giovedì 16 maggio 2024

BORRI FENOCCHIO ANNA SOMMARIVA BOSCO 1921 NEIVE 2009

 












https://youtu.be/PggAX_khvfs       Ricordo nonno MINI

 

https://youtu.be/AcA8ZX5-NsI     Realizza calza e scapin

 

https://youtu.be/s0z2ZtlAayM   Borri Anna al Parco dei Caduti Sommariva

https://youtu.be/zxIJV4fSdXE    Borri Anna ricordo di Nonno Bastian


Famiglia paterna

Borri Sebastiano e Anna

Figli

Marcello(Marslin)1886

Luigi(Vigioto) 1890

Domenico(Mini)1888

Maria(sposata Olivero)

                                   FOTO ARCHIVIO MICHELE OLIVERO
zia MARIA E LA SUA FAMIGLIA OLIVERO

Maria(Inota)

Francesca

Amalia

Famiglia materna

Cornaglia Felice e Margherita

Figli

Domenica

 

 

Borri Sebastiano e Margherita

Vissero nella grande Cascina dei "Pralòt"

Avevano beni in  Località "Ricchiardo"

Alla Montà veija, un bosco che fu ereditato da Mini

 Racconti di nonna Anna

Mio padre, Borri Domenico detto Mini tredì perché suo nonno si era tagliato 2 dita con la faussìa (la falce) aveva una bella voce e gli piacevano gli amici e le “ribotte”feste. Mia madre Cornaglia Domenica mi raccontava che il carattere di Mini era cambiato dopo che da militare aveva dovuto subire iniezioni  e bere tanto cognac per sopportare le fatiche e soccorrere le popolazioni di Messina che avevano avuto il terremoto del 1908. Lei lo aveva conosciuto sempre allegro canterino e gran lavoratore. Faceva il contadino come suo padre Sebastiano e i suoi fratelli Marcello(Marslin il primogenito ) e Luigi (Vigioto, il secondogenito).

                                 LUIGI , BASTIANIN, MARIO

                                 MAMMA DOMENICA, ANNA

Si abitava da custodi nella Villa Anna “ an ser Pé” e mio padre iniziò ad avere i cavalli e a fare il trasportatore di vitelli, maiali per conto terzi. Me lo ricordo in piedi sulla biga, con le briglie  e la frusta in mano, il cappello sulle "23", il foulard al collo e il “corpèt”(gilet) sopra la camicia a quadrettini, un bel cartonè amante dei cavalli. Quando veniva alla Cascina Azièt  in Vaccheria d’Alba a portare le mucche per accoppiarle, faceva il viaggio di ritorno con una botte d’acqua salata da far evaporare per produrre un po’ di sale. Raccontava che in quei viaggi quando arrivava in Val Granda di Neive, trovava sempre o un gatto o una capra in mezzo alla strada che facevano imbizzarrire il cavallo, era la masca Marianna che si trasformava in bestia per spaventare i cartoné.   In questo periodo io avevo una decina di anni e avendo mangiato i Brignèt beus (prugne selvatiche verdi e non mature) mi ammalai di febbri intestinali non potendo così dare l’esame di quinta classe. Siccome il Medico mi aveva messa a dieta e potevo bere solamente un litro di latte al giorno, io avevo appetito e così ,di nascosto mio fratello Luigi mi portava l’uva , eh! Io e Luigi ne abbiamo sempre combinate di birbonate!

Una volta, abbiamo preso la bicicletta di Bastianin (il fratello più grande)  sulla ”travà” (il fienile) e l’abbiamo buttata in cortile per farci un giro, ma io non ci arrivavo(essendo una bici da uomo) e andavo pedalando con una gamba sotto la canna , poi essendosi tolta la catena,nel tentativo di rimetterla pizzicai le dita a Luigi che era  più piccolo di me di 4 anni. Ricordo che temevo più la sgridata di Bastianin che quella della mamma, ma siccome ero l’unica bambina mi coccolavano tutti e la passai liscia.   

Prima di venire ad abitare in via delle scuole a Sommariva, noi si abitava vicino ai nonni materni sulla strada che viene da Ceresole.

 

L'INCENDIO ALLA CASCINA DEL NONNO BASTIAN       

Nel 1931, quando avevo una decina d'anni, un giorno d'estate, mentre io, Mario e Luigi giocavamo in cortile, vedemmo del fumo nel paese. Allarmati temendo fosse un incendio alla Cascina del nonno Bastian e Anna,  corremmo in paese e scoprimmo che il fuoco era proprio dai nonni. Era andato distrutto il fienile ma fortunatamente, la casa e la stalla che erano dall'altro lato furono salve. Io e Mario andavamo sempre a trovare i nonni e ricordo che il nonno ci offriva una pesca o un'albicocca che divideva in due, sia per noi che per gli altri nipoti. Noi però, poi andavamo nel frutteto e prendevamo altri frutti.

Il nonno lo ricordo anche malato nel letto di assi con pagliericcio di foglie di meliga situato nella stalla. Le lenzuola erano rigorosamente bianche ed erano in forte contrasto con le pareti annerite. Aveva bei baffi, proprio come te!

La nonna morì che io ero piccola e così la ricordo poco. Ebbe nove figli e fu ricordata perché diceva sempre che preferiva partorire un figlio che fare una polenta. 

Nonno abitava con  zio Marcello e la moglie, ma chiedeva a mia mamma di andargli a preparare lo zabaione . Le diceva: <Se me lo prepari tu Menica, lo mangio!> Le sussurrava che l'altra nuora era "sporca e disordinata!" Anche la cucina dei nonni era affumicata e scura, ma risaltavano i quadretti con le scritte a sfondo religioso: IN QUESTA CASA NON SI BESTEMMIA - GESÙ TI AMA- MARIA PROTEGGI LA FAMIGLIA ed altri. Era molto religioso e a mamma Menica diceva: < Quando morirò, non spendere soldi per le Messe per me, ma fai pregare i bambini.> Quando il nonno morì anche la mia famiglia si trasferì in via delle Scuole e vivemmo tutti i momenti belli e brutti finché ognuno di noi figli prendemmo le nostre strade. Solo mio fratello Mario rimase con la mamma e la sua famiglia.

 

Mio nonno paterno era un uomo molto retto e saggio, e  quando fece la divisione dell’eredità , sapendo che Mini, nostro padre, aveva il vizio di bere e far festa lasciò la casa a noi figli e alla mamma affinché non la sprecasse. Purtroppo sapemmo in seguito che “pare” aveva ereditato anche un “Fagòt” di soldi che noi non abbiamo mai visto.

Ricevuto in eredità un pezzo di casa dei Pralot , andammo ad abitarvi e mio padre faceva il suo comodo andandosene via di casa e ritornando quando riteneva di dover avere una parte delle galline o sacco di meliga.

 

Il “pare” cominciò a peggiorare  e sempre più sovente arrivava a casa e faceva scenate . La mamma , prevedendo “ il suo vin gram” ci dava cena prima e ci mandava in camera o dai nonni e così lasciava che lui in preda ai fumi dell’alcool rovesciasse il tavolo o facesse il diavolo a quattro. Quando stava per arrivare lo si sentiva cantare fin dalla “leia” (il viale di platani ) che c’è ancora davanti alle ex scuole , addirittura una volta fu multato per schiamazzi notturni .

 

 


 

Barba Marslin (zio Marcellino) , che abitava nella casa accanto, tempo dopo, ci riferì che l’altra donna  dopo avergli mangiato un po’ di soldi lo lasciò .

 Lui continuò a vivere da solo e la mamma non volle che i nipoti lo conoscessero e diceva che era un “Barba”(zio) . Io, di nascosto dalla mamma, quando potevo andavo a prendere le uova nel pollaio e gliele portavo, in fondo era mio padre e gli volevo comunque bene. Michelino, mio marito, che era militare a Sommariva Bosco e voleva conoscermi capì che ero figlia di Mini e una sera andò a “spojè” ( riunione di vicini nell’aia per preparare la meliga ed esporla ad essiccare) , cantò e lavorò con lui per farsi conoscere.

                                     FAMIGLIA 

CORNAGLIA DOMENICA           BORRI DOMENICO


 

                                      PADRE BORRI DOMENICO 1888     

 

 

“Barba” Mini

La cascina in Via della Scuola, era dei Borri da tempo immemorabile. Ha visto generazioni lottare per vivere, uomini partire soldato e tornare a sposare, a far figli. Molti non li videro nascere, ci pensarono le donne a crescerli forti. Alcuni seppero “Fésse dèl bin”(farsi del bene), altri “l’an fait dèl bale, e a l’an pagaje! Cheicun l’è mort an guèra e a l’è pi nèn tornà!” (Qualcuno ha commesso degli errori e li ha pagati! Qualcuno è morto in guerra e non è più tornato.)

“Voglio raccontarti la mia storia, non per giustificarmi, ma perché tu che sei bambino, quando sarai grande possa raccontare la vita di uno che visse “brao”(bravo , buono) fino a un certo punto poi diventò “Gram”(cattivo), ma in fondo al cuore ha sempre avuto tanto amore per la vita per sua moglie e per i figli. Non so cosa mi successe. Quando non ci sarò più qualcuno mi aiuterà a venir via dall’inferno dove finirò! “ Parole di barba Mini. Così lo conobbi. Entrò dal cancelletto con la rete metallica che rinchiudeva la proprietà di Cornaglia Borri Domenica, mia nonna materna. Era la parte di cascina che fu dei vecchi Trèdì. Un muro alto fungeva da divisore e recinzione con la proprietà di altri Borri, per tante vicende non più amici. “’S parloma pà pì!” mi disse “Barba Mini”.

Entrò richiudendo, per non lasciar uscire le galline del cortile. Attirò la mia attenzione, stavo giocando con la terra sabbiosa che seppi, in seguito, essere buona da orto. Era molto alto, Mini sembrava vergognoso, passò vicino a noi bambini, io e Bastiano, accoccolati e intenti a formare delle montagnole di terra per il nostro gioco con i carri. Si chinò e ci accarezzò entrambi, sollevai gli occhi e incrociai i suoi, stanchi ed iniettati di sangue ed umore di lacrime, la pelle era scura, i baffi neri e la barba da radere lo rendevano interessante. – Chi sei? – chiesi. Non rispose, si risollevò e andò a sedersi su di un balot di paglia, sotto un pero in fondo all’orto. Chiesi a Bastiano – è  “barba”zio Mini- mi rispose. Lasciai il gioco e attraversai l’orto calpestando insalata finocchi e carote, lo raggiunsi e mi sedetti su su di uno sgabello a tre gambe di fronte a lui. Sorrise, forse perché avevo calpestato l’orto, ma paziente non mi sgridò. Anche seduto, lo ricordo altissimo, il panciotto nero aveva un taschino dal quale fuoriusciva la catenella dell’orologio a cipolla che emetteva un tichettio piacevole. Il cappello nero di feltro era posto all’indietro “ ansl’undès ore”( sulle undici) mi disse. – L’ho sempre portato così anche quando facevo il “Cartoné”(Guidatore di carro trainato da cavalli). 

 ( Beppe): “Mini” Racconta 

 Mio padre , Felice, era un uomo semplice e di grande fede. Sicuramente lo ammiravo  per la sua laboriosità e rettitudine  ma già da bambino mi sentivo diverso da lui.

Quando nonno Bastian si tagliò due dita con la “faussia”, avevo dodici anni,eravamo nel 1900 e avevo un’adorazione per lui.

I cavalli erano all’ombra del grande “mo” gelso dei Pralot e ogni tanto nitrivano perché infastiditi da qualche tafano. Seguivo il nonno a debita distanza per non essere nel raggio d’azione della falce e raccoglievo le spighe che gli sfuggivano. A dire il vero non erano molte, ma lui mi voleva vicino e il padre mi aveva incaricato di seguirlo. Gli piaceva il vino e che fosse buono e non bruschèt o vinot. Nella bota’d cossa marchiata BB, Borri Bastian, provvedeva lui stesso a mettere il vino “dla bonza bona” (Della botte buona) poiché sapeva che Felice avrebbe messo quello del botalin ancora allungato con acqua . Con il mazzolino di spighe osservavo orgoglioso quel gesto ampio e flessuoso che il nonno compieva e accompagnavo il suo canto ascoltando la musica che produceva la falce nel taglio e il mannello cadendo, lo gettava con precisione  a formare ra cheuv-il covone. Quando fermava per legarla, poiché non voleva fomre antorna, di solito era compito delle donne legare i mannelli- er giavele, posava la falce e senza smettere di cantare si allungava, prendeva il gorèt, legava con quel nodo che mi aveva insegnato e riprendendo il ritmo mi sorrideva e o tacava n’atra canson. Aveva un ampio repertorio che io avevo ormai appreso ,ma se potevo gli facevo cantare “Moretto” o Morettina.

Allorché la faussia era da molé-affilare , altra fermata, bevuta , recupero d’ra co dal coé-contenitore appeso alla cintura dei pantaloni, e nuovo gesto con musicale accompagnamento. Questo rapiva i miei occhi e le orecchie ,mentre nonno Bastian  con maestrìa molava la lama e la rendeva lucente e tagliente. Lisciandosi i baffi mi porgeva la falce e mi invitava a sfiorare la lama dicendomi “s’a lè caoda a lè pronta a esse eisà.”Se è calda è pronta a essere usata. Sfioravo con cautela il filo tagliente e provavo a falciare un pugno di spighe, poi, sapendo qual’era il mio compito restituivo l’attrezzo, soddisfatto di aver espletato er mè travaj.

Il rito del taglio del grano procedette in armonia fino a che il nonno mi mandò dai cavalli. Fermò il lavoro e bevve un sorso a “Garganela” si asciugò i baffi e mi ordinò:”Mini, và a bèjve là a l’ombra e dajne ‘d cò ai cavaj” Tron e Losn erano la nostra coppia di cavalli e sembrava avessero capito, nitrirono all’unisono.

Abbeverati i cavalli bevvi anch’io a garganella e mi sbrodolai, mi rivolsi ridendo verso il nonno e notai che si era fermato e aveva raggiunto il bordo del campo, al ritorno presso di lui vidi che il fazzoletto non era più annodato al collo bensì fasciava la mano sinistra. Osservai un laghetto rosso , ma non di vino, vicino a una cheuv -covone , nonno aveva già ripreso il lavoro. Al termine del solco si fermò e si sedette, cosa strana per lui, mi guardò coi suoi occhi chiari ma duri e mettendo il dito indice vicino al naso per intimarmi silenzio mi mostrò, in segreto ,svolgendo il fazzoletto insanguinato ,la mano sinistra .Mancavano due dita, “l’èi sotraje là-li ho sotterrati là” indicandomi il bordo del campo e continuò “l’on disinfétaje col piss e col vin, la feuja ‘d lapass a férma èl sang-la foglia di lapazio ferma il sangue. Mi diede da pulire il coltello da innesto che aveva usato a eliminare la pelle e mi fece segno di falciare, come nulla fosse accaduto. Riprese a cantare con voce forte, intonò “noi vogliam Dio”. La cantava nei momenti in cui voleva ringraziare il Signore .

Prendendomi la giavela-mannello mi guardò sorridendo e sussurrò” da ancheui noi soma i tre dì.  

 

Anna Borri "Trèdì" 1921 Sommariva del Bosco testimonianza

 Finchè scampo non mi toglierò dagli occhi quei partigiani appesi ai platani del viale davanti alle scuole! Per andare a lavorare alla fabbrica di compensato dovevo passare per quel viale ma dopo quel  mattino scelsi un ampio giro per non vedere quell’ orrore.Li lasciarono qualche giorno con il cartello “Banditen”. E li vedevano anche i bambini neh!

 

 BEPPE : STORIA DI NONNO DOMENICO "MINI" 1888

 Padre mi accompagnò con la “doma”(calessino biposto a due ruote trainato da un cavallo) trainata da Tron a Mondovì. Partii lasciando il lavoro ben avviato e gli accordi già presi con “Giacon” Tognin di Neive.

Non salutai Menica, appena conosciuta, ma dissi a nonno Bastian, che era amico di Felice Cornaglia di avvisare che ero partito per fare il soldato. Partimmo all’alba di un giorno di Novembre, il buio profondo lasciava il posto a un chiarore beneaugurante. Il “Pare dij mort”(Il becchino) che spegneva anche i lampioni a gas nella allea delle scuole, era già all’opera. Gli diedi una voce: - von soldà, ma ricorda a Marslin che torno per il Corpus Domini”.

Nel paese era tradizione che i giovani portassero le croci e il baldacchino alla processione del Corpus Domini, dal santuario alla Parrocchia. Io e mio cugino Marslin eravamo tra i più robusti e adatti a quel servizio. Guardavo il castello mentre il cavallo arrancava su per la “Montà veja” e pensavo a Menica che tra poche ore sarebbe andata al lavoro.Mi sarebbe piaciuto vederla e dirle che le volevo bene, ma dovevo andare. Speravo che anche lei condividesse il mio sentimento che mi sembrava aver colto nei suoi occhi chiari in quel fuggevole scambio di parole. Ero inoltre fiducioso che nonno Bastian mettesse una parola buona con suo nonno Felice. Questi pensieri mi scaldavano e non subivo il freddo pungente dell’ormai imminente inverno. Da sotto la coperta, che mi ero messa in testa, vidi il padre “Ansgnesé”(Fare il segno di croce), eravamo dal cimitero e la campanella suonata dai “morèt” che abitavano la cascina vicina, dava i sèt bòt(i sette tocchi). Anch’io feci mentalmente il segno di croce e mi affidai al Signore intonando sottovoce –Noi vogliam Dio ch’è nostro padre…” come mi aveva insegnato nonno Bastian. Le terre rosse del Paolò (Paolorio) erano ricoperte di nebbiolina e i gelsi ormai spogli sembravano soldati a guardia dei poderi. Al Santuario della Madonna delle rose ci aspettavamo che Tron si imbizzarrisse poiché era luogo dove “lavorava” la Masca dei boschi, invece nitrì soltanto, quasi intendendo deriderla. Vidi Pare Felice che si era alzato ritto in piedi e tenendo le briglie con una mano sola con l’altra stringeva la Corona del rosario e faceva penzolare il piccolo crocefisso. Nonno Bastian aveva insegnato ai suoi figli e anche a me quel gesto anti-masche visto adottare da un frate esorcista quando era in guerra. Raccontava che per non farsi prendere prigioniero dagli austriaci si nascose con altri in un cimitero vicino a un convento e una volta vide una scena che non dimenticò più. Arrivò al Convento una ragazza che , su di un carretto trainato da un asino, conduceva una vecchia, sua madre, posseduta dal demonio. Il frate recitò alcune parole in latino e alzò il pugno sx con la corona del Rosario, con la destra disegnò una croce nell’aria. La donna, con ancora la bava alla bocca   e gli occhi spiritati, si scrollò, guardò il frate , scese dal carro e gli si inginocchiò ai piedi.  


 Prozio BORRI LUIGI 26 Ottobre 1890 Sommariva del Bosco 13 Marzo1916 TIMAU - SACRARIO MILITARE TIMAU T.1521

BORRI LUIGI DI MARGHERITA E SEBASTIANO

SOLDATO 2° RGT ALPINI 26 10 1890

Mio Padrino Borri Luigi(fratello della mamma Anna) è nato a Sommariva del Bosco nel 1925. Gli chiesi se ricordava della famiglia di suo Padre Domenico detto “Mini tre dì” (mio nonno materno). Ci pensò un attimo e ricordò che: I Borri figli di Bastian erano Mini, Marcellino, Luigi (morto in guerra quella del 15/18). Cercando nell’elenco dei Caduti della Prima Guerra Mondiale ho rilevato i seguenti dati:Borri Luigi di Sebastiano Soldato 2° reggimento Alpini, nato il 26 Ottobre 1890 a Sommariva del Bosco distretto militare di Mondovì, morto il 12 Marzo 1916 sul Monte Paularo in seguito a caduta di valanga. LA CAPPELLA DI PAL GRANDE: I soldati non avevano alcun rifugio in cui raccogliersi in preghiera quando, nelle fredde mattine invernali, la tormenta accecava e flagellava il viso e la paura gl'attanagliava l'animo. Don Janes, cappellano del battaglione Tolmezzo, lanciò l'idea di costruire una cappella dove celebrare Messa e trovò subito larghi consensi. Tutti parteciparono al progetto, soldati e ufficiali. Il ten. Bruno D'Andrea disegnò la chiesetta, nel suo baracchino a Selletta Freikofel. I migliori scalpellini del battaglione, diretti dall'alpino Cipolat di Aviano, prepararono i blocchi di roccia viva. Il ten. Col. Ugo Pizzarello, irredento comandante del Tolmezzo, incaricò il pittore veneziano Fragiacomo di dipingere una tela che ricordasse il sacrificio di tanti ragazzi. L'artista salì sul Pal Grande con la sua tavoletta 69x44 ed i colori ad olio e qui prese forma la "Madonna delle Nevi", soave, triste, coperta di gramaglie, con la corona d'alloro. La cappella, eretta in pochi mesi, in puro stile romanico, venne benedetta il 2 Novembre 1916, alla presenza delle autorità civili e militari della zona. Mentre si celebrava la prima S.Messa, ci fu un bombardamento e miracolosamente non ci furono vittime. Per tutti fu un segno della protezione della Beata Vergine. La cappella fu meta di pellegrinaggi fino alla ritirata (23 Ottobre1917) quando la tela della Madonna prese la via d'Austria come preda di guerra. Il destino volle che la colonna austriaca si fermasse davanti alla Chiesa di Timau. Il sig. Mentil, sacrestano, intuì in quale carro si trovava la tela e, incurante del pericolo, riuscì a sottrarla e la celò in un posto sicuro. Dopo la fine del conflitto, a lui spettò l'onore di portare il quadro alla cappella di Pal Grande, nelle ricorrenze di cerimonie di suffragio. La Madonnina veniva qui lasciata per tutto il periodo dell'alpeggio, da giugno a settembre. Durante il resto dell'anno, assieme all'immagine del volto di Cristo del pittore Cesare Laurenti (dono del gen. Pizzarello alla cappella di Pal Grande), trovava ospitalità nel santuario del Cristo a Timau. Nel 1916 anche presso la casera di Pal Piccolo venne costruita una cappella, dal battaglione alpini "Val Tagliamento". Adiacente sorse il cimitero di guerra ove furono sepolti 633 caduti, traslati poi nel sacrario di Timau.

 

 

 

 

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