giovedì 16 maggio 2024

BORRI FENOCCHIO ANNA SOMMARIVA BOSCO 1921 NEIVE 2009

 












https://youtu.be/PggAX_khvfs       Ricordo nonno MINI

 

https://youtu.be/AcA8ZX5-NsI     Realizza calza e scapin

 

https://youtu.be/s0z2ZtlAayM   Borri Anna al Parco dei Caduti Sommariva

https://youtu.be/zxIJV4fSdXE    Borri Anna ricordo di Nonno Bastian


Famiglia paterna

Borri Sebastiano e Anna

Figli

Marcello(Marslin)1886

Luigi(Vigioto) 1890

Domenico(Mini)1888

Maria(sposata Olivero)

                                   FOTO ARCHIVIO MICHELE OLIVERO
zia MARIA E LA SUA FAMIGLIA OLIVERO

Maria(Inota)

Francesca

Amalia

Famiglia materna

Cornaglia Felice e Margherita

Figli

Domenica

 

 

Borri Sebastiano e Margherita

Vissero nella grande Cascina dei "Pralòt"

Avevano beni in  Località "Ricchiardo"

Alla Montà veija, un bosco che fu ereditato da Mini

 Racconti di nonna Anna

Mio padre, Borri Domenico detto Mini tredì perché suo nonno si era tagliato 2 dita con la faussìa (la falce) aveva una bella voce e gli piacevano gli amici e le “ribotte”feste. Mia madre Cornaglia Domenica mi raccontava che il carattere di Mini era cambiato dopo che da militare aveva dovuto subire iniezioni  e bere tanto cognac per sopportare le fatiche e soccorrere le popolazioni di Messina che avevano avuto il terremoto del 1908. Lei lo aveva conosciuto sempre allegro canterino e gran lavoratore. Faceva il contadino come suo padre Sebastiano e i suoi fratelli Marcello(Marslin il primogenito ) e Luigi (Vigioto, il secondogenito).

                                 LUIGI , BASTIANIN, MARIO

                                 MAMMA DOMENICA, ANNA

Si abitava da custodi nella Villa Anna “ an ser Pé” e mio padre iniziò ad avere i cavalli e a fare il trasportatore di vitelli, maiali per conto terzi. Me lo ricordo in piedi sulla biga, con le briglie  e la frusta in mano, il cappello sulle "23", il foulard al collo e il “corpèt”(gilet) sopra la camicia a quadrettini, un bel cartonè amante dei cavalli. Quando veniva alla Cascina Azièt  in Vaccheria d’Alba a portare le mucche per accoppiarle, faceva il viaggio di ritorno con una botte d’acqua salata da far evaporare per produrre un po’ di sale. Raccontava che in quei viaggi quando arrivava in Val Granda di Neive, trovava sempre o un gatto o una capra in mezzo alla strada che facevano imbizzarrire il cavallo, era la masca Marianna che si trasformava in bestia per spaventare i cartoné.   In questo periodo io avevo una decina di anni e avendo mangiato i Brignèt beus (prugne selvatiche verdi e non mature) mi ammalai di febbri intestinali non potendo così dare l’esame di quinta classe. Siccome il Medico mi aveva messa a dieta e potevo bere solamente un litro di latte al giorno, io avevo appetito e così ,di nascosto mio fratello Luigi mi portava l’uva , eh! Io e Luigi ne abbiamo sempre combinate di birbonate!

Una volta, abbiamo preso la bicicletta di Bastianin (il fratello più grande)  sulla ”travà” (il fienile) e l’abbiamo buttata in cortile per farci un giro, ma io non ci arrivavo(essendo una bici da uomo) e andavo pedalando con una gamba sotto la canna , poi essendosi tolta la catena,nel tentativo di rimetterla pizzicai le dita a Luigi che era  più piccolo di me di 4 anni. Ricordo che temevo più la sgridata di Bastianin che quella della mamma, ma siccome ero l’unica bambina mi coccolavano tutti e la passai liscia.   

Prima di venire ad abitare in via delle scuole a Sommariva, noi si abitava vicino ai nonni materni sulla strada che viene da Ceresole.

 

L'INCENDIO ALLA CASCINA DEL NONNO BASTIAN       

Nel 1931, quando avevo una decina d'anni, un giorno d'estate, mentre io, Mario e Luigi giocavamo in cortile, vedemmo del fumo nel paese. Allarmati temendo fosse un incendio alla Cascina del nonno Bastian e Anna,  corremmo in paese e scoprimmo che il fuoco era proprio dai nonni. Era andato distrutto il fienile ma fortunatamente, la casa e la stalla che erano dall'altro lato furono salve. Io e Mario andavamo sempre a trovare i nonni e ricordo che il nonno ci offriva una pesca o un'albicocca che divideva in due, sia per noi che per gli altri nipoti. Noi però, poi andavamo nel frutteto e prendevamo altri frutti.

Il nonno lo ricordo anche malato nel letto di assi con pagliericcio di foglie di meliga situato nella stalla. Le lenzuola erano rigorosamente bianche ed erano in forte contrasto con le pareti annerite. Aveva bei baffi, proprio come te!

La nonna morì che io ero piccola e così la ricordo poco. Ebbe nove figli e fu ricordata perché diceva sempre che preferiva partorire un figlio che fare una polenta. 

Nonno abitava con  zio Marcello e la moglie, ma chiedeva a mia mamma di andargli a preparare lo zabaione . Le diceva: <Se me lo prepari tu Menica, lo mangio!> Le sussurrava che l'altra nuora era "sporca e disordinata!" Anche la cucina dei nonni era affumicata e scura, ma risaltavano i quadretti con le scritte a sfondo religioso: IN QUESTA CASA NON SI BESTEMMIA - GESÙ TI AMA- MARIA PROTEGGI LA FAMIGLIA ed altri. Era molto religioso e a mamma Menica diceva: < Quando morirò, non spendere soldi per le Messe per me, ma fai pregare i bambini.> Quando il nonno morì anche la mia famiglia si trasferì in via delle Scuole e vivemmo tutti i momenti belli e brutti finché ognuno di noi figli prendemmo le nostre strade. Solo mio fratello Mario rimase con la mamma e la sua famiglia.

 

Mio nonno paterno era un uomo molto retto e saggio, e  quando fece la divisione dell’eredità , sapendo che Mini, nostro padre, aveva il vizio di bere e far festa lasciò la casa a noi figli e alla mamma affinché non la sprecasse. Purtroppo sapemmo in seguito che “pare” aveva ereditato anche un “Fagòt” di soldi che noi non abbiamo mai visto.

Ricevuto in eredità un pezzo di casa dei Pralot , andammo ad abitarvi e mio padre faceva il suo comodo andandosene via di casa e ritornando quando riteneva di dover avere una parte delle galline o sacco di meliga.

 

Il “pare” cominciò a peggiorare  e sempre più sovente arrivava a casa e faceva scenate . La mamma , prevedendo “ il suo vin gram” ci dava cena prima e ci mandava in camera o dai nonni e così lasciava che lui in preda ai fumi dell’alcool rovesciasse il tavolo o facesse il diavolo a quattro. Quando stava per arrivare lo si sentiva cantare fin dalla “leia” (il viale di platani ) che c’è ancora davanti alle ex scuole , addirittura una volta fu multato per schiamazzi notturni .

 

 


 

Barba Marslin (zio Marcellino) , che abitava nella casa accanto, tempo dopo, ci riferì che l’altra donna  dopo avergli mangiato un po’ di soldi lo lasciò .

 Lui continuò a vivere da solo e la mamma non volle che i nipoti lo conoscessero e diceva che era un “Barba”(zio) . Io, di nascosto dalla mamma, quando potevo andavo a prendere le uova nel pollaio e gliele portavo, in fondo era mio padre e gli volevo comunque bene. Michelino, mio marito, che era militare a Sommariva Bosco e voleva conoscermi capì che ero figlia di Mini e una sera andò a “spojè” ( riunione di vicini nell’aia per preparare la meliga ed esporla ad essiccare) , cantò e lavorò con lui per farsi conoscere.

                                     FAMIGLIA 

CORNAGLIA DOMENICA           BORRI DOMENICO


 

                                      PADRE BORRI DOMENICO 1888     

 

 

“Barba” Mini

La cascina in Via della Scuola, era dei Borri da tempo immemorabile. Ha visto generazioni lottare per vivere, uomini partire soldato e tornare a sposare, a far figli. Molti non li videro nascere, ci pensarono le donne a crescerli forti. Alcuni seppero “Fésse dèl bin”(farsi del bene), altri “l’an fait dèl bale, e a l’an pagaje! Cheicun l’è mort an guèra e a l’è pi nèn tornà!” (Qualcuno ha commesso degli errori e li ha pagati! Qualcuno è morto in guerra e non è più tornato.)

“Voglio raccontarti la mia storia, non per giustificarmi, ma perché tu che sei bambino, quando sarai grande possa raccontare la vita di uno che visse “brao”(bravo , buono) fino a un certo punto poi diventò “Gram”(cattivo), ma in fondo al cuore ha sempre avuto tanto amore per la vita per sua moglie e per i figli. Non so cosa mi successe. Quando non ci sarò più qualcuno mi aiuterà a venir via dall’inferno dove finirò! “ Parole di barba Mini. Così lo conobbi. Entrò dal cancelletto con la rete metallica che rinchiudeva la proprietà di Cornaglia Borri Domenica, mia nonna materna. Era la parte di cascina che fu dei vecchi Trèdì. Un muro alto fungeva da divisore e recinzione con la proprietà di altri Borri, per tante vicende non più amici. “’S parloma pà pì!” mi disse “Barba Mini”.

Entrò richiudendo, per non lasciar uscire le galline del cortile. Attirò la mia attenzione, stavo giocando con la terra sabbiosa che seppi, in seguito, essere buona da orto. Era molto alto, Mini sembrava vergognoso, passò vicino a noi bambini, io e Bastiano, accoccolati e intenti a formare delle montagnole di terra per il nostro gioco con i carri. Si chinò e ci accarezzò entrambi, sollevai gli occhi e incrociai i suoi, stanchi ed iniettati di sangue ed umore di lacrime, la pelle era scura, i baffi neri e la barba da radere lo rendevano interessante. – Chi sei? – chiesi. Non rispose, si risollevò e andò a sedersi su di un balot di paglia, sotto un pero in fondo all’orto. Chiesi a Bastiano – è  “barba”zio Mini- mi rispose. Lasciai il gioco e attraversai l’orto calpestando insalata finocchi e carote, lo raggiunsi e mi sedetti su su di uno sgabello a tre gambe di fronte a lui. Sorrise, forse perché avevo calpestato l’orto, ma paziente non mi sgridò. Anche seduto, lo ricordo altissimo, il panciotto nero aveva un taschino dal quale fuoriusciva la catenella dell’orologio a cipolla che emetteva un tichettio piacevole. Il cappello nero di feltro era posto all’indietro “ ansl’undès ore”( sulle undici) mi disse. – L’ho sempre portato così anche quando facevo il “Cartoné”(Guidatore di carro trainato da cavalli). 

 ( Beppe): “Mini” Racconta 

 Mio padre , Felice, era un uomo semplice e di grande fede. Sicuramente lo ammiravo  per la sua laboriosità e rettitudine  ma già da bambino mi sentivo diverso da lui.

Quando nonno Bastian si tagliò due dita con la “faussia”, avevo dodici anni,eravamo nel 1900 e avevo un’adorazione per lui.

I cavalli erano all’ombra del grande “mo” gelso dei Pralot e ogni tanto nitrivano perché infastiditi da qualche tafano. Seguivo il nonno a debita distanza per non essere nel raggio d’azione della falce e raccoglievo le spighe che gli sfuggivano. A dire il vero non erano molte, ma lui mi voleva vicino e il padre mi aveva incaricato di seguirlo. Gli piaceva il vino e che fosse buono e non bruschèt o vinot. Nella bota’d cossa marchiata BB, Borri Bastian, provvedeva lui stesso a mettere il vino “dla bonza bona” (Della botte buona) poiché sapeva che Felice avrebbe messo quello del botalin ancora allungato con acqua . Con il mazzolino di spighe osservavo orgoglioso quel gesto ampio e flessuoso che il nonno compieva e accompagnavo il suo canto ascoltando la musica che produceva la falce nel taglio e il mannello cadendo, lo gettava con precisione  a formare ra cheuv-il covone. Quando fermava per legarla, poiché non voleva fomre antorna, di solito era compito delle donne legare i mannelli- er giavele, posava la falce e senza smettere di cantare si allungava, prendeva il gorèt, legava con quel nodo che mi aveva insegnato e riprendendo il ritmo mi sorrideva e o tacava n’atra canson. Aveva un ampio repertorio che io avevo ormai appreso ,ma se potevo gli facevo cantare “Moretto” o Morettina.

Allorché la faussia era da molé-affilare , altra fermata, bevuta , recupero d’ra co dal coé-contenitore appeso alla cintura dei pantaloni, e nuovo gesto con musicale accompagnamento. Questo rapiva i miei occhi e le orecchie ,mentre nonno Bastian  con maestrìa molava la lama e la rendeva lucente e tagliente. Lisciandosi i baffi mi porgeva la falce e mi invitava a sfiorare la lama dicendomi “s’a lè caoda a lè pronta a esse eisà.”Se è calda è pronta a essere usata. Sfioravo con cautela il filo tagliente e provavo a falciare un pugno di spighe, poi, sapendo qual’era il mio compito restituivo l’attrezzo, soddisfatto di aver espletato er mè travaj.

Il rito del taglio del grano procedette in armonia fino a che il nonno mi mandò dai cavalli. Fermò il lavoro e bevve un sorso a “Garganela” si asciugò i baffi e mi ordinò:”Mini, và a bèjve là a l’ombra e dajne ‘d cò ai cavaj” Tron e Losn erano la nostra coppia di cavalli e sembrava avessero capito, nitrirono all’unisono.

Abbeverati i cavalli bevvi anch’io a garganella e mi sbrodolai, mi rivolsi ridendo verso il nonno e notai che si era fermato e aveva raggiunto il bordo del campo, al ritorno presso di lui vidi che il fazzoletto non era più annodato al collo bensì fasciava la mano sinistra. Osservai un laghetto rosso , ma non di vino, vicino a una cheuv -covone , nonno aveva già ripreso il lavoro. Al termine del solco si fermò e si sedette, cosa strana per lui, mi guardò coi suoi occhi chiari ma duri e mettendo il dito indice vicino al naso per intimarmi silenzio mi mostrò, in segreto ,svolgendo il fazzoletto insanguinato ,la mano sinistra .Mancavano due dita, “l’èi sotraje là-li ho sotterrati là” indicandomi il bordo del campo e continuò “l’on disinfétaje col piss e col vin, la feuja ‘d lapass a férma èl sang-la foglia di lapazio ferma il sangue. Mi diede da pulire il coltello da innesto che aveva usato a eliminare la pelle e mi fece segno di falciare, come nulla fosse accaduto. Riprese a cantare con voce forte, intonò “noi vogliam Dio”. La cantava nei momenti in cui voleva ringraziare il Signore .

Prendendomi la giavela-mannello mi guardò sorridendo e sussurrò” da ancheui noi soma i tre dì.  

 

Anna Borri "Trèdì" 1921 Sommariva del Bosco testimonianza

 Finchè scampo non mi toglierò dagli occhi quei partigiani appesi ai platani del viale davanti alle scuole! Per andare a lavorare alla fabbrica di compensato dovevo passare per quel viale ma dopo quel  mattino scelsi un ampio giro per non vedere quell’ orrore.Li lasciarono qualche giorno con il cartello “Banditen”. E li vedevano anche i bambini neh!

 

 BEPPE : STORIA DI NONNO DOMENICO "MINI" 1888

 Padre mi accompagnò con la “doma”(calessino biposto a due ruote trainato da un cavallo) trainata da Tron a Mondovì. Partii lasciando il lavoro ben avviato e gli accordi già presi con “Giacon” Tognin di Neive.

Non salutai Menica, appena conosciuta, ma dissi a nonno Bastian, che era amico di Felice Cornaglia di avvisare che ero partito per fare il soldato. Partimmo all’alba di un giorno di Novembre, il buio profondo lasciava il posto a un chiarore beneaugurante. Il “Pare dij mort”(Il becchino) che spegneva anche i lampioni a gas nella allea delle scuole, era già all’opera. Gli diedi una voce: - von soldà, ma ricorda a Marslin che torno per il Corpus Domini”.

Nel paese era tradizione che i giovani portassero le croci e il baldacchino alla processione del Corpus Domini, dal santuario alla Parrocchia. Io e mio cugino Marslin eravamo tra i più robusti e adatti a quel servizio. Guardavo il castello mentre il cavallo arrancava su per la “Montà veja” e pensavo a Menica che tra poche ore sarebbe andata al lavoro.Mi sarebbe piaciuto vederla e dirle che le volevo bene, ma dovevo andare. Speravo che anche lei condividesse il mio sentimento che mi sembrava aver colto nei suoi occhi chiari in quel fuggevole scambio di parole. Ero inoltre fiducioso che nonno Bastian mettesse una parola buona con suo nonno Felice. Questi pensieri mi scaldavano e non subivo il freddo pungente dell’ormai imminente inverno. Da sotto la coperta, che mi ero messa in testa, vidi il padre “Ansgnesé”(Fare il segno di croce), eravamo dal cimitero e la campanella suonata dai “morèt” che abitavano la cascina vicina, dava i sèt bòt(i sette tocchi). Anch’io feci mentalmente il segno di croce e mi affidai al Signore intonando sottovoce –Noi vogliam Dio ch’è nostro padre…” come mi aveva insegnato nonno Bastian. Le terre rosse del Paolò (Paolorio) erano ricoperte di nebbiolina e i gelsi ormai spogli sembravano soldati a guardia dei poderi. Al Santuario della Madonna delle rose ci aspettavamo che Tron si imbizzarrisse poiché era luogo dove “lavorava” la Masca dei boschi, invece nitrì soltanto, quasi intendendo deriderla. Vidi Pare Felice che si era alzato ritto in piedi e tenendo le briglie con una mano sola con l’altra stringeva la Corona del rosario e faceva penzolare il piccolo crocefisso. Nonno Bastian aveva insegnato ai suoi figli e anche a me quel gesto anti-masche visto adottare da un frate esorcista quando era in guerra. Raccontava che per non farsi prendere prigioniero dagli austriaci si nascose con altri in un cimitero vicino a un convento e una volta vide una scena che non dimenticò più. Arrivò al Convento una ragazza che , su di un carretto trainato da un asino, conduceva una vecchia, sua madre, posseduta dal demonio. Il frate recitò alcune parole in latino e alzò il pugno sx con la corona del Rosario, con la destra disegnò una croce nell’aria. La donna, con ancora la bava alla bocca   e gli occhi spiritati, si scrollò, guardò il frate , scese dal carro e gli si inginocchiò ai piedi.  


 Prozio BORRI LUIGI 26 Ottobre 1890 Sommariva del Bosco 13 Marzo1916 TIMAU - SACRARIO MILITARE TIMAU T.1521

BORRI LUIGI DI MARGHERITA E SEBASTIANO

SOLDATO 2° RGT ALPINI 26 10 1890

Mio Padrino Borri Luigi(fratello della mamma Anna) è nato a Sommariva del Bosco nel 1925. Gli chiesi se ricordava della famiglia di suo Padre Domenico detto “Mini tre dì” (mio nonno materno). Ci pensò un attimo e ricordò che: I Borri figli di Bastian erano Mini, Marcellino, Luigi (morto in guerra quella del 15/18). Cercando nell’elenco dei Caduti della Prima Guerra Mondiale ho rilevato i seguenti dati:Borri Luigi di Sebastiano Soldato 2° reggimento Alpini, nato il 26 Ottobre 1890 a Sommariva del Bosco distretto militare di Mondovì, morto il 12 Marzo 1916 sul Monte Paularo in seguito a caduta di valanga. LA CAPPELLA DI PAL GRANDE: I soldati non avevano alcun rifugio in cui raccogliersi in preghiera quando, nelle fredde mattine invernali, la tormenta accecava e flagellava il viso e la paura gl'attanagliava l'animo. Don Janes, cappellano del battaglione Tolmezzo, lanciò l'idea di costruire una cappella dove celebrare Messa e trovò subito larghi consensi. Tutti parteciparono al progetto, soldati e ufficiali. Il ten. Bruno D'Andrea disegnò la chiesetta, nel suo baracchino a Selletta Freikofel. I migliori scalpellini del battaglione, diretti dall'alpino Cipolat di Aviano, prepararono i blocchi di roccia viva. Il ten. Col. Ugo Pizzarello, irredento comandante del Tolmezzo, incaricò il pittore veneziano Fragiacomo di dipingere una tela che ricordasse il sacrificio di tanti ragazzi. L'artista salì sul Pal Grande con la sua tavoletta 69x44 ed i colori ad olio e qui prese forma la "Madonna delle Nevi", soave, triste, coperta di gramaglie, con la corona d'alloro. La cappella, eretta in pochi mesi, in puro stile romanico, venne benedetta il 2 Novembre 1916, alla presenza delle autorità civili e militari della zona. Mentre si celebrava la prima S.Messa, ci fu un bombardamento e miracolosamente non ci furono vittime. Per tutti fu un segno della protezione della Beata Vergine. La cappella fu meta di pellegrinaggi fino alla ritirata (23 Ottobre1917) quando la tela della Madonna prese la via d'Austria come preda di guerra. Il destino volle che la colonna austriaca si fermasse davanti alla Chiesa di Timau. Il sig. Mentil, sacrestano, intuì in quale carro si trovava la tela e, incurante del pericolo, riuscì a sottrarla e la celò in un posto sicuro. Dopo la fine del conflitto, a lui spettò l'onore di portare il quadro alla cappella di Pal Grande, nelle ricorrenze di cerimonie di suffragio. La Madonnina veniva qui lasciata per tutto il periodo dell'alpeggio, da giugno a settembre. Durante il resto dell'anno, assieme all'immagine del volto di Cristo del pittore Cesare Laurenti (dono del gen. Pizzarello alla cappella di Pal Grande), trovava ospitalità nel santuario del Cristo a Timau. Nel 1916 anche presso la casera di Pal Piccolo venne costruita una cappella, dal battaglione alpini "Val Tagliamento". Adiacente sorse il cimitero di guerra ove furono sepolti 633 caduti, traslati poi nel sacrario di Timau.

 

 

 

 

martedì 14 maggio 2024

BORRI LUIGI SOMMARIVA BOSCO 1925

 




BORRI LUIGI SOMMARIVA BOSCO 1925

RICORDI

Quando ebbi una decina d’ anni, per aiutare in famiglia e rimanere con gli animali, che amavo già molto, andai da servitore presso la cascina da Dina la madre ,con Bettina e Giorssin i figli. Dormivo anche da loro e alla sera inevitabilmente diventavo malinconico. Bettina era premurosa e cercava di consolarmi. A me mancavano i fratelli e la sorella invece non  mi pesavano le piccolezze che vedevo effettuare! Mi facevano sorridere quando alla sera nella stalla si spegneva anche quel piccolo lumino che avrebbe permesso di guardarci in faccia, e allora per scherzare, dicevo: “gavomse cò ‘l muvande parèi a je struzoma nen! (Togliamoci anche le mutande, così non le consumiamo!) ma loro non capivano e mi dicevano” sta brao e prega!”. Pensavo a mia mamma e alla sorellina, e al mattino, dopo aver salutato gli animali scherzavo con Bettina che premurosa mi preparava il caffè latte senza zucchero e alla mia continua richiesta se c’era lo zucchero mi spiegava che con un pizzico di sale era più digeribile. Li deridevo facendo il finto tonto e ammettendo che effettivamente “ a l’era propi bon!(era proprio buono!) mentre in realtà faceva proprio schifo. A quei tempi si viveva così, con poco mangiare e con tanto lavoro.





VACCARO PER PORTARE LE MUCCHE AD ALBA E ASTI

Sempre intorno al 1935 iniziai la mia “carriera” di “vaché”. Conobbi “REMO DI ALBA” commerciante di bestiame,  che mi chiese di portare alcuni animali da Sommariva ai mercati di Alba o Asti . Me  ne partivo, dopo una prima volta che mi venne ad accompagnare per farmi conoscere la strada, alle prime luci dell’alba o a volte anche di notte per essere sui mercati alle 5 di mattina. Nei sette otto anni che svolsi questo mestiere mi ingegnai di trovare sempre percorsi che mi permettessero di non passare davanti ai parecchi Cimiteri dei vari paesi (Sommariva bosco, Sommariva Perno, Corneliano, Alba). Non che fosse una paura , ma preferivo evitarli.

ARRESTATO DAI TEDESCHI


Nel periodo della guerra scampai alcune volte all’arresto dei fascisti, ma una volta mi presero i tedeschi. Ero da garzone e feci tardi nel pulire la stalla. Io ero sottoleva e avrei dovuto essere arruolato, ma sfruttavo il fatto che ero piccolino, ma quella volta non feci in tempo a nascondermi con i cugini Tonin E Marsslin nella fossa dell’orto  che i padri provvedevano a ricoprire di sterpaglie e letame. Giunsi a casa e mi trovai i nazifascisti in cortile, non riuscii a fuggire e  nonostante mio padre Mini che parlava un po’ di tedesco, essendo stato prigioniero durante la Grande Guerra, avesse spiegato che “jera mach an matèt” ero solo un ragazzino! Mi portarono con altri su di un camion e ci condussero al Cimitero dove c’è una cascina che era il covo dei Partigiani. Volevano li avessimo condotti dai Partigiani. Da quella cascina vi era un tunnel che conduceva alla Chiesa Parrocchiale e utilizzato dai partigiani per fuggire. Il capo di quei partigiani era il Colonnello Ballaira che dopo l’otto settembre si stabilì col suo gruppo di Partigiani in quella cascina e utilizzava il tunnel. Noi di Sommariva si sapeva che al Cimitero vi erano i Partigiani, ma nessuno fece la spia. Nonostante ci avessero messi al muro e minacciati di fucilazione non parlammo. Ci stavano caricando sul camion, quando vidi arrivare, tutte trafelate, Anna mia sorella e mamma Menica che appena mi videro arrestato andarono in Municipio dove c’era una donna “fascista” che collaborava con i nazisti (era addirittura amante di un Capitano tedesco) e la supplicarono di intercedere affinchè mi rilasciassero in quanto vi erano già Bastianin e Felice in guerra ed ero, con mio fratello Mario l’unico loro sostegno. Questa donna mostrò il foglio del Capitano e mi rilasciarono. Altri miei compagni furono condotti in Germania e alcuni non tornarono

 

BALLAIRA BARTOLOMEO ALESSANDRO

 24/05/1892  SOMMARIVA DEL BOSCO 

 UFFICIALE IN SERVIZIO PERMANENTE EFFETTIVO 

Nome di battaglia BIANCO, REMO 

 PATRIOTA 

12° DIV AUT

FORMAZIONI VARIE Dal 15/09/1943 Al 15/09/1944

PATRIOTA Dal 15/09/1943 Al 15/09/1944

Seconda formazione 12° DIV AUT Dal 15/03/1945 Al 08/06/1945

PATRIOTA Dal 15/03/1945 Al 08/06/1945

 

 

giovedì 2 maggio 2024

BRUSCO EIRALE MALVINA 1927 SERRAVALLE LANGHE

 












BRUSCO MALVINA 1927 SERRAVALLE LANGHE

BORGATA CARRETTI

Mamma fu  BATTAGLIA MARIA 1896

Papà  fu GIOVANNI      1890 Cav. Di Vittorio Veneto

 

              FIORINA,PAOLO,MALVINA

 

MALVINA BRUSCO EIRALE 1927 Serravalle Langhe Borgomale

LA RAGAZZA CHE FACEVA CORRERE LE MONTAGNE

La famiglia era composta da mamma 1896, papà del 1890 con tre figli e vi era ancora la nonna paterna. La più grande era mia sorella Fiorina del 1923, poi c’era il fratello Paolo del 1925 ed io Teresa Malvina del 1927. La nonna, Garabello, Andò Avanti quando ebbe 92 anni.

Dalla Località Carretti andai a scuola nella Borgata Villa che era più vicina fino alla IV classe, la V venni a frequentarla a Serravalle dove vi era un Maestro in gamba che ci fece studiare tanta matematica e molte altre materie. Al termine delle elementari mi sarebbe piaciuto continuare e frequentare ad Alba le Magistrali, ma intanto vi era aria di guerra e avevo visto che mia sorella che aveva iniziato ad Alba aveva incontrato difficoltà., Così, scelsi di aiutare papà e fratello nei lavori che erano molti. Avevo da accudire le pecore e portarle al pascolo e andavo davanti ai buoi mentre il fratello arava. Addirittura, a volte insistevo,e il fratello mi concedeva anche di arare per qualche tratto. Pulivo anche la stalla dal letame poiché ero una ragazzina forte!

IO E LA NONNA

La nonna quando andavo al pascolo mi seguiva e veniva a raccontarmi della sua vita. A me faceva piacere e incuriosita le davo soddisfazione , invece mia mamma “ai dava nèn tanta tedià” (non l’ascoltava molto).

A me raccontava di quando si era sposata e che per due anni dette del voi al suo sposo. Mi diceva di essere prudente e siccome vedeva che a me piaceva parlare con le persone mi dava consigli.





                              Foto Murialdo


Ai suoi tempi, mi diceva, si facevano le veglie  nelle stalle ed era stupita ma felice che si continuasse a far le veglie in casa a giocare a carte e scherzare.

La nonna era una che raccontava storie di masche, ma aveva poco ascolto perché la gente non aveva tempo e non credeva più alle storie fantastiche.

LA NOSTRA CAMPAGNA

Noi in campagna avevamo tanto grano, la vigna e poi Il papà, quando tornò dalla grande guerra ebbe un intuizione, fu tra i primi a piantare nocciole “fu un’ottima idea!”. Lavorò e produsse molto e quando scoppiò la seconda guerra mondiale aveva 50 quintali di nocciole che dovemmo nascondere affinchè la polizia Annonaria non le requisisse.

Le nascondemmo sotto il pavimento di casa e si corse un grande rischio quando bruciarono la casa, ma fortunatamente rimasero sufficientemente protette e potemmo così venderle a guerra terminata al costo di venticinquemila lire al quintale.

   

AVEVO 14 ANNI E RICORDO TUTTO

Del periodo della guerra, ricordo tutto, sa!? avevo 14 anni e “facevo correre le montagne!”

Nel periodo della guerra, lavorando, non mancava nulla, fu dopo l’otto settembre che la guerra “brutta” tra partigiani repubblicani e nazifascisti ci arrivò in casa!” Mio padre Giovanni partecipò alla Guerra Europea del ‘15/’18 e riuscì a tornare a casa, suo fratello Francesco, che aveva studiato, morì a causa di una polmonite trascurata in un Ospedale da Campo.

BRUSCO FRANCESCO DI GIUSEPPE 22 Luglio 1895 Serravalle Langhe

Legione R. Guardia Di Finanza Di Torino

Morto a Fiumicino13 12 1918

Ospedaletto Da Campo N. 107 Malattia

I TEDESCHI A SERRAVALLE

Il fatto che portò i tedeschi alla nostra cascina fu innescato da due partigiani che spararono alcuni colpi in direzione della colonna tedesca che procedeva verso Bossolasco. I due partigiani fuggirono in direzione della nostra cascina e proseguirono oltre inoltrandosi nel bosco. Le truppe naziste li videro scappare e inseguendoli arrivarono fino da noi.

Io e mio fratello ci trovavamo in un un campo a lavorare con i buoi, i genitori, corsero a nascondersi e lasciarono la nonna ottantenne e uno zio disabile.

I nazifascisti non sentirono ragioni, dissero che avrebbero incendiato la casa perché avevano saputo che avevamo ospitato “due ribelli”.

Lo zio, fratello del padre li supplicò di non bruciare e li invitò a prendere il vitello e quanto volevano nella stalla e cantina e che avrebbe anche offerto un sacco di nocciole, ma di non rovinare la loro famiglia. Furono irremovibili, dissero che avevano ordine di incendiare per rappresaglia ogni cascina che avesse ospitato i Ribelli. Credo che vi fu una spiata poichè i Partigiani erano stati da noi una sola volta, evidentemente furono visti e venne effettuata segnalazione ai nazifascisti.

I tedeschi vennero parecchie volte alla nostra cascina, ma si trattava di controlli e non facevano danni, invece in quella occasione diedero un gravissimo danno alla famiglia, incendiarono l’abitazione, la stalla e tre portici. Per incendiare l’abitazione portarono della paglia in cucina e appiccarono il fuoco. Fortunatamente dopo circa un quarto d’ora se ne andarono e così lo zio, seppure invalido riuscì a spegnere la paglia e il fieno e a salvare almeno la muratura della casa. Andarono a fuoco i letti e le masserizie unitamente al vestiario. Fu un grande danno ma soprattutto un enorme spavento.

              

Io e mio fratello ci eravamo portati il necessario per pranzare in un fagotto e come sempre rimanevamo tutto il giorno ad arare. Dal campo, che era dietro a una piccola collina vedemmo salire del fumo e capimmo che a casa stava succedendo qualcosa di brutto, tuttavia non tornammo, come anche fecero i genitori che si nascosero e non uscirono dal nascondiglio fin quando comprendemmo che i tedeschi se ne erano andati.

Molte volte avevamo visto transitare i nazifascisti sulla statale per Bossolasco, ma quella volta si recarono alla loro cascina poiché mandati. Cercavano i Partigiani e i giovani di leva che non si erano presentati alla chiamata. Al tempo dei rastrellamenti i giovani di leva come mio fratello si nascondevano ed ogni famiglia aveva preparato dei “nascondigli” dove si rifugiavano i giovani. Quando ebbero timore che i nazisti per snidarli dessero fuoco alle case , si ingegnarono di costruire dei ripari nei muri in aperta campagna.

Due giovani che si nascondevano nei boschi furono comunque individuati e caricati su di un camion per essere deportati in Germania. Furono però “ardì” in gamba e riuscirono a saltare dal camion e a dileguarsi. Uno si chiamava Oreste Manera e l’altro non era del posto. Altri comunque furono deportati e patirono grandi pene in prigionia.

 

         

           Malvina col fratello Paolo ed altri giovani

 

                   

                            

Al termine della guerra si fece ricostruire la casa e il fratello si sposò. Dopo circa un anno la famiglia si allietò con la nascita di una bimba, ma purtroppo mia cognata morì. Lasciò una bimba di dieci giorni. Io avevo 17 anni e decidemmo di crescerla noi.

Io avevo ricevuto un anellino, da un amico, ma nulla di importante! D’accordo con i miei mi dedicai a Giovanna. La seguii nelle scuole e poi mio padre volle che frequentasse la scuola magistrale. Ancora giovane si sposò e prese la sua strada.

Io decisi anche di sposarmi e andai a vivere a Borgomale “Villaio” con Giuseppe Eirale. La vita trascorse veloce, con tanto lavoro, ma senza guerra! Ho lavorato tanto ed ora sono qui a raccontare.

              

        

              EIRALE GIUSEPPE “PINOTO”

BORGOMALE ”VILLAIO”della leva del 1921, dice che di nove coscritti è rimasto solo lui.

La mIa fortuna fu nell’essere risultato “rivedibile” alla Visita di Leva. Altrimenti ”sarìa co partì mì pèr rà Russia” (Sarei partito anch’io per la Russia). Così parii soldato con un anno di ritardo e fui arruolato nella Guardia di Frontiera. Ero al confine con la Francia, presso un Forte con altri 15 compagni a effettuare il Servizio di guardia. Intanto che eravamo lassù, avvenne “ro sbandamènt”(lo sbandamento dell’8 settembre) e scendemmo, prima a Sant’Anna di Vinadio e poi a Borgo San Dalmazzo. Prendemmo il treno ma quando fummo a Cuneo trovammo già i tedeschi che arrestavano i militari. Mi nascosi nella zona W.C. del treno e attesi che il treno ripartisse. Rimasi nascosto con altri 7/8 militari della zona di Alba trattenendo il fiato e sperando di non essere individuati. Quando il treno a tarda notte si mosse fummo più tranquilli! Scesi a Mussotto dove avevo una zia e mi feci dare degli abiti borghesi, quindi mi avviai per raggiungere Borgomale. Dei miei compagni qualcuno andò in Alba , fu arrestato dai tedeschi  e deportato in Germania. Due di questi morirono in prigionia.

Giunto a casa, scelsi di non andare con i Partigiani e di aiutare la famiglia. Non fu facile poiché bisognava continuamente nascondersi per evitare di essere presi dai nazifascisti che effettuavano rastrellamenti alla ricerca di “ribelli” e giovani in età di leva o come me ”Disertori”.

Ricordo che un giorno andai con la famiglia a lavorare in una “Riva” sottocasa, quando fu Mezzogiorno i genitori e la sorella tornarono a casa. Attesi che la sorella venisse ad avvisarmi se tutto era tranquillo, poiché avevamo notato che nel nostro cortile vi erano i fascisti che con il cannocchiale osservavano alla ricerca di Partigiani. Dopo un po’ la sorella venne ad avvisarmi che se ne erano andati e quindi potevo tornare a casa. Quando fui alla cima del pendio per entrare nel cortile vidi un tedesco che attraversava il e veniva nella mia direzione per piazzare la mitraglia, fui sorpreso ma continuai e andai dove avevo un mucchio di letame e presi a caricare la carriola. Sentii lo sguardo del militare ma non mi voltai e procedetti nel lavoro. Il tedesco non mi disse nulla e dopo un po’ se ne andò. “se antèss momènt là rèisso sagname r’avrìo troamne manch na stissa!”( Se in quel momento mi avessero prelevato il sangue non ne avrebbero trovato una goccia).

Un’altra volta, io e due miei compagni fummo avvisati che stavano arrivando i Repubblichini e tedeschi “mèscià”(mischiati,insieme). Era l’ultimo giorno di Carnevale e con i compagni al mattino avevamo aiutato il vicino di casa a “massé èr crin”, già pregustavamo la festa che sarebbe seguita all’uccisione del maiale, e invece dovemmo nasconderci. Ci eravamo costruiti un nascondiglio che aveva delle feritoie nel muro posto sulla strada e così potevamo vedere l’arrivo della colonna. I repubblichini avevano una fisarmonica e fecero festa proprio dal vicino dove avremmo dovuto essere noi a mangiare e bere. Avevamo una gran voglia di menar le mani, ma dovemmo attendere che se ne andassero per uscire e festeggiare anche un po’ noi!.

IL PARTIGIANO “CELSO”  GANDOLFO

 PARTIGIANO GANDOLFO CELSO nome di battaglia”CELSO” BORGOMALE 22/06/1924

Meccanico Aggiustatore

ALPINO II RGT ARTIGLIERIA

PARTIGIANO 6° DIVISIONE GARIBALDI DAL 09/09/’43 AL 27/04/’44

CATTURATO A SANTO STEFANO BELBO IL 27 APRILE 1944 

DEPORTATO E DECEDUTO A GUSEN MAUTHAUSEN

Ricordo che Celso era un mio vicino di casa e amico. Lui dopo l’otto Settembre andò con i Partigiani Garibaldini e mi diceva sempre di aggregarmi. SeppI che durante un’azione a Santo Stefano Belbo, Celso con un altro compagno “ran faje frègg” (li hanno freddati, uccisi). Dalle mie ricerche ho scoperto che Celso fu catturato e deportato a Mauthausen Gusen(sotto campo terribile! Vedi racconti di Salvetti Renato).