BOSIO GUIDO ROMANO Guerra di Francia Grecia Albania Russia Germania fino a 30 anni e poi….. Trifolao
È passato tanto tempo, da quando fui chiamato alle armi come soldato di leva negli Alpini, ma son ricordi terribili che ho ben chiari nella mente. Fui inviato a Chiappera, ma la guerra con la Francia durò poco, quindi fui inviato in Grecia dove, ferito, stetti due mesi in Ospedale. L’ispettore che venne a valutare i feriti mi ritenne idoneo a combattere e così andai nuovamente al fronte. Preso prigioniero dai Greci fui internato per dieci mesi in un campo all’isola di Creta. Ci liberarono i Tedeschi e ritornammo in Italia. Rimasi poco a casa e subito andai in Albania, da lì attraverso la Germania mi spedirono in Russia. Per raggiungere Rossosch, sul fiume Don, camminammo dei mesi. Da Agosto arrivammo che già nevicava. Noi avevamo i muli, invece i tedeschi erano motorizzati e ci schernivano superandoci ma il nostro Generale ci faceva coraggio!
Era il Generale Emilio Battisti:
Con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940 viene nominato Capo di Stato Maggiore del Gruppo Armate Ovest e partecipa alle operazioni sul fronte francese. Nel marzo 1941 assume il comando della Divisione Alpina “Cuneense” impegnata sul fronte greco-albanese poi nel luglio 1942 parte per il fronte russo. Qui condivide la sorte dei suoi alpini rifiutando di salire sull’aereo, messo a disposizione dal comando tedesco, per porlo in salvo durante il drammatico ripiegamento del gennaio 1943. Nella notte tra il 26 e 27 gennaio il reparto comando della Divisione viene accerchiato definitivamente e, fallito ogni tentativo di aprirsi un varco, tutti i componenti cadono prigionieri. Sette anni dura la sua sofferta prigionia fra carcere duro e campo di concentramento.
L’aiuto italiano in Russia avvenne in due tempi: immediatamente furono spedite le divisioni del Csir,corpo di spedizione italiano in Russia, cioè le divisioni Pasubio, Torino e Celere al comando del Generale Messe. Nell’estate successiva si unirono altre unità: Cosseria,Ravenna e Sforzesca, la divisione d’Occupazione Vicenza e tre Divisioni del Corpo d’armata Alpino, la Tridentina, la Julia e la Cuneense, che insieme alle prime presero il nome di ARMIR, LA 8a Armata italiana in Russia, al comando del Gen. Gariboldi. Le vittorie si susseguirono con relativa facilità finchè l’esercito russo non adottò la tattica del ripiegamento. Infatti con la caduta di Kiev, l’alto comando russo decise di adottare la strategia della ritirata, già utilizzata ai tempi di Napoleone. Non lasciavano che rovine, rovinavano persino le piste! Da questo momento iniziò la lenta disfatta dei due eserciti invasori: incalzati dagli assalti inaspettati dei siberiani,assediati dai terribili inverni russi e disorientati di fronte alle sterminate pianure sovietiche.
I MORTI ERANO COME FOGLIE
Sul Don, con temperature a meno cinquanta gradi, tenemmo testa riuscendo anche a prendere quattordici prigionieri, ma i Russi sfondarono il fronte della Fanteria e dei tedeschi.
I Morti erano come Foglie!
A quel punto ricevemmo l’ordine di arretrare di trenta chilometri. Io dissi al mio Tenente “tutte balle, io sono già stato preso prigioniero una volta!” e infatti furono paracadutati i militari e dovemmo combattere con la baionetta! Si trattava di superare un ponte che era controllato dai Russi e ormai c’era una grande confusione. Senza comando, io raggiunsi l’altra riva passando sotto i proiettili, mi andò bene. Ebbi la fortuna di trovare una “Borla”(ammassamento di grano) e decisi di crearmi un riparo togliendo un po’ di “cheuv”(covoni), mi infilai e stremato mi addormentai: Fu la mia salvezza. Quando mi svegliai e uscìi allo scoperto, la battaglia era finita, di tre Compagnie aveva resistito solo la Tridentina. La Julia e la Cuneense erano state decimate i soldati uccisi o presi prigionieri, pochi riuscirono a salvarsi. I “mort jero pei dèr fojach”(I morti erano come fogliame!”)
I miei compagni mi avevano chiamato ma io dormivo e non li sentii! Mi aggregai all’Artiglieria Alpina della Tridentina e raggiunto un villaggio che stava bruciando mi riparai in un’isba(capanna Russa) e recuperai un po’ di miele, del tabacco e una borraccia di liquore all’anice. Per scaldarmi, mi tolsi gli scarponi, ma quando fu l’ora di ripartire non riuscivo più ad infilarli, allora massaggiai i piedi con la neve finchè “ro faje desgonfiè!(li feci sgonfiare!) mi infilai gli scarponi e pur soffrendo non li tolsi più fino a Karkov dove salii sul treno.
Camminai procedendo nella steppa con la neve e la “tormenta” e ogni venti chilometri circa trovavamo un villaggio o abbandonato o con rischio di trovare partigiani. Lungo il percorso incontrai uno di Treiso che era meccanico dell’Aviazione, era Amilcare Perno padre di Michele. Anche lui riuscì a tornare a casa, ma quando ci trovavamo eravamo stupiti di essere scampati a quel terribile inverno-inferno! Durante la marcia sentii uno che diceva di essere di Treiso, non avendolo riconosciuto poiché “jero anti ne stat pietòz!” (eravamo irriconoscibili!), Barba lunga “con doi dia èd giassa!”( con due dita di Ghiaccio!), gli chiesi chi fosse e mi disse essere Castellengo, era un mio vicino di casa. Gli dissi “bèn io sono Bosio”, ci abbracciammo e procedemmo insieme senza più lasciarci.
Ci facemmo coraggio e superammo parecchie batoste. Una sera volevamo entrare in un’ isba ed eravamo cinque alpini e noi due. Visto che cinque tedeschi non ci volevano fare entrare sfondammo la porte e puntando il moschetto feci alzare loro le mani. Capirono che eravamo decisi a tutto. D’altronde se non facevi così i tedeschi ti lasciavano morire, se ti aggrappavi ai camion ti colpivano le mani con i fucili!
TU DEVI MORIRE IN RUSSIA
Abbiamo vissuto e visto situazioni di una violenza a cui non si può credere, eppure ne sono uscito e sono qui a raccontare. Ogni tanto mi torna alla mente la maledizione che mi lanciò un capitano che mi odiava: “Tu devi morire in Russia!”, ben, non so che fine ha fatto lui ma io me la sono cavata. Io e Castellengo, con altri abbiamo camminato per mille chilometri, abbiamo aiutato dei contadini russi a “ranché èr patate”(a raccogliere le patate) e in cambio ci hanno sfamati, abbiamo fatto i muratori e abbiamo avuto miele.
Da Karkov viaggiammo ancora in treno per una settimana e ogni due persone ci diedero una pagnotta e una scatola di carne. Quando tornai mi raccontarono di quanto era successo qui tra tedeschi e fascisti e partigiani, venni a sapere delle atrocità eseguite e ne fui addolorato. Ricordo che ritornai ad Agosto e il giorno 15 mi invitarono a Treiso, avevano messo il ballo a palchetto e si ballava, però quando mi raccontarono che tre dei Fratelli Ambrogio erano stati trucidati, perché traditi da una spia che fece seguire il fratellino più giovane venuto a portare qualche mela ai fratelli, presi la strada di casa e mi ritirai a piangere. Ne ho passate tante e nella mia lunga vita ho avuto modo di vivere tante soddisfazioni: la famiglia, il lavoro, anche “ranché tante trifore” (trovare tanti tartufi) ma le atrocità della guerra non ho potuto dimenticarle.