CANE AROSSA ELSA CANE BUSCA MARIA
Papà CANE GIUSEPPE Mamma RONNE ERNESTINA
CANE GIACOMO
Mio fratello Giacomo trucidato a 16 anni
Simona Colonna su quel sentiero
CANE
GIACOMO DI GIUSEPPE BORGOMALE (CN/I) il 28/10/1928
Contadino
MANGO (CN/I) il 19/11/1944
CANE
MARIA BORGOMALE 1933
Papà
Giuseppe del 1890 aveva partecipato alla guerra Europea del 1915/18.
Andavamo a scuola a Montemarino, distante 4 chilometri e ricordo che, a piedi, percorrevamo lo “stradone” che aveva sassi
grandi come uova. Non venne mai nessuno ad accompagnarci, ma eravamo frotte di bambini !
Fin da
piccole si contribuiva nel lavoro dei campi. Dopo la scuola a otto anni ricordo che
il papà ci mandava a raccogliere le pietre nel terreno arato dove avrebbe
seminato grano e meliga.
La
sorella più grande rimase a casa e fece la sarta, un’altra sorella a 18 anni
andò a servizio dai Bona di Manera e rimase finchè sposò il muratore Gavarino
di Trezzo Tinella, Elsa andò presso la famiglia della Cascina Albesano e poi si
sposò con Peppino Arossa di Cascina Raimond di Neviglie e andarono da mezzadri a Castagnole Alto e all’Olmo.
MIO
MARITO BUSCA PLACIDO IN PRIGIONIA
Mio
marito raccontava che fu preso prigioniero e inviato in Germania. Per due anni
con tanti altri prigionieri venivano scortati a lavorare nei campi di patate
dai soldati armati. Patirono tanta fame e freddo e non potevano toccare neppure
una patata poiché si veniva immediatamente picchiati oppure uccisi.
CANE
GIACOMO DA SERVITORE ALLA CASCINA ALBESANO
Mio fratello Giacomo del 1928, era da “servitò” (manovale) alla cascina “Albesano” di Montemarino.
Avendo saputo che i nazifascisti avrebbero effettuato un Rastrellamento, con altri 6 giovani di cui 3 di appena sedici anni come lui e un anziano del Boscasso già tornato dal Brennero dopo l’8 settembre 1943, decisero di fuggire nei boschi per nascondersi. Andarono verso San Donato e girarono per due giorni nei boschi fino ad arrivare al Topiné. Alla famiglia che abitava in quella cascina chiesero da mangiare e fu in quei momenti che giunsero i tedeschi. Non si seppe se fossero arrivati casualmente o perché avvisati da qualche spia, li catturarono e dopo averli allineati sul bordo di un dirupo li mitragliarono e li fecero precipitare, inoltre fecero rotolare sopra di loro dei massi che resero ancora più difficile il recupero dei poveri corpi. Mio padre venne avvisato quando il fatto era già avvenuto e non aveva neppure saputo che il figlio fosse andato via dalla cascina. Fu atroce per tutti i genitori ritrovare i loro figli crivellati di colpi e con i volti sfigurati, e ancor più terribile per il padre e madre dei tre fratelli Rivera, avevano solo quei tre ragazzi!
Quando li
portarono su dal burrone mia sorella Elsa di 18 anni andò a riconoscerlo. Ma disse
che erano orribilmente sfigurati. Da quel giorno mia mamma Ernestina, che
era originaria di Torre Bormida, non si ristabilì più, non si dava pace di aver
perso così tragicamente suo figlio. Non si seppe mai nulla di come andò realmente perché vi
era un clima di guerra e tutti avevano paura. Nessuno parlava.
Noi
abitavamo laggiù dal ponte “Maboch” e “r’oma vist èr masche” abbiamo provato il
terrore! Da Alba fino al ponte era zona dei republican e dal ponte in su era
zona dei Partigiani. I Partigiani da Lequio Berria venivano e sparavano
richiamando così i nazifascisti che se la prendevano con noi!
Una volta
vennero i repubblicani e volevano dare fuoco alla casa perché dicevano che i
Partigiani avevano sparato con il nostro aiuto. Mio padre mostrò la
dichiarazione di morte di mio fratello Giacomo e allora se ne andarono.
Quasi
tutte le notti passava anche un piccolo aereo che se vedeva luci mitragliava.
Così dovevamo oscurare tutte le finestre e ricordo che poi uscivamo a vedere se
si vedevano luci, anche solo di candele o lanternin perché la luce elettrica
non l’avevamo ancora! Ah quanta paura provammo!
Quando si
sentiva il rumore degli aerei, mia sorella mi prendeva in braccio e scendevamo
tutti in cantina che era protetta da “sorzére” (architravi) più robusti.
I
PARTIGIANI FECERO SALTARE IL PONTE DI “MABOCH”
I
Partigiani vennero da mio padre e lo avvisarono che avrebbero fatto saltare il
ponte di Maboch.
I nazifascisti
non potendo più transitare sul ponte attraversavano il torrente Cherasca
passando dalle case “Maboch” situate più in basso e poi risalendo nei campi di
mio padre sbucavano nella curva proprio sotto casa nostra. Nell’attesa che
fosse arrivata tutta la colonna sti soldati aspettavano nel nostro cortile
ed intanto razziavano tutto quel poco che avevamo!
Ricordo che mio padre Giuseppe, poco distante da casa, aveva realizzato un Crotin per nascondere qualcosa, sia da mangiare che di vestiario e biancheria in modo da non farsi portare via tutto!