martedì 7 gennaio 2025

MASSONI GIUSEPPE CISSONE 1926

 



GIUSEPPE MASSONI CISSONE 1926 

LA FRANA DI CISSONE 7 APRILE 1941 E LA MIA FAMIGLIA

 


 

Giuseppe Massoni, nato il 31 Agosto 1926 al Bricco di Cissone da Marieta del 1900 e Angelin del 1902, mi ha accompagnato nei pressi della Località Pianezza e Bricco dove il 7 Aprile del 1941 avvenne un vero e proprio disastro geologico. La voce gli trema nel raccontare, ma si fa forza: <Erano 15 giorni che pioveva e si era notata una fessura nel terreno, ma “gnun oi dava da mènt!” (nessuno si preoccupava). Io avevo solo 14 anni e sentivo i vecchi che dicevano: “o figurte s’o slugia!”(figurati se frana!). Verso le dieci di sera sentimmo degli scricchiolii e il terreno cominciò a franare, si creò una voragine (rocca- Calanco) ampia fino a 250metri con profondità di 50/60 metri per una lunghezza di 600/700 metri e le borgate Bricco e Deo (che era duecento metri sotto) scivolarono per più di 100metri . Nelle due borgate vivevano cinque famiglie con buoi, mucche, vitelli, pecore maiali, tutto sprofondò, ritrovammo ancora un caprone(boch) rimasto impiccato e poi caduto in un un baratro. Una “carera”(grande botte) di 25 brinde(brente) sprofondò in fondo a na “roca”(baratro), non si ruppe e del vino non se ne perse una goccia(lo recuperarono i Vigili del fuoco con delle pompe.

Qui dove siamo ora vi era la strada che conduceva alle borgate, adesso è cresciuta la vegetazione e non si puo’ capire, ma mi r’eu bèn an mènt( ma io ce l’ho ben impresso nella mente! Due miei fratelli(Pietro di cinque e Giovanni di 12) morirono sepolti nella frana e un ragazzino di Bossolasco (Attilio Montanaro che era da due giorni in prova come “sèrvitò” morì lì sotto. Il ragazzo di Bossolasco lo ritrovarono sotto poca terra e roccia, invece i miei fratelli, uno di cinque e l’altro di dodici li trovarono abbracciati sotto circa otto metri di detriti nei pressi delle altre case diroccate.

Mia nonna, quando sentì il movimento uscì dalla finestra e cadde su di un pilone della rocca dove era sprofondata la botte di vino, si ruppe un braccio e una gamba ma si salvò, e i primi soccorritori la portarono sulla strada per poi condurla in Ospedale.

Io mio padre e mia madre ed altri riuscimmo a scappare mentre crollava tutto e nel buio profondo, mezzi nudi procedemmo per tre ore in quella devastazione per raggiungere la cascina Boschèt che si trova sul brich(collina) di fronte. Fu un percorso faticoso e pericoloso, perché c’era fango, pietre fili di ferro e pali delle vigne franate. Ogni tanto sentivamo dei rumori e girandoci vedevamo sprofondare dei pezzi di casa. Ci guidò una colomba bianca che rimasta anche lei senza nido ci volteggiò sopra le teste e si diresse verso la borgata Boschetto. Poi, le voci degli abitanti ci rassicurarono che stavamo andando nella giusta direzione. Quando fu chiaro capimmo che il percorso indicatoci dalla colomba era l’unico che portava sulla collina della Cascina, altre vie ci avrebbero fatti finire in baratri pericolosi.

 


                

GEPPE E L’ALLUVIONE DEL 1994

Durante l’alluvione del ’94, in Località Boeri due case sprofondarono e non si videro più. Invece un Pilone rimase “per miracò!” per Miracolo,  al suo posto.

 

IL PADRE: MAZNÀ DR’OSPIDAL(BAMBINO ADOTTIVO)

 

Angelin, il padre di Geppe era un Bambino dr’Ospidal(dell’Ospedale) fu adottato dai nonni che non avevano figli. Fu condotto al Bricco,  a piedi da Alba, aveva cinque anni. Prima era già stato affidato ad un’altra famiglia che non lo tenne e lo riconsegnò all’Ospedale. Angelin crebbe volendo bene ai genitori adottivi e allo zio, anche lui senza figli che gli cedette la sua proprietà. Quando ebbe 14 anni, un giorno si presentò la sua vera madre e gli disse di andare a vivere con lei, promettendogli di lasciarlo erede, ma lui non abbandonò i genitori adottivi e nonostante la mamma avesse tentato di costringerlo dicendogli che avrebbe fatto venire i Carabinieri a prelevarlo, fu irremovibile e le disse: <fa’ vn’ chi chèt veuri, mi tant è stagh sì!(fai venire chi vuoi, io rimango qui.)

Angelin sposò Marieta della borgata Deo ed ebbero 7  figli: Felice nel 1924, Giuseppe nel 1926, una figlia nel 1928, uno nel 1930 e uno nel 1932, dopo la frana, nell’anno stesso del 1941 una figlia e un figlio nel 1943.

 La cascina del Bricco era dotata di venti giornate di terreno di cui otto coltivate a vigna dove prima della frana si produceva dell’ottimo Dolcetto acquistato dai commercianti di Narzole che, ricorda Giuseppe venivano a caricarlo con le botti sui carri trainati dai cavalli.

Dopo la frana del 1941 la famiglia Massoni si strinse alla nonna, al padre e alla madre e riprese a lavorare pur nel dolore per la perdita dei fratelli. Geppe ricorda che col solo aiuto delle braccia ripresero a coltivare circa trenta giornate di terreno: <Sijavo con èr fèr e quante sampà r’oma dà!> falciavamo i prati con la falce e quante zappate abbiamo dato!”

                   


GEPPE “NEGOSSIANT” PATENTATO DA 70 ANNI E MAI UN INCIDENTE

Geppe sostenne l’esame per la patente di guida settant’anni orsono, e con un camioncino percorse le strade delle Langhe e della provincia di Cuneo per acquistare e “negoziare” vitelli, pecore, capre, maiali ma anche “rape”(graspi per la distilleria). Sorridendo rammenta: < dalle nostre parti erano così poche le macchine che se serviva trasportavo anche persone che scendevano ai Mercati di Dogliani, Mondovì, Bra e Alba.> Ora non ha più il camioncino ma guida ancora volentieri.

GEPPE TRIFORAO


Geppe fu anche triforao ed ebbe delle belle soddisfazioni. Prima dell’alluvione del 1994 si cimentò nell’arte del ricercatore di tartufi, prima con un cagnolino maschio e poi con una femmina che terminava il lavoro quando il maschio vecchio e stanco non ce la faceva più. Scoprì un Reu(sito) dove in una sola volta guadagnò un milione e ottocentomila lire, e se fossero stati tutti sani avrebbe guadagnato il doppio. Questi erano tartufi neri, ma lungo il ruscello non lontano da casa ai piedi di un “arbron”(Pioppo) rilevò un reu di tartufi bianchi lisci di non meno di un etto l’uno. Con l’alluvione cadde l’albero e non se ne trovarono più. Ora la cagnetta è “svicia” (svelta e brava) e fiuta i “Bianchètt” (Piccoli tartufi da esercitazione) che Geppe le nasconde nell’orto per tenerla attiva, ma lui non la porta più e i nipoti non raccolgono “l’eredità”.

DURANTE LA GUERRA

Quando venivano i nazifascisti bisognava scappare. Una volta vennero improvvisamente e presero giovani e vecchi. Ci fecero camminare fino a Dogliani, Io ero giovane e mi lasciarono tornare a casa, ma molti altri li trattennero e li deportarono in Germania.

 

SI ANDAVA A “VIJÉ” (VEGLIARE)

Mi ricordo che si andava a “vijé”, una sera da una famiglia e una sera da un’altra e si stava tutta la sera a chiacchierare e a far la partita a carte. Da qualcuno si stava in casa da altri nella stalla e si giocava su di un balòt!. C’era anche chi raccontava storie e si stava tutta la sera ad ascoltare. In particolare, mi è rimasto il ricordo di una “lingera” (girovago) che non so da dove arrivasse. Lo chiamavamo “èr barba” (lo zio) si fermava qualche giorno e dormiva nelle stalle o sulla cascina. Lui era un grande “raccontatore” e tutti , non solo noi bambini lo ascoltavamo rapiti!  

 

 

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