CHIARLE FEDERICO MARIO 1920
Cossano Belbo Borgomale
Partii per la Russia da
Savigliano, arruolato nel 2° Reggimento Artiglieria Alpina 113a Compagnia
Borgo San Dalmazzo, il 29 giugno del 1941 alle 13- 13,30.
Impiegammo sei notti e sette giorni di treno, passammo a Vienna, poi in
Jugoslavia, Ungheria, Romania e giungemmo in Ucraina percorrendo 2700
chilometri. Rimanemmo accampati una ventina di giorni sotto le tende, poi ci
trasferirono, a piedi a Dnipropetrovs’k(
la città di Petrovska sul fiume Dnipro) in casermette diroccate. Quando giunse
l’inverno il termometro segnò 43 gradi sottozero. Nei villaggi vi erano solo
donne e anziani, i giovani erano tutti a militare. Noi avevamo il compito di pattugliare e vedemmo i
carri armati russi che attraversavano il fiume Don ghiacciato senza che si
rompesse. I vecchi dicevano che il ghiaccio del fiume aveva uno spessore di un
metro. Il freddo era insopportabile, venivano accesi dei fuochi per scaldarsi e
per sciogliere un po’ di neve pressata dentro il gavettino, si ottenevano così
due dita di acqua da bere. Bisognava sempre procedere a testa bassa nella
tormenta poiché la neve scendeva copiosa e trasversale ghiacciando negli occhi
e nella barba. Occorreva staccare i ghiaccioli dalla barba e dai baffi. I
militari italiani pativano il freddo poiché non erano equipaggiati. I russi
avevano giacche e pantaloni imbottiti, stivali di cuoio isolati con il sughero
e gambali anti acqua. I loro copricapo lasciavano liberi solo gli occhi e
proteggevano anche il collo.
Patimmo il grande freddo e la
fame. Veniva distribuita una volta al giorno un po’ di pasta mezza cruda e
scondita.
Anche per noi che pure eravamo
distanti dal fiume Don, e in fondo alla “sacca”, fu terribile quando dovemmo
ritirarci per uscire dal “ferro di cavallo) che i Russi avevano organizzato.
Crearono un ferro di cavallo di uomini e mezzi
che si chiuse sempre più fino a imprigionare e ad annientare le
Divisioni italiane tedesche ungheresi e rumene. Queste furono annientate!
Era il 2 febbraio 1943 e i cucinieri avevano
preparato un fuoco per cuocere un po’ di pasta. Stavamo tutti attendendo lo
scarso rancio quando arrivò un Maggiore di Milano che ordinò di avviarci poiché
vi erano i russi a venti kilometri che stavano serrando con una manovra che ci
avrebbe chiusi. Si partì in grande fretta lasciando la marmitta da campo sul
fuoco. Fortunatamente intraprendemmo la direzione giusta e procedendo
attraverso l’Ucraina, qualche giorno prima del 19 Marzo San Giuseppe
raggiungemmo la Polonia . Rimanemmo in
questi campi di raccolta fino al 27 Marzo.
LA PAROLA GUERRA BISOGNA
“APPROFONDIRLA”
Si fa presto a dire la parola
Guerra, è come dire “Pane”, ma occorre approfondirla, spiegarla meglio. Io ci
vissi dentro, per ventitre mesi fu sempre”guerra”. I russi nelle notti, ci
lanciavano degli involucri spinosi che illuminavano come fosse giorno e potevi
vedere anche le lucertole. Dopo queste lampade arrivavano i caccia a
bombardare. Una notte durante un bombardamento ci nascondemmo in uno
scantinato
(in crotinon).Rimanemmo stipati(tuti riss)accucciati per tutta la notte. Sentimmo cadere le bombe tutt’attorno ma sopra di noi non cadde nulla. Al mattino uscimmo e ci trovammo di fronte un paesaggio apocalittico: pali della luce che bruciavano, muri e case crollate con dei fuochi. In quello scenario apparve un tedesco che mi chiamò:< Kamarade! > Io gli chiesi cosa volesse e mi fece segno di andare da lui . Quando fummo di fronte, in perfetto italiano mi disse:<Bisognerebbe prendere Mussolini e Hitler farne un fascio e dopo averci versato sopra della benzina appiccare il fuoco!> Capii che era dell’Alto Adige e aveva la mia stessa idea.
PARTENZA DALLA POLONIA
Il 19 Marzo San Giuseppe, un
Maggiore ci avvisò che si partiva per l’Italia. Vi fu una grande esultanza e
vedemmo arrivare alla stazione di quel borgo sette tradotte con una macchina a
vapore. Ci volle un giorno a radunarci tutti e giunse l’ordine di salire. Noi
quattro compagni della 113°compagnia attendemmo a salire. Eravamo io Pace,
Rabino e Lano, vedemmo che erano quasi saliti tutti e stavano abbastanza
stretti in sei carrozze. Quella immediatamente dietro alla Macchina era vuota,
e decidemmo di salire su quella. Felici di stare comodi su quel vagone vuoto io
pensai di migliorare il giaciglio prendendo da un “Pagliaio” là vicino una
bracciata d’erba, e anche se una donna mi urlò che stavo rubando feci finta di
nulla e saltai sul vagone per preparami a partire. Giunse il Maggiore che
controllava fosse tutto pronto e ci urlò di scendere poiché quello era il
vagone che in caso di pericolo sarebbe stato sganciato con la Macchina! A
malincuore cercammo un posto nei vagoni già stracolmi suscitando le ire degli altri
soldati che si erano già sistemati.
La locomotiva si mosse quando
verso le 19.00 fece notte. Verso l’una di notte sentimmo degli scrolloni dei
respingenti e il convoglio di fermò. Era ormai buio profondo e così stipati non
riuscivamo a comprendere cosa fosse successo. Fece giorno e si sentì una
raffica di mitraglia provenire da una boscaglia vicina. Ci fu ordinato di
scendere con i fucili alla mano. Ci dicemmo che non era ancora ora di viaggiare
per l’Italia, ma intanto vedemmo che il vagone sul quale volevamo salire era
ridotto ad una “fisarmonica”. Ringraziammo il Maggiore e la Madonna che ci
avevano salvati e attendemmo nuovi ordini. Un Bersagliere in bicicletta si recò
ad avvisare alla stazione successiva e venne una locomotiva procedendo
all’indietro che agganciò il convogli e ci permise di arrivare al Brennero. Qui
ci diedero divise nuove e dopo qualche giorno ripartimmo.
Il convoglio scaricò a Milano,
a Bologna e anche in stazioni più piccole, finchè arrivammo a Torino, della
nostra zona eravamo ancora sette: Basso, Caprioglio, Dalmazzo,Campana, Negro
Pace ed io. Ci salutammo e ci augurammo buona fortuna. Attesi il treno per Asti
e verso le sedici partii, a castagnole cambiai treno e arrivai a Santo Stefano
dove presi la Corriera per Cossano. L’autista, che mi riconobbe, mi abbracciò
piangendo e mi condusse fino a duecento metri dalla fermata di Entracine dove
gli chiesi di fermare poiché all’Osteria
vi era troppa gente e preferivo salire a casa. Imboccai il sentiero e
andai verso casa. Arrivai in vista di casa e mi inginocchiai piangendo. Avevo
sempre detto che se fossi riuscito ad arrivare in Casalesio(la nostra cascina)
avrei baciato la terra. Vi erano due entrate per il cortile di casa, scelsi
quella che dava sul forno dove mio padre controllava il pane che stava
cuocendo. Papà non mi vide e mia sorella che era intenta ad accudire le bestie,
sentì che parlavo con mio fratello nella cantina. Avvisò mio padre che corse ad
abbracciarmi piangendo e non mi lasciava più. Era fuori di sé e dimenticò
persino il pane nel forno che rischiò di bruciare. Accorsero anche mia madre la
zia e lo zio, fu un emozione grande che ci vide tutti abbracciati e piangenti.
Il manovale che viveva con la nostra famiglia era del 1897 ed era Reduce della
Guerra del 15/18 anche lui mi abbracciò e mi disse: <so cosa hai visto, la
tua esperienza è stata terribile quanto la mia!>
ANDAI CON I PARTIGIANI
CHIARLE FEDERICO MARIO COSSANO
BELBO 07/10/1920
CONTADINO
SOLDATO ART. 2° Rgt. 113°
Compagnia Borgo San Dalmazzo
Nome di Battaglia TIGRE
PATRIOTA 1°Div. LANGHE 2° Brg
Bisalta dal 25 Marzo 1944 al 7 Giugno 1945
Una volta a casa mi aggregai
ai Partigiani con la Squadra di “Moscon”, l’altra era quella di “Moretto”.
Eravamo tra Roccaverano e San Giorgio Scarampi. Una notte sentimmo sparare a
Canelli e scendemmo pronti ad intervenire, ma fu un attacco breve e così tornammo
in alto. Rimasi con i partigiani da Settembre 1943 fino a maggio 45 quando
tutto finì. Mi ricordo di John l’autista di Santo Stefano e di Moscon che era
uno “ardì” e sempre pronto ad effettuare azioni con la dinamite. Mi pare che fu
quello che fece saltare il ponte di Borgomale.
Chiarle Federico Mario 1920
Cossano Belbo Borgomale Reduce di Russia
Nel 1941 eravamo arrivati da poco in Ucraina, avevo 21 anni e tutto mi incuriosiva. Mi guardavo attorno e avrei voluto ricordarmi di tutto. A 21 anni avevo solo tanta voglia di vivere e di ritornare a casa per raccontare. Mi venne l’occasione di acquistare una macchina fotografica, un mio compagno militare mi chiedeva 11 Lire e di Decade ricevevo 3Lire e Mezza. Avevo piacere di avere quella macchina e mi confidai con Massa Condo mio coscritto e vicino di casa di Cossano. Ci trovammo nella stessa Compagnia destinati in Russia. Gli dissi: <entra socio nell’acquisto, poi appena prendo la decade te li restituisco.> Condo era un amico e fu d’accordo, comprai quella Agfa e feci tante foto, riuscendo a portare a casa sia la macchina che i rullini e fui felice. La conservo ancora oggi e voglio mostrartela. Insieme alle foto che mi aiutano a ricordare fatti di settant’anni fa.
Un giorno, io Condo e Pace trovammo due maiali che giravano tra le macerie della casa. Ci guardammo in faccia e senza parlare fummo d’accordo sul da farsi. Avevamo una fame terribile e nonostante quei maiali fossero abbastanza magri, cercammo di farli entrare in un cortiletto con l’obiettivo di macellarli. Uno ci scappò, ma l’altro lo catturammo e lo macellammo per mangiarlo. Qualcuno dei commilitoni ci vide e corse a far la spia al capitano. Questi il giorno dopo ci convocò tutti e tre e ci fece una bella paura poiché ci disse che potevamo essere deferiti alla Corte Marziale. Fortunatamente un Sotto Tenente ci prese le parti dicendo al Capitano che lo avevamo fatto per fame e non per rubare, questo si convinse e ci inflisse una piccola punizione con una sgridata.