lunedì 14 ottobre 2013

BERUTTI PIETRO Il comandante "Gino"

 

https://youtu.be/qXJQtjHGBo0  Alla "Presa DI ALBA"

  https://youtu.be/a_hzWorGLEA                                       

 Il COMANDANTE “Gino” PARTIGIANO PIETRO BERUTTI
Due anni fa(2011) alla Commemorazione del 25 Aprile a Valdivilla, fotografai alcuni partigiani noti e altri che non conoscevo. Mi ispiravano, il viso sempre birichino di “Favot”, quello sognante di “Freccia” e quello sofferente di “Gino” col fazzoletto azzurro, seduto sulla sponda del monumento. Mio padre mi aveva menzionato di “Gino” di “Pierre” Piero Ghiacci di “Romano Scagliola” Diaz di “ Walter” Boella Valerio”, ma il tempo aveva velato il ricordo. Guardai e riguardai quelle immagini che mi suscitavano positive emozioni e ispiravano fantasie collegate a ricordi e che rimanevano bozze virtuali. Fu l’amico Renato “maestro pasticciere” che mi accennò di aver conosciuto a Barbaresco un anziano con una storia interessante. Effettuai alcuni collegamenti e il cuore e nonno Nando mi suggerirono di ascoltarlo. Insistendo, riuscìi ad ottenere un incontro. Già al telefono la voce mi parve conosciuta, mi frullarono nuovamente sensazioni di relazioni tra nomi, luoghi e presenze eteree che mi davano gioia e serenità. Pietro Berutti del 1922 di Barbaresco, titolare della Cantina “La Spinona”, nato ad Alba con il papà Carlo originario di Neviglie. Mi chiese chi ero e mi presentai come il figlio di Michelino Fenocchio originario dei Tuninetti di Neviglie e “meccanico ciclista di Neive”, Pietro mi disse di aver conosciuto mio padre non solo come “riparatore della sua bicicletta” ma ancora prima, nel lontano 1932 quando con il fratello Vigin venivano ad Alba dai parenti Bocchino suoi vicini di casa. Il giorno dell’incontro ebbi la soluzione dell’evento e mi chiarìi che nella vita terrena si possono realizzare sogni che “il grande Burattinaio” dirige e rende possibili. Ho ascoltato tantissime persone e molte le ho perse ma Pietro è uno di quelli che era definito dovessi ritrovare qui sulle colline di Barbaresco con il palcoscenico sul fiume Tanaro. Il fiume di Michelino mio padre, di Michelino èr Postin, dei Portoné Mighin, Aurelio, Gidio, Gino e Rico Agnelli ma soprattutto il fiume di Pietro Berutti, il “comandante “Gino” e di Romana, la sua compagna da sessantotto anni. “Gino ha una voce chiara e sicura, un fluire dei ricordi che è la sceneggiatura di un film che avrò la fortuna di visionare per primo. Un grande onore e un dovere da assolvere con umiltà e rispetto per “Gino” e quei giovani che andarono avanti. Ascoltando il racconto di vita di “Gino” mi ritornano alla mente le parole dei tanti amici che ho avuto la fortuna di conoscere e che giunti al”patatrac”(come molti hanno denominato l’Armistizio), l’8 settembre 1943, mi hanno trasmesso le sensazioni di disorientamento che provarono. Oreste Francone 1921, Giacosa Gino 1924, Rivetti Dario 1921, Bosio Guido,1921 Pace Dario 1921, Bressano Alfredo 1921, Fenocchio Ernesto 1922 e molti altri mi hanno espresso da un lato la gioia nel sapere che qualcosa sarebbe cambiato ma anche la preoccupazione per come sarebbe andata. Tutti, seppur molto giovani, nel marasma del momento compresero che dovevano organizzarsi da soli e prendere decisioni che potevano costare la vita. Quelli che riuscirono ad evitare la prigionia o che riuscirono a fuggire scelsero sia pure a fatica, poiché non avrebbero mai voluto imbracciare un fucile, di opporsi alla dittatura fascista e all’invasione nazista. Queste sono le storie di Angelo Carmine “John”, di Edoardo Grimaldi, di Giovanni Negro”Negrito”di Neive, di Rossello Renzo”Foco” di Rocchetta Belbo, di Salvetti Renato di Dogliani, di Oreste Nano, Viglino Dante”Balilla”1930 e anche di giovani ragazze come Margherita Mo” Meghi” di Lequio Berria, Vincenzina Ruffino”Mary”di Neive, di Tersilla Fenoglio Oppedisano, “Trottolina” di Cerretto Langhe. E ancora, “Gino” mi ha confermato quanto disse Don Michele Balocco mio collega insegnante alla Media Macrino di Alba e grande maestro di vita:” …..loro(i partigiani)sapevano,senza tanti studi e senza tanti programmi, che la vita non è mai uno scherzo e che con la parola – Libertà - non si imbrattano i muri e le pagine dei giornali ma si formano delle salde coscienze, dei forti convincimenti, degli indistruttibili ideali, lontani da ipocriti alibi e da sporchi baratti. Lo sapevano. E morivano così. Senza chiedere nulla. Lasciando che il fulmine si avventasse sulle loro bestie, ma non che distruggesse le loro anime……..Non c’è altra strada da seguire per non morire. Occorre tornare alle sorgenti. Solo così saranno definitivamente rifiutati tutti i pagliacci e tutti i ciarlatani, ricacciati nelle fogne i mille approfittatori e avventurieri di ogni tempo. E i martiri di tutte le bandiere potranno finalmente riposare in pace.” 
   
A BARBARESCO
< Una Domenica, ero nel negozio dalla mia futura suocera “Emilia Massa Quassolo”, mi avvisarono che erano arrivati i “Repubblican”(fascisti). Uscii di corsa e infilai la porta del Castello che a quei tempi era abitato e mi buttai a gambe levate nel bosco di pini che era dietro, ora son tutti vigneti. C’erano trenta centimetri di neve e lasciavo delle orme che avrebbero segnalato il mio passaggio e neppure non potevo fermarmi perché se mi avessero inseguito mi avrebbero ucciso sicuramente. Mentre decidevo cosa fare girai gli occhi e vidi un passaggio, lo infilai senza sapere dove andasse. Procedetti per un po’ e mi trovai sull’orlo di un laghetto, era il fondo del pozzo del Castello. Attesi un po’ di tempo rimanendo ad ascoltare se vi fossero dei rumori, poi decisi di uscire. Però “son èntrò con èr muso e son sortì con èr cu!”(entrai in avanti e uscìi arretrando!” Era un piccolo cunicolo dove non ci si girava e pertanto cercando di non far rumore arretravo di tre passi gattonando e mi fermavo, finchè mi decisi di uscire nonostante sentissi parlare. Andò bene poiché i fascisti erano andati via e le voci erano di gente del paese che disputava sulla mia fine. Gino ha tante altre storie da raccontare e sarebbe bene che i giovani le conoscessero. Alcune me le ha già rivelate e mi hanno aiutato ad entrare nel periodo storico della sua giovinezza dove riuscivano a convivere con la paura e la povertà e senza voler essere eroi riuscirono a credere e combattere per dei valori che oggi consideriamo scontati ma sovente dimentichiamo. Ascoltando Gino e Romana ho compreso che la loro vita da giovani li temprò ad accettare le difficoltà e seppero impegnarsi per costruire serenità e pace.


Pietro Berutti 1922 il Comandante “Gino” Barbaresco

<Quel giorno eravamo alla Cascina Torretta di San Donato. Quando sentimmo il rumore della colonna di nazifascisti era ormai tardi per fuggire. Erano già nell’ultima curva dove poi c’è la strada che porta al Caffo di Neviglie. Con quattro salti ci portammo nella vigna sulla sinistra della cascina e di lì “oma sopataje” (abbiamo sparato). Ma presto ci rendemmo conto che potevamo fare ben poco contro le loro mitragliatrici “a quattro bocche”. Avevo con me una decina dei miei uomini di Barbaresco e con imprudenza(sènssa cognission) eravamo scesi ad affrontarli nella strada. Sostenemmo per un po’ la sparatoria poi dissi loro che era il momento di andare.

Già i proiettili sibilavano e iniziammo a correre a rotta di collo giù per il pendio di vigneti e "piovà" (terrazzamenti con dei salti che solo la giovinezza ci permetteva di effettuare. Si corse fino a Rocchetta e senza voltarci a guardare se ci inseguivano neh! Mentre si correva uno dei ragazzi mi urlò: “se arrivo al fondo sano e salvo domani vado a far la Comunione per ringraziare” Proprio lui che non frequentava la Chiesa!

Arrivati a Rocchetta non ci fermammo e continuammo a salire per giungere a Castino, nonostante gente del paese ci avesse fermato chiedendoci di sabotare la casa di un noto fascista! Non avendo avuto ordini non permisi ai miei Partigiani di entrare. A Castino trovammo subito una sistemazione e rimanemmo una decina di giorni. Da Castino ci spostammo allo Scorrone e poi, sempre a piedi tornammo a San Donato e fu lì che Poli mi destinò a Barbaresco. Paolo Farinetti era con il suo gruppo lì dove c’è Gaja e noi ci insediammo all’Ovello per controllare tutta la valle Tanaro. Avevamo due Bren piazzati che puntavano verso il Porto di Neive. Ricordo che un giorno venne il direttore della Cinzano il Dottor Ricaldone, per incontrarsi con Poli. Arrivò al Porto con il calesse e “l’autista-cocchiere”, io andai ad attenderlo e lo accompagnai da Poli. Quando se ne andò mi ringraziò e mi donò un bellissimo orologio con il marchio Cinzano che io però, consegnai a Piero Balbo.

Al termine della guerra questo Amministratore delegato mi propose di andare con lui a New York, io non accettai la proposta e venni qui a Barbaresco dove mi sposai. Se avessi accettato forse avrei fatto carriera in politica, ma io ero innamorato di Romana e feci un’altra scelta : coltivare vigneti. Sono ancora qui, alla cantina La Spinona e son quasi 70 anni che siamo sposati.>    


https://youtu.be/qXJQtjHGBo0                                    

 

ATTACCO SU ALBA DEL 15 APRILE 1945

<Alla presa di Alba del 15 Aprile, io ebbi l’incarico di sorvegliare con i miei uomini “Il sabotaggio del Molino Rizzoglio e della Centrale elettrica.” Comandavo la terza Colonna. Scendemmo da  Barbaresco e percorrendo le gallerie della ferrovia passammo sotto la galleria sulle rocche dove il Tanaro effettua un’ansa e vi sbuca il Torrente Cherasca. Lì davanti c’era il Seminario minore dove alloggiavano i fascisti. Noi arrivammo procedendo lungo l’argine che arrivava dal cimitero e passava dove ora c’è la rotonda e corso Torino. Sulla piazza del grande Peso Pubblico vi era una Torre dalla quale i repubblicani sparavano, ma noi riuscimmo a evitare i proiettili proteggendoci con la riva dell’argine, finchè giunse un piccolo carro armato che andò a girare dietro il vecchio campo sportivo e quindi alle nostre spalle e iniziò a effettuare una pioggia di fuoco. Fu così che dovemmo uscire allo scoperto e in quel frangente caddero colpiti  Valerio Boella Walter, Romano Scagliola Diaz, Marcello Montersino Giob, Solazzo Oronzo, Mereu Albino. Gino si mette le mani al viso e sussurra ”Abbiamo sbagliato tutto, ma eravamo giovani e inesperti e rischiavamo da incoscienti!”  Dal Seminario Minore sparavano, dalla torre del Peso sparavano, sparava il carro armato, a quel punto ordinai di fuggire e quando li vidi tutti al sicuro nella galleria ferroviaria, per ultimo, vedendo che i proiettili erano una pioggia nell’acqua della Cherasca pensai di rientrare attraversando il Tanaro sotto le rocche per arrivare da sotto a Barbaresco. Dove sfocia la Cherasca vi erano delle “Gore”(salici) e sapevo che sotto le rocche vi era “na roséla” (aquitrino di acqua corrente) dove avrei potuto attraversare il fiume. Con grande fatica percorsi il tragitto sotto i salici e un po’ piegato e un po’ a “Gatass”(a quattro zampe) arrivai dove c’era il porto di Barbaresco, attraversai con l’acqua alla gola, rischiando più di una volta di scivolare e di andare sotto.

Fui salvato da una ragazza(Adriana Alciati) sfollata da Genova  che viveva nel castello, vedendomi in difficoltà si tuffò e venne in mio aiuto. Ero stremato e riuscìi a salvarmi solo perché avevo ventidue anni, tanta forza e altrettanta incoscienza.

 

 

Boella Valerio “Walter”

e Montersino Marcello “Giob”

 

Il dieci Ottobre 1944, “Walter” aveva già partecipato alla prima occupazione di Alba e anche il 15 Aprile volle intervenire. Tutti i ragazzi fremevano all’idea di scendere ad Alba e liberarla definitivamente. La notte precedente, nessuno riuscì a chiudere occhio e anche Walter, che soffriva di ricorrenti emicranie, non riuscì a riposare. Tuttavia, al mattino, si presentò con un foulard attorno alle tempie e non volle sentir ragione, si avviò con noi e partecipò con vigore al combattimento finchè, esponendosi eccessivamente lo vedemmo cadere colpito in piena fronte. Toccò a me, in qualità di comandante, comunicare a Poli la perdita di Valerio e di Marcello. Anche Giob era un ragazzo che non aveva paura di niente e forse questo eccessivo coraggio gli costò la vita.

 


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