ALBEZZANO NATALE 1921, nato all’Olmo frazione di Castagnole Lanze.
In Montenegro tra Titini e Cetnici
Era il 1941, partì militare e andò a Torino in una Caserma dell’Artiglieria alpina Btg.Susa Prima Batteria. Qui vi era la sede della banda musicale e siccome già a casa suonava il clarino nella Banda di paese, fece domanda per essere inserito in quella militare. Fu accettato e per 12 mesi rimase a Torino e a Susa, lo inviarono per qualche campo in Francia, poi a Bricherasio. Si suonava all’alza bandiera e all’ammaina bandiera, e a qualche funerale. Un giorno arrivò anche per lui e compagni suonatori l’ordine della partenza per destinazione ignota. Il Capitano comunicò sprezzante: <Avete finito di fare i “portinai” si parte per la Russia!> All’ultimo momento ci fu un cambiamento di destinazione, forse perché avevano capito che in Russia era finita!
Dopo un anno in Italia fu inviato in Montenegro da dove, tra gravi pericoli e difficoltà tornò nel 1945. Girò tutta la Jugoslavia tra rastrellamenti e sparatorie. Dovevano guardarsi sia dai Partigiani che dai Cetnici, si trovò in situazioni complicate, in quanto queste popolazioni non vedevano di buon occhio l’invasione italiana e tedesca. D’altronde loro erano a casa propria!
Fu un periodo veramente difficile poiché in caserma si mangiava poco e male. Ricorda che per protesta rifiutarono per due giorni il rancio. Si inquadravano in attesa e quando arrivava la Marmitta con la “sbobba”, tutti loro giravano la schiena. Il terzo giorno venne il Colonnello che, assaggiata la brodaglia disse: < Ma lo sapete che è migliore della pasta asciutta della mensa ufficiali!> Si trattennero ma avevano voglia di sparargli. Si toglievano la fame comprando delle patate e facendole bollire nel gavettino.
Si viveva sempre nella paura e in all’erta per gli attacchi o dei Partigiani o dei cetnici. Gli uni pensavano che fossero con gli altri e insomma , dice Natale -“gnun podiva voghne!” (nessuno ci considerava né tantomeno ci rispettava). La gente montenegrina, nonostante si dicesse che erano zingari (in forma dispregiativa) fu l’unica che almeno un bicchiere di latte o un pezzo di formaggio secco lo donò sempre. Avevano poco anche per loro, perché i tempi erano duri, ma sempre aiutarono gli italiani. Solo loro però, gli altri li trattavano veramente male!
Confusione, fuga e prigionia
Dopo l’otto Settembre anche lì avvenne una gran confusione. Il colonnello li radunò e chiese chi volesse firmare per passare con i tedeschi. Del gruppo di Natale, erano una quarantina, nessuno firmò. Il colonnello andò a colloquio ma non tornò, loro rimasero agli ordini di un Sotto Tenente. Erano in fortini dai quali si vedeva la pianura e la montagna che dava sul mare. In basso vi erano gli alpini che non avendo seguito il loro Capitano che si era aggregato a loro, furono tutti catturati e inviati in Germania. Loro non capivano cosa succedesse, ma subirono il bombardamento della marina e quando divenne impossibile rimanere, lasciarono i fortini e le munizioni pur di salvare la pelle. Natale e un suo amico riuscirono a valicare una montagnola e a scendere in una valle riparata. Qui il Sotto Tenente gli ordinò di tornare a recuperare le munizioni. Obbedì e risalì per un po’, ma quando fu sotto, una granata fece saltare in aria il fortino, così tornò e riferì cos’era successo, ormai lo davano per morto! Nonostante avessero visto tutti che il fortino era esploso, il Sotto Tenente ebbe il coraggio di chiedere se avesse recuperato le munizioni. Gli rispose con uno sguardo che lo fulminò. Nel frattempo videro il Capitano degli Alpini che fuggiva da solo e capirono che bisognava arrangiarsi.
Tra catture e fughe
Rimasero con una famiglia per circa tre mesi, si lavorava e si attendeva di capire cosa sarebbe successo, ma i Cetnici che effettuavano continui rastrellamenti li catturarono e li consegnarono ai tedeschi. Questi li facevano marciare da un campo di prigionia all’altro e cercavano di convincerli a firmare per passare con le loro milizie. Adottavano metodi per impaurire e per prenderli per fame. Qualcuno firmò, convinto di poter almeno mangiare. Nonostante le raffiche di mitraglia, sopra la testa, che subirono in diverse occasioni, Natale non firmò.
Riuscì a fuggire e a nascondersi in una famiglia per un po’ di giorni, poi incappò in un altro rastrellamento e fu nuovamente rinchiuso in un campo di concentramento. Essere prigionieri dei tedeschi non era affatto piacevole, inoltre con altri compagni di prigionia si ragionava: <I nostri padri hanno combattuto contro i tedeschi e noi dovremmo allearci con loro? Ah no !>.
Rischiare la morte per un pezzo di pane ambusà
Il compito di Natale era accudire ai cavalli e quindi alle stalle,ma erano trattati peggio dei loro cavalli! A questi davano in pasto le croste del loro pane e impedivano ai loro, prigionieri, di mangiarle! Una volta controllò che la guardia non lo notasse e prese un pezzo di pane che era già nella mangiatoia del cavallo, ma questo si imbizzarrì e lo fece cadere a terra. Battendo la testa ebbe una grande ferita che lo fece gonfiare così tanto la testa da non riuscire a tenere gli occhi aperti. Andè in Infermeria più volte poiché la ferita si era infettata, gli addetti lo pulivano con carta e acqua fresca. Versava proprio in cattive condizioni e un compagno si offrì di accompagnarlo ad un campo di concentramento Austriaco che distava circa due chilometri dal loro. Appena lo visitarono lo stesero su di un tavolaccio e decisero di intervenire sulla ferita. Si spaventò molto poiché lo anestetizzarono spruzzandogli l’etere con una macchinetta del “flit”!, però poi gli ripulirono a fondo la ferita e disinfettarono suturando correttamente. Lo tennero tre giorni in infermeria e lo salvarono. I tedeschi lo avrebbero lasciato morire!
La fuga verso l’Albania
Con altri compagni di sventura si organizzarono e fuggirono nuovamente. Si spostarono in Albania dove da sbandati lavorarono un po’ in cambio di cibo. Durò poco perché furono nuovamente arrestati e rinchiusi. Si sentiva dire che a Durazzo imbarcavano militari diretti in Italia e allora fuggirono in direzione Durazzo. Camminarono per dei giorni, dormendo nei fossi e mangiando quel che trovavano, bacche, ninsorin(nocciole selvatiche) rèjz(radici). A Durazzo vi era una confusione indicibile, c’erano dei “mila soldà” (migliaia di soldati) che volevano rientrare e nessuno che sapeva cosa decidere. Venne una volta un Generale che “o rà fane an poc èd moral!” . Ricordò loro che erano militari e come tali dovevano comportarsi!Lo fischiarono soltanto ma avevano voglia di farlo correre!
Mangiarono erba per tre mesi
Vedevano arrivare dei barconi che portavano viveri agli albanesi e a loro non portavano niente. Inoltre caricavano 250 militari, non si sa con che criterio, e loro furono lasciati sbandati, senza ordini né mangiare. Vissero tre mesi a erba poiché non si trovava altro! Dopo tre lunghi mesi giunsero al porto delle grandi navi che li caricarono e li condussero a Taranto. Qui nuovamente si trattava di andare a lavorare per i nazi fascisti, si fece una rivolta e requisito un treno si fecero portare a Bari, poi un po’ a piedi e un po’ con mezzi di fortuna, poiché il treno “o jera mac a sciancon” (c’era solo a tratti) o per i ponti e binari distrutti o perché temevano di essere catturati, arrivarono a Torino impiegando sette giorni. Per tutta la settimana di viaggio, Natale, ebbe una febbre che lo fece stare proprio male, ma arrivando a Torino gli passò.
Ancora umiliazioni ma finalmente a casa
Giunse ad Asti con grande fatica, ma dovette ancora subire umiliazioni. Era, come tutti i reduci in condizioni pietose. Sporco, lacero e smagrito chiese un passaggio ad un camion con dei partigiani, questi lo guardarono schifati e gli chiesero da dove arrivava! Lo lasciarono a piedi e se ne andarono sghignazzando. Arrivò a casa ugualmente ma la rabbia gli salì forte quando a Castagnole rivide quei partigiani che scherzavano con delle ragazze!
Dopo settant’ anni da quelle tribolazioni è ancora qui a raccontare e a volte gli tornano alla mente degli avvenimenti e li rivive in modo così chiaro che sembrano successi ieri.
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