giovedì 28 agosto 2025

SERNIOTTI BRUNETTO PINA VILLAFALLETTO 1919

 


SERNIOTTI BRUNETTO PINA 

VILLAFALLETTO 17 maggio1919

      



     

Papà Serniotti Tommaso era del 1879 

                                              mamma Silvestro Maria del 1888 

 

     

Papà del 1879 andò a “tiré ‘l bièt”(tirare il numero) e svolse tre anni di militare in guerra come Bersagliere.

                                              

Noi eravamo originari di Villafalletto

Mamma era casalinga. Papà era commerciante di formaggi e andava con il cavallino ed il calesse a fare i mercati della Valle Varaita. Passava a Costigliole Saluzzo, Piasco ed il primo Mercato era a Venasca, il mercoledì andava a Melle , il venerdì a Sampeyre( suo paese di nascita) ed il sabato a Casteldelfino. Da Villafalletto partiva a vuoto ed iniziava a comprare da Melle i famosi “Tomin” Tome, Burro in pani da due chili, un chilo e mezzo chilo che poi tagliava con un filo zincato. Acquistava anche tante uova, fino a duecento, trecento dozzine. Questo lavoro lo aveva iniziato già prima della Guerra del 15/18 poi partì soldato e quando tornò riprese. Quando io ebbi 7/8 anni d’estate portava anche me e mi faceva contare le uova. Avevo le mani piccole e con la destra riuscivo a tenere tre uova mentre con la sinistra soltanto due, allora papà mi insegnò a contare la cinquina anziché la mezza dozzina. Oh quante uova misi nella cesta insieme a tome e burro!

Si partiva verso le due di notte e mamma mi metteva ancora addormentata nella cesta, Si raggiungeva lo Stallaggio e si dormiva ancora un paio d’ore poi ci si lavava e faceva colazione e si partiva. Ricordo che a volte papà si dimenticava di dare il pane al Cavallo di nome “Moro” e questi batteva lo zoccolo e si rifiutava di partire, finchè papà glielo dava. A quel punto il padre gli dava una voce: “andoma Moro!” e questo scrollando la criniera per assentire, si avviava.

Dopo tanti anni di attività, il papà ormai stanco decise di smettere il commercio. Mise a riposo il vecchio cavallo ed acquistò alcune giornate di terra. Si mise così a svolgere lavori di contadino.

Raggiungeva questi paesi una volta al mese per il mercato e una volta per la fiera ,  poiché per il cavallo era impegnativo percorrere quelle strade.

 

                    ANDAI SPOSA A VENT’ANNI

                          


Mio marito Giacomo Brunetto del 1910, a dieci anni rimase orfano della mamma Domenica. Nel 1919 lei e i figli si ammalarono di Spagnola e lei morì lasciando 4 figli in tenera età, Giacomo era il secondo. Il padre dopo pochi mesi dalla morte della moglie sposò una ragazza di diciotto anni. Il padre di mio marito era di una famiglia di panettieri benestanti di Murello, ma Giacomo lo trattarono sempre come un facchino e prese tante botte. Era intelligente e molti dissero che avrebbe dovuto continuare gli studi, ma il padre lo fece solo lavorare sfruttandolo. Un fratello più grande se ne andò di casa, invece Giacomo, più remissivo rimase in famiglia a farsi maltrattare. Pina Il padre di Giacomo , veniva da una famiglia di panettieri che da tanti anni aveva il forno a Murello. Furono i primi ad avere la macchina per impastare e producevano oltre al pane anche "pasta che poi veniva essiccata" e da cuocere in acqua.

Il padre di Giacomo, veniva da una famiglia di panettieri che da tanti anni aveva il forno a Murello. Furono i primi ad avere la macchina per impastare e producevano oltre al pane anche "pasta che poi veniva essiccata" e da cuocere in acqua . Fu proprio con l' impastatrice che Giacomo ebbe l'incidente che gli maciullò la mano.

Il padre, nonostante fosse tardi ordinò al figlio di impastare ancora. Giacomo stanco ed assonnato si assopì con un braccio nel macchinario in funzione e l'ingranaggio gli frantumò la mano che non utilizzò più per tutta la vita. Nonostante la menomazione il padre continuò a fare lavorare il figlio duramente. Giacomo, sempre sottomesso non si ribellò mai ai maltrattamenti e faticava come un mulo.: trasportava due sacchi da 50 chili di farina alla volta!

Nel 1929 ci conoscemmo a Villafalletto e ci sposammo, Vivemmo ancora due anni con gli suoceri, poi ci diedero sette mila lire e ci “sbatterono” fuori. Sembravano tanti ma spendemmo 21.000 lire per rilevare il negozio di panetteria a Villanova Solaro sempre nei pressi di Racconigi. Rimanemmo cinque anni a Villanova e vivemmo il periodo della guerra con tante difficoltà. Mio marito andava nelle campagne a cercare il grano per poterlo nascostamente far macinare e produrre del pane mangiabile. Si faceva anche il pane della “tessera” e se ne doveva dare due etti a persona tenendo i Bollini da consegnare in Municipio.

Noi lavorammo sempre onestamente e quando decidemmo di trasferirci il Sindaco e la popolazione ci invitarono a rimanere offrendoci il forno Comunale. Noi avevamo già deciso di venire via.

DURANTE LA GUERRA

Nel periodo della guerra ero già sposata ed avevo 22/24 anni. Lavoravo nel panificio di mio marito che distava pochi km da Moretta dove si era stanziato un battaglione di tedeschi. Successe che ebbi problemi di mal di stomaco. Andai dal medico che mi prescrisse delle medicine, ma fu impossibile trovarle. Il medico disse anche di farmi mangiare del lardo. Giacomo si fece coraggio e parlò con degli ufficiali tedeschi che gli dissero che loro avevano tanto lardo e glielo avrebbero fornito facendosi effettuare una richiesta dal medico. Il medico ci fece quattro o cinque “buoni” e così io ne diedi a delle clienti che sapevo essere nella necessità.

 

RAPPRESAGLIA A VILLANOVA SOLARO E SCARNAFIGI

Sempre nel 1943/44 successe che i nazifascisti per rappresaglia, siccome i partigiani avevano preso dei tedeschi, imprigionarono parecchi uomini di Villanova e Scarnafigi e tra questi anche mio marito. Avrebbero ucciso gli ostaggi se i partigiani non avessero liberato i loro militari. Dopo alcuni giorni si seppe che avrebbero fucilato alcuni uomini tra i quali anche mio marito, allora andai al Comando e spiegai che mio marito era il panettiere e senza di lui non avremmo potuto produrre pane per la gente e anche per i soldati. Mi ascoltarono e lasciarono libero Giacomo.

Poi venivano a prendere il pane e portavano miele. Ne avevo così tanto che lo distribuivo alla gente del paese facendoli contenti poiché a quei tempi non si trovava niente e si faceva la fame.

ANDAI COL COPRIFUOCO A PRENDERE IL LIEVITO

Quando avevamo la panetteria a Villa Falletto, nel periodo della guerra tra muti, neri, tedeschi e Partigiani, vivemmo proprio nella paura. Una sera con il coprifuoco, a sera già buia ci accorgemmo che non eravamo andati a prendere il lievito per l'alvà! Ce lo teneva in frigo il macellaio.  Non si poteva non preparare il pane e allora mi decisi di andare a bussare dal macellaio. Mi imbaccuccai e passando rasente ai muri arrivai alla casa. Questi mi rispose che con sette figli non avrebbe certo rischiato la vita per prendere il lievito a noi. Mi disse che se volevo mi dava la chiave così potevo andare io. Chiesi se sarei riuscita ad entrare e questi mi spiegò il modo, poi gli avrei lasciato la chiave in un posto concordato. Così presi la chiave. Il frigo del macellaio era dislocato sotto L'Ala del paese e ci arrivai con tanto timore di incrociare qualcuno. Presi il lievito, sistemai la chiave nel posto previsto e pregando mi avviai verso il forno.

TERESA LA TABACHINA E LA GUARITRICE

Nel 1946, quando ebbi Mija fija Livia successe un fatto che non riuscii mai a spiegarmi. Ero in casa che allattavo e venne Teresa la tabachina. Mi chiese cosa facessi ed io le dissi che stavo allattando ma che venisse pure avanti! Lei rimase sulla porta, ci guardò e poi, un po' agitata mi raccontò che quando lei ebbe  sua fija cita non potè allattarla perché: <am rovinava, an mordiva!> E se ne andò. La mia "cita" cominciò ad agitarsi e a mordermi il seno. Sospesi l'allattamento per quel giorno, ma la bimba piangeva e non era tranquilla. Il giorno successivo riprovai ad attaccarla al seno ma continuò a mordermi. Lo dissi a  mia mamma che prese un camicino della bimba e lo fece portare ad una guaritrice della ”Gerrmola”, una frazione di VillaFalletto  che conoscevamo. Questa mise le mani sull'indumento  e tranquillizzò mio marito dicendogli di tornare a casa, che avrebbe  trovato la bimba serena e disposta ad allattarsi con calma.Fu così, venne e mi disse di provare a mettere al seno la bimba. Io avevo visto che la bimba si era calmata, ma non osavo farla poppare. Con cautela le porsi il Pipin e lei dolcemente iniziò a succhiare. Mio marito si recò dalla guaritrice a comunicarle che la bimba era tranquilla. La donna fu felice e disse che aveva compreso che sua moglie, cioè io, ero la persona adatta per ricevere il suo "dono" e che lei essendo ormai anziana lo avrebbe passato volentieri. Giacomo venne a riferirmi, ed io seppure lusingata per essere stata scelta come persona adatta per "fare del bene" non accettai e con garbo le feci riferire che non mi sentivo pronta per un incarico così importante. Continuai a fare la mamma e la panettiera e a fare del bene per quanto potevo.








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