




https://youtu.be/oh6zmayHkawAlfredo Bressano leva 1923
Fui preso prigioniero a Rodi e portato nel campo di Forbach. Qui per convincerci a passare con i Tedeschi, ci terrorizzarono fingendo di uccidere, a due a due dei prigionieri. Tuttavia, pochissimi firmarono e noi fummo inviati a lavorare nella miniera di carbone a 700 metri sotto terra. Lavoravamo 8 ore senza acqua e senza cibo e quando si risaliva ci veniva dato un pezzo di pane nero e una ciotola di brodaglia. Da settanta chili scesi a 29, ero un “sacco di pelle e ossa”. Fuori dalla miniera, in baracca, il lavoro più grande consisteva nello schiacciare i pidocchi. Come altri mi ammalai e fui messo in un corridoio in attesa della morte. Passò un prete e vedendomi in quelle condizioni mi somministrò l’Estrema Unzione, io sentendomi alla fine consegnai il portafoglio con i documenti ad un mio amico fraterno, Mario Rivetti di Neive, affinchè lo consegnasse ai genitori, ma non fu la mia ora e mi ripresi. Subii tanti maltrattamenti e a volte fui per reagire ma sempre mi trattenni nella speranza di poter tornare a vedere papà e mamma. Riuscìi a mettermi in contatto con la famiglia e ricevetti anche delle pagnotte di pane con dentro delle lettere inserite in pezzi di canna da mia sorella e così non soggette a censura. Mi raccontava tutto quello che succedeva qui a casa: dei partigiani e della guerra civile e anche dei lavori che svolgevano in campagna. Queste notizie mi aiutarono molto a non perdere la speranza di tornare. Quando tornai volli cercare di dimenticare e neppure mi informai se gli amici della prigionia si fossero salvati. Nel 2000, grazie a mio nipote Giorgio, anche se faticosamente, ho ricostruito la storia da quando partìi militare a quando tornai dal Campo di lavoro in Germania e l’ho dettata realizzando il libretto “Testimone”. Ho avuto piacere di raccontare questa parte di vita, perché credo che molte persone non credono siano successi dei fatti tanto atroci, eppure io li ho vissuti e garantisco che è la verità.
Giorgio:
Scrivendo i fatti che il nonno mi raccontava mi immedesimavo e mi sembrava di rivivere quei momenti. Ho voluto mettere il titolo “Testimone” per indicare il passaggio della testimonianza vissuta dal nonno a me e mi sono assunto la responsabilità di trascrivere per tramandare e rendere note le brutture della guerra vissute dal nonno.
LA MOGLIE DI ALFREDO:Tina Busso
Anche mio fratello ebbe le stesse traversie. Anche lui dalla Grecia fu portato in Germania e tornò due giorni dopo Alfredo. Noi qui vivevamo pensando a loro e nella paura dei tedeschi dei fascisti e dei partigiani. A tutti davamo da mangiare e non sapevamo come comportarci. Venivano i nazi-fascisti e non volevano che aiutassimo i partigiani. Mia mamma che era una donna risoluta, una volta disse a un capitano tedesco: <noi aiutiamo tutti anche i Partigiani!>Il capitano fece una smorfia ma apprezzò la sincerità della mamma che decisa aggiunse:< abbiamo dei figli che non sappiamo se sono vivi o morti e speriamo che in Germania o in Russia li aiutino come facciamo noi!> I Tedeschi avevano messo il presidio a Murazzano e costringevano i giovani del 1924/25 che erano ancora a casa a nascondersi. Ricordo che quattro giovani rimasero per otto giorni sul soppalco del campanile della Chiesa senza né mangiare né bere.
BRESSANO ALFREDO RACCONTI DI SERRAVALLE
MARZO 2017

Con l’esempio dei nonni,
realizzavamo tutto quanto ci serviva: dalle scope ai manici per attrezzi da
lavoro, ai mobili. Non c’era nulla e non avevamo soldi!
Costruii tanti gioghi per gli
animali, ne realizzai anche per i vicini, non solo per nostro uso. Usavo il
legno di “obio” (Acero Spino) che è un legno resistente ma lavorabile con
scalpelli e “cotèl ‘d doi mani” coltello a due manici. Fissavo il tronco ad un
banco di legno con una morsa che lo tenesse ben fermo e lo lavoravo. Prima
prendevo bene le misure all’animale per farlo su misura e quando era finito era
una soddisfazione.
Utilizzai i buoi a lavorare la terra finchè ebbi una
cinquantina d’anni, poi acquistammo il primo trattore.
Comunque la
passione per lavorare il legno mi è sempre rimasta ed ancora oggi a novant’anni
uso le mani per lavorare un pezzo di legno se c’è da riparare un utensile. Sono
attività che imparai da bambino!

Il materiale è disponibile,
basta fermarlo “che ‘t peussi squarero” che si possa spianare e scolpire, e si
ottiene il manico, il rastrello la pala,un paròt, quello che serve!

REALIZZAVO CESTE E CESTINI
Andavo nel bosco e tagliavo dei
legni di castagno, a casa accendevo il forno e li mettevo al caldo affinchè
fossero “coti” morbidi, con un coltello li incidevo a metà e poi li aprivo con
le mani ottenendo tutte “Fette” che
fissavo ad un cavalletto che mi ero costruito e con il coltello a lama li “squaravo”
Cavalletto di Bruno Corsini San Benedetto Belbo
li spianavo perché fossero
tutti uguali e potesseroessere flessibili senza rompersi. Poi questi pezzi
venivano adattati per intrecciare il fondo o i fianchi e
anche i manici. Erano
robuste e duravano a lungo.
Realizzavo anche scope con la “meiretta”
che avevo seminato e le utilizzavamo sia in casa che nel cortile.
Furono tutte attività che
imparai da mio padre che a sua volta aveva appreso dai vecchi.
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