lunedì 13 gennaio 2025

PELAZZA TERESIO TREZZO TINELLA 1917 Guarina Rinalda

 


                               MAMMA RIGO ADELAIDE    PAPÀ PELAZZA ANNIBALE
                                    1892 1987                           1886 1970    


PELAZZA TERESIO 20/3/1917 TREZZO TINELLA

                          U.R.S.S. 31/1/1943


TESTIMONIANZA MAESTRA GUARINA RINALDA

NIPOTE

<I miei nonni ebbero 8 figli, 4 maschi e 4 femmine: Teresio, Fiorino, Giacomo, Guido, Secondina, Onorina, Angela la mia cara mamma, Emilia.

Lettera dalla Russia:

Fronte russo 16.12.42 xxI

Finalmente oggi mi è giunto il pacco che mi avete mandato. È giunto su bene e non si è sciupato niente. C'era dentro, cioè conteneva tutto esattamente quello che mi avevate annotato nella scorsa lettera. E mi è giunto assai gradito che non posso esprimere il mio povero ringraziamento di quanto ne sono felice. Mi hanno consegnato il pacco ed io con tutte le attenzioni l'ho aperto. Mentre pensavo: questo viene dalla bella Italia, da quella bella e cara collina, in quella casa in cui ansiosamente attendono il mio ritorno

Penso a quanto tempo è passato e che è stato fatto con le vostre proprie mani, e mi è più caro ed è un conforto più spirituale che materiale. Ogni cosa che mi avete mandato mi è molto utile. Come mi avete accennato sulla vostra scorsa lettera che mi avreste mandato un altro pacco. Quando lo preparate metteteci anche un po' di borotalco ed una fisarmonica a bocca. Un po' di musica anche al fronte va bene...>


                                 



 

 






 

SORELLA PELAZZA GUARINA ANGELA 1924 2018

 

                     MAMMA RIGO ADELAIDE “Laidin” PAPÀ ANNIBALE

 

 

                   LA POSTINA DI COSSANO BELBO

                 

Angela Pelazza Guarina TREZZO TINELLA

                                1924 2018

      

                ANGELA PELAZZA Sarta e Postina      

 


                 

                             Angela Pelazza sposò

GUARINA Gino Mio papà (1923-2000), suonava il basso tuba, in una banda di Torino, prima della guerra. e  la fisarmonica col papà Pietro, detto Pedrin, (1885-1959), con i fratelli Rinaldo, detto Nado, ( 1914-1975), Eugenio, detto Bertu, (1928-2008). Quest'ultimo costruiva (liutaio) e suonava anche il violino

papà Gino a due anni suonava già!
                 NONNO Pietro, detto Pedrin, (1885-1959)

                                               E BISNONNI GUARINA             

Suonava anche mio bisnonno paterno Guarina Giuseppe. Mio nonno Pedrin componeva anche musiche ma non ne ho. Quasi tutti hanno imparato da soli a suonare, poi hanno studiato la musica per conto loro. Mio papà a due anni suonava già. Il gruppo "i Varin-a" andavano a suonare nelle cascine delle Langhe, in occasione di feste o ricorrenze: nozze, vendemmia, trebbiatura...

 

 

GUARINA RINALDO detto Nado ( 1914-1975), lo zio preferito che mi ha lasciato il nome. Sapeva suonare, comporre musiche, scrivere poesie e raccontare storie. Era un grande uomo.

 

   

                    zio Berto liutaio e suonatore di violino

LIUTAIO GABUTTI VALERIO 1926 DOGLIANI
chissà se si sono conosciuti?


   GUARINA EUGENIO detto Berto. Era lo zio più giovane che sapeva costruire e suonare il violino. Con la sua bella voce seguiva i fratelli e il padre. i Varin-a, piccolo gruppo musicale che si esibiva nelle cascine di Langa in occasione di feste.



GINO GUARINA E JANO


LEVA A COSSANO BELBO co Guarina Gino al Basso Tuba



 


 





martedì 7 gennaio 2025

MASSONI GIUSEPPE CISSONE 1926

 



GIUSEPPE MASSONI CISSONE 1926 

LA FRANA DI CISSONE 7 APRILE 1941 E LA MIA FAMIGLIA

 


 

Giuseppe Massoni, nato il 31 Agosto 1926 al Bricco di Cissone da Marieta del 1900 e Angelin del 1902, mi ha accompagnato nei pressi della Località Pianezza e Bricco dove il 7 Aprile del 1941 avvenne un vero e proprio disastro geologico. La voce gli trema nel raccontare, ma si fa forza: <Erano 15 giorni che pioveva e si era notata una fessura nel terreno, ma “gnun oi dava da mènt!” (nessuno si preoccupava). Io avevo solo 14 anni e sentivo i vecchi che dicevano: “o figurte s’o slugia!”(figurati se frana!). Verso le dieci di sera sentimmo degli scricchiolii e il terreno cominciò a franare, si creò una voragine (rocca- Calanco) ampia fino a 250metri con profondità di 50/60 metri per una lunghezza di 600/700 metri e le borgate Bricco e Deo (che era duecento metri sotto) scivolarono per più di 100metri . Nelle due borgate vivevano cinque famiglie con buoi, mucche, vitelli, pecore maiali, tutto sprofondò, ritrovammo ancora un caprone(boch) rimasto impiccato e poi caduto in un un baratro. Una “carera”(grande botte) di 25 brinde(brente) sprofondò in fondo a na “roca”(baratro), non si ruppe e del vino non se ne perse una goccia(lo recuperarono i Vigili del fuoco con delle pompe.

Qui dove siamo ora vi era la strada che conduceva alle borgate, adesso è cresciuta la vegetazione e non si puo’ capire, ma mi r’eu bèn an mènt( ma io ce l’ho ben impresso nella mente! Due miei fratelli(Pietro di cinque e Giovanni di 12) morirono sepolti nella frana e un ragazzino di Bossolasco (Attilio Montanaro che era da due giorni in prova come “sèrvitò” morì lì sotto. Il ragazzo di Bossolasco lo ritrovarono sotto poca terra e roccia, invece i miei fratelli, uno di cinque e l’altro di dodici li trovarono abbracciati sotto circa otto metri di detriti nei pressi delle altre case diroccate.

Mia nonna, quando sentì il movimento uscì dalla finestra e cadde su di un pilone della rocca dove era sprofondata la botte di vino, si ruppe un braccio e una gamba ma si salvò, e i primi soccorritori la portarono sulla strada per poi condurla in Ospedale.

Io mio padre e mia madre ed altri riuscimmo a scappare mentre crollava tutto e nel buio profondo, mezzi nudi procedemmo per tre ore in quella devastazione per raggiungere la cascina Boschèt che si trova sul brich(collina) di fronte. Fu un percorso faticoso e pericoloso, perché c’era fango, pietre fili di ferro e pali delle vigne franate. Ogni tanto sentivamo dei rumori e girandoci vedevamo sprofondare dei pezzi di casa. Ci guidò una colomba bianca che rimasta anche lei senza nido ci volteggiò sopra le teste e si diresse verso la borgata Boschetto. Poi, le voci degli abitanti ci rassicurarono che stavamo andando nella giusta direzione. Quando fu chiaro capimmo che il percorso indicatoci dalla colomba era l’unico che portava sulla collina della Cascina, altre vie ci avrebbero fatti finire in baratri pericolosi.

 


                

GEPPE E L’ALLUVIONE DEL 1994

Durante l’alluvione del ’94, in Località Boeri due case sprofondarono e non si videro più. Invece un Pilone rimase “per miracò!” per Miracolo,  al suo posto.

 

IL PADRE: MAZNÀ DR’OSPIDAL(BAMBINO ADOTTIVO)

 

Angelin, il padre di Geppe era un Bambino dr’Ospidal(dell’Ospedale) fu adottato dai nonni che non avevano figli. Fu condotto al Bricco,  a piedi da Alba, aveva cinque anni. Prima era già stato affidato ad un’altra famiglia che non lo tenne e lo riconsegnò all’Ospedale. Angelin crebbe volendo bene ai genitori adottivi e allo zio, anche lui senza figli che gli cedette la sua proprietà. Quando ebbe 14 anni, un giorno si presentò la sua vera madre e gli disse di andare a vivere con lei, promettendogli di lasciarlo erede, ma lui non abbandonò i genitori adottivi e nonostante la mamma avesse tentato di costringerlo dicendogli che avrebbe fatto venire i Carabinieri a prelevarlo, fu irremovibile e le disse: <fa’ vnì’ chi chèt veuri, mi tant è stagh sì!(fai venire chi vuoi, io rimango qui.)

Angelin sposò Marieta della borgata Deo ed ebbero 7  figli: Felice nel 1924, Giuseppe nel 1926, una figlia nel 1928, uno nel 1930 e uno nel 1932, dopo la frana, nell’anno stesso del 1941 una figlia e un figlio nel 1943.

 La cascina del Bricco era dotata di venti giornate di terreno di cui otto coltivate a vigna dove prima della frana si produceva dell’ottimo Dolcetto acquistato dai commercianti di Narzole che, ricorda Giuseppe venivano a caricarlo con le botti sui carri trainati dai cavalli.

Dopo la frana del 1941 la famiglia Massoni si strinse alla nonna, al padre e alla madre e riprese a lavorare pur nel dolore per la perdita dei fratelli. Geppe ricorda che col solo aiuto delle braccia ripresero a coltivare circa trenta giornate di terreno: <Sijavo con èr fèr e quante sampà r’oma dà!> falciavamo i prati con la falce e quante zappate abbiamo dato!”

                   


GEPPE “NEGOSSIANT” PATENTATO DA 70 ANNI E MAI UN INCIDENTE

Geppe sostenne l’esame per la patente di guida settant’anni orsono, e con un camioncino percorse le strade delle Langhe e della provincia di Cuneo per acquistare e “negoziare” vitelli, pecore, capre, maiali ma anche “rape”(graspi per la distilleria). Sorridendo rammenta: < dalle nostre parti erano così poche le macchine che se serviva trasportavo anche persone che scendevano ai Mercati di Dogliani, Mondovì, Bra e Alba.> Ora non ha più il camioncino ma guida ancora volentieri.

GEPPE TRIFORAO


Geppe fu anche triforao ed ebbe delle belle soddisfazioni. Prima dell’alluvione del 1994 si cimentò nell’arte del ricercatore di tartufi, prima con un cagnolino maschio e poi con una femmina che terminava il lavoro quando il maschio vecchio e stanco non ce la faceva più. Scoprì un Reu(sito) dove in una sola volta guadagnò un milione e ottocentomila lire, e se fossero stati tutti sani avrebbe guadagnato il doppio. Questi erano tartufi neri, ma lungo il ruscello non lontano da casa ai piedi di un “arbron”(Pioppo) rilevò un reu di tartufi bianchi lisci di non meno di un etto l’uno. Con l’alluvione cadde l’albero e non se ne trovarono più. Ora la cagnetta è “svicia” (svelta e brava) e fiuta i “Bianchètt” (Piccoli tartufi da esercitazione) che Geppe le nasconde nell’orto per tenerla attiva, ma lui non la porta più e i nipoti non raccolgono “l’eredità”.

DURANTE LA GUERRA

Quando venivano i nazifascisti bisognava scappare. Una volta vennero improvvisamente e presero giovani e vecchi. Ci fecero camminare fino a Dogliani, Io ero giovane e mi lasciarono tornare a casa, ma molti altri li trattennero e li deportarono in Germania.

 

SI ANDAVA A “VIJÉ” (VEGLIARE)

Mi ricordo che si andava a “vijé”, una sera da una famiglia e una sera da un’altra e si stava tutta la sera a chiacchierare e a far la partita a carte. Da qualcuno si stava in casa da altri nella stalla e si giocava su di un balòt!. C’era anche chi raccontava storie e si stava tutta la sera ad ascoltare. In particolare, mi è rimasto il ricordo di una “lingera” (girovago) che non so da dove arrivasse. Lo chiamavamo “èr barba” (lo zio) si fermava qualche giorno e dormiva nelle stalle o sulla cascina. Lui era un grande “raccontatore” e tutti , non solo noi bambini lo ascoltavamo rapiti!  

 

 

sabato 4 gennaio 2025

CHIARLE FEDERICO MARIO 1920 COSSANO BELBO BORGOMALE

 


CHIARLE FEDERICO MARIO 1920

 Cossano Belbo Borgomale 



 

 

 

   https://youtu.be/LdlYh0caOgA     

 

 

 

Partii per la Russia da Savigliano, arruolato nel 2° Reggimento Artiglieria Alpina 113a Compagnia Borgo  San Dalmazzo,  il 29 giugno del 1941 alle 13- 13,30. Impiegammo sei notti e sette giorni di treno, passammo a Vienna, poi in Jugoslavia, Ungheria, Romania e giungemmo in Ucraina percorrendo 2700 chilometri. Rimanemmo accampati una ventina di giorni sotto le tende, poi ci trasferirono, a piedi  a Dnipropetrovs’k( la città di Petrovska sul fiume Dnipro) in casermette diroccate. Quando giunse l’inverno il termometro segnò 43 gradi sottozero. Nei villaggi vi erano solo donne e anziani, i giovani erano tutti a militare. Noi  avevamo il compito di pattugliare e vedemmo i carri armati russi che attraversavano il fiume Don ghiacciato senza che si rompesse. I vecchi dicevano che il ghiaccio del fiume aveva uno spessore di un metro. Il freddo era insopportabile, venivano accesi dei fuochi per scaldarsi e per sciogliere un po’ di neve pressata dentro il gavettino, si ottenevano così due dita di acqua da bere. Bisognava sempre procedere a testa bassa nella tormenta poiché la neve scendeva copiosa e trasversale ghiacciando negli occhi e nella barba. Occorreva staccare i ghiaccioli dalla barba e dai baffi. I militari italiani pativano il freddo poiché non erano equipaggiati. I russi avevano giacche e pantaloni imbottiti, stivali di cuoio isolati con il sughero e gambali anti acqua. I loro copricapo lasciavano liberi solo gli occhi e proteggevano anche il collo.

 

Patimmo il grande freddo e la fame. Veniva distribuita una volta al giorno un po’ di pasta mezza cruda e scondita.

 

Anche per noi che pure eravamo distanti dal fiume Don, e in fondo alla “sacca”, fu terribile quando dovemmo ritirarci per uscire dal “ferro di cavallo) che i Russi avevano organizzato. Crearono un ferro di cavallo di uomini e mezzi  che si chiuse sempre più fino a imprigionare e ad annientare le Divisioni italiane tedesche ungheresi e rumene. Queste furono annientate!

 

 Era il 2 febbraio 1943 e i cucinieri avevano preparato un fuoco per cuocere un po’ di pasta. Stavamo tutti attendendo lo scarso rancio quando arrivò un Maggiore di Milano che ordinò di avviarci poiché vi erano i russi a venti kilometri che stavano serrando con una manovra che ci avrebbe chiusi. Si partì in grande fretta lasciando la marmitta da campo sul fuoco. Fortunatamente intraprendemmo la direzione giusta e procedendo attraverso l’Ucraina, qualche giorno prima del 19 Marzo San Giuseppe raggiungemmo  la Polonia . Rimanemmo in questi campi di raccolta fino al 27 Marzo.

 

LA PAROLA GUERRA BISOGNA “APPROFONDIRLA”

 





Si fa presto a dire la parola Guerra, è come dire “Pane”, ma occorre approfondirla, spiegarla meglio. Io ci vissi dentro, per ventitre mesi fu sempre”guerra”. I russi nelle notti, ci lanciavano degli involucri spinosi che illuminavano come fosse giorno e potevi vedere anche le lucertole. Dopo queste lampade arrivavano i caccia a bombardare. Una notte durante un bombardamento ci nascondemmo in uno scantinato







(in crotinon).Rimanemmo stipati(tuti riss)accucciati per tutta la notte. Sentimmo cadere le bombe tutt’attorno ma sopra di noi non cadde nulla. Al mattino uscimmo e ci trovammo di fronte un paesaggio apocalittico: pali della luce che bruciavano, muri  e case crollate con dei fuochi. In quello scenario apparve un tedesco che mi chiamò:< Kamarade! > Io gli chiesi cosa volesse e mi fece segno di andare da lui . Quando fummo di fronte, in perfetto italiano mi disse:<Bisognerebbe prendere Mussolini e Hitler farne un fascio e dopo averci versato sopra della benzina appiccare il fuoco!> Capii che era dell’Alto Adige e aveva la mia stessa idea.

 

PARTENZA DALLA POLONIA

 

Il 19 Marzo San Giuseppe, un Maggiore ci avvisò che si partiva per l’Italia. Vi fu una grande esultanza e vedemmo arrivare alla stazione di quel borgo sette tradotte con una macchina a vapore. Ci volle un giorno a radunarci tutti e giunse l’ordine di salire. Noi quattro compagni della 113°compagnia attendemmo a salire. Eravamo io Pace, Rabino e Lano, vedemmo che erano quasi saliti tutti e stavano abbastanza stretti in sei carrozze. Quella immediatamente dietro alla Macchina era vuota, e decidemmo di salire su quella. Felici di stare comodi su quel vagone vuoto io pensai di migliorare il giaciglio prendendo da un “Pagliaio” là vicino una bracciata d’erba, e anche se una donna mi urlò che stavo rubando feci finta di nulla e saltai sul vagone per preparami a partire. Giunse il Maggiore che controllava fosse tutto pronto e ci urlò di scendere poiché quello era il vagone che in caso di pericolo sarebbe stato sganciato con la Macchina! A malincuore cercammo un posto nei vagoni già stracolmi suscitando le ire degli altri soldati che si erano già sistemati.

 

La locomotiva si mosse quando verso le 19.00 fece notte. Verso l’una di notte sentimmo degli scrolloni dei respingenti e il convoglio di fermò. Era ormai buio profondo e così stipati non riuscivamo a comprendere cosa fosse successo. Fece giorno e si sentì una raffica di mitraglia provenire da una boscaglia vicina. Ci fu ordinato di scendere con i fucili alla mano. Ci dicemmo che non era ancora ora di viaggiare per l’Italia, ma intanto vedemmo che il vagone sul quale volevamo salire era ridotto ad una “fisarmonica”. Ringraziammo il Maggiore e la Madonna che ci avevano salvati e attendemmo nuovi ordini. Un Bersagliere in bicicletta si recò ad avvisare alla stazione successiva e venne una locomotiva procedendo all’indietro che agganciò il convogli e ci permise di arrivare al Brennero. Qui ci diedero divise nuove e dopo qualche giorno ripartimmo.

 

Il convoglio scaricò a Milano, a Bologna e anche in stazioni più piccole, finchè arrivammo a Torino, della nostra zona eravamo ancora sette: Basso, Caprioglio, Dalmazzo,Campana, Negro Pace ed io. Ci salutammo e ci augurammo buona fortuna. Attesi il treno per Asti e verso le sedici partii, a castagnole cambiai treno e arrivai a Santo Stefano dove presi la Corriera per Cossano. L’autista, che mi riconobbe, mi abbracciò piangendo e mi condusse fino a duecento metri dalla fermata di Entracine dove gli chiesi di fermare poiché all’Osteria  vi era troppa gente e preferivo salire a casa. Imboccai il sentiero e andai verso casa. Arrivai in vista di casa e mi inginocchiai piangendo. Avevo sempre detto che se fossi riuscito ad arrivare in Casalesio(la nostra cascina) avrei baciato la terra. Vi erano due entrate per il cortile di casa, scelsi quella che dava sul forno dove mio padre controllava il pane che stava cuocendo. Papà non mi vide e mia sorella che era intenta ad accudire le bestie, sentì che parlavo con mio fratello nella cantina. Avvisò mio padre che corse ad abbracciarmi piangendo e non mi lasciava più. Era fuori di sé e dimenticò persino il pane nel forno che rischiò di bruciare. Accorsero anche mia madre la zia e lo zio, fu un emozione grande che ci vide tutti abbracciati e piangenti. Il manovale che viveva con la nostra famiglia era del 1897 ed era Reduce della Guerra del 15/18 anche lui mi abbracciò e mi disse: <so cosa hai visto, la tua esperienza è stata terribile quanto la mia!>

 

 ANDAI CON I PARTIGIANI

 

CHIARLE FEDERICO MARIO COSSANO BELBO 07/10/1920

 

CONTADINO

 

SOLDATO ART. 2° Rgt. 113° Compagnia Borgo San Dalmazzo

 

Nome di Battaglia TIGRE

 

PATRIOTA 1°Div. LANGHE 2° Brg Bisalta dal 25 Marzo 1944 al 7 Giugno 1945

 

Una volta a casa mi aggregai ai Partigiani con la Squadra di “Moscon”, l’altra era quella di “Moretto”. Eravamo tra Roccaverano e San Giorgio Scarampi. Una notte sentimmo sparare a Canelli e scendemmo pronti ad intervenire, ma fu un attacco breve e così tornammo in alto. Rimasi con i partigiani da Settembre 1943 fino a maggio 45 quando tutto finì. Mi ricordo di John l’autista di Santo Stefano e di Moscon che era uno “ardì” e sempre pronto ad effettuare azioni con la dinamite. Mi pare che fu quello che fece saltare il ponte di Borgomale.

 

             

 

Chiarle Federico Mario 1920 Cossano Belbo Borgomale Reduce di Russia

                                               

Nel 1941 eravamo arrivati da poco in Ucraina, avevo 21 anni e tutto mi incuriosiva. Mi guardavo attorno e avrei voluto ricordarmi di tutto. A 21 anni avevo solo tanta voglia di vivere e di ritornare a casa per raccontare. Mi venne l’occasione di acquistare una macchina fotografica,  un mio compagno militare mi chiedeva 11 Lire e di Decade ricevevo 3Lire e Mezza. Avevo piacere di avere quella macchina e mi confidai con Massa Condo mio coscritto e vicino di casa di Cossano. Ci trovammo nella stessa Compagnia destinati in Russia. Gli dissi: <entra socio nell’acquisto, poi appena prendo la decade te li restituisco.> Condo era un amico e fu d’accordo, comprai quella Agfa e feci tante foto, riuscendo a portare a casa sia la macchina che i rullini e fui felice. La conservo ancora oggi e voglio mostrartela. Insieme alle foto che mi aiutano a ricordare fatti di settant’anni fa.

 

Un giorno, io Condo e Pace trovammo due maiali che giravano tra le macerie della casa. Ci guardammo in faccia e senza parlare fummo d’accordo sul da farsi. Avevamo una fame terribile e nonostante quei maiali fossero abbastanza magri, cercammo di farli entrare in un cortiletto con l’obiettivo di macellarli. Uno ci scappò, ma l’altro lo catturammo e lo macellammo per mangiarlo. Qualcuno dei commilitoni ci vide e corse a far la spia al capitano. Questi il giorno dopo ci convocò tutti e tre e ci fece una bella paura poiché ci disse che potevamo essere deferiti alla Corte Marziale. Fortunatamente un Sotto Tenente ci prese le parti dicendo al Capitano che lo avevamo fatto per fame e non per rubare, questo si convinse e ci inflisse una piccola punizione con una sgridata.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


mercoledì 1 gennaio 2025

PINO ALBARELLO GIOVANNA 1934

 



Mamma Teresina                      Giovanna

Pino Giovanna nata a Bra Il 23 Febbraio 1934

<NON SEPPI MAI DEI MIEI GENITORI>

Trasferita a Cuneo dopo soli sette giorni di vita, venni Adottata dai coniugi Bonardo che abitavano alla Cascina “Porrera ”un “quarté” ( gruppo di case In Belbo nel Comune di Bossolasco.

 

 


 Arguello TERESINA alla “Sota“ fossa di raccolta acqua  e lavatoio( Maria del Brich ricorda che vi erano alcuni scalini per scendere quando l’acqua diminuiva)    

   

Celestina (Teresina) Marenda 1911 1991 (figlia di Filippo  ed Eleonora (dei Giamesi di Arguello) rimase orfana di sua Mamma. Il padre sposò in seconde nozze "Cina" Francone e generarono Maggiorino, Margherita, Concessina e Gepinin.                   

 


                     

           CINA FRANCONE E FILIPPO MARENDA


     TERESINA, CONCESSINA, FELICINA, FILIPPO, GEPININ, MAGGIORINO

 

Rosario Pino (Pinotu) 1902, mio papà fu preso

dall' Ospedale e cresciuto da Secco Angelo (Mabil) e Pina Brocchiero di San Micé di Arguello.


                        



FIGLI DI MABIL E PINA:MODESTO (REDUCE DI RUSSIA) LUIGI


 

                                                           


Pinotu assolse il Servizio militare nel 1924 e tornò a San Micé di Arguello.

                    

           Chiese a Teresina di sposarlo, lei, acconsentì.


Teresina e Pinotu, aiutati dai genitori si unirono in matrimonio e acquistarono una bella cascinotta in Località Canal in Belbo di Bossolasco. Teresina e Pinotu erano vicini dei Bonardo che avevano già dei figli loro ed avevano adottato due maschietti e anche me. Teresina e Pinotu si affezionarono a me e alle veglie o passando davanti alla cascina per recarsi a Bossolasco, non perdevano occasione per chiedere di potermi  avere. La loro insistenza fu premiata quando Maria dopo parecchi maschi (sei) partorí una femminuccia. Io, di cinque anni, mi trasferii a vivere a rà Canà dove non vi erano ancora bimbi. Fui felice di essere coccolata dai due nuovi genitori ma andavo anche a fare visita ai fratelli e sorelle e mamma e papá Bonardo. Si trasferirono come mezzadri prima a Benevello e poi a Roddi d’Alba.Io riconoscente andai sempre ad aiutarli.

MAMMA TERESINA MI RACCONTÒ

<Avevo 26 anni e andando ad Arguello passavo a “rà Porera” dove abitavano Maria e Noto Bonard. Ti vedevo che appena camminavi ed eri così carina! Sempre dicevo a Maria < damra a mi sa mazna, mi è n’eu gnun e ti ‘t nèi zà tanti>(dalla a me sta bimba che io non ne ho e tu ne hai già tanti) Ne aveva già 4 suoi e tre d’r’ospidal! Tu scappavi via, ma col tempo riuscii a farmi amica. Quando Maria partorì una bimba io e Pinotu ti portammo ar Canàl ! Angelo tuo fratello “arrivò” solo nel 1949



                            A SCUOLA E AD ARGUELLO

Crescevo e iniziai le scuole. Frequentavo la scuola in località "Tevola" di Niella Belbo, abbastanza distante. Il primo anno papà Pinotu mi caricava " in scapaciola" (sulle spalle) e mi portava allegramente. Con papà e mamma  andavamo anche sovente ad Arguello.  Pinotu portava in spalla la bicicletta e Teresina  portava me. Andavamo fino al Pilion sulla provinciale passando nei sentieri delle rive, poi salivamo sulla corriera fino ai Tre Cunei, mi mettevano in un “cavagn” Cesta sul manubrio e  in tre in bici si andava a San Micé o Giamesi per aiutare nella mietitura o trebbiatura o vendemmia ma anche per fare festa.

 Fu così che conobbi i tanti bambini di Arguello. Andavo al pascolo, sfojava rà mèjra( sfogliavo la meliga), vendemmiavamo, pigiavo con i piedi e mi divertivo tanto. Ma nel1939 arrivò la guerra.

ARRIVÒ LA GUERRA

 Successe che anche Papà Pinotu, fu richiamato alle armi e dovette partire per il fronte Greco Albanese. Io lo abbracciavo e gli dicevo che non volevo andasse via. Il papà mi consolava affidandomi a  Giovanni Saglietti di 15 anni che lo avrebbe sostituito nella collaborazione con la mamma Teresina. Piansi tanto, ma papà dovette partire.

La lontananza, fortunatamente, non durò molto e tornò.

DAL 1943 AL 1945

Vivemmo il periodo dal 1943 al 1945 subendo le angherie dei nazi fascisti e aiutando i Partigiani pur tra molte paure.

Vennero in Belbo e bruciarono tante case: LOMONT, Dal “SOT” e parecchie altre case e ciabòt.


  

Vi erano i PartIgiani che stazionavano nelle cascine o si fermavano anche solo per mangiare. Passava il Comandante e ordinava anche a mia mamma di preparare agnolotti e polli e bisognava obbedire perché avevano le armi! Una volta mamma si azzardò a dire che temeva per me piccola, ma lui le disse che bastava dire ai bambini: < toca nèn r’arme chi fan mirì>( non toccare le armi perché fanno morire!). E così si presero tanti polli galline, conigli e salami. Papà e mamma una notte, andarono dove avevano “fat passè “ (scassato) per impiantare la vigna e  realizzarono una grande buca, ci calarono una botte a cui avevano tolto il coperchio e ci misero dentro il corredo della mamma un po’ di vestiario e dei salami e cibarie, poi con le pietre che avevano estratto coprirono il tutto in modo da salvare qualcosa. Vennero infatti dei tedeschi e a colpi di rauss, rauss entrarono in casa e presero soltanto poche cose che non erano neppure d’oro! Buttarono in aria e presero alcune dozzine di uova che mamma aveva messo da parte per portarle a vendere, ma non aveva avuto il coraggio di avviarsi. Cercarono di fare uscire il maiale, ma era troppo grande, ormai pronto per essere macellato e non ci riuscirono. Tentarono di prendere il vitello, ma questi si imbizzarrì e scappò via .Fu la volta che portarono via il papà e lo tennero un giorno a Murazzano, poi lo lasciarono tornare.

 

Agosto 1944

La paura era sempre tanta perchè arrivavano notizie che vi erano le spie che avvisavano i nazifascisti del passaggio dei partigiani. Alla sera del 3 agosto, una ragazza passò davanti a casa nostra con delle pecore e si infilò nel bosco. Mamma le disse che non era prudente girare di notte, ma quella non le diede retta e sparì. Al mattino presto mamma arrivò spaventata e riferì al papà di aver visto ventitre tedeschi diretti ao Sop dai Sottimano. Papà disse che sarebbe andato a vedere con me per mano così non avrebbe dato nell’ occhio. Mamma mi attirò a sé e gli disse: <s’èt veuri andé va da sol!>. ( SE VUOI ANDARE VAI DA SOLO) Lui andò e tornò “sfisonomià!” inorridito, aveva visto la scena dell’uccisione di Filippo e di sua moglie incinta di sette mesi e di Carlo Vignale.


 I due fratelli Sottimano, che abitavano a pian Ceresa, avevano portato via una coppia di buoi , quando furono al sicuro con i buoi, Paolo disse al fratello di andare a prendere anche l’altra coppia di buoi e questi fece così, ma trovò i nazfascisti che lo presero e credendolo partigiano volevano portarlo via. La moglie li seguì fino in Belbo urlando e uno dei militi le sparò in bocca per zittirla e uccisero anche lui. Scesero dal piccolo Ciabot “sota ao Sop” dove abitava Carlo Vignale con la moglie incinta di Elio e una bimba piccola.  Dicendo che  avevano dato rifugio ai partigiani diedero fuoco alla piccola abitazione composta di una stalla sotto e una camera sopra e portarono via Carlo. Questi li supplicava di lasciarlo andare e questi quando furono in Belbo gli fecero segno di andare, ma quando si mise a correre per tornare gli fecero una raffica. La moglie venne da mia mamma e non sapeva ancora della morte del marito. Disse che non aveva più una casa né abiti da vestire la bambina. Teresina la consolò e le diede di che vestire lei e la bimba e la ospitò per qualche giorno.

Dopo quei giorni papà e mamma presero buoi, vitello un materasso per me e andammo a nasconderci per alcune notti in un pratone sotto una rocca impervia.

                                    


                   Amico Nicola,Teresina, Pinotu

Andammo poi anche per qualche settimana da una famiglia di amici che abitavano in alto quasi alla Niella.

Si tornò ma c’era sempre tanta paura, perché a Novembre si seppe che avevano incendiato San Benedetto Belbo e arrivavano notizie di uccisioni. Una volta passò una colonna di tedeschi e io che non avevo paura ero sulla strada a guardare. Un militare mi prese per mano e parlando in tedesco mi accompagnò a casa e fece capire a mia mamma che bisognava controllare i bambini, lei non capì ma gli diede delle uova e lo ringraziò.

Poi un giorno ad Aprile, quegli amici di Niella si misero a urlare che la guerra era finita e che i nazifascisti se ne erano andati. Ci invitarono ad andare su e si fece festa.

I MIEI LAVORI CON PAPÀ

Quando ebbi una quindicina d’anni , oltre andare al pascolo ed aiutare la mamma nell’allevamento delle galline e nel preparare le “tome”, andavo anche ad aiutare papà. Si andava ad arare , ed io andavo davanti al bue mentre lui teneva l’aratro, oppure spargeva il letame dal rabèl. A volte si andava a tagliare alberi nel bosco con il “troplao” anche se la mamma brontolava che non erano lavori per me.


 


Quando ebbi 33 anni decisi di andare a lavorare alla “Ferrero”, poi alla fabbrica qui a Bossolasco e lavorai fino a 57 anni.

MIO MARITO EUGENIO ALBARELLO

Quando ebbi 20 anni, ebbi parecchie richieste di matrimonio, ma, uno proveniva da una famiglia di “gigarela” che papà Pinotu aveva conosciuto e sapeva che i vecchi si erano persa la cascina......

SI DICEVA FOSSERO MASCHE

Mia mamma raccontava di una vecchia di nome “Mariana” dicevano che era una Masca.

Una volta era con suo papà Filippo a “lavoré” arare e si presentò un gatto davanti ai buoi, il padre le disse< oh a rè Mariana! Daje in caoss.( oh è Mariana, dagli un calcio) lei diede un calcio al gatto e apparve la vecchia.

“Jero sé folairà chi favo na vota”erano sciocchezze che raccontavano una volta! Ricordo che dissi a mamma se fosse successo davvero, e lei mi rispose che l’aveva visto con i suoi occhi! Mah!

Un’ altra che dicevano fosse una Masca era “Angela” d’an Berb del Ciabot SOTA AO SOP. Io dissi che era una calunnia, ma la mamma disse che quando morì e le bruciarono “i libr” si sentivano “ tanti ed si squizz!” dalle fiamme provenivano terribili urla! Mamma Teresina quando a sta Angela morì un figlio doveva andare a farle le condoglianze, ma per le dicerie non sapeva come fare. Si confidò con Maria d’rà “Porera” e questa le disse:< Ti và , ma fa tènssion ‘d nen tocherà, per nen ch’at mascherezza!”> Tu vai ma fa attenzione a non toccarla affinchè non ti passi il “malocchio!”< se ti porge la mano, dalle la scopa, e non portare il bambino!> Lei così fece e non successe nulla!