati mandati da qualche spia, chiesero se non c’erano giovani soggetti alla leva, il padre disse deciso che non c’era nessun giovane, ma questi insistevano e girarono per tutta la casa e la stalla senza trovare nessuno e neppure il nascondiglio, poi un comandante fece per salire sul fienile con la scala a pioli ma al secondo scalino il piolo si ruppe e questo inferocito disse due bestemmie e ordinò agli altri di andare. Il padre attese che si allontanassero e poi venne in casa a ridere con noi che avevamo visto la scena dalla finestra. Più tardi furono fatti uscire i giovani dal nascondiglio.

 LA NONNA MORENO TERESA DI CRAVANZANA

                     STORIE DI MASCHE

                              

La nonna raccontò a Maria anche alcune storie di Masche.

Una volta nei sorì(luoghi esposti ad Est) di Cerretto Langhe vi erano tante vigne. Successe che  Rita nipote  di Cina madre di Leo, stava trasportando le uve con i buoi, questi di punto in bianco si bloccarono e non c’era verso di farli muovere. Rita si mise a bastonare i buoi per avviarli, ma il padre Leo le disse:<non bastonarli, c’è qualcuno che li “Comanda”!> Andò davanti ai buoi e disse a voce alta:”Gheute che mi te strivazz!(togliti che  ti do una frustata!)”E frustò con energia. I buoi si riavviarono e il giorno dopo una vecchia di nome Fortunata( già da altri indicata come Masca) portava i segni di una frustata.

Nonna Moreno le narrò un altro fatto misterioso. Suo figlio, andava con una gerla a caricare “èr tie di fazeu”(bucce dei fagioli) per cuocerle e darle alle pecore. Mentre tornava dalla Località Relanghe verso i Brich, sentì la gerla appesantirsi ed esclamò:”jelo èr diao an tsè tie?”C’è il diavolo in queste bucce? Si sentì rispondere “Propi èr Diao son!(sono proprio il Diavolo!)Spaventato, si guardò intorno, ma non vide nessuno, mollò la gerla e tornò a casa di corsa dicendo che non sarebbe mai più passato per quella strada. Maria esclama:<Elo vèj o relo in borèj!?(è vero o no!?) la nonna lo raccontò!

RICORDI DEI BIGATT E COCHÈT

Prendevamo un’oncia di di smènz di Bigat (bachi). Finchè erano piccoli non c’era problema poi crescendo bisignava nutrirli con le foglie di gelso ed era un gran lavoro. Poi si chiudevano nel bozzolo” cochèt” e li portavamo a vendere, li pagavano bene!

La mamma utilizzava i cochèt “de scart” ( scartati perché non perfetti). Li metteva in acqua bollente e con un attrezzo , che le aveva costruito papà, tirava su il filo. Ne faceva tante “Marele” matasse” e poi gomitoli. La nonna, lavorando sto filo al “crochèt” mi aveva realizzato una “Coefa” velo da Chiesa( una volta perentrare in Chiesa le donne dovevano indossare la coefa!)

I LAVORI DI UN TEMPO

Una volta si lavorava tutto a mano o con l’aiuto degli animali. An “nàval” a Feisoglio anadavamo anche noi bambine a “sarì” rà meria” la meliga con la zappa dove non si poteva andare con “ra sterpadora” estirpatrice.


Era un attrezzo con zès(sei) o zèt sapé sette zappe trainato dalla mucca o dal bue. Noi avevamo la mucca per il latte ed un vitellino, na cobia ‘d manzòt e sette o otto pecore per il latte delle tome. Ogni settimana andavamo a venderle al mercato di Niella Belbo. Oh quante volte sono andata a piedi con 4 o 5 chili di tome nella cavagna!

Quando sposai Adolfo Cavallotto venni ad abitare qui a Cerretto Langhe

 

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