domenica 31 agosto 2025

GATTO EMILIO 1934 ARGUELLO

 

 

 


 

 

 


                                                                        ”Celin”

 

Gatto Emilio Arguello 1935 di Marenda Delfina e Marcello

Nel 1940, quando Emilio aveva solo 5 anni, mamma Delfina morì. Poco dopo il funerale, il padre gli disse che lui non lo avrebbe tenuto a casa e gli cercò un posto dove andare. La famiglia del Cavalier Secco Cesare e Vigia di San Micé sarebbero stati i suoi ”padroni”. Gli disse di andare da Vigia che già era stata contattata per assumere Emilio da “servitò”. Milio se ne partì a piedi e raggiunse San Micé dove sarebbe rimasto fino in età scolare. Nella famiglia Secco vi erano già dei figli e la mamma lo accolse come un altro suo figliolo.

                                        VIGIA   CAV. CESARE SECCO


 Ernesta, Laurina,                         Giulio, Michel,  Placidin, 

Con Michele e Giulio, Emilio svolgeva i lavori di campagna, nelle vigne e nei campi, era come un gioco, anche se faticoso. Infatti, zappare o falciare o accudire gli animali della stalla e “ andé dvan ai beu” non erano lavori leggeri.

 


Foto archivio Roberto Castagnotti

 

Divertente era portare al pascolo le pecore con Michel e Giulio!


     

Un anno trascorse in fretta e venne il tempo di frequentare la scuola. Tornò a casa in paese e trovò la maestra che era diventata la compagna di suo padre. Fiducioso che la “mamma Maestra Ghistin” lo avrebbe favorito un po’, iniziò la prima elementare. Dopo pochi giorni, la maestra anzichè condurlo a scuola gli procurò otto pecore e gliele affidò. L’incarico di pastorello non gli permise di frequentare la scuola e dovette rinviare la poca preparazione scolastica al Corso serale che frequenterà quando avrà 18/19 anni.

                                        Gruppo della Scuola serale ad Arguello con Maestra 


 

 A otto anni, il padre e la maestra lo sistemarono da sèrvitò a Sinio e poi a Montelupo Albese e ancora ai Giamesi dagli Adriano. Furono anni di lavoro pesante che forgiarono un ragazzo che non ebbe il tempo di conoscere l’affetto di una famiglia nè le tenerezze di una madre, si adattò ad accettare il lavoro, i rimproveri e le fatiche come il destino della propria vita. Raccontò che fortunatamente trovò sempre persone che lo trattavano abbastanza bene, anche se con la scusa che i tempi erano duri tendevano a sfruttarlo facendolo lavorare molto e dandogli poco da mangiare. Ricorda che a Sinio dopo una fetta di polenta e un pezzo di toma per pranzo, lo incaricarono di andare a svolgere un lavoro, mentre la famiglia rimase a tavola. Lui dopo poco, con la scusa di aver dimenticato il “bertin” tornò in casa e li trovò che stavano mangiando il pollo. Quello sgarbo fece si che Milio se ne andasse per “Giustesse” (sistemarsi) da Carlin Adriano dei Giamesi di Arguello.

 


                                           Mariolin di Sinio il “suonatore”

 

 

Emilio è un ottimo testimone della Memoria. Ricorda il suo cugino Caduto in Russia ed ha fornito le foto che permettono di Onorarlo,  con la sfortunata mamma e sorella.

<Figlio di Gatto Luigi,fratello di Onorio(Celin) mio padre e di Imerito Elvira. partì per la Guerra e inviato in Russia fu dato Disperso .

La mamma Elvira che era stata abbandonata con due figli in tenera età dal marito andato in America a “Cercar fortuna” soffrì molto per la perdita della figlia giovane e rimase nell’attesa del ritorno del figlio Giovanni.

Il cugino Gatti Mario, anche lui in Russia,  ritornò grazie all’aiuto di una famiglia russa . lo  ospitò e curò il principio di congelamento permettendogli di riprendere la marcia durante la Ritirata. Mario dovette spegnere ogni speranza della mamma di Giovanni poiché rivelò la triste verità: aveva visto letteralmente “saltare in aria e andare in mille pezzi” i prigionieri in un capannone tra i quali vi era anche il cugino.

                   

                                      Mamma Elvira con i due figli

Mamma Elvira in preda ai grandi dolori per le morti dei figli ricevette anche una lettera dal marito in America. Le chiedeva di inviargli soldi per poter acquistare un biglietto per la nave del ritorno. Non potè inviare nulla poiché la malasorte si accanì ulteriormente con lei, la povera casa dove abitava andò a fuoco. In preda alla disperazione lasciò Arguello  e di lei non si seppe più nulla. Anche Luigi Gatti non tornò dall’America e non si ebbero più sue notizie.>

          GATTO GIOVANNI ARGUELLO 9/2/1922

                                            

                 

ARGUELLO (CN) 

Operaio

FFAA Regie DIV SIENA 341^ RGT FANTERIA

SOLDATO

GERMANIA il 18/03/1945

 

 

Maestra  del Corso scuola serale presso lavatoio di Arguello. Emilio: < dopo tanto tempo venne una volta a salutarmi….ma era ormai anziana!


 

                      seminavamo fagioli !

 


 

 

                 EMILIO: trasporto fagioli dalla “Scaffa”

                       Ballerini su ballo a palchetto


 

                        

Emilio: <Questo è l’accesso al Crotin che mio padre Celin utilizzava quando aveva l’osteria di Arguello proprio qui sopra. Vi erano dei personaggi che amavano cantare e non si decidevano mai di andare a casa. Per non disturbare chi giocava a carte li faceva scendere nel Crotin e così potevano cantare quanto volevano.

                     




Il POZZO di tutti gli Arguellesi.


Emilio: <Profondo 15 metri. L’ultima volta che fu da pulire, avrò avuto 18 o 19 anni, calarono me dentro un botal (BOTTE). Nessuno sarebbe sceso!>

 

 

Emilio: < Costruii questo voltin per ripararmi poiché a volte arrivavano certi temporali che non ti davano il tempo di tornare a casa.

 

 

Emilio: < Questa è la grotta- vasca (sotto località “Scafa”) che ho utilizzato per raccogliere le acque piovane e usarle per preparare verderame quando avevo la vigna alla “scafa” e poi l’acqua per i pidocchi ai fagioli.      

                             


             La Domenica si guarda giocare al balon

           ETTORE                MILIU      GIANCARLO


GIOCO DELLA PANTALERA AD ARGUELLO


 

Milio e la vecchia Vespa( foto Dino Volpe)

giovedì 28 agosto 2025

SILBA ANDREA 1938 ASCOLI SATRIANO

 





MICHELE 8/2/1934 -TERESA 15/9/1927-ROSA 25/7/1925 Nonna ”MAMMA ROSA 1860- MAMMA ANTONIA- MARIA15/10/ 1944- PAPÀ ROCCO – GIUSEPPE 7/8/1942-GERARDA 2/3/1940-ANDREA(NINO)18/1/1938

        SILBA ANDREA NATO AD ASCOLI SATRIANO


 

          

paese di 5651 abitanti a trenta km da Foggia andando verso Potenza. il 13 gennaio 1938 da mamma Palmisano Antonietta 29 11 1903 e papà Rocco 27 gennaio 1900.

I miei genitori si sposarono il 23 dicembre 1923. Mamma ebbe 11 figli, la prima bimba non è sopravvissuta, la seconda nacque nel 1925 e la chiamarono Rosa come la Nonna, poiché tradizione voleva che la primogenita o primogenito avesse il nome dei nonni. Mia sorella Rosa sposò Vincenzo Sarcone del 1920, reduce della guerra Greco Albanese Raccontava dei compagni che vide morire accanto a sè e di quanti rischi di morte ebbe a subire. Morì a più di cento anni qualche anno dopo la morte della moglie zia Rosa.

Nel 1927 nacque Teresa mancata a 94 anni, alla quale fu posto il nome della nonna materna che io non conobbi.

Quando nacqui io era ancora in vita la nonna paterna “Mamma Rosa” di cognome Ciotta (1860) che venne a mancare nel 1950 all’età di novant’anni.

La ricordo che mi chiamava affinchè andassi a prenderle l’acqua alla fontana. Fino agli anni cinquanta e successivi non c’era l’acqua in casa ed occorreva andarla a procurare, quando c’era, poiché sovente mancava. Andavamo con dei secchi alle fontanelle a pulsante sparse per il paese, poi veniva messa in un grande recipiente.



 

Prima che disponessero le fontanelle vi era un lavatoio fuori  del paese che serviva da fontana e vasca per lavare.

RICORDO DI MAMMA

Nel 1937 a mamma Antonietta morì, appena nato, un bimbo di nome Antonio. Pur addolorata per aver perso il suo bimbo, mamma  seppe di una conoscente che aveva partorito due gemellini e non aveva sufficiente latte per nutrirli. Si offrì di essere " mamma di latte per il maschietto Giuseppe " .. Il bambino, cresciuto divenne giovane ed adulto, si trasferì in Veneto dal paese, ma non dimenticò mai mamma Antonietta e venne ancora a salutarla quando lei, già anziana, viveva con noi a Torino.

 

La sorella maggiore di mamma Antonia fu Chiara che con il Marito di nome Fedele a causa dei bombardamenti su Foggia sfollarono ad Ascoli Satriano. Questo zio Fedele con una sorella più giovane ed il figlio Andrea si recarono a Foggia per delle necessità  rimasero vittime di un bombardamento. Cercarono di ripararsi in un caseggiato, ma questo crollò. Furono ritrovati abbracciati

 

Mio papà era il più giovane della famiglia ma non conobbe suo padre. Quando lui era in fasce, il papà morì con un fratello in un incidente sul lavoro. Il figlio era sceso in un grande silo dove si teneva il grano per effettuare dei lavori di pulitura. Il padre vedendo il figlio colto da malore, scese per aiutarlo ma morì anche lui. La nonna aveva il figlio più grande che di nome era Potito in Onore di San Potito Patrono del paese

Patrono della città di Ascoli Satriano e della Diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano. E’ anche patrono della Diocesi di Tricarico. S. Potito visse nella seconda metà del secolo II. Fin dall’antichità fu venerato in diversi Monasteri e Città d’Italia e fuori, ma principalmente in Ascoli della Puglia (Ascoli Satriano). Ascoli è il centro d’irradiazione del suo culto, avendo egli subito il martirio 14 gennaio sulla sponda del fiume Calaggio-carapelle, che scorre non lontano dalla città. I fedeli ascolani, memori del martirio avvenuto nel loro territorio, ricorsero sempre a S.Potito nelle necessità ed ottennero grazie dal Signore; perciò lo proclamarono loro principale Protettore. Le sue reliquie, trasportate a Benevento dal Principe longobardo Sicario, con l’andar del tempo furono trovate, la maggior parte, a Tricarico (MT) nella Chiesa della SS.ma Trinità, il teschio nell’Abazia benedettina di Montevergine (AV), e ad Ascoli un solo dito che fu incluso nel busto d’argento fuso nel 1654, per la munificenza del medico ascolano Potito Colonna. Il 22 dicembre 1873 il Vescovo di Ascoli Satriano e Cerignola Mons. Antonio Sena ottiene dal Vescovo di Tricarico la reliquia di un braccio di S. Potito che viene conservato in una teca d’argento nella Cattedrale di Ascoli. Il reliquiario fu cesellato a Napoli nel 1874. Mons. Giovan Battista Pichierri, Vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano, dichiarò la cappella di S.Potito, annessa alla concattedrale di Ascoli Satriano, “luogo insigne” di pellegrinaggio per tutta la Diocesi.



Zio Potito andò in America prima della nascita di mio padre.

Zio Matteo ebbe in gestione dal fascio una Masseria di ben 30 ettari. Poiché chi aveva una famiglia numerosa aveva questa agevolazione. La moglie era zia Maria e i figli furono Paolo che andò militare a Cuneo e qui conobbe una ragazza e rimase per tutta la vita in Piemonte. Poi vi era Michele, Giuseppe, Antonio che diventò prete, Carmine, Potito, Rosa e Gerarda

Mio padre e la nostra famiglia usufruimmo anche della dotazione di una Masseria, ma era cambiato il sistema e l’Ente ci assegnò soltanto sei ettari!

Papà Rocco, prima di avere la casetta con la stalla, svolgeva il lavoro da Salariato Fisso ed ogni quindici giorni veniva con l’asino dalla Masseria di Candela in pianura al paese di Ascoli Satriano che è in collina.

 

 

 

 

 

ZIO POTITO DALL’AMERICA

Il periodo della guerra anche da noi fu di grande difficoltà. Tuttavia si tennero i contatti con lo zio Potito che aveva messo su famiglia ad Anford in California.

              contadini italiani ad ANFORD California

      

Ebbe tre figli, Michele come il nonno paterno, Rosa come la nonna paterna e Pietro. Pietro svolse il servizio militare con l’America e venne anche in Italia ma nonostante il padre gli avesse fornito le indicazioni per venire a conoscere i parenti pugliesi non riuscì. Il padre decise di venire dopo la guerra a salutare la “Mamma Rosa”. Lo zio prenotò il viaggio per venire a Giugno 1950 ma mancò la mamma all’età di 90 anni essendo del 1860. In quell’anno al 4 Febbraio si sposò “Teresinella” e il 14 morì la nonna. Non avremmo dovuto comunicare che era morta la nonna e fatto sta che zio Potito disdì la prenotazione e non venne più.  In America il suo cognome fu Silbo, e ci inviò parecchi pacchi con materiali per noi che non avevamo nulla molto utili. Tornò a far visita al paese un cugino da parte di mamma Rosa che di cognome faceva Ciotta. Venne a Torino quando noi abitavamo tutti al Nord e anche il babbo Rocco aveva lasciato la Masseria. Il cugino ci raccontò delle difficoltà che ebbero quando emigrarono e disse che se a quel tempo lasciarono la miseria per andare a trovare lavoro, ora ammetteva che le cose erano cambiate e  da come poteva vedere  vivevamo meglio noi in Italia che loro in America. Anche lo zio prete Don Antonio fece visita alle famiglie del fratello e cugini in America e confermò che stavano bene e si erano ben inseriti ma fecero tanti sacrifici.

DURANTE LA GUERRA

Durante la guerra, io ero piccolino ma ricordo i soldati tedeschi che si facevano la barba alla fontanella davanti casa nostra e ci facevano paura perché entravano nelle case a cercare cibo e razziavano ciò che trovavano! Vi erano degli antifascisti che lanciavano bombe a mano sui militi e solo grazie al Monsignore Vittorio Consigliere i tedeschi non risposero mitragliando sul paese, avevano già tutto pronto!

Ricordo anche la paura nelle notti in cui lanciavano i razzi illuminanti e quando bombardarono Foggia illuminando tutta la piana!

 

Il 26 settembre 1943, ad Ascoli Satriano, l'azione dei tedeschi, che comprendeva devastazioni, saccheggi e requisizioni, scatenò una rivolta dei cittadini. I tedeschi, presi di sorpresa, furono costretti a ritirarsi, ma in risposta al loro fallimento, il paese subì un pesante bombardamento. L'intervento del Vescovo Consiglieri, pur con l'obiettivo di mediare, non ebbe successo immediato, poiché l'arrivo delle forze alleate portò alla liberazione del paese e alla cattura dei soldati tedeschi.

Oltre a questo episodio, Ascoli Satriano fu teatro di altre azioni di resistenza, come quelle che coinvolsero altri comuni della zona, come Cerignola, San Severo, Serracapriola e Celenza Valfortore. In particolare, a Cerignola, un gruppo di partigiani guidato dal maresc…

Ascoli Satriano insorse contro i tedeschi: la disobbedienza costò la vita a 15 persone Monsignor Vescovo Vittorio Consigliere


    rischiando la vita, portava conforto ai feriti andando a parlamentare con i nazisti.

il resto delle truppe nemiche puntò le artiglierie sulla città aprendo il fuoco ed uccidendo molte persone e diversi bambini. Il Vescovo Mons. Vittorio Consigliere con il Redentorista ascolano Padre Ragni (che faceva da interprete), andò a parlare con i tedeschi. Ottenne la sospensione del fuoco in cambio di alcuni quintali di viveri.

Da STRAGI nazifasciste: morirono ad ASCOLI SATRIANO

Caccavalle Cosimo

Carlino Francesco, marito di Giampaolo Incoronata

Giampaolo Incoronata, moglie di Carlino

La Stella Michele, marito di Gaetana Spezzacatene

La Stella Pietro, 7 mesi

La Stella Gerarda 2 anni

La Stella Antonietta 5 anni (deceduta il 29.09.1943)

Ripantelli Antonio, 4 anni

Sollazzo Giovanni

Spezzacatene Gaetana, moglie di Michele La Stella

Zavatta Domenico

Antonietta Coluccelli Ripanelli, madre di Antonio, ferita gravemente

Silano Antonio, giovane civile insorto contro i tedeschi e caduto in combattimento.

ALTRI TEMPI!

Quando ero piccolo ad Ascoli non vi era nè acqua in casa e neppure le fognature. Vi erano dei contenitori in strada dove ogni famiglia andava a svuotare i propri vasi. Ogni tre giorni passava uno "strillone" con un megafono e tromba che avvisava la raccolta degli escrementi con un carro trainato da un asino. Il passaggio successivo fu la costruzione delle fognature e successivamente l'allacciamento alle case.

 

 

GRANO E FARINA



In Località COLLINA DEL SERPENTE veniva accatastato il grano per essere trebbiato. Si creavano grandi covoni e prima dell’arrivo delle macchine trebbiatrici si effettuava il lavoro manualmente “battendolo” con grandi pertiche snodate.

Durante la guerra il grano veniva requisito quasi tutto dalla Milizia Annonaria e neppure si poteva andare al mulino a macinare, pertanto si nascondeva un po’ di grano e dopo averlo trebbiato a mano lo si macinava di nascosto con un macinino. Si otteneva così un po’ di farina per produrre pane da cuocere.

 

 

GRANO ARSO

Dopo la mietitura e dopo aver spigolato, per non sprecare nulla,  i contadini davano fuoco alle stoppie per nutrire il terreno con il prodotto della cenere e carbone. Ricordo che si andava con l’asino a raccogliere spighe e grano “Arso” e da quei chicchi bruciacchiati si traeva una farina scura per realizzare del pane. Oggi abbrustoliscono volutamente il grano duro per produrre un pane particolare che sa di affumicato, ma un tempo lo si faceva perché non c’era altro!

A partire dall’Ottocento, tutto cambiò. In epoca murattiana, ma soprattutto dopo l’Unità d’Italia, il tavoliere divenne il granaio del nostro Paese, riscoprendo una vocazione già conosciuta in epoca romana In passato, dopo il raccolto del grano duro, per preparare il terreno alla successiva aratura e liberarlo dalle stoppie del precedente raccolto i campi venivano incendiati. Dopo il rogo che ne conseguiva era lasciata la possibilità a chi volesse, in particolare ai braccianti ed alle donne delle famiglie più povere, di entrare a spigolare le spighe che avevano subito la bruciatura ed erano sopravvissute intatte. Questo grano, scuro e faticosamente raccolto, poteva essere conservato dalle famiglie povere in casa senza problemi, in quanto riconoscibile, proprio perché annerito, come spigolato regolarmente, a differenza del grano duro biondo che avrebbe potuto anche essere stato rubato prima del raccolto o spigolato prima della bruciatura ed avrebbe potuto portare ad accuse di furto chi lo deteneva. La farina ottenuta in maniera casalinga da questo grano, seppure più povera e debole rispetto alla farina di grano duro, era comunque una importante fonte di sostentamento e rientrava, in miscela con altre farine, nella preparazione dei piatti più tradizionali e tipici, come la pasta fresca (orecchiette, strascinati, maritati), pane e focacce, a cui conferiva un colore bruno ed un retrogusto di tostato ed affumicato del tutto peculiari.

DA GIOVANE

Avevo 18 anni quando feci domanda di assunzione in "Ferrovia". Fui inserito in prova negli elenchi dei supplenti ed iniziai a fare pratica presso le varie stazioni della linea Foggia Potenza. Svolsi tutti i lavori di manovalanza fino ad apprendere anche le attività del Capo Stazione e sostituii per brevi periodi un capo Stazione di Ascoli Satriano che stava per andare in pensione. Lavoravo bene e con piacere, poi un piccolo errore nella chiusura del conteggio fu sufficiente a farmi sospendere dal Servizio e a radiarmi dagli elenchi di assunzione in Ferrovia.

Non mi persi d'animo, il lavoro non mi faceva paura. Contattai mio fratello Michele che svolgeva il lavoro di muratore a Torino e partii per il Nord. Svolsi per un po' il mestiere di "pianellista" poi arrivò l'inverno ,a quel tempo molto rigido. Il lavoro nell'edilizia veniva sospeso per due o tre mesi e mio fratello tornò ad Ascoli Satriano. Io rimasi e mi cercai un lavoro per recuperare i soldi per l'affitto. (seimila lire). Trovai lavoro come lavapiatti in un ristorante e percepivo sedicimila lire al mese. Fui preso a ben volere dal proprietario che voleva passarmi a svolgere il lavoro di cuoco, ma non mi andava di essere impegnato il sabato e Domenica. Mi trovai un lavoro in un’officina a smerigliare profilati di alluminio.  Fu un lavoro dal quale tornavo sporco e pieno di polvere nera, ma mi adeguai e andavo a lavarmi ai bagni pubblici.

Arrivò il tempo del Servizio militare e fui arruolato nel Corpo di Artiglieria leggera e svolsi il C.A.R. ad Orvieto, quindi fui inviato presso la Caserma di L'Aquila dove rimasi per i rimanenti 14 mesi. Tornato alla vita civile ed avendo assolto il Servizio militare, feci domanda alla R.I.V. fabbrica di cuscinetti degli Agnelli proprietari della Fiat. Lavorai alla R.I.V. finché fu a Torino e poi quando si trasferì ad Airasca. Dopo 38 anni di S.k.F. andai in pensione ed ancora oggi ogni anno a Natale ricevo il pacco dono dell'azienda.

 

EMIGRAZIONE A TORINO


Il primo famigliare a venire a Torino fu mio fratello Michele del 1934, ed io lo seguii nel 1958. A Torino vi era già una sorella di mia mamma che si sposò con un uomo di Candela vedovo con due figli e vennero al Nord. Finito il militare, mio fratello grazie all’interessamento della zia che gli trovò casa venne a svolgere il lavoro di muratore

Nel 1958 lo seguimmo io, il fratello del 1942 e la sorella del 1944. Ci trovarono una casa di ringhiera in Corso Brescia di quelle con i servizi in fondo al balcone. Fummo fortunati perché noi avevamo le camere proprio vicino ai servizi!

Noi eravamo al secondo piano ed al primo piano vi era una cugina di Candela il cui marito era anche Palmisano come la mamma. Entro il 1960 sapendo che sarebbero venuti a Torino anche papà e mamma trovammo una casa più grande e ci trasferimmo. Abitavamo dietro il vecchio Stadio del “Toro”. In questo stadio vidi giocare i giovani Mazzola e Boninsegna.

Il fratello più giovane lavorava in una piccola officina, la sorella era commessa alla Robe di Kappa in via Foggia ed io, siccome usciva tardi, alla sera andavo sempre ad attenderla per accompagnarla a casa.

Io lavoravo alla Riv

 

1904 – Roberto Incerti apre il primo laboratorio per la fabbricazione di cuscinetti a sfera;

1906 – Incerti presenta il primo brevetto italiano per la realizzazione di cuscinetti a sfera ed entra in società con la FIAT;

1908 – Incerti cede la propria quota sociale alla FIAT;

1924 – Viene inaugurato lo stabilimento di Via Nizza 150 a Torino;

1943 – Lo stabilimento di Torino subisce pesanti bombardamenti che causano la perdita di molte vite;

1956 – Viene inaugurato il centro direzionale di Via Mazzini 53 a Torino;

1965 – La RIV si fonde con la svedese SKF;

1971 – Il sito produttivo torinese viene dismesso;

1979 – La SKF acquisisce il totale controllo della RIV, che cessa di esistere.


 

 

 

 

ASCOLI SATRIANO via Duomo


 PONTE ROMANO AD ASCOLI SATRIANO


 


SERNIOTTI BRUNETTO PINA VILLAFALLETTO 1919

 


SERNIOTTI BRUNETTO PINA 

VILLAFALLETTO 17 maggio1919

      



     

Papà Serniotti Tommaso era del 1879 

                                              mamma Silvestro Maria del 1888 

 

     

Papà del 1879 andò a “tiré ‘l bièt”(tirare il numero) e svolse tre anni di militare in guerra come Bersagliere.

                                              

Noi eravamo originari di Villafalletto

Mamma era casalinga. Papà era commerciante di formaggi e andava con il cavallino ed il calesse a fare i mercati della Valle Varaita. Passava a Costigliole Saluzzo, Piasco ed il primo Mercato era a Venasca, il mercoledì andava a Melle , il venerdì a Sampeyre( suo paese di nascita) ed il sabato a Casteldelfino. Da Villafalletto partiva a vuoto ed iniziava a comprare da Melle i famosi “Tomin” Tome, Burro in pani da due chili, un chilo e mezzo chilo che poi tagliava con un filo zincato. Acquistava anche tante uova, fino a duecento, trecento dozzine. Questo lavoro lo aveva iniziato già prima della Guerra del 15/18 poi partì soldato e quando tornò riprese. Quando io ebbi 7/8 anni d’estate portava anche me e mi faceva contare le uova. Avevo le mani piccole e con la destra riuscivo a tenere tre uova mentre con la sinistra soltanto due, allora papà mi insegnò a contare la cinquina anziché la mezza dozzina. Oh quante uova misi nella cesta insieme a tome e burro!

Si partiva verso le due di notte e mamma mi metteva ancora addormentata nella cesta, Si raggiungeva lo Stallaggio e si dormiva ancora un paio d’ore poi ci si lavava e faceva colazione e si partiva. Ricordo che a volte papà si dimenticava di dare il pane al Cavallo di nome “Moro” e questi batteva lo zoccolo e si rifiutava di partire, finchè papà glielo dava. A quel punto il padre gli dava una voce: “andoma Moro!” e questo scrollando la criniera per assentire, si avviava.

Dopo tanti anni di attività, il papà ormai stanco decise di smettere il commercio. Mise a riposo il vecchio cavallo ed acquistò alcune giornate di terra. Si mise così a svolgere lavori di contadino.

Raggiungeva questi paesi una volta al mese per il mercato e una volta per la fiera ,  poiché per il cavallo era impegnativo percorrere quelle strade.

 

                    ANDAI SPOSA A VENT’ANNI

                          


Mio marito Giacomo Brunetto del 1910, a dieci anni rimase orfano della mamma Domenica. Nel 1919 lei e i figli si ammalarono di Spagnola e lei morì lasciando 4 figli in tenera età, Giacomo era il secondo. Il padre dopo pochi mesi dalla morte della moglie sposò una ragazza di diciotto anni. Il padre di mio marito era di una famiglia di panettieri benestanti di Murello, ma Giacomo lo trattarono sempre come un facchino e prese tante botte. Era intelligente e molti dissero che avrebbe dovuto continuare gli studi, ma il padre lo fece solo lavorare sfruttandolo. Un fratello più grande se ne andò di casa, invece Giacomo, più remissivo rimase in famiglia a farsi maltrattare. Pina Il padre di Giacomo , veniva da una famiglia di panettieri che da tanti anni aveva il forno a Murello. Furono i primi ad avere la macchina per impastare e producevano oltre al pane anche "pasta che poi veniva essiccata" e da cuocere in acqua.

Il padre di Giacomo, veniva da una famiglia di panettieri che da tanti anni aveva il forno a Murello. Furono i primi ad avere la macchina per impastare e producevano oltre al pane anche "pasta che poi veniva essiccata" e da cuocere in acqua . Fu proprio con l' impastatrice che Giacomo ebbe l'incidente che gli maciullò la mano.

Il padre, nonostante fosse tardi ordinò al figlio di impastare ancora. Giacomo stanco ed assonnato si assopì con un braccio nel macchinario in funzione e l'ingranaggio gli frantumò la mano che non utilizzò più per tutta la vita. Nonostante la menomazione il padre continuò a fare lavorare il figlio duramente. Giacomo, sempre sottomesso non si ribellò mai ai maltrattamenti e faticava come un mulo.: trasportava due sacchi da 50 chili di farina alla volta!

Nel 1929 ci conoscemmo a Villafalletto e ci sposammo, Vivemmo ancora due anni con gli suoceri, poi ci diedero sette mila lire e ci “sbatterono” fuori. Sembravano tanti ma spendemmo 21.000 lire per rilevare il negozio di panetteria a Villanova Solaro sempre nei pressi di Racconigi. Rimanemmo cinque anni a Villanova e vivemmo il periodo della guerra con tante difficoltà. Mio marito andava nelle campagne a cercare il grano per poterlo nascostamente far macinare e produrre del pane mangiabile. Si faceva anche il pane della “tessera” e se ne doveva dare due etti a persona tenendo i Bollini da consegnare in Municipio.

Noi lavorammo sempre onestamente e quando decidemmo di trasferirci il Sindaco e la popolazione ci invitarono a rimanere offrendoci il forno Comunale. Noi avevamo già deciso di venire via.

DURANTE LA GUERRA

Nel periodo della guerra ero già sposata ed avevo 22/24 anni. Lavoravo nel panificio di mio marito che distava pochi km da Moretta dove si era stanziato un battaglione di tedeschi. Successe che ebbi problemi di mal di stomaco. Andai dal medico che mi prescrisse delle medicine, ma fu impossibile trovarle. Il medico disse anche di farmi mangiare del lardo. Giacomo si fece coraggio e parlò con degli ufficiali tedeschi che gli dissero che loro avevano tanto lardo e glielo avrebbero fornito facendosi effettuare una richiesta dal medico. Il medico ci fece quattro o cinque “buoni” e così io ne diedi a delle clienti che sapevo essere nella necessità.

 

RAPPRESAGLIA A VILLANOVA SOLARO E SCARNAFIGI

Sempre nel 1943/44 successe che i nazifascisti per rappresaglia, siccome i partigiani avevano preso dei tedeschi, imprigionarono parecchi uomini di Villanova e Scarnafigi e tra questi anche mio marito. Avrebbero ucciso gli ostaggi se i partigiani non avessero liberato i loro militari. Dopo alcuni giorni si seppe che avrebbero fucilato alcuni uomini tra i quali anche mio marito, allora andai al Comando e spiegai che mio marito era il panettiere e senza di lui non avremmo potuto produrre pane per la gente e anche per i soldati. Mi ascoltarono e lasciarono libero Giacomo.

Poi venivano a prendere il pane e portavano miele. Ne avevo così tanto che lo distribuivo alla gente del paese facendoli contenti poiché a quei tempi non si trovava niente e si faceva la fame.

ANDAI COL COPRIFUOCO A PRENDERE IL LIEVITO

Quando avevamo la panetteria a Villa Falletto, nel periodo della guerra tra muti, neri, tedeschi e Partigiani, vivemmo proprio nella paura. Una sera con il coprifuoco, a sera già buia ci accorgemmo che non eravamo andati a prendere il lievito per l'alvà! Ce lo teneva in frigo il macellaio.  Non si poteva non preparare il pane e allora mi decisi di andare a bussare dal macellaio. Mi imbaccuccai e passando rasente ai muri arrivai alla casa. Questi mi rispose che con sette figli non avrebbe certo rischiato la vita per prendere il lievito a noi. Mi disse che se volevo mi dava la chiave così potevo andare io. Chiesi se sarei riuscita ad entrare e questi mi spiegò il modo, poi gli avrei lasciato la chiave in un posto concordato. Così presi la chiave. Il frigo del macellaio era dislocato sotto L'Ala del paese e ci arrivai con tanto timore di incrociare qualcuno. Presi il lievito, sistemai la chiave nel posto previsto e pregando mi avviai verso il forno.

TERESA LA TABACHINA E LA GUARITRICE

Nel 1946, quando ebbi Mija fija Livia successe un fatto che non riuscii mai a spiegarmi. Ero in casa che allattavo e venne Teresa la tabachina. Mi chiese cosa facessi ed io le dissi che stavo allattando ma che venisse pure avanti! Lei rimase sulla porta, ci guardò e poi, un po' agitata mi raccontò che quando lei ebbe  sua fija cita non potè allattarla perché: <am rovinava, an mordiva!> E se ne andò. La mia "cita" cominciò ad agitarsi e a mordermi il seno. Sospesi l'allattamento per quel giorno, ma la bimba piangeva e non era tranquilla. Il giorno successivo riprovai ad attaccarla al seno ma continuò a mordermi. Lo dissi a  mia mamma che prese un camicino della bimba e lo fece portare ad una guaritrice della ”Gerrmola”, una frazione di VillaFalletto  che conoscevamo. Questa mise le mani sull'indumento  e tranquillizzò mio marito dicendogli di tornare a casa, che avrebbe  trovato la bimba serena e disposta ad allattarsi con calma.Fu così, venne e mi disse di provare a mettere al seno la bimba. Io avevo visto che la bimba si era calmata, ma non osavo farla poppare. Con cautela le porsi il Pipin e lei dolcemente iniziò a succhiare. Mio marito si recò dalla guaritrice a comunicarle che la bimba era tranquilla. La donna fu felice e disse che aveva compreso che sua moglie, cioè io, ero la persona adatta per ricevere il suo "dono" e che lei essendo ormai anziana lo avrebbe passato volentieri. Giacomo venne a riferirmi, ed io seppure lusingata per essere stata scelta come persona adatta per "fare del bene" non accettai e con garbo le feci riferire che non mi sentivo pronta per un incarico così importante. Continuai a fare la mamma e la panettiera e a fare del bene per quanto potevo.