lunedì 16 dicembre 2024

RIVETTI DARIO NEIVE 1921

 


  DARIO                             DANTE
                                                  


Dario e Dante Rivetti Alpini con “LA FORTUNA NELLO ZAINO”

 

Dario Rivetti, classe 1921 esordisce dicendomi: < non so se sia bello dirlo ma, ho maturato questa idea, io e mio fratello PARTIMMO per la Russia  CON LA FORTUNA NELLO ZAINO>  Incuriosito lo invito a chiarirmi meglio, e lui < adèss è trà spiègh!>(ora ti spiego)

Quando fui arruolato da recluta ebbi come incarico “Radiotelegrafista” ma qualche giorno prima della partenza per la Russia mi feci cambiare l’incarico in “Conducente muli”. Il vecchio Capitano al colloquio precedente la partenza leggendo nei documenti del cambio di incarico mi disse: “bravo Rivetti, ricordati che il mulo ha la coda molto lunga!” E devo dire che i muli ci salvarono la vita. Parlo al plurale poiché partimmo io e mio fratello Dante del 1920. Sempre nei giorni prima di partire dovetti scambiare parole dure con un sergente maggiore. Venne a salutarci mio padre a Cuneo, lo vidi davanti alla Caserma e d’istinto uscìi a salutarlo. Fui fermato da quel Sergente che mi intimò di rientrare e mi mandò a rapporto dal Capitano. Questi ,più comprensivo, consentì a noi due fratelli di andare in libera uscita col papà. La cosa non fu gradita da quel graduato che tuttavia, pensando fossimo raccomandati, ci trattava con timore e non ci comandava più.

https://youtu.be/jk2O_00Zwvg       

LA CODA DEL MULO E' MOLTO LUNGA

Si viaggiò per quindici giorni con la tradotta e poi per quindici giorni a piedi con lo zaino in spalla e arrivammo in Russia attraverso il confine con la Polonia. Fu durante quelle lunghe marce che compresi che la fortuna era con noi: Ricordando le parole del Capitano sovente ci facevamo trascinare dal mulo attaccandoci alla sua coda e mentre gli altri venivano sgridati malamente, a noi , quel sergente prepotente non diceva nulla e sembrava avere timore. I muli furono un altro motivo di fortuna. Io avevo un mulo valido ma dava l’impressione di essere scarso, invece Dante aveva una mula inaffidabile. Per questo quando arrivò l’ordine di inviare i muli migliori avanti verso il fronte, noi seguimmo i nostri nelle retrovie situate  sette otto chilometri più indietro. Fin verso Natale tutto procedette tranquillo poi arrivò l’ordine di sorteggiare gli alpini più giovani da inviare in prima linea. Anche in questa occasione la fortuna ci baciò e rimanemmo nelle retrovie finchè giunse l’ordine della ritirata,  il 6 Gennaio del ’43.

DUE MESI DI RITIRATA

Con un gelo terribile e un freddo enorme iniziò la ritirata. Io avevo il mulo e una slitta sulla quale caricai tutto ciò che trovai: Vestiario e coperte. Si viaggiava incolonnati ma distanziati di una cinquantina di metri. Il freddo era intensissimo (-30° e forse più) non si poteva salire sulla slitta per più di qualche minuto perché si gelava se non ti muovevi. Si procedeva di notte e una sera mi incontrai con mio fratello, parlammo un po’  e quindi tornammo ai nostri muli. Al mattino si raggiunse un paese e cercando mio fratello trovai soltanto i suoi muli. Chiedendo notizie, riuscii a sapere che il freddo gli aveva fatto perdere il senso e si era perso dalla colonna. Vagò da solo ma raggiunse una postazione della fanteria che gli prestò le prime cure. Nel levargli gli scarponi scoprirono che aveva i piedi congelati. Dopo alcuni giorni un caporal maggiore mi cercò per avvisarmi che mio fratello era stato ricoverato dalla Fanteria accampata all’inizio di quel paese forse Opit. Lo caricai sulla slitta e lo trasportai finchè incrociammo un camion italiano che caricò i congelati. In quel frangente arrivò l’avviso di riprendere la ritirata poiché c’era il rischio di essere presi prigionieri dei russi. Fu così che mio fratello raggiunse la frontiera polacca da dove in treno fu condotto a Igea Marina e ricevette le cure idonee. Io continuai la marcia fino al 13 Marzo, procedemmo per più di due mesi. All’inizio ci muovevamo giorno e notte poi di notte prendemmo a fermarci. Eravamo in condizioni terribili, per ripararci dal gelo avevamo tolto gli scarponi che favorivano il congelamento dei piedi, poiché nelle fessure dei chiodi si infiltrava l’acqua che ghiacciava. Con delle strisce di coperta realizzammo delle pezze da piedi che almeno ci proteggevano. I partigiani russi ci attaccarono alcune volte ma riuscimmo a difenderci, anche perché con le pattuglie si cercava di prevenire i loro attacchi.



“I Russi era una grande brava gente!”


Durante questa marcia lunghissima “a rabèl jera gnènte”(sparso non c’era nulla), lungo questa strada ogni tanto si trovava qualche casa, non dei borghi ma “di pais pèr long.”La gente Russa ci ospitava e ci dava quel poco che aveva e che conservava nelle buche scavate sotto le Isbe affinchè non gelasse.

Finalmente notizie di casa

 Dopo un mese di convalescenza a Vipiteno ebbi 15 giorni di licenza, e fu a Torino alla stazione di Porta nuova che Davidin Vacca, incontrato casualmente, mi riferì che mio fratello, insieme ad altri della ritirata di Russia era già a casa. 

 

Dopo la licenza si rientra in Caserma

Ritornato alle Casermette a San Rocco Castagnaretta, ci rimasi un po’ e poi tutti gli alpini furono trasferiti al Brennero. Fummo sistemati chi al di qua chi aldilà dell’Adige. Non ci fu neppure il tempo di ambientarci che una sera suonò la ritirata dalla libera uscita prima del tempo. Il comandante della Compagnia, tal Meinero di Cuneo “un  ardì” (in gamba) ci radunò e disse” E stato firmato l’Armistizio, ma non è l’ora di ubriacarsi e festeggiare bensì l’ora di scegliere le decisioni opportune!”.

Vedendo arrivare dei carri armati tedeschi capimmo che era meglio andarcene per evitare di essere inviati in Germania. Superammo gli alti muri della Caserma già illuminata dai grandi fari dei nazisti e ci demmo alla fuga. In tredici procedemmo per una notte ma al mattino ci videro e ci spararono due granate che per “fortuna” esplosero vicino ma senza creare danni. Procedemmo evitando sentieri e mulattiere per evitare di essere arrestati e scalando dei valichi arrivammo in Val di Fiemme. Stanchi e affamati ci rivolgemmo alla gente di un paesino e nonostante fossero già passati altri sbandati ci aiutarono.

Incontrai una ragazza ma…

In una baita di quel paese incontrai una ragazza che non solo ci aiutò ma voleva che mi fermassi, e si adoperò con suo padre affinchè potessi nascondermi con un altro  compagno toscano in una baita di loro proprietà in un alpeggio. Ci lasciammo convincere a rimanere e restammo otto giorni. Si mangiava solo polenta e latte però almeno fummo al sicuro. Poi sapendo che la via per Trento era libera, riprese il desiderio di tornare a casa e nonostante quella ragazza mi avesse dato una lettera e una fotografia ringraziai e me ne tornai a Neive.

lunedì 2 dicembre 2024

CASTAGNO FERDINANDO NEIVE 15 5 1922














 CASTAGNO FERDINANDO NEIVE 1922 

di Margherita Masoero 1899 1983   e di Stefano "Stevu" 1893 1966

ebbe una sorella che morí giovane di Tbc.

Fu arruolato nel 4° RGT di Cavalleria "Nizza" nel 1943 era sul fronte Greco Albanese ed il 9 Settembre come ha ricordato Cardino Ferdinando del 1921, fu deportato in campo di concentramento a Buchenwald, Bergen Belsen, e infine allo stabilimento di Tanne , nome in codice Tanne , che fu un'ex fabbrica di esplosivi nella periferia orientale di Clausthal-Zellerfeld.,  Dalle testimonianze di Cardino Fernando, Galliano Luigi, Bosio , Destefanis Ernesto, Rapalino Gigi, Agosto Giacinto ,Francone Oreste, Francone Luigi,Salvetti Renato ecc., possiamo riportare come fu la vita nel campo di lavoro anche per Castagno Ferdinando. In molti hanno raccontato anche dei bombardamenti degli alleati.

Il 7 ottobre 1944 alle 12:30, 129 bombardieri pesanti B -24 “Liberator” dell’aeronautica americana che trasportavano 384 tonnellate di bombe attaccarono la fabbrica di esplosivi. Il bombardamento durò solo dieci minuti, con 493 delle 1.743 bombe sganciate che colpirono l'area della fabbrica e i circostanti campi di lavoro forzato . Anche la ferrovia e diversi edifici di Clausthal-Zellerfeld hanno subito gravi danni e l'edificio della reception è stato quasi completamente distrutto. 92 persone morirono, la maggior parte delle vittime erano lavoratori forzati. Anche il numero delle perdite nella fabbrica fu relativamente basso perché il 7 ottobre 1944 era un sabato e nella fabbrica non c'era lavoro a causa della mancanza di materie prime.

 

Dal Ricordino conservato dalla TESTIMONE della Memoria Estelia Bacino rileviamo, da quanto riportato dallo storico Tipografo neivese, Abaldo che Nando si comportò eroicamente anche sotto un bombardamento. Sia pur ferito, caricò sulle spalle il più grave suo superiore e raggiunse    l'  Ospedale per fargli prestare le cure di cui necessitava. La propria ferita, a causa del grande sforzo effettuato nel trasportare l'amico, gli procurò il dissanguamento che lo condusse alla morte. Fu sepolto nel Cimitero di Clausthal Zellerfeld e tuttora le sue spoglie riposano lì. Papá Stefano e mamma Margherita raggiunsero i loro due figli   dopo una lunga vita di lavoro e senza neppure,a quanto ci risulta, la consolazione di una decorazione di  riconoscimento per il loro figliolo che sacrificò la vita in guerra. Lo Onoriamo con un RICORDO FORTE e gli dedicheremo una PIETRA DELLA MEMORIA affinché non si Dimentichi! RIPOSA IN PACE FERDINANDO CON TUA MAMMA PAPA' E SORELLA.

 

 

STORIA DEL 1° RGT "CAVALLERIA NIZZA"

.................Nel corso del secondo conflitto mondiale il reggimento ha operato sul fronte occidentale, in Jugoslavia e Francia, alcune sue aliquote in Tunisia. Nel 1942 il reggimento con i due gruppi squadroni montati a cavallo, facente parte della 2ª Divisione celere "Emanuele Filiberto Testa di Ferro", venne inviato quale truppa di occupazione in Francia. Il III Gruppo corazzato venne invece inviato in Nordafrica inquadrato nella divisione corazzata "Ariete". Nei mesi successivi alla sconfitta di El Alamein, il III Gruppo corazzato "Nizza" svolse anch'esso insieme alle unità motorizzate superstiti e a quelle nel frattempo affluite dall’Italia, compiti di protezione del ripiegamento delle fanterie verso la Tunisia, dove ha combattuto il 3 febbraio 1943 a Bir Soltane ed a Ksane Rhilane e nuovamente a Bir Soltane tra il 10 e il 20 marzo affrontando da solo l'attacco di una colonna neozelandese sino a quando, investito da ingenti forze corazzate, fu costretto a ripiegare.
Il Reggimento sorpreso dall'armistizio, mentre era in trasferimento sempre a cavallo dalla Francia verso l'Italia, fatto rientrare nella caserma di Torino su ordine del Comando di Piazza, viene catturato dai tedeschi.  Il IV Gruppo squadroni corazzato "Nizza", basato su due Squadroni misti, uno armato con carri leggeri L6/40 l'altro con autoblinde AB41 operò invece in Albania. Alla fine del 1943 viene costituito a Cava dei Tirreni lo Squadrone esplorante "Nizza Cavalleria" che prese parte, nel giugno del 1944, con il IX reparto d'assalto, alla liberazione dell'abitato di Cingoli, partecipando poi alla campagna per la liberazione dell'Italia, inquadrato nell'8ª Armata alleata, con il II Corpo polacco del generale Anders.

Il CAPORALE CASTAGNO FERDINANDO fu preso prigioniero in Albania e quindi non ebbe modo di partecipare ai fatti sotto descritti, ma pare utile ricordarli per onorare i suoi Commilitoni e tutto il reggimento.

Gli eroi ignorati dell'ultima carica di cavalleria TORINO, 11 settembre 1943. I tedeschi hanno da poco occupato la città e stanno deportando i soldati italiani sbandati dopo l'armistizio del giorno 8. Sono quasi le tre del pomeriggio quando fra corso Stupinigi (oggi corso Turati) e via Sacchi, all'altezza del cavalcavia di corso Sommelier, compare una colonna di dragoni del Nizza Cavalleria. Sono a cavallo, disarmati e scortati dai militari di Hitler a bordo di camionette. Li stanno conducendo a Porta Nuova, da dove partiranno sui treni peri campi di concentramento in Germania. UN GRUPPO di donne torinesi, che sa che cosa sta succedendo, si è radunato intanto in corso Sommelier. Madri, mogli, sorelle, cittadine comuni, assistono al passaggio dei soldati. A un tratto cominciano a gridare loro di scappare. Allo scopo hanno lasciato aperti i portoni delle case vicine. Approfittando dell'arrivo del trenino di Orbassano, le donne buttano dei sassi per fare imbizzarrire gli animali e creare il caos propizio per la fuga. A quel punto, allora, i dragoni decidono di muoversi. Parte la carica. Con i loro cavalli si gettano all'impazzata in mezzo ai tedeschi, che rispondono sparando. I nostri cercano rifugio negli edifici attigui; la gente del quartiere li mette in salvo. Negli occhi dei torinesi e degli invasori si fissa quell'immagine: l'ultima carica del Nizza Cavalleria, l'ultima nella storia della cavalleria italiana. Una nazione che si rispetti e che, soprattutto, abbia rispetto per la memoria e per la verità storica, avrebbe da tempo immortalato la carica disperata dei cavalleggeri del regio esercito. Invece questa pagina nobile ed eroica è stata completamente dimenticata, tanto che non appare nei libri di storia e neppure negli archivi reggimentali. Gli storici e le autorità militari hanno preferito collocare l'ultima carica della nostra cavalleria durante la guerra di Russia, nell'agosto del 1942, o, tutt'al più, nella campagna di Jugoslavia, nell'ottobre di quel '42. Non è così. L'episodio torinese, quanto fece il Nizza Cavalleria nel settembre del '43, sono emersi per la prima volta diversi anni fa. Fu lo scrittore Oreste Del Buono, che teneva su "La Stampa" una bella rubrica di corrispondenza con i lettori, a portarli alla luce in seguito alle lettere inviategli da alcuni protagonisti dei fatti. Poi il silenzio li inghiottì nuovamente. Adesso, in occasione del settantesimo anniversario dell'8 settembre '43 e dell'inizio della Resistenza, viene ricordata meritoriamente dallo scrittore e giornalista Claudio Canal, che la racconta sulla sua pagina di Facebook. Si farà di più: mercoledì prossimo, per l'appunto l'11 di settembre, l'estrema carica del Nizza Cavalleria sarà celebrata alle 18.30 sotto i portici di via Sacchi, all'angolo con via Governolo, con una cerimonia «semplice ed autogestita». Come autogestito e semplice, nel senso dell'umano afflato di libertà, fu il comportamento dei cavalleggeri italiani








lunedì 21 ottobre 2024

SOTTIMANO LEONE BRUNA NIELLA BELBO

 

https://youtu.be/k4aGoLzYIlg                    

                         agosto 1944

https://youtu.be/g8RB8DisJcY                   

uccisero mamma e papà

https://youtu.be/pghggucbOag                     

senza mamma e papà

https://youtu.be/nHVueBUj924                  

 A 21 ANNI MI SPOSAI



Bruna Sottimano: Era il 2 Agosto 44. Mio fratello aveva 7 anni e mezzo   ed io ne avevo 5. Mamma Carmelina era incinta del terzo figlio. Già da qualche giorno, noi che abitavamo nelle cascine del Belbo vedevamo che i Partigiani andavano e venivano con agitazione. A Bossolasco erano arrivati i Tedeschi. Un anziano, Vigin “do Scairon”, che viveva in un Ciabòt in località "Lomont" aveva avvisato mio nonno paterno Lorenzo Sottimano e nonna Pugni Teresa che abitavano più vicino al Belbo,che aveva sentito dire dai nazisti: <nei prossimi giorni andiamo giù e facciamo piazza pulita!>  Noi, con lo zio si abitava più su, a Pian Cireza dove mio papá e mio zio avevano sposato due sorelle Fracchia. Comunque, avendo saputo della venuta dei nazisti, mio padre prese una coppia di manzi , una di buoi e alcune altre bestie, passò dai nonni e riferì che si sarebbe recato a portarle presso un Ciabòt di nostra proprietà oltre Belbo. Invece, mio zio Paolo marito di zia Caterina, andò più sopra in modo che nascondendosi tra gli alberi avrebbe potuto osservare cosa succedeva nella nostra cascina. I nazisti scesero da Bossolasco con il camion e lo lasciarono alla prima curva. Scesero a piedi alla cascina “Tevla” e poi alla cascina Miani. Incontrarono il povero Vigin e lo spintonarono e maltrattarono per poi lasciarlo malconcio in un fosso. Lui, anche dolente si riprese e zoppicando raggiunse la sua casa, che era quasi a Bossolasco. I nazisti scesero a piedi e trovando due camion minati dai Partigiani, uno al bivio per Feisoglio e uno all'inizio della strada che porta da noi a Pian Cireza, li sminarono e bruciarono due Ciabòt dei paraggi. Salirono anche da noi e con modi brutali chiedevano: <Ribelli, dove Essere ribelli?> Chiedevano anche a me, che avrei compiuto 6 anni a fine anno! Io rispondevo che non c'erano i ribelli! Loro però bruciarono tutto! Presero dei balòt di paglia e li incendiarono in cucina, nella sala, ovunque. Noi 5 Bambini la mamma, la zia e la nonna eravamo fermi davanti al forno dove si cuoceva il pane e ci minacciavano con le armi. Un soldato ci ordinava di andare in casa anche se c'erano le fiamme ed un altro di tornare al forno.

Intanto mio padre dal ricovero oltre Belbo era preoccupato al vedere tutte quelle fiamme e fumo. Decise di venire più vicino e di appostarsi per vedere cosa avessero fatto e se noi fossimo in salvo. Lo videro e ricordo che gli intimarono di venire avanti con le mani in alto, lui aveva una zappa in spalla e diceva che non era un bandito! Anche mamma che doveva partorire ad Ottobre,  spiegava che era suo marito, il padre dei suoi figli! Questi continuavano a spianare le armi e presero papá e mamma. Li fecero procedere spintonandoli fino alla casa dei nonni giù nel Belbo.Qui allontanarono i nonni che tentavano di spiegare che erano il loro figlio e la moglie. Li portarono  prima alla casa che era servita da deposito dei Partigiani, poi a una casa dove presero i due che vi abitavano, bruciarono tutto e li lasciarono subito.Tornarono su a Pian Cireza e sempre furiosi dopo un po' ripresero mamma e papà e facendoli marciare davanti come ostaggi li condussero alla casa di Vignale Carlo, il papà di Mariuccia che ebbe poi l'osteria a Bossolasco. Carlo al vedere mio padre e mia  madre in mezzo a quei soldati prese a correre nel campo di grano di fianco a casa, ma fu raggiunto da una raffica e fu così ucciso.

VIGNALE CARLO GIORGIO di LUIGI

BOSSOLASCO (CN) il 13/02/1890 NIELLA BELBO

Contadino

Luogo di morte: NIELLA BELBO (CN/I) il 02/08/1944

 

I miei li trucidarono davanti alla casa del nonno e li lasciarono morti nell' acqua. Al sentire le urla di mia mamma, dopo tre ore accorsero "la Lunga" e Paolina di Brissio che  era sorella di mia nonna e trovarono papà e mamma morti nell' acqua, il bimbo in grembo era ancora vivo.

SI RIMASE LÌ SENZA MAMMA E PAPÀ

Le case di Pian Cireza bruciate, furono abbattute, ecosì non avevamo più nulla. Il tetto della stalla aveva tenuto e così furono riportate le bestie che papà aveva salvate e i nonni materni rimasero anche loro nella stalla. Noi e la famiglia dello zio andammo a vivere giù dai nonni Sottimano e vedevamo continuare la guerra. Sentivamo sparare alla Località “Porera” e vedevamo sia i lanci che gli alleati effettuavano per i Partigiani, e lo capivamo dai fuochi che accendevano per segnalazione, sia gli aerei tedeschi che sganciavano bombe. Una volta una bomba cadde a una distanza di duecento metri dalla casa del nonno e non rimase più intatto un vetro!

Dopo una settimana dalle uccisioni dei miei si viveva in dieci nelle due camere ma iniziarono i bombardamenti. così il nonno ci insegnò a procedere carponi per raggiungere il bosco. Con i buoi ci portò qualche materasso e coperta e rimanemmo nel bosco quattro o cinque notti.

Finita la guerra, per me e mio fratello rimase la tristezza di essere orfani. La scuola era distante come da Niella alla Madonna dei monti, ma il peggio era che vedevamo gli bambini che ad attenderli all’uscita avevano sempre qualcuno! Noi non avevamo nessuno che venisse a prenderci! Fu una fanciullezza triste e ancora quando mi sposai mio fratello Lorenzo osservando tutti i parenti mi disse abbracciandomi: < …ci sono tutte le zie con le loro famiglie, ma mancano MAMMA E PAPÀ!> 

DA ORFANI

Crescemmo in una situazione di ostilità! “Noi eravamo di troppo” Fu nominato come Tutore il nonno materno Fracchia Serafino con la nonna Rosso Secondina che ci accolsero nella loro casa, ma vi era anche la famiglia di una zia con le sue due figlie!

Le cugine proprio cattive, essendo più grandi di qualche anno, ci maltrattavano o e ci mandavano sempre nella stalla. Il nonno materno Serafino morì quando io ebbi 18 anni. 

Conobbi Amerigo, un uomo più grande di nove anni e l'avrei sposato subito, pur di togliermi da quella casa che non mi aveva mai voluta, ma i nonni, pur sapendo che era un uomo buono non lo ritenevano un  buon Partito! Era Povero!

Dovetti attendere fino a che ebbi 21 anni. Li compii a Dicembre e a marzo ci sposammo! Venni in paradiso! L'anno dopo ebbi il primo figlio. Aprii la bottega di alimentari e l'ho tenuta in attività per 61 anni. Dovetti chiudere perché lo scorso anno, ad 86 anni, sono caduta e dovetti andare in ospedale per la prima volta dopo i due parti. Ho avuto la fortuna di aver avuto tanta salute e rimboccandoci le maniche, dimostrammo ai parenti che mi dicevano" ut fà fé dra fam!"ti fa fare la fame, che c'è l'avremmo fatta! E così è stato.

Io lavoravo al negozio e accudivo le mucche, Amerigo e poi i figli lavoravano la terra. Al nonno che mi diceva che era Povero io dicevo che lui però era buono e a me il lavoro non faceva paura. Preparavo le tume,

                       FASELLE forme per le tome
andavo a fare la spesa per il negozio ogni lunedì. In ospedale mi chiesero quante pastiglie prendessi e quando dissi che prendevo solo una mezza pastiglia per la pressione, rimasero stupiti. Sicuramente ho avuto la protezione di  mamma e papá.
         BRUNA SULLA PORTA DEL SUO NEGOZIO

giovedì 17 ottobre 2024

PROGLIO MARCHETTI ANNA

 


Anna Proglio in Marchetti

In Cantabusso vivevano i Proglio . Celestino detto Roch faceva èr Caglié “CALZOLAIO”. Ricordo che vi abitava uno chiamato “Giospon”  e venne ad abitare uno ch’ìi divo Gioanin èd Panfron che svolgeva il lavoro di “Mèi da bosch”FALEGNAME. Nella fotografia si intravedono le assi usate per il suo lavoro.


 


LA NONNA DI LUCIANO MARCHETTI mio marito

La nonna aveva nome Ferrero Caterina (Catlinin) era nata nel 1870 e morì nel 1960. Espletava l’opera di “Levatriz”(Ostetrica) gratuitamente. L’unico compenso consisteva nell’invito al Battesimo con annesso pranzo. Mi ricordo che se qualcuno non la invitava “A srà piava!”(Le dispiaceva e si offendeva!) “A rà portà”(Ha fatto nascere) tutè èr masnà fina ar cinquanta o giù da lì” (tutti i bambini fino al ’50 circa).

Praticava da sola e solo in casi difficili faceva chiamare il medico!

Quando nacque Marisa ,mia sorella, siccome era un parto gemellare”ìi no jéra ancò un!”(c’era ancora un bambino) fece chiamare Dotor Galòt.

Catlinin la ricordo bene! Era alta “tuta mè suocero” assomigliava molto a mio suocero DOLFO. Arrivava in Chiesa con le mani “giunte” e dall’Arditao pregava sempre. Nel banco trovava sempre un mattone caldo avvolto in un panno che le metteva Lena la Perpetua. Lei posava sopra le mani con la Corona e continuava a recitare il Rosario.

LUCIANO

Anche quando alla Masseria nacque Mauro Mossio,siccome era un parto complicato fece chiamare Galòt che arrivò rapidamente .A noi bambini, che stupiti dicemmo “già sì?”(già qui?) rispose :Quando Catlina chiama è perché c’è grande difficoltà, altrimenti “A s’arangia da sola!”(Si aggiusta da sola!)   

Di mio nonno Gioanin non mi ricordo, all’Arditao c’era l’Osteria che teneva mia madre Carola con la Tabaccheria e c’era la bottega di Merceria e vendita stoffe della “Magna èd Dante dèr Brichètt”



  . Praticamente il paese era lì. Mio padre Dolfo svolgeva le attività di “caglié”(calzolaio) da inverno e di Ressìin nella bella stagione. A Bossolasco c’era una azienda grande che produceva scarpe e  lui, prima andò ad imparare il mestiere poi si mise in proprio. Aveva sempre dei mucchi di scarpe da “Arsoré”(Risuolare o riparare).  

 











lunedì 14 ottobre 2024

EIRALE GIUSEPPE BORGOMALE 1921

 


 


EIRALE GIUSEPPE “PINOTO”

https://youtu.be/7Zl8PilCEMo    

INTERVISTA 7 LUGLIO 2017

BORGOMALE ”VILLAIO” della leva del 1921, dice che di nove coscritti è rimasto solo lui.

<La mIa fortuna fu nell’essere risultato “rivedibile” alla Visita di Leva. Altrimenti ”sarìa co partì mì pèr rà Russia” (Sarei partito anch’io per la Russia). Così partii soldato con un anno di ritardo e fui arruolato nella Guardia di Frontiera. Ero al confine con la Francia, presso un Forte con altri 15 compagni a effettuare il Servizio di guardia. Intanto che eravamo lassù, avvenne “ro sbandamènt”(lo sbandamento dell’8 settembre) e scendemmo, prima a Sant’Anna di Vinadio e poi a Borgo San Dalmazzo. Prendemmo il treno ma quando fummo a Cuneo trovammo già i tedeschi che arrestavano i militari. Mi nascosi nella zona W.C. del treno e attesi che il treno ripartisse. Rimasi nascosto con altri 7/8 militari della zona di Alba trattenendo il fiato e sperando di non essere individuati. Quando il treno a tarda notte si mosse fummo più tranquilli! Scesi a Mussotto dove avevo una zia e mi feci dare degli abiti borghesi, quindi mi avviai per raggiungere Borgomale. Dei miei compagni qualcuno andò in Alba , fu arrestato dai tedeschi  e deportato in Germania. Due di questi morirono in prigionia.

Giunto a casa, scelsi di non andare con i Partigiani e di aiutare la famiglia. Non fu facile poiché bisognava continuamente nascondersi per evitare di essere presi dai nazifascisti che effettuavano rastrellamenti alla ricerca di “ribelli” e giovani in età di leva o come me ”Disertori”.

Ricordo che un giorno andai con la famiglia a lavorare in una “Riva” sotto casa, quando fu Mezzogiorno i genitori e la sorella tornarono a casa. Attesi che la sorella venisse ad avvisarmi se tutto era tranquillo, poiché avevamo notato che nel nostro cortile vi erano i fascisti che con il cannocchiale osservavano alla ricerca di Partigiani. Dopo un po’ la sorella venne ad avvisarmi che se ne erano andati e quindi potevo tornare a casa. Quando fui alla cima del pendio per entrare nel cortile vidi un tedesco che attraversava  e veniva nella mia direzione per piazzare la mitraglia, fui sorpreso ma continuai e andai dove avevo un mucchio di letame e presi a caricare la carriola. Sentii lo sguardo del militare ma non mi voltai e procedetti nel lavoro. Il tedesco non mi disse nulla e dopo un po’ se ne andò. “se antèss momènt là rèisso sagname r’avrìo troamne manch na stissa!”( Se in quel momento mi avessero prelevato il sangue non ne avrebbero trovato una goccia).

Un’altra volta, io e due miei compagni fummo avvisati che stavano arrivando i Repubblichini e tedeschi “mèscià”(mischiati,insieme). Era l’ultimo giorno di Carnevale e con i compagni al mattino avevamo aiutato il vicino di casa a “massé èr crin”, già pregustavamo la festa che sarebbe seguita all’uccisione del maiale, e invece dovemmo nasconderci. Ci eravamo costruiti un nascondiglio che aveva delle feritoie nel muro posto sulla strada e così potevamo vedere l’arrivo della colonna. I repubblichini avevano una fisarmonica e fecero festa proprio dal vicino dove avremmo dovuto essere noi a mangiare e bere. Avevamo una gran voglia di menar le mani, ma dovemmo attendere che se ne andassero per uscire e festeggiare anche un po’ noi!.>

IL PARTIGIANO “CELSO”  GANDOLFO

 PARTIGIANO GANDOLFO CELSO nome di battaglia”CELSO” BORGOMALE 22/06/1924

Meccanico Aggiustatore

ALPINO II RGT ARTIGLIERIA

PARTIGIANO 6° DIVISIONE GARIBALDI DAL 09/09/’43 AL 27/04/’44

CATTURATO A SANTO STEFANO BELBO IL 27 APRILE 1944 

DEPORTATO E DECEDUTO A GUSEN MAUTHAUSEN

PINOTO:<Ricordo che Celso era un mio vicino di casa e amico. Lui dopo l’otto Settembre andò con i Partigiani Garibaldini e mi diceva sempre di aggregarmi. SeppI che durante un’azione a Santo Stefano Belbo, Celso con un altro compagno “ran faje frègg” (li hanno freddati, uccisi).> Dalle mie ricerche ho scoperto che Celso fu catturato e deportato a Mauthausen Gusen(sotto campo terribile! Vedi racconti di Salvetti Renato).

DRAGO ALDO TREZZO TINELLA 1932

 


          DRAGO ALDO TRIFORAO con l'amico Carlo


                                 https://youtu.be/yEVSh0lz-QA      

 

ALDO DRAGO : l’intrepido Trifolao, dagli 8 agli 80 anni con più di duemila cani!”costumà” Addestrati.

Sono quasi settant’ anni che vado per tartufi, ho iniziato verso gli otto anni con mio padre quando si abitava ai Bordin di Treiso e devo dire che di “ trifore è rò rancane!” (di tartufi ne ho trovati!). La salute mi ha sempre accompagnato e ancora adesso, che ho ottant’anni, se qualcuno volesse fare una scommessa a chi arriva prima, a piedi, da qui (Val Tinella) fino a Mango sarei disponibile. Però non trovo nessuno! Forse han “pao èd pèrde”(hanno paura di perdere!). Una ventina di anni fa eravamo al Sergentin (cascina di Val Tinella) si faceva ancora “ra rosa a poé” (il gruppo a potare), eravamo in ventitre, qualcuno lanciò la scommessa a chi riusciva a portare due sacchi di guano da 50 chili dalla Cascina èd Gori al cortile del Sergentin e ritorno. Accettammo la sfida in una decina ed io che ero il più anziano completai il percorso degli ottocento metri con il quintale in spalla, mentre gli altri li persero per strada. La scommessa consisteva in una cena che mi fu offerta in Pertinace.

Duemila cani “costimà”addestrati da tartufi

Ho addestrato cani per dei Tedeschi, per gente di Tortona ,Vercelli e ultimamente per un gruppo del Sud Africa e uno della Norvegia.

Non vi svelerò il segreto per addestrare i cani ma vi dirò soltanto che “mi ai can èi veui bèn!” (io ai cani voglio bene!),parlo con loro e loro mi ascoltano. Basti dire che non ne ho mai perso uno. Purtroppo me ne hanno ucciso alcuni con il boccone avvelenato e ho persino pianto.

          Na trifora grossa pèi d’na mica èd pan!


                

Quella notte Lila annusò davanti a me, diede due raspate e si fermò, mi guardò e io le dissi “ a rè fora neh!?”,diede un’altra raspata e si rannicchiò ai miei piedi, allora mi inginocchiai e tolsi un po’ di sabbia con le mani per una superficie di venti centimetri, ne scalfii un pezzo e assaggiai, era proprio un tartufo. Non usai “èr sapin”(lo zappino), feci un buco molto grande ed estrassi “na bianca”(una trifola bianca)di un chilo e due etti. La vendetti al Commendator Ponzio.

          Tante soddisfazioni ma anche molti rischi.


Una mattina, era dalle otto di sera che giravo, incontrai due cacciatori, uno di questi fece un salto per scendere uno scalino di terra ma gli partì il colpo: non aveva la sicura! La rosa di pallini mi investì, ma devo ringraziare il giubbotto bagnato che aveva rallentato i pallini. Ne ho ancora sottopelle, ma lo spavento fu grande poiché sputavo sangue. I due cacciatori subito mi accompagnarono al Pronto soccorso e il Dottor Bubbio con la sua esperienza ci tranquillizzò. Spiegò che il giubbotto mi aveva salvato ma un pallino mi aveva centrato la faccia cicatrizzando la ferita esterna e lacerando l’interno della bocca. Infatti avevo una ferita nella guancia interna. Mi andò bene e son qui a raccontarlo! Dopo l’antitetanica mi accompagnò a casa mio fratello e ripartIi per tartufi preoccupando non poco il cacciatore che venuto a vedere come stavo non mi trovò a casa. Sgridò mia moglie perché mi aveva lasciato andare, “ah o rè sagrinasse bèn!”(ah era molto addolorato) per non avermi trovato! Come risarcimento per il danno procuratomi, mi avrebbe fatto assumere da Miroglio o alla Ferrero, ma non avendo la macchina e non essendoci la comodità della “corriera” rimasi a fare il contadino. Certo se avessi accettato il posto in fabbrica ora avrei una pensione ben più alta di quella dei Coltivatori, ma non avrei più trovato tanti tartufi!

Posti da cinghiali

Due anni fa mi è successa bella. Andai nello Rian (rocca) dei "Parod", che è proprio impervia. C’era tutto un “bossoré”(intrico di rovi e bossi) con il sentiero dei cinghiali, questa cagnetta novella “Lila” entrò nel sentiero, lo risalì per un po’ e tornò scodinzolando. Capìi che aveva annusato il tartufo e mi infilai con lei nel tunnel procedendo tutto piegato,quando fummo sul posto lei raspò e la fermai. Ubbidì come sempre e estrassi un bel tartufo di un etto. Il problema era uscire da quell’intrico, pensai un attimo e non trovai altra soluzione che proseguire nel sentiero dei cinghiali finchè sbucai alla località Parodi con la cagnetta che mi seguiva. Impiegai un’ora faticando ma il tartufo l’avevamo trovato.

 

 

Èr sogn ‘n trà carzà!( un sonnellino nella carreggiata)

Una sera, verso le nove arrivai ai Toninèt e i cani del cortile si misero ad abbaiare. Avevo già trovato i tartufi e non avevo piacere di farmi vedere, così, mi accucciai con la cagnetta nella fossa che aveva creato il carro e attesi che i cani si zittissero. Mi addormentai e quando riaprii gli occhi il prato attorno a me non era più verde bensì bianco “èd bruna”(di brina), non portavo l’orologio ma compresi che stava facendo giorno. Attraversai il Tinella e mi avviai verso i Barich per passare nella rocca di Neviglie, molto buona da tartufi. Neanche quella volta non presi il raffreddore!

La frana mi scoprì i tartufi

Dopo una settimana di pioggia, neppure le raccomandazioni di mia moglie mi trattennero dall’uscire con Zor, il mio cane, per andare nella rocca èd Rivaerta. Attraversai il Tinella che gonfio d’acqua, se sbagliavo la pietra mi avrebbe trascinato fino a Neive. Mentre a metà della rocca tiravo fuori un tartufo che Zor aveva fiutato sulla sponda vicino all’acqua, mi cade un ramo sulla schiena e il cane era agitato. Alzo gli occhi e vedo che si era staccata una frana grande come una casa che si portava dietro pini pietre e terra. Con un balzo ci riparammo sulla costa, appena in tempo per evitare di essere travolti. Certo ci fu lo “sbaruv!”, ma risalìi la rocca e proprio dove si era staccata la frana trovai più di chilo di tartufi.

 

Tartufi e pesci

Sempre in quell’anno, nella settimana di Natale, volli andare nei miei “Reu”, ma, tornando, per non farmi vedere da quelli del Sergentin, decisi di tenere il sentiero del Tinella. C’era il ghiaccio sul bordo del torrente e nonostante fosse ancora buio, con la Superpila(pila da trifolao),vidi un bel pesce che sgusciava sotto una pietra. Alzai la pietra e con grande sorpresa ne trovai altri otto dentro una piccola pozza, erano “Quaiastr” (cavedani) di tre, quattro etti l’uno. Li infilai nella tasca “cassadora”(posta dietro la schiena) e uscii dall’acqua bagnato fino alla pancia, con Zor che mi guardava stupito. Svuotai i gambali, mi tolsi le calze e mi avviai verso casa con il mio bottino di tartufi e pesci, il campanile di Trezzo batteva le otto.