sabato 21 dicembre 2024

TARABRA PASQUERO CLEMENTINA 1921 PRIOCCA

 

https://youtu.be/QDsWJZskmLI                

La nonna di Clementina Tarabra Pasquero, che è nata nel 1921 a Priocca e tuttora vi risiede, era Clementina Francone nata alla Masseria di Arguello(sotto nella foto). Uno zio fu Parroco ad Arguello per 20 anni(1887 1907).


Don Antonio fece conoscere a Clementina il fratello Giuseppe e con un tal Bacialè e il consenso delle famiglie i due convolarono a giuste nozze. Generarono un maschio, il padre di Clementina e quattro femmine.


Francone Mentin - Marenda Rosa- ( fratello Marenda Filippo padre di Teresina- Maggiorino-Gepinin - Rita - Concessina)  

Famiglia Francone Filippo e Marenda Secondina Genitori di Lorenzo Costantino (1875) consorte di Marenda Rosa genitori di Luigi Francone detto Mentin (il soprannome è motivato dal nome della zia Clementina, la prima nella foto con il parasole,.

                DON ANTONIO TARABRA PRIOCCA FEBBRAIO 1851/1907

                

 

     

Famiglia Tarabra Giuseppe e Francone Clementina con il padre di Clementina


Ricostruito il parentado di Clementina racconterò del viaggio che Clementina effettuava con la nonna per recarsi ad Arguello.

Come già menzionato, Don Antonio, fratello Prete e bacialé lasciò un buon ricordo sia a Priocca, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita terrena per poi essere sepolto. 

Con l’aiuto del fratello si fece costruire una camera che fu denominata, e ancora oggi esiste, “ra stanssia der barba Preve”.

Clementina raccontò:

<Nel 1930 venire da Priocca ad Arguello era già una discreta impresa. Racconta Clementina: < avevo nove anni e si partiva di buonora con il calesse. La nonna era “ardìa” (in gamba) e faceva trottare il cavallo come un abile vetturino. Io mi divertivo come una matta e mi piaceva sentire la brezza mattutina. Quando si arrivava al traghetto per attraversare il Tanaro facevo mille domande alla nonna. Ricordo che la prima volta che conobbi il traghettatore la nonna mi disse,- digli un po’ i nostri nomi- ed io – Clementina e Clementina. Lui mi guardò, sorrise e – mi prendete in giro? Mi son Mentin. Si scoppiò tutti in una bella risata mentre lui mi offriva una “mentina” e mi diceva – prendi una mentina Mentina!

Dopo aver conosciuto il traghettatore e giunte sull’altra sponda si procedeva scherzando con la nonna e mi facevo anticipare chi e cosa avrei trovato ad Arguello. La nonna era burlona e mi diceva che dovevo stare attenta al cuculo oppure mi spiegava come prendere la volpe e me la faceva andare per dei chilometri chiedendomi se sapevo come fare. Ripetendole che non lo sapevo, lei chiudeva il discorso con un altro rebus: ad Arguello chiedilo al Cit. Ed io – chi è il Cit? 

Lei- devi scoprirlo e fartelo amico altrimenti povera te!

Arrivavo ad Arguello molto incuriosita e soprattutto eccitata dai racconti della nonna.    

 

 

 

lunedì 16 dicembre 2024

RIVETTI DARIO NEIVE 1921

 


  DARIO                             DANTE
                                                  


Dario e Dante Rivetti Alpini con “LA FORTUNA NELLO ZAINO”

 

Dario Rivetti, classe 1921 esordisce dicendomi: < non so se sia bello dirlo ma, ho maturato questa idea, io e mio fratello PARTIMMO per la Russia  CON LA FORTUNA NELLO ZAINO>  Incuriosito lo invito a chiarirmi meglio, e lui < adèss è trà spiègh!>(ora ti spiego)

Quando fui arruolato da recluta ebbi come incarico “Radiotelegrafista” ma qualche giorno prima della partenza per la Russia mi feci cambiare l’incarico in “Conducente muli”. Il vecchio Capitano al colloquio precedente la partenza leggendo nei documenti del cambio di incarico mi disse: “bravo Rivetti, ricordati che il mulo ha la coda molto lunga!” E devo dire che i muli ci salvarono la vita. Parlo al plurale poiché partimmo io e mio fratello Dante del 1920. Sempre nei giorni prima di partire dovetti scambiare parole dure con un sergente maggiore. Venne a salutarci mio padre a Cuneo, lo vidi davanti alla Caserma e d’istinto uscìi a salutarlo. Fui fermato da quel Sergente che mi intimò di rientrare e mi mandò a rapporto dal Capitano. Questi ,più comprensivo, consentì a noi due fratelli di andare in libera uscita col papà. La cosa non fu gradita da quel graduato che tuttavia, pensando fossimo raccomandati, ci trattava con timore e non ci comandava più.

https://youtu.be/jk2O_00Zwvg       

LA CODA DEL MULO E' MOLTO LUNGA

Si viaggiò per quindici giorni con la tradotta e poi per quindici giorni a piedi con lo zaino in spalla e arrivammo in Russia attraverso il confine con la Polonia. Fu durante quelle lunghe marce che compresi che la fortuna era con noi: Ricordando le parole del Capitano sovente ci facevamo trascinare dal mulo attaccandoci alla sua coda e mentre gli altri venivano sgridati malamente, a noi , quel sergente prepotente non diceva nulla e sembrava avere timore. I muli furono un altro motivo di fortuna. Io avevo un mulo valido ma dava l’impressione di essere scarso, invece Dante aveva una mula inaffidabile. Per questo quando arrivò l’ordine di inviare i muli migliori avanti verso il fronte, noi seguimmo i nostri nelle retrovie situate  sette otto chilometri più indietro. Fin verso Natale tutto procedette tranquillo poi arrivò l’ordine di sorteggiare gli alpini più giovani da inviare in prima linea. Anche in questa occasione la fortuna ci baciò e rimanemmo nelle retrovie finchè giunse l’ordine della ritirata,  il 6 Gennaio del ’43.

DUE MESI DI RITIRATA

Con un gelo terribile e un freddo enorme iniziò la ritirata. Io avevo il mulo e una slitta sulla quale caricai tutto ciò che trovai: Vestiario e coperte. Si viaggiava incolonnati ma distanziati di una cinquantina di metri. Il freddo era intensissimo (-30° e forse più) non si poteva salire sulla slitta per più di qualche minuto perché si gelava se non ti muovevi. Si procedeva di notte e una sera mi incontrai con mio fratello, parlammo un po’  e quindi tornammo ai nostri muli. Al mattino si raggiunse un paese e cercando mio fratello trovai soltanto i suoi muli. Chiedendo notizie, riuscii a sapere che il freddo gli aveva fatto perdere il senso e si era perso dalla colonna. Vagò da solo ma raggiunse una postazione della fanteria che gli prestò le prime cure. Nel levargli gli scarponi scoprirono che aveva i piedi congelati. Dopo alcuni giorni un caporal maggiore mi cercò per avvisarmi che mio fratello era stato ricoverato dalla Fanteria accampata all’inizio di quel paese forse Opit. Lo caricai sulla slitta e lo trasportai finchè incrociammo un camion italiano che caricò i congelati. In quel frangente arrivò l’avviso di riprendere la ritirata poiché c’era il rischio di essere presi prigionieri dei russi. Fu così che mio fratello raggiunse la frontiera polacca da dove in treno fu condotto a Igea Marina e ricevette le cure idonee. Io continuai la marcia fino al 13 Marzo, procedemmo per più di due mesi. All’inizio ci muovevamo giorno e notte poi di notte prendemmo a fermarci. Eravamo in condizioni terribili, per ripararci dal gelo avevamo tolto gli scarponi che favorivano il congelamento dei piedi, poiché nelle fessure dei chiodi si infiltrava l’acqua che ghiacciava. Con delle strisce di coperta realizzammo delle pezze da piedi che almeno ci proteggevano. I partigiani russi ci attaccarono alcune volte ma riuscimmo a difenderci, anche perché con le pattuglie si cercava di prevenire i loro attacchi.



“I Russi era una grande brava gente!”


Durante questa marcia lunghissima “a rabèl jera gnènte”(sparso non c’era nulla), lungo questa strada ogni tanto si trovava qualche casa, non dei borghi ma “di pais pèr long.”La gente Russa ci ospitava e ci dava quel poco che aveva e che conservava nelle buche scavate sotto le Isbe affinchè non gelasse.

Finalmente notizie di casa

 Dopo un mese di convalescenza a Vipiteno ebbi 15 giorni di licenza, e fu a Torino alla stazione di Porta nuova che Davidin Vacca, incontrato casualmente, mi riferì che mio fratello, insieme ad altri della ritirata di Russia era già a casa. 

 

Dopo la licenza si rientra in Caserma

Ritornato alle Casermette a San Rocco Castagnaretta, ci rimasi un po’ e poi tutti gli alpini furono trasferiti al Brennero. Fummo sistemati chi al di qua chi aldilà dell’Adige. Non ci fu neppure il tempo di ambientarci che una sera suonò la ritirata dalla libera uscita prima del tempo. Il comandante della Compagnia, tal Meinero di Cuneo “un  ardì” (in gamba) ci radunò e disse” E stato firmato l’Armistizio, ma non è l’ora di ubriacarsi e festeggiare bensì l’ora di scegliere le decisioni opportune!”.

Vedendo arrivare dei carri armati tedeschi capimmo che era meglio andarcene per evitare di essere inviati in Germania. Superammo gli alti muri della Caserma già illuminata dai grandi fari dei nazisti e ci demmo alla fuga. In tredici procedemmo per una notte ma al mattino ci videro e ci spararono due granate che per “fortuna” esplosero vicino ma senza creare danni. Procedemmo evitando sentieri e mulattiere per evitare di essere arrestati e scalando dei valichi arrivammo in Val di Fiemme. Stanchi e affamati ci rivolgemmo alla gente di un paesino e nonostante fossero già passati altri sbandati ci aiutarono.

Incontrai una ragazza ma…

In una baita di quel paese incontrai una ragazza che non solo ci aiutò ma voleva che mi fermassi, e si adoperò con suo padre affinchè potessi nascondermi con un altro  compagno toscano in una baita di loro proprietà in un alpeggio. Ci lasciammo convincere a rimanere e restammo otto giorni. Si mangiava solo polenta e latte però almeno fummo al sicuro. Poi sapendo che la via per Trento era libera, riprese il desiderio di tornare a casa e nonostante quella ragazza mi avesse dato una lettera e una fotografia ringraziai e me ne tornai a Neive.

lunedì 2 dicembre 2024

CASTAGNO FERDINANDO NEIVE 15 5 1922














 CASTAGNO FERDINANDO NEIVE 1922 

di Margherita Masoero 1899 1983   e di Stefano "Stevu" 1893 1966

ebbe una sorella che morí giovane di Tbc.

Fu arruolato nel 4° RGT di Cavalleria "Nizza" nel 1943 era sul fronte Greco Albanese ed il 9 Settembre come ha ricordato Cardino Ferdinando del 1921, fu deportato in campo di concentramento a Buchenwald, Bergen Belsen, e infine allo stabilimento di Tanne , nome in codice Tanne , che fu un'ex fabbrica di esplosivi nella periferia orientale di Clausthal-Zellerfeld.,  Dalle testimonianze di Cardino Fernando, Galliano Luigi, Bosio , Destefanis Ernesto, Rapalino Gigi, Agosto Giacinto ,Francone Oreste, Francone Luigi,Salvetti Renato ecc., possiamo riportare come fu la vita nel campo di lavoro anche per Castagno Ferdinando. In molti hanno raccontato anche dei bombardamenti degli alleati.

Il 7 ottobre 1944 alle 12:30, 129 bombardieri pesanti B -24 “Liberator” dell’aeronautica americana che trasportavano 384 tonnellate di bombe attaccarono la fabbrica di esplosivi. Il bombardamento durò solo dieci minuti, con 493 delle 1.743 bombe sganciate che colpirono l'area della fabbrica e i circostanti campi di lavoro forzato . Anche la ferrovia e diversi edifici di Clausthal-Zellerfeld hanno subito gravi danni e l'edificio della reception è stato quasi completamente distrutto. 92 persone morirono, la maggior parte delle vittime erano lavoratori forzati. Anche il numero delle perdite nella fabbrica fu relativamente basso perché il 7 ottobre 1944 era un sabato e nella fabbrica non c'era lavoro a causa della mancanza di materie prime.

 

Dal Ricordino conservato dalla TESTIMONE della Memoria Estelia Bacino rileviamo, da quanto riportato dallo storico Tipografo neivese, Abaldo che Nando si comportò eroicamente anche sotto un bombardamento. Sia pur ferito, caricò sulle spalle il più grave suo superiore e raggiunse    l'  Ospedale per fargli prestare le cure di cui necessitava. La propria ferita, a causa del grande sforzo effettuato nel trasportare l'amico, gli procurò il dissanguamento che lo condusse alla morte. Fu sepolto nel Cimitero di Clausthal Zellerfeld e tuttora le sue spoglie riposano lì. Papá Stefano e mamma Margherita raggiunsero i loro due figli   dopo una lunga vita di lavoro e senza neppure,a quanto ci risulta, la consolazione di una decorazione di  riconoscimento per il loro figliolo che sacrificò la vita in guerra. Lo Onoriamo con un RICORDO FORTE e gli dedicheremo una PIETRA DELLA MEMORIA affinché non si Dimentichi! RIPOSA IN PACE FERDINANDO CON TUA MAMMA PAPA' E SORELLA.

 

 

STORIA DEL 1° RGT "CAVALLERIA NIZZA"

.................Nel corso del secondo conflitto mondiale il reggimento ha operato sul fronte occidentale, in Jugoslavia e Francia, alcune sue aliquote in Tunisia. Nel 1942 il reggimento con i due gruppi squadroni montati a cavallo, facente parte della 2ª Divisione celere "Emanuele Filiberto Testa di Ferro", venne inviato quale truppa di occupazione in Francia. Il III Gruppo corazzato venne invece inviato in Nordafrica inquadrato nella divisione corazzata "Ariete". Nei mesi successivi alla sconfitta di El Alamein, il III Gruppo corazzato "Nizza" svolse anch'esso insieme alle unità motorizzate superstiti e a quelle nel frattempo affluite dall’Italia, compiti di protezione del ripiegamento delle fanterie verso la Tunisia, dove ha combattuto il 3 febbraio 1943 a Bir Soltane ed a Ksane Rhilane e nuovamente a Bir Soltane tra il 10 e il 20 marzo affrontando da solo l'attacco di una colonna neozelandese sino a quando, investito da ingenti forze corazzate, fu costretto a ripiegare.
Il Reggimento sorpreso dall'armistizio, mentre era in trasferimento sempre a cavallo dalla Francia verso l'Italia, fatto rientrare nella caserma di Torino su ordine del Comando di Piazza, viene catturato dai tedeschi.  Il IV Gruppo squadroni corazzato "Nizza", basato su due Squadroni misti, uno armato con carri leggeri L6/40 l'altro con autoblinde AB41 operò invece in Albania. Alla fine del 1943 viene costituito a Cava dei Tirreni lo Squadrone esplorante "Nizza Cavalleria" che prese parte, nel giugno del 1944, con il IX reparto d'assalto, alla liberazione dell'abitato di Cingoli, partecipando poi alla campagna per la liberazione dell'Italia, inquadrato nell'8ª Armata alleata, con il II Corpo polacco del generale Anders.

Il CAPORALE CASTAGNO FERDINANDO fu preso prigioniero in Albania e quindi non ebbe modo di partecipare ai fatti sotto descritti, ma pare utile ricordarli per onorare i suoi Commilitoni e tutto il reggimento.

Gli eroi ignorati dell'ultima carica di cavalleria TORINO, 11 settembre 1943. I tedeschi hanno da poco occupato la città e stanno deportando i soldati italiani sbandati dopo l'armistizio del giorno 8. Sono quasi le tre del pomeriggio quando fra corso Stupinigi (oggi corso Turati) e via Sacchi, all'altezza del cavalcavia di corso Sommelier, compare una colonna di dragoni del Nizza Cavalleria. Sono a cavallo, disarmati e scortati dai militari di Hitler a bordo di camionette. Li stanno conducendo a Porta Nuova, da dove partiranno sui treni peri campi di concentramento in Germania. UN GRUPPO di donne torinesi, che sa che cosa sta succedendo, si è radunato intanto in corso Sommelier. Madri, mogli, sorelle, cittadine comuni, assistono al passaggio dei soldati. A un tratto cominciano a gridare loro di scappare. Allo scopo hanno lasciato aperti i portoni delle case vicine. Approfittando dell'arrivo del trenino di Orbassano, le donne buttano dei sassi per fare imbizzarrire gli animali e creare il caos propizio per la fuga. A quel punto, allora, i dragoni decidono di muoversi. Parte la carica. Con i loro cavalli si gettano all'impazzata in mezzo ai tedeschi, che rispondono sparando. I nostri cercano rifugio negli edifici attigui; la gente del quartiere li mette in salvo. Negli occhi dei torinesi e degli invasori si fissa quell'immagine: l'ultima carica del Nizza Cavalleria, l'ultima nella storia della cavalleria italiana. Una nazione che si rispetti e che, soprattutto, abbia rispetto per la memoria e per la verità storica, avrebbe da tempo immortalato la carica disperata dei cavalleggeri del regio esercito. Invece questa pagina nobile ed eroica è stata completamente dimenticata, tanto che non appare nei libri di storia e neppure negli archivi reggimentali. Gli storici e le autorità militari hanno preferito collocare l'ultima carica della nostra cavalleria durante la guerra di Russia, nell'agosto del 1942, o, tutt'al più, nella campagna di Jugoslavia, nell'ottobre di quel '42. Non è così. L'episodio torinese, quanto fece il Nizza Cavalleria nel settembre del '43, sono emersi per la prima volta diversi anni fa. Fu lo scrittore Oreste Del Buono, che teneva su "La Stampa" una bella rubrica di corrispondenza con i lettori, a portarli alla luce in seguito alle lettere inviategli da alcuni protagonisti dei fatti. Poi il silenzio li inghiottì nuovamente. Adesso, in occasione del settantesimo anniversario dell'8 settembre '43 e dell'inizio della Resistenza, viene ricordata meritoriamente dallo scrittore e giornalista Claudio Canal, che la racconta sulla sua pagina di Facebook. Si farà di più: mercoledì prossimo, per l'appunto l'11 di settembre, l'estrema carica del Nizza Cavalleria sarà celebrata alle 18.30 sotto i portici di via Sacchi, all'angolo con via Governolo, con una cerimonia «semplice ed autogestita». Come autogestito e semplice, nel senso dell'umano afflato di libertà, fu il comportamento dei cavalleggeri italiani