SERNIOTTI BRUNETTO PINA
VILLAFALLETTO 17 maggio1919
Papà Serniotti Tommaso era del 1879
mamma Silvestro Maria del 1888
Papà del 1879 andò a “tiré ‘l bièt”(tirare il numero) e svolse tre anni di militare in guerra come Bersagliere.
Noi eravamo originari di
Villafalletto
Mamma era casalinga. Papà era
commerciante di formaggi e andava con il cavallino ed il calesse a fare i
mercati della Valle Varaita. Passava a Costigliole Saluzzo, Piasco ed il primo
Mercato era a Venasca, il mercoledì andava a Melle , il venerdì a Sampeyre( suo
paese di nascita) ed il sabato a Casteldelfino. Da Villafalletto partiva a
vuoto ed iniziava a comprare da Melle i famosi “Tomin” Tome, Burro in pani da
due chili, un chilo e mezzo chilo che poi tagliava con un filo zincato.
Acquistava anche tante uova, fino a duecento, trecento dozzine. Questo lavoro
lo aveva iniziato già prima della Guerra del 15/18 poi partì soldato e quando
tornò riprese. Quando io ebbi 7/8 anni d’estate portava anche me e mi faceva
contare le uova. Avevo le mani piccole e con la destra riuscivo a tenere tre
uova mentre con la sinistra soltanto due, allora papà mi insegnò a contare la
cinquina anziché la mezza dozzina. Oh quante uova misi nella cesta insieme a
tome e burro!
Si partiva verso le due di
notte e mamma mi metteva ancora addormentata nella cesta, Si raggiungeva lo
Stallaggio e si dormiva ancora un paio d’ore poi ci si lavava e faceva
colazione e si partiva. Ricordo che a volte papà si dimenticava di dare il pane
al Cavallo di nome “Moro” e questi batteva lo zoccolo e si rifiutava di
partire, finchè papà glielo dava. A quel punto il padre gli dava una voce:
“andoma Moro!” e questo scrollando la criniera per assentire, si avviava.
Dopo tanti anni di attività,
il papà ormai stanco decise di smettere il commercio. Mise a riposo il vecchio
cavallo ed acquistò alcune giornate di terra. Si mise così a svolgere lavori di
contadino.
Raggiungeva questi paesi una
volta al mese per il mercato e una volta per la fiera , poiché per il cavallo era impegnativo
percorrere quelle strade.
ANDAI SPOSA A VENT’ANNI
Mio marito Giacomo Brunetto
del 1910, a dieci anni rimase orfano della mamma Domenica. Nel 1919 lei e i figli si
ammalarono di Spagnola e lei morì lasciando 4 figli in tenera età, Giacomo era
il secondo. Il padre dopo pochi mesi dalla morte della moglie sposò una ragazza
di diciotto anni. Il padre di mio marito era di una famiglia di panettieri
benestanti di Murello, ma Giacomo lo trattarono sempre come un facchino e prese
tante botte. Era intelligente e molti dissero che avrebbe dovuto continuare gli
studi, ma il padre lo fece solo lavorare sfruttandolo. Un fratello più grande
se ne andò di casa, invece Giacomo, più remissivo rimase in famiglia a farsi
maltrattare. Pina Il padre di Giacomo , veniva da una famiglia di panettieri
che da tanti anni aveva il forno a Murello. Furono i primi ad avere la macchina
per impastare e producevano oltre al pane anche "pasta che poi veniva
essiccata" e da cuocere in acqua.
Il padre di Giacomo, veniva da
una famiglia di panettieri che da tanti anni aveva il forno a Murello. Furono i
primi ad avere la macchina per impastare e producevano oltre al pane anche
"pasta che poi veniva essiccata" e da cuocere in acqua . Fu proprio
con l' impastatrice che Giacomo ebbe l'incidente che gli maciullò la mano.
Il padre, nonostante fosse
tardi ordinò al figlio di impastare ancora. Giacomo stanco ed assonnato si
assopì con un braccio nel macchinario in funzione e l'ingranaggio gli frantumò
la mano che non utilizzò più per tutta la vita. Nonostante la menomazione il
padre continuò a fare lavorare il figlio duramente. Giacomo, sempre sottomesso
non si ribellò mai ai maltrattamenti e faticava come un mulo.: trasportava due
sacchi da 50 chili di farina alla volta!
Nel 1929 ci conoscemmo a
Villafalletto e ci sposammo, Vivemmo ancora due anni con gli suoceri, poi ci
diedero sette mila lire e ci “sbatterono” fuori. Sembravano tanti ma spendemmo
21.000 lire per rilevare il negozio di panetteria a Villanova Solaro sempre nei
pressi di Racconigi. Rimanemmo cinque anni a Villanova e vivemmo il periodo
della guerra con tante difficoltà. Mio marito andava nelle campagne a cercare
il grano per poterlo nascostamente far macinare e produrre del pane mangiabile.
Si faceva anche il pane della “tessera” e se ne doveva dare due etti a persona
tenendo i Bollini da consegnare in Municipio.
Noi lavorammo sempre onestamente
e quando decidemmo di trasferirci il Sindaco e la popolazione ci invitarono a
rimanere offrendoci il forno Comunale. Noi avevamo già deciso di venire via.
DURANTE LA GUERRA
Nel periodo della guerra ero
già sposata ed avevo 22/24 anni. Lavoravo nel panificio di mio marito che
distava pochi km da Moretta dove si era stanziato un battaglione di tedeschi.
Successe che ebbi problemi di mal di stomaco. Andai dal medico che mi prescrisse
delle medicine, ma fu impossibile trovarle. Il medico disse anche di farmi
mangiare del lardo. Giacomo si fece coraggio e parlò con degli ufficiali
tedeschi che gli dissero che loro avevano tanto lardo e glielo avrebbero
fornito facendosi effettuare una richiesta dal medico. Il medico ci fece
quattro o cinque “buoni” e così io ne diedi a delle clienti che sapevo essere
nella necessità.
RAPPRESAGLIA A VILLANOVA
SOLARO E SCARNAFIGI
Sempre nel 1943/44 successe
che i nazifascisti per rappresaglia, siccome i partigiani avevano preso dei
tedeschi, imprigionarono parecchi uomini di Villanova e Scarnafigi e tra questi
anche mio marito. Avrebbero ucciso gli ostaggi se i partigiani non avessero
liberato i loro militari. Dopo alcuni giorni si seppe che avrebbero fucilato
alcuni uomini tra i quali anche mio marito, allora andai al Comando e spiegai
che mio marito era il panettiere e senza di lui non avremmo potuto produrre
pane per la gente e anche per i soldati. Mi ascoltarono e lasciarono libero
Giacomo.
Poi venivano a prendere il
pane e portavano miele. Ne avevo così tanto che lo distribuivo alla gente del
paese facendoli contenti poiché a quei tempi non si trovava niente e si faceva
la fame.
ANDAI COL COPRIFUOCO A
PRENDERE IL LIEVITO
Quando avevamo la panetteria a
Villa Falletto, nel periodo della guerra tra muti, neri, tedeschi e Partigiani,
vivemmo proprio nella paura. Una sera con il coprifuoco, a sera già buia ci
accorgemmo che non eravamo andati a prendere il lievito per l'alvà! Ce lo
teneva in frigo il macellaio. Non si
poteva non preparare il pane e allora mi decisi di andare a bussare dal
macellaio. Mi imbaccuccai e passando rasente ai muri arrivai alla casa. Questi
mi rispose che con sette figli non avrebbe certo rischiato la vita per prendere
il lievito a noi. Mi disse che se volevo mi dava la chiave così potevo andare
io. Chiesi se sarei riuscita ad entrare e questi mi spiegò il modo, poi gli
avrei lasciato la chiave in un posto concordato. Così presi la chiave. Il frigo
del macellaio era dislocato sotto L'Ala del paese e ci arrivai con tanto timore
di incrociare qualcuno. Presi il lievito, sistemai la chiave nel posto previsto
e pregando mi avviai verso il forno.
TERESA LA TABACHINA E LA
GUARITRICE
Nel 1946, quando ebbi Mija
fija Livia successe un fatto che non riuscii mai a spiegarmi. Ero in casa che
allattavo e venne Teresa la tabachina. Mi chiese cosa facessi ed io le dissi
che stavo allattando ma che venisse pure avanti! Lei rimase sulla porta, ci
guardò e poi, un po' agitata mi raccontò che quando lei ebbe sua fija cita non potè allattarla perché:
<am rovinava, an mordiva!> E se ne andò. La mia "cita" cominciò
ad agitarsi e a mordermi il seno. Sospesi l'allattamento per quel giorno, ma la
bimba piangeva e non era tranquilla. Il giorno successivo riprovai ad
attaccarla al seno ma continuò a mordermi. Lo dissi a mia mamma che prese un camicino della bimba e
lo fece portare ad una guaritrice della ”Gerrmola”, una frazione di
VillaFalletto che conoscevamo. Questa
mise le mani sull'indumento e
tranquillizzò mio marito dicendogli di tornare a casa, che avrebbe trovato la bimba serena e disposta ad
allattarsi con calma.Fu così, venne e mi disse di provare a mettere al seno la
bimba. Io avevo visto che la bimba si era calmata, ma non osavo farla poppare.
Con cautela le porsi il Pipin e lei dolcemente iniziò a succhiare. Mio marito
si recò dalla guaritrice a comunicarle che la bimba era tranquilla. La donna fu
felice e disse che aveva compreso che sua moglie, cioè io, ero la persona
adatta per ricevere il suo "dono" e che lei essendo ormai anziana lo
avrebbe passato volentieri. Giacomo venne a riferirmi, ed io seppure lusingata
per essere stata scelta come persona adatta per "fare del bene" non
accettai e con garbo le feci riferire che non mi sentivo pronta per un incarico
così importante. Continuai a fare la mamma e la panettiera e a fare del bene
per quanto potevo.
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