https://youtu.be/tVN4Yyx6N4E QUANDO TORNAI DALLA PRIGIONIA
SEPPI DI MIO FRATELLO
https://youtu.be/vJp0bUObO4I Vidi una tradotta di Ebrei
AGOSTO GIACINTO DI GIOVANNA"CINET" SOMANO 1923
BRUTTI RICORDI DI SCUOLA
Giacinto,
figlio di Abbio Giovanna (andata avanti a 102 anni)e di Lorenzo, nacque alla
Borgata Sant’ Antonio, dove vive tuttora. In famiglia erano sette e ricorda che
si percorrevano a piedi i due chilometri per arrivare alla scuola nel paese di
Somano. Prima di andare a scuola si recava al pascolo con le pecore. La maestra
non era di quelle comprensive e quando vide Giacinto, che stanco, si addormentò,
gli diede una solenne dose di “patéle” (botte) e la punizione: da scrivere
cento volte ”a scuola non si dorme!”. Lui eseguì il “penso”, ma non svolse il
problema e così dovette sorbirsi un’altra dose di botte. Inutile dire che Cinto
non ha un bel ricordo della maestra.
A MANGIAR PANE A CASA D’ALTRI
A
11 anni, Giacinto fu mandato “ a mangé ‘r pan à cà djàtri!”(a mangiar pane a
casa d’altri!). Non avevo mai sentito questo modo di dire elegante, usato per
spiegare che le bambine e i bambini di un tempo, già in tenera età venivano
messi a servizio: (da sèrvènte e sèrvito’).
Lavorò
alla Cascina Campolungo a Bonvicino, e il papà riceveva duecentocinquanta lire
all’anno, questo fu negli anni 1934/35, quindi fu trasferito alla Cascina degli
Ebrei ai Garombi di Monchiero dove riceveva ben cinquecento lire all’anno. Andò
anche a Monforte dove il ”padron” padrone si chiamava Costantino ed aveva un
figlio. Qui si stava abbastanza bene, certo che gli controllavano se prendeva
un pezzetto di pane in più di quello assegnato! Effettuò ancora uno
spostamento, in una cascina di Novello, il padre percepiva ben mille lire
all’anno per il lavoro prestato da Giacinto. Cinto ricorda che “ era gente alla
grande!” possidenti ma solo da lavoro! Questi “padroni” erano aderenti al
Fascio e pertanto mandavano Cinto alle esercitazioni Pre-militari che si
tenevano il sabato, ma appena aveva effettuato la presenza, lo facevano
ritornare al lavoro. Giacinto, consapevole dei suoi diritti disse ai “padroni”:
<…io vi denuncio, poiché il regolamento prevede che si partecipi
all’esercitazione!> A malincuore dovettero lasciarlo ad effettuare il corso
del sabato fascista!
Possedevano
tante vigne e Cinto era addetto a irrorare le viti “dé r’eva”. Doveva pompare
con la macchina in spalla quell’acqua scura con il “ramital” che sostituiva il
verderame (antiperonospera). I due figli giovani erano al Servizio Militare e
così per giorni e giorni doveva girare per le vigne con quel carico d’acqua e
ricorda che le cinghie si piantavano nelle spalle fino a scorticarlo. Gli
portavano il pranzo dove lavorava, così con l’ultimo boccone era già pronto a
non perdere tempo e a riprendere il lavoro.
La
“padrona” era brava!, <oh sì sì, rosari ne diceva tanti!>, gli diceva-
< oh poverino sei stanco, sa che ti riempio la “macchina” così ti aiuto!!”
Giacinto con un sorriso: < eh già, così non mi fermavo mai!!>
DURA E FATICOSA LA VITA
Dormiva
in una camera con un letto nel quale ci rimaneva poco. Alle quattro <sonava
in dèsvijarin fastidioz!grrrr!>(suonava la sveglia!) E lui assonnato
diceva<smorta lolì che reu sèntì!!>(spegni quell’affare che ho sentito!)
e scendeva ad iniziare la lunga giornata da “sèrvito”. Avevano una stalla in
campagna con una dozzina di bestie e altrettanto in paese, pertanto al
mattino”sgurava ra stàla an campagna”(pulivo la stalla in campagna) e al
pomeriggio puliva la stalla in paese! Aggiunge< jéra sèmpre ‘ntra buza!> (ero
sempre nello sterco!).
Fu dura, ma a sollevarlo da
quelle fatiche arrivò la Naja.
“LA NAJA” SOLLIEVO PER GIACINTO!
Arruolato un anno prima, per
esigenze di guerra, fu inquadrato nell’Artiglieria Divisionale. Inviato a
Rimini per alcuni mesi, dice che apprezzò la vita militare poiché in confronto
al lavoro trascorreva come una vacanza: Colazione, un po’ di istruzione “
avanti marsch, dietro front ecc.” , manutenzione dell’arma e poi si attendeva
il rancio. Cinto ‘d Cinèt si chiedeva perché la chiamavano naja!
Dopo l’addestramento andò a
Nola e quindi fece la Campagna di Grecia “per spezzare le reni ai greci! Come
disse Mussolini”. Si disse che le donne greche erano cattive – ricorda Cinto-
ma lui le comprendeva perché vi era una massa di gente che razziava
tutto(italiani tedeschi!)
DA BARI CON LA NAVE CAMPIDOGLIO
Giunti
in mezzo al mare vi fu un Capitano che, senza apparente motivo, diede l’ordine
di indossare i salvagente e di buttarsi in mare. Sulla nave vi erano 1400
militari che come Giacinto rimasero perplessi e preoccupati alla sola idea di
buttarsi in mare. La maggior parte non sapeva nuotare e inoltre un tuffo in
quelle condizioni significava morte sicura. Dopo un po’ di trambusto si notò
che il Capitano e un tenente discutevano e guardavano in mare. Da una scialuppa
che era stata calata con due uomini a bordo ne risalirono cinque probabilmente
artificieri. Dopo un breve periodo in cui furono fermati i motori si riprese la
navigazione e tutto fu tranquillo fino
all’arrivo a Valona. Giacinto si fece l’idea che quel Capitano era stato un po’
esagerato a emanare il comando di abbandonare la nave. Se i militari avessero
ubbidito se ne sarebbero salvati ben pochi. Questa è una delle tante
riflessioni che Giacinto ci trasmette e ci aiutano a comprendere quanti
pericoli superò a causa della guerra e di comandanti che non avevano a cuore la
vita di tanti giovani militari.
LICENZA PER LA MORTE DEL PAPÀ
Mentre
era in Grecia, ricevette la comunicazione della morte del papà. Ebbe un mese di
Licenza, poi al termine dei trenta giorni si presentò al Maresciallo dei
Carabinieri di Bossolasco e gli disse che quasi quasi non sarebbe rientrato. Il
Maresciallo si infuriò e, Giacinto si convinse a ripartire. Rientrò a Nola,
quindi fu portato all’aeroporto di Bari dove risultarono in cinque in più. Il
Comandante mise in riga i militari e sorteggiò con una conta casuale i cinque
che dovevano rimanere a terra per partire il giorno dopo. Tra questi vi fu
anche Giacinto. I cinque esclusi si scocciarono per il rinvio di partenza, ma
quando il giorno dopo il Comandante disse loro che erano stati fortunati perché
l’aereo del giorno prima era stato abbattuto, lo ringraziarono e sperarono che
il volo per loro andasse bene. Fu così e Giacinto, quando l’aereo atterrò ,
ringraziò il buon Dio per essere scampato, ma non sarà la prima né l’ultima
volta che lo ringrazierà!
Giunto
a Patrasso decise di non raggiungere Missolungi dove avrebbe dovuto tornare al
Presidio.(La sua Divisione, la “Casale” nel 1942/43 fu dislocata
nella zona compresa fra il golfo di Arta e quello di Patrasso, con presidi ad
Agrinion, Amphilokia e Missolungi. Durante tutto il periodo che rimase in detto
territorio, partecipò
ad operazioni di rastrellamento ed anti-partigiane a Agrinion, Katoki, Mussura,
Krisovitza, Scutera, Sariadafino.) Giacinto ricorda che per raggiungere
Missolungi, situata in una zona paludosa dove regnava la Malaria e per questo
occorreva assumere il CHININO ogni giorno, avrebbe dovuto prendere un traghetto
e viaggiare tre ore.
Rimase a Patrasso ed ebbe il conforto del consiglio di un Capitano che,
quasi sapesse che fine avrebbero fatto alcuni Presidi, compreso quello della
Divisione Acqui, gli disse di non rimanere e infatti dopo pochi giorni arrivò
l’ordine di disarmarsi e di consegnarsi ai tedeschi!
Giacinto,
ancora oggi non riesce a comprendere come ben nove Divisioni italiane e sei
tedesche non riuscirono a tenere testa a un piccolo esercito come quello greco.
Commenta:<Certo la guerriglia era peggio della guerra vera e propria, con i
pastori albanesi e la popolazione che collaboravano, ma fiutai l’intrigo quando
ad Atene vidi con i miei occhi portar via il Generale senza sparare un colpo e
noi soldati fummo abbandonati nelle mani dei tedeschi.!> I soldati furono
disarmati e, caricati sulle tradotte, deportati in Germania.
GERMANIA: CAMPI DI LAVORO
In
un primo tempo, i prigionieri furono internati a Coblenza, Giacinto giunse con
altre migliaia di soldati il sabato e il lunedì; con altri 500 prigionieri fu
prelevato per essere condotto a lavorare in una fabbrica a Trier. Vi era un
civile addetto a suddividere ulteriormente il gruppo e Giacinto fu inserito in
un gruppo di una trentina di internati militari.
Ogni
mattina e ogni sera un “CHEF” (CAPO) aveva il compito di trasferire, a piedi, i
lavoratori dal Campo al luogo di lavoro.
UNA CAREZZA E UN SORRISO
Il
percorso per giungere alla fabbrica passava davanti a delle case. Un giorno
Cinto, che aveva 21 anni e dice “ero un giovinastr!”, vide una ragazzina, che
guardava transitare quella squadra di giovani. Senza pensarci su, uscì dai
ranghi e andò a dare una carezza e un sorriso a quella fanciulla. Potevano
esserci conseguenze, e invece non successe nulla. Il giorno dopo il nonno della
ragazzina si presentò al campo e chiese di prelevare il giovane Agosto
Giacinto. Fu l’inizio della “Prigionia fortunata” di Giacinto. Accolto in
quella casa ”cascina” dove non vi erano altri uomini se non il nonno anziano e
tanto lavoro da svolgere, Cinto trovò una famiglia. Ebbe del vestiario pulito e
conduceva una vita come appartenente alla famiglia. La domenica si recava alla
Messa e nel giro di un mese ebbe un Documento che gli permetteva di circolare
liberamente. Nella casa vi era una motocicletta e fu autorizzato ad utilizzarla
per spostarsi nella zona. In quella cascina Cinto lavorava con i cavalli alla
produzione di Patate, barbabietole da zucchero e anche tabacco. Nei primi tempi
faticò un po’ a comunicare con la ragazza, ma questa era buona e intelligente e
lo aiutò. In uno dei primi giorni gli fece comprendere che vi erano da
raccogliere le patate, e lui capì e si avviò nel campo dietro la casa. Era
intento a raccogliere patate quando giunse una squadra di SS che pensando
stesse rubando le patate gli puntò il fucile per arrestarlo, ma la donna vide
la scena e chiarì con i militari, poi commentò: <SS no god, solo capaci ad
ammazzare!>.
IN GERMANIA DAL 14 SETTTEMBRE1943 AL 6 GIUGNO1945.
Intanto
a novembre 1944 il Comune di Somano vennene invaso dal terrore del grande Rastrellamento effettuato dalle
imponenti forze nazifasciste. Queste attaccarono i Partigiani Autonomi(della I
Divisione) e i Garibaldini(6° Divisione).I Partigiani arretrarono ma i nazifascisti
seminarono paura e morte tra i contadini e i Partigiani caduti nel
rastrellamento.
Il
16 Novembre, la colonna “Dal Piaz” del raggruppamento “Cacciatori degli
Appennini” al comando del col. Aurelio Languasco invase la zona di Somano e
dintorni incendiando e saccheggiando abitazioni. Gli uomini di Somano e delle
frazioni cercarono di nascondersi, ma in qualche occasione furono sorpresi dai
militari che avevano ordine di sparare senza intimare l’alt o valutare chi
fossero i fuggitivi. Fu il caso del fratello di Giacinto, Carlo, di appena 14 anni
sorpreso a fuggire tornò a nascondersi tra
le braccia della mamma ma fu ucciso senza pietà nonostante le implorazioni
della madre.. In quel giorno, a Somano furono
uccisi anche Agosto Giovanni del 1892, Bassignana Giovanni del 1901, e
Occelli Carlo di Bonvicino del 1915 tutti contadini che per timore di essere
deportati correvano a nascondersi. Caddero anche, sotto i colpi dei
nazifascisti il Partigiano della Form. Mauri I Divisione Maffeo Duilio “Carlo”
Brigadiere dei Carabinieri originario di Torino
e il Partigiano Garibaldino
Cornero Luigi “Biulot” del 1921.