La” Cerva” di Maria del Tosone di Neive
Corso Romano Scagliola a Neive inizia dal passaggio a livello e va verso Castagnole. Nel 1956 lo stradone era ancora da asfaltare . Dal Bar da Talina vi erano i mediatori da uve: Guido,Leonin,Mario, Carlucio , Tognin e Don Gino(Sì un prete con l’abito lungo,e dovevate vedere che agilità a salire sui carri e prendere il grappolo d’uva!!) .I carton con iarbi pieni d’uva andavano in piazza e poi sul peso o attendevano sotto l’ala in attesa che i mediator dessero delle indicazioni.
Seduto sulla base del distributore Petrol Caltex mi godevo lo spettacolo e aspettavo che papà Michelino caricasse Jucci e il sottoscritto sul Guzzino (con le marce al serbatoio) e ci portasse a prendere il latte da Maria Marello al Tosone. La mamma non era contenta che ci portasse in moto , soprattutto io ero “Dlicarin “ e anche d’estate ero a rischio di ammalarmi .Così per fare cinquecento metri mi imbaccuccava con la berretta e la maglia di lana “Da tene caod le stomi!”.Alla velocità della luce, il guzzino era 75 di cilindrata e non faceva più dei 70km orari ma tutto tirato!, si partiva con le raccomandazioni della mamma rigorosamente in Italiano:Tieniti Beppe! Jucci era sul sellino dietro e io sul serbatoio mi aggrappavo al manubrio. La guardia Municipale Ordan era intento a far la partita a tresette con Pietro dr’osel (l’orologiaio) altrimenti qualcosa avrebbe detto e forse anche multato. Jucci dall’alto dei suoi nove anni faceva la bulletta e con una mano si teneva al sellino e con l’altra dondolava il contenitore del latte, era di alluminio.
Si passava davanti alla latteria di Caterina Vacca e perciò il papà diceva di tenere il contenitore dalla parte sinistra, per non dar nell’occhio. La lattaia tuttavia lo sapeva che molti si servivano di latte da chi aveva la stalla .A quei tempi vi erano stalle anche in paese ,ad esempio la moglie di Pejrochin in via xx Settembre vendeva il latte. Era consentito, o perlomeno non vi erano ancora normative che lo proibissero.
Si passava davanti a Roé e il papà salutava Genio il fabbro , Slì oi fa er bec a n’usel” (Quello lì, è capace di rifare il becco ad un uccello)diceva per spiegarci che era un artigiano molto bravo.(A dire il vero un po’ distratto poiché lo ricordo con solo due dita di una mano). Nella casa da Jelmo lavorava Dante il Marmista grande amico e qui ci fermavamo a far due parole, nella casa successiva ,con il cancelletto di legno abitavano Celo con la moglie e la figlia Margherita, era la famiglia di Romano il Partigiano al quale venne dedicato il Corso. Da qui fino al Consorzio Agrario tutti prati,a destra .A sinistra vi era la villetta ed Monsù Negro il proprietario della fornace e poi tutti prati. Si incrociava la macchina del Dottor Velatta (la Topolino) o la Musone 1100 di Felicin. Cichin Pejrochin con la Balilla era riconoscibile perché suonava il clacson sovente,era un po’ esibizionista.
Finalmente si arrivava nell’aia di Augusto Marello Priore della congregazione dei Battuti bianchi . Il fuoco e l’incastellatura per il paiolo lo organizzava lui ,al rimanente lavoro ci pensavano Maria e la figlia Lea. Lavare e pulire i pomodori, preparare le verdure (sedano carote cipolle basilico ) e cuocere la “cerva”.Era così che avevo definito il prodotto della brava Maria.Ho ancora in mente il profumo della legna e di quel succo rosso che volli vedere produrre fino al termine. Augusto vista la nostra richiesta insistente di rimanere ad “aiutare “Maria , si offrì di accompagnarci .A piedi naturalmente,poiché il suo mezzo di trasporto era la carretta trainata dalla mucca(sulla quale saliva raramente) o la bicicletta. Io e Jucci sapevamo che se avessimo avuto fortuna ci avrebbe accompagnato Gino ,il figlio, con la vespa.
Aiutammo a preparare le bottiglie ,poiché erano i contenitori usati ed ebbi l’onore ,dopo tutta una preparazione: vestizione di un grembiule antischizzo e salita su uno scagnetto, di mescolare la conserva che ribolliva. Non furono fatte fotografie ma le scene sono rimaste indelebili nelle nostre menti insieme ai profumi ,agli odori e ai sapori. Profumo caldo del pomodoro misto a basilico e sedano che venivano passati in quella macchina che separava le pelli i semi e le verdure e lasciava colare solo il succo rosso e pastoso. Benchè rovente Maria lo assaggiava col cucchiaio di legno e mi chiedeva di sentirlo,previa raccomandazione:”soffia neh!”.Io mi sporcavo ,em fava i barbis” e facevo le smorfie , così suscitando le risate di tutti.
Odore del letame poco lontano e della stalla con gli afrori degli animali, odore di lisciva degli strofinacci di canapa stesi, odore di conegrina delle mani di Maria che ridendo mi accarezzava e mi diceva “et sei propi na bela masnà”.
Profumo dei tappi preparati da Augusto e passati nell’olio di oliva. Per sanare la mia curiosità al vederlo seduto sulla macchina da imbottigliare mi sedeva e mi faceva odorare un tappo bagnandomi il naso di olio e sorridendo mi diceva “Ven che amboteglioma ra conserva!”
In Corso Scagliola l’aia di Marello non c’è più, ma quando passo sento i profumi e le risate di un tempo,di quando le mani di Augusto erano unte di olio di oliva , quelle di Maria odoravano di conegrina e il grembiule di Lea profumava di lavanda,ne metteva un mazzolino nella guardaroba e fungeva da antitarme.