sabato 4 gennaio 2025

CHIARLE FEDERICO MARIO 1920 COSSANO BELBO BORGOMALE

 CHIARLE FEDERICO MARIO 1920

 Cossano Belbo Borgomale 



 

 

 

   https://youtu.be/LdlYh0caOgA     

 

 

 

Partii per la Russia da Savigliano, arruolato nel 2° Reggimento Artiglieria Alpina 113a Compagnia Borgo  San Dalmazzo,  il 29 giugno del 1941 alle 13- 13,30. Impiegammo sei notti e sette giorni di treno, passammo a Vienna, poi in Jugoslavia, Ungheria, Romania e giungemmo in Ucraina percorrendo 2700 chilometri. Rimanemmo accampati una ventina di giorni sotto le tende, poi ci trasferirono, a piedi  a Dnipropetrovs’k( la città di Petrovska sul fiume Dnipro) in casermette diroccate. Quando giunse l’inverno il termometro segnò 43 gradi sottozero. Nei villaggi vi erano solo donne e anziani, i giovani erano tutti a militare. Noi  avevamo il compito di pattugliare e vedemmo i carri armati russi che attraversavano il fiume Don ghiacciato senza che si rompesse. I vecchi dicevano che il ghiaccio del fiume aveva uno spessore di un metro. Il freddo era insopportabile, venivano accesi dei fuochi per scaldarsi e per sciogliere un po’ di neve pressata dentro il gavettino, si ottenevano così due dita di acqua da bere. Bisognava sempre procedere a testa bassa nella tormenta poiché la neve scendeva copiosa e trasversale ghiacciando negli occhi e nella barba. Occorreva staccare i ghiaccioli dalla barba e dai baffi. I militari italiani pativano il freddo poiché non erano equipaggiati. I russi avevano giacche e pantaloni imbottiti, stivali di cuoio isolati con il sughero e gambali anti acqua. I loro copricapo lasciavano liberi solo gli occhi e proteggevano anche il collo.

 

Patimmo il grande freddo e la fame. Veniva distribuita una volta al giorno un po’ di pasta mezza cruda e scondita.

 

Anche per noi che pure eravamo distanti dal fiume Don, e in fondo alla “sacca”, fu terribile quando dovemmo ritirarci per uscire dal “ferro di cavallo) che i Russi avevano organizzato. Crearono un ferro di cavallo di uomini e mezzi  che si chiuse sempre più fino a imprigionare e ad annientare le Divisioni italiane tedesche ungheresi e rumene. Queste furono annientate!

 

 Era il 2 febbraio 1943 e i cucinieri avevano preparato un fuoco per cuocere un po’ di pasta. Stavamo tutti attendendo lo scarso rancio quando arrivò un Maggiore di Milano che ordinò di avviarci poiché vi erano i russi a venti kilometri che stavano serrando con una manovra che ci avrebbe chiusi. Si partì in grande fretta lasciando la marmitta da campo sul fuoco. Fortunatamente intraprendemmo la direzione giusta e procedendo attraverso l’Ucraina, qualche giorno prima del 19 Marzo San Giuseppe raggiungemmo  la Polonia . Rimanemmo in questi campi di raccolta fino al 27 Marzo.

 

LA PAROLA GUERRA BISOGNA “APPROFONDIRLA”

 





Si fa presto a dire la parola Guerra, è come dire “Pane”, ma occorre approfondirla, spiegarla meglio. Io ci vissi dentro, per ventitre mesi fu sempre”guerra”. I russi nelle notti, ci lanciavano degli involucri spinosi che illuminavano come fosse giorno e potevi vedere anche le lucertole. Dopo queste lampade arrivavano i caccia a bombardare. Una notte durante un bombardamento ci nascondemmo in uno scantinato







(in crotinon).Rimanemmo stipati(tuti riss)accucciati per tutta la notte. Sentimmo cadere le bombe tutt’attorno ma sopra di noi non cadde nulla. Al mattino uscimmo e ci trovammo di fronte un paesaggio apocalittico: pali della luce che bruciavano, muri  e case crollate con dei fuochi. In quello scenario apparve un tedesco che mi chiamò:< Kamarade! > Io gli chiesi cosa volesse e mi fece segno di andare da lui . Quando fummo di fronte, in perfetto italiano mi disse:<Bisognerebbe prendere Mussolini e Hitler farne un fascio e dopo averci versato sopra della benzina appiccare il fuoco!> Capii che era dell’Alto Adige e aveva la mia stessa idea.

 

PARTENZA DALLA POLONIA

 

Il 19 Marzo San Giuseppe, un Maggiore ci avvisò che si partiva per l’Italia. Vi fu una grande esultanza e vedemmo arrivare alla stazione di quel borgo sette tradotte con una macchina a vapore. Ci volle un giorno a radunarci tutti e giunse l’ordine di salire. Noi quattro compagni della 113°compagnia attendemmo a salire. Eravamo io Pace, Rabino e Lano, vedemmo che erano quasi saliti tutti e stavano abbastanza stretti in sei carrozze. Quella immediatamente dietro alla Macchina era vuota, e decidemmo di salire su quella. Felici di stare comodi su quel vagone vuoto io pensai di migliorare il giaciglio prendendo da un “Pagliaio” là vicino una bracciata d’erba, e anche se una donna mi urlò che stavo rubando feci finta di nulla e saltai sul vagone per preparami a partire. Giunse il Maggiore che controllava fosse tutto pronto e ci urlò di scendere poiché quello era il vagone che in caso di pericolo sarebbe stato sganciato con la Macchina! A malincuore cercammo un posto nei vagoni già stracolmi suscitando le ire degli altri soldati che si erano già sistemati.

 

La locomotiva si mosse quando verso le 19.00 fece notte. Verso l’una di notte sentimmo degli scrolloni dei respingenti e il convoglio di fermò. Era ormai buio profondo e così stipati non riuscivamo a comprendere cosa fosse successo. Fece giorno e si sentì una raffica di mitraglia provenire da una boscaglia vicina. Ci fu ordinato di scendere con i fucili alla mano. Ci dicemmo che non era ancora ora di viaggiare per l’Italia, ma intanto vedemmo che il vagone sul quale volevamo salire era ridotto ad una “fisarmonica”. Ringraziammo il Maggiore e la Madonna che ci avevano salvati e attendemmo nuovi ordini. Un Bersagliere in bicicletta si recò ad avvisare alla stazione successiva e venne una locomotiva procedendo all’indietro che agganciò il convogli e ci permise di arrivare al Brennero. Qui ci diedero divise nuove e dopo qualche giorno ripartimmo.

 

Il convoglio scaricò a Milano, a Bologna e anche in stazioni più piccole, finchè arrivammo a Torino, della nostra zona eravamo ancora sette: Basso, Caprioglio, Dalmazzo,Campana, Negro Pace ed io. Ci salutammo e ci augurammo buona fortuna. Attesi il treno per Asti e verso le sedici partii, a castagnole cambiai treno e arrivai a Santo Stefano dove presi la Corriera per Cossano. L’autista, che mi riconobbe, mi abbracciò piangendo e mi condusse fino a duecento metri dalla fermata di Entracine dove gli chiesi di fermare poiché all’Osteria  vi era troppa gente e preferivo salire a casa. Imboccai il sentiero e andai verso casa. Arrivai in vista di casa e mi inginocchiai piangendo. Avevo sempre detto che se fossi riuscito ad arrivare in Casalesio(la nostra cascina) avrei baciato la terra. Vi erano due entrate per il cortile di casa, scelsi quella che dava sul forno dove mio padre controllava il pane che stava cuocendo. Papà non mi vide e mia sorella che era intenta ad accudire le bestie, sentì che parlavo con mio fratello nella cantina. Avvisò mio padre che corse ad abbracciarmi piangendo e non mi lasciava più. Era fuori di sé e dimenticò persino il pane nel forno che rischiò di bruciare. Accorsero anche mia madre la zia e lo zio, fu un emozione grande che ci vide tutti abbracciati e piangenti. Il manovale che viveva con la nostra famiglia era del 1897 ed era Reduce della Guerra del 15/18 anche lui mi abbracciò e mi disse: <so cosa hai visto, la tua esperienza è stata terribile quanto la mia!>

 

 ANDAI CON I PARTIGIANI

 

CHIARLE FEDERICO MARIO COSSANO BELBO 07/10/1920

 

CONTADINO

 

SOLDATO ART. 2° Rgt. 113° Compagnia Borgo San Dalmazzo

 

Nome di Battaglia TIGRE

 

PATRIOTA 1°Div. LANGHE 2° Brg Bisalta dal 25 Marzo 1944 al 7 Giugno 1945

 

Una volta a casa mi aggregai ai Partigiani con la Squadra di “Moscon”, l’altra era quella di “Moretto”. Eravamo tra Roccaverano e San Giorgio Scarampi. Una notte sentimmo sparare a Canelli e scendemmo pronti ad intervenire, ma fu un attacco breve e così tornammo in alto. Rimasi con i partigiani da Settembre 1943 fino a maggio 45 quando tutto finì. Mi ricordo di John l’autista di Santo Stefano e di Moscon che era uno “ardì” e sempre pronto ad effettuare azioni con la dinamite. Mi pare che fu quello che fece saltare il ponte di Borgomale.

 

             

 

Chiarle Federico Mario 1920 Cossano Belbo Borgomale Reduce di Russia

                                               

Nel 1941 eravamo arrivati da poco in Ucraina, avevo 21 anni e tutto mi incuriosiva. Mi guardavo attorno e avrei voluto ricordarmi di tutto. A 21 anni avevo solo tanta voglia di vivere e di ritornare a casa per raccontare. Mi venne l’occasione di acquistare una macchina fotografica,  un mio compagno militare mi chiedeva 11 Lire e di Decade ricevevo 3Lire e Mezza. Avevo piacere di avere quella macchina e mi confidai con Massa Condo mio coscritto e vicino di casa di Cossano. Ci trovammo nella stessa Compagnia destinati in Russia. Gli dissi: <entra socio nell’acquisto, poi appena prendo la decade te li restituisco.> Condo era un amico e fu d’accordo, comprai quella Agfa e feci tante foto, riuscendo a portare a casa sia la macchina che i rullini e fui felice. La conservo ancora oggi e voglio mostrartela. Insieme alle foto che mi aiutano a ricordare fatti di settant’anni fa.

 

Un giorno, io Condo e Pace trovammo due maiali che giravano tra le macerie della casa. Ci guardammo in faccia e senza parlare fummo d’accordo sul da farsi. Avevamo una fame terribile e nonostante quei maiali fossero abbastanza magri, cercammo di farli entrare in un cortiletto con l’obiettivo di macellarli. Uno ci scappò, ma l’altro lo catturammo e lo macellammo per mangiarlo. Qualcuno dei commilitoni ci vide e corse a far la spia al capitano. Questi il giorno dopo ci convocò tutti e tre e ci fece una bella paura poiché ci disse che potevamo essere deferiti alla Corte Marziale. Fortunatamente un Sotto Tenente ci prese le parti dicendo al Capitano che lo avevamo fatto per fame e non per rubare, questo si convinse e ci inflisse una piccola punizione con una sgridata.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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