GIUSEPPE MASSONI CISSONE
1926
LA FRANA DI CISSONE 7
APRILE 1941 E LA MIA FAMIGLIA
Giuseppe
Massoni, nato il 31 Agosto 1926 al Bricco di Cissone da Marieta del 1900 e
Angelin del 1902, mi ha accompagnato nei pressi della Località Pianezza e
Bricco dove il 7 Aprile del 1941 avvenne un vero e proprio disastro geologico.
La voce gli trema nel raccontare, ma si fa forza: <Erano 15 giorni che
pioveva e si era notata una fessura nel terreno, ma “gnun oi dava da mènt!”
(nessuno si preoccupava). Io avevo solo 14 anni e sentivo i vecchi che
dicevano: “o figurte s’o slugia!”(figurati se frana!). Verso le dieci di sera
sentimmo degli scricchiolii e il terreno cominciò a franare, si creò una
voragine (rocca- Calanco) ampia fino a 250metri con profondità di 50/60 metri
per una lunghezza di 600/700 metri e le borgate Bricco e Deo (che era duecento
metri sotto) scivolarono per più di 100metri . Nelle due borgate vivevano
cinque famiglie con buoi, mucche, vitelli, pecore maiali, tutto sprofondò,
ritrovammo ancora un caprone(boch) rimasto impiccato e poi caduto in un un
baratro. Una “carera”(grande botte) di 25 brinde(brente) sprofondò in fondo a
na “roca”(baratro), non si ruppe e del vino non se ne perse una goccia(lo
recuperarono i Vigili del fuoco con delle pompe.
Qui dove
siamo ora vi era la strada che conduceva alle borgate, adesso è cresciuta la
vegetazione e non si puo’ capire, ma mi r’eu bèn an mènt( ma io ce l’ho ben
impresso nella mente! Due miei fratelli(Pietro di cinque e Giovanni di 12)
morirono sepolti nella frana e un ragazzino di Bossolasco (Attilio Montanaro
che era da due giorni in prova come “sèrvitò” morì lì sotto. Il ragazzo di
Bossolasco lo ritrovarono sotto poca terra e roccia, invece i miei fratelli,
uno di cinque e l’altro di dodici li trovarono abbracciati sotto circa otto
metri di detriti nei pressi delle altre case diroccate.
Mia
nonna, quando sentì il movimento uscì dalla finestra e cadde su di un pilone
della rocca dove era sprofondata la botte di vino, si ruppe un braccio e una
gamba ma si salvò, e i primi soccorritori la portarono sulla strada per poi
condurla in Ospedale.
Io mio
padre e mia madre ed altri riuscimmo a scappare mentre crollava tutto e nel
buio profondo, mezzi nudi procedemmo per tre ore in quella devastazione per
raggiungere la cascina Boschèt che si trova sul brich(collina) di fronte. Fu un
percorso faticoso e pericoloso, perché c’era fango, pietre fili di ferro e pali
delle vigne franate. Ogni tanto sentivamo dei rumori e girandoci vedevamo
sprofondare dei pezzi di casa. Ci guidò una colomba bianca che rimasta anche
lei senza nido ci volteggiò sopra le teste e si diresse verso la borgata
Boschetto. Poi, le voci degli abitanti ci rassicurarono che stavamo andando
nella giusta direzione. Quando fu chiaro capimmo che il percorso indicatoci
dalla colomba era l’unico che portava sulla collina della Cascina, altre vie ci
avrebbero fatti finire in baratri pericolosi.
GEPPE E L’ALLUVIONE
DEL 1994
Durante l’alluvione
del ’94, in Località Boeri due case sprofondarono e non si videro più. Invece
un Pilone rimase “per miracò!” per Miracolo,
al suo posto.
IL PADRE: MAZNÀ DR’OSPIDAL(BAMBINO ADOTTIVO)
Angelin,
il padre di Geppe era un Bambino dr’Ospidal(dell’Ospedale) fu adottato dai
nonni che non avevano figli. Fu condotto al Bricco, a piedi da Alba, aveva cinque anni. Prima era
già stato affidato ad un’altra famiglia che non lo tenne e lo riconsegnò
all’Ospedale. Angelin crebbe volendo bene ai genitori adottivi e allo zio,
anche lui senza figli che gli cedette la sua proprietà. Quando ebbe 14 anni, un
giorno si presentò la sua vera madre e gli disse di andare a vivere con lei,
promettendogli di lasciarlo erede, ma lui non abbandonò i genitori adottivi e
nonostante la mamma avesse tentato di costringerlo dicendogli che avrebbe fatto
venire i Carabinieri a prelevarlo, fu irremovibile e le disse: <fa’ vn’ chi
chèt veuri, mi tant è stagh sì!(fai venire chi vuoi, io rimango qui.)
Angelin
sposò Marieta della borgata Deo ed ebbero 7
figli: Felice nel 1924, Giuseppe nel 1926, una figlia nel 1928, uno nel
1930 e uno nel 1932, dopo la frana, nell’anno stesso del 1941 una figlia e un
figlio nel 1943.
La cascina del Bricco era dotata di venti
giornate di terreno di cui otto coltivate a vigna dove prima della frana si
produceva dell’ottimo Dolcetto acquistato dai commercianti di Narzole che,
ricorda Giuseppe venivano a caricarlo con le botti sui carri trainati dai
cavalli.
Dopo la
frana del 1941 la famiglia Massoni si strinse alla nonna, al padre e alla madre
e riprese a lavorare pur nel dolore per la perdita dei fratelli. Geppe ricorda
che col solo aiuto delle braccia ripresero a coltivare circa trenta giornate di
terreno: <Sijavo con èr fèr e quante sampà r’oma dà!> falciavamo i prati
con la falce e quante zappate abbiamo dato!”
GEPPE
“NEGOSSIANT” PATENTATO DA 70 ANNI E MAI UN INCIDENTE
Geppe
sostenne l’esame per la patente di guida settant’anni orsono, e con un
camioncino percorse le strade delle Langhe e della provincia di Cuneo per
acquistare e “negoziare” vitelli, pecore, capre, maiali ma anche “rape”(graspi
per la distilleria). Sorridendo rammenta: < dalle nostre parti erano così
poche le macchine che se serviva trasportavo anche persone che scendevano ai
Mercati di Dogliani, Mondovì, Bra e Alba.> Ora non ha più il camioncino ma
guida ancora volentieri.
GEPPE TRIFORAO
Geppe fu
anche triforao ed ebbe delle belle soddisfazioni. Prima dell’alluvione del 1994
si cimentò nell’arte del ricercatore di tartufi, prima con un cagnolino maschio
e poi con una femmina che terminava il lavoro quando il maschio vecchio e
stanco non ce la faceva più. Scoprì un Reu(sito) dove in una sola volta
guadagnò un milione e ottocentomila lire, e se fossero stati tutti sani avrebbe
guadagnato il doppio. Questi erano tartufi neri, ma lungo il ruscello non
lontano da casa ai piedi di un “arbron”(Pioppo) rilevò un reu di tartufi
bianchi lisci di non meno di un etto l’uno. Con l’alluvione cadde l’albero e
non se ne trovarono più. Ora la cagnetta è “svicia” (svelta e brava) e fiuta i
“Bianchètt” (Piccoli tartufi da esercitazione) che Geppe le nasconde nell’orto
per tenerla attiva, ma lui non la porta più e i nipoti non raccolgono
“l’eredità”.
DURANTE
LA GUERRA
Quando
venivano i nazifascisti bisognava scappare. Una volta vennero improvvisamente e
presero giovani e vecchi. Ci fecero camminare fino a Dogliani, Io ero giovane e
mi lasciarono tornare a casa, ma molti altri li trattennero e li deportarono in
Germania.
SI ANDAVA
A “VIJÉ” (VEGLIARE)
Mi
ricordo che si andava a “vijé”, una sera da una famiglia e una sera da un’altra
e si stava tutta la sera a chiacchierare e a far la partita a carte. Da
qualcuno si stava in casa da altri nella stalla e si giocava su di un balòt!. C’era
anche chi raccontava storie e si stava tutta la sera ad ascoltare. In
particolare, mi è rimasto il ricordo di una “lingera” (girovago) che non so da
dove arrivasse. Lo chiamavamo “èr barba” (lo zio) si fermava qualche giorno e
dormiva nelle stalle o sulla cascina. Lui era un grande “raccontatore” e tutti
, non solo noi bambini lo ascoltavamo rapiti!
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