giovedì 2 maggio 2024

BRUSCO EIRALE MALVINA 1927 SERRAVALLE LANGHE

 












BRUSCO MALVINA 1927 SERRAVALLE LANGHE

BORGATA CARRETTI

Mamma fu  BATTAGLIA MARIA 1896

Papà  fu GIOVANNI      1890 Cav. Di Vittorio Veneto

 

              FIORINA,PAOLO,MALVINA

 

MALVINA BRUSCO EIRALE 1927 Serravalle Langhe Borgomale

LA RAGAZZA CHE FACEVA CORRERE LE MONTAGNE

La famiglia era composta da mamma 1896, papà del 1890 con tre figli e vi era ancora la nonna paterna. La più grande era mia sorella Fiorina del 1923, poi c’era il fratello Paolo del 1925 ed io Teresa Malvina del 1927. La nonna, Garabello, Andò Avanti quando ebbe 92 anni.

Dalla Località Carretti andai a scuola nella Borgata Villa che era più vicina fino alla IV classe, la V venni a frequentarla a Serravalle dove vi era un Maestro in gamba che ci fece studiare tanta matematica e molte altre materie. Al termine delle elementari mi sarebbe piaciuto continuare e frequentare ad Alba le Magistrali, ma intanto vi era aria di guerra e avevo visto che mia sorella che aveva iniziato ad Alba aveva incontrato difficoltà., Così, scelsi di aiutare papà e fratello nei lavori che erano molti. Avevo da accudire le pecore e portarle al pascolo e andavo davanti ai buoi mentre il fratello arava. Addirittura, a volte insistevo,e il fratello mi concedeva anche di arare per qualche tratto. Pulivo anche la stalla dal letame poiché ero una ragazzina forte!

IO E LA NONNA

La nonna quando andavo al pascolo mi seguiva e veniva a raccontarmi della sua vita. A me faceva piacere e incuriosita le davo soddisfazione , invece mia mamma “ai dava nèn tanta tedià” (non l’ascoltava molto).

A me raccontava di quando si era sposata e che per due anni dette del voi al suo sposo. Mi diceva di essere prudente e siccome vedeva che a me piaceva parlare con le persone mi dava consigli.





                              Foto Murialdo


Ai suoi tempi, mi diceva, si facevano le veglie  nelle stalle ed era stupita ma felice che si continuasse a far le veglie in casa a giocare a carte e scherzare.

La nonna era una che raccontava storie di masche, ma aveva poco ascolto perché la gente non aveva tempo e non credeva più alle storie fantastiche.

LA NOSTRA CAMPAGNA

Noi in campagna avevamo tanto grano, la vigna e poi Il papà, quando tornò dalla grande guerra ebbe un intuizione, fu tra i primi a piantare nocciole “fu un’ottima idea!”. Lavorò e produsse molto e quando scoppiò la seconda guerra mondiale aveva 50 quintali di nocciole che dovemmo nascondere affinchè la polizia Annonaria non le requisisse.

Le nascondemmo sotto il pavimento di casa e si corse un grande rischio quando bruciarono la casa, ma fortunatamente rimasero sufficientemente protette e potemmo così venderle a guerra terminata al costo di venticinquemila lire al quintale.

   

AVEVO 14 ANNI E RICORDO TUTTO

Del periodo della guerra, ricordo tutto, sa!? avevo 14 anni e “facevo correre le montagne!”

Nel periodo della guerra, lavorando, non mancava nulla, fu dopo l’otto settembre che la guerra “brutta” tra partigiani repubblicani e nazifascisti ci arrivò in casa!” Mio padre Giovanni partecipò alla Guerra Europea del ‘15/’18 e riuscì a tornare a casa, suo fratello Francesco, che aveva studiato, morì a causa di una polmonite trascurata in un Ospedale da Campo.

BRUSCO FRANCESCO DI GIUSEPPE 22 Luglio 1895 Serravalle Langhe

Legione R. Guardia Di Finanza Di Torino

Morto a Fiumicino13 12 1918

Ospedaletto Da Campo N. 107 Malattia

I TEDESCHI A SERRAVALLE

Il fatto che portò i tedeschi alla nostra cascina fu innescato da due partigiani che spararono alcuni colpi in direzione della colonna tedesca che procedeva verso Bossolasco. I due partigiani fuggirono in direzione della nostra cascina e proseguirono oltre inoltrandosi nel bosco. Le truppe naziste li videro scappare e inseguendoli arrivarono fino da noi.

Io e mio fratello ci trovavamo in un un campo a lavorare con i buoi, i genitori, corsero a nascondersi e lasciarono la nonna ottantenne e uno zio disabile.

I nazifascisti non sentirono ragioni, dissero che avrebbero incendiato la casa perché avevano saputo che avevamo ospitato “due ribelli”.

Lo zio, fratello del padre li supplicò di non bruciare e li invitò a prendere il vitello e quanto volevano nella stalla e cantina e che avrebbe anche offerto un sacco di nocciole, ma di non rovinare la loro famiglia. Furono irremovibili, dissero che avevano ordine di incendiare per rappresaglia ogni cascina che avesse ospitato i Ribelli. Credo che vi fu una spiata poichè i Partigiani erano stati da noi una sola volta, evidentemente furono visti e venne effettuata segnalazione ai nazifascisti.

I tedeschi vennero parecchie volte alla nostra cascina, ma si trattava di controlli e non facevano danni, invece in quella occasione diedero un gravissimo danno alla famiglia, incendiarono l’abitazione, la stalla e tre portici. Per incendiare l’abitazione portarono della paglia in cucina e appiccarono il fuoco. Fortunatamente dopo circa un quarto d’ora se ne andarono e così lo zio, seppure invalido riuscì a spegnere la paglia e il fieno e a salvare almeno la muratura della casa. Andarono a fuoco i letti e le masserizie unitamente al vestiario. Fu un grande danno ma soprattutto un enorme spavento.

              

Io e mio fratello ci eravamo portati il necessario per pranzare in un fagotto e come sempre rimanevamo tutto il giorno ad arare. Dal campo, che era dietro a una piccola collina vedemmo salire del fumo e capimmo che a casa stava succedendo qualcosa di brutto, tuttavia non tornammo, come anche fecero i genitori che si nascosero e non uscirono dal nascondiglio fin quando comprendemmo che i tedeschi se ne erano andati.

Molte volte avevamo visto transitare i nazifascisti sulla statale per Bossolasco, ma quella volta si recarono alla loro cascina poiché mandati. Cercavano i Partigiani e i giovani di leva che non si erano presentati alla chiamata. Al tempo dei rastrellamenti i giovani di leva come mio fratello si nascondevano ed ogni famiglia aveva preparato dei “nascondigli” dove si rifugiavano i giovani. Quando ebbero timore che i nazisti per snidarli dessero fuoco alle case , si ingegnarono di costruire dei ripari nei muri in aperta campagna.

Due giovani che si nascondevano nei boschi furono comunque individuati e caricati su di un camion per essere deportati in Germania. Furono però “ardì” in gamba e riuscirono a saltare dal camion e a dileguarsi. Uno si chiamava Oreste Manera e l’altro non era del posto. Altri comunque furono deportati e patirono grandi pene in prigionia.

 

         

           Malvina col fratello Paolo ed altri giovani

 

                   

                            

Al termine della guerra si fece ricostruire la casa e il fratello si sposò. Dopo circa un anno la famiglia si allietò con la nascita di una bimba, ma purtroppo mia cognata morì. Lasciò una bimba di dieci giorni. Io avevo 17 anni e decidemmo di crescerla noi.

Io avevo ricevuto un anellino, da un amico, ma nulla di importante! D’accordo con i miei mi dedicai a Giovanna. La seguii nelle scuole e poi mio padre volle che frequentasse la scuola magistrale. Ancora giovane si sposò e prese la sua strada.

Io decisi anche di sposarmi e andai a vivere a Borgomale “Villaio” con Giuseppe Eirale. La vita trascorse veloce, con tanto lavoro, ma senza guerra! Ho lavorato tanto ed ora sono qui a raccontare.

              

        

              EIRALE GIUSEPPE “PINOTO”

BORGOMALE ”VILLAIO”della leva del 1921, dice che di nove coscritti è rimasto solo lui.

La mIa fortuna fu nell’essere risultato “rivedibile” alla Visita di Leva. Altrimenti ”sarìa co partì mì pèr rà Russia” (Sarei partito anch’io per la Russia). Così parii soldato con un anno di ritardo e fui arruolato nella Guardia di Frontiera. Ero al confine con la Francia, presso un Forte con altri 15 compagni a effettuare il Servizio di guardia. Intanto che eravamo lassù, avvenne “ro sbandamènt”(lo sbandamento dell’8 settembre) e scendemmo, prima a Sant’Anna di Vinadio e poi a Borgo San Dalmazzo. Prendemmo il treno ma quando fummo a Cuneo trovammo già i tedeschi che arrestavano i militari. Mi nascosi nella zona W.C. del treno e attesi che il treno ripartisse. Rimasi nascosto con altri 7/8 militari della zona di Alba trattenendo il fiato e sperando di non essere individuati. Quando il treno a tarda notte si mosse fummo più tranquilli! Scesi a Mussotto dove avevo una zia e mi feci dare degli abiti borghesi, quindi mi avviai per raggiungere Borgomale. Dei miei compagni qualcuno andò in Alba , fu arrestato dai tedeschi  e deportato in Germania. Due di questi morirono in prigionia.

Giunto a casa, scelsi di non andare con i Partigiani e di aiutare la famiglia. Non fu facile poiché bisognava continuamente nascondersi per evitare di essere presi dai nazifascisti che effettuavano rastrellamenti alla ricerca di “ribelli” e giovani in età di leva o come me ”Disertori”.

Ricordo che un giorno andai con la famiglia a lavorare in una “Riva” sottocasa, quando fu Mezzogiorno i genitori e la sorella tornarono a casa. Attesi che la sorella venisse ad avvisarmi se tutto era tranquillo, poiché avevamo notato che nel nostro cortile vi erano i fascisti che con il cannocchiale osservavano alla ricerca di Partigiani. Dopo un po’ la sorella venne ad avvisarmi che se ne erano andati e quindi potevo tornare a casa. Quando fui alla cima del pendio per entrare nel cortile vidi un tedesco che attraversava il e veniva nella mia direzione per piazzare la mitraglia, fui sorpreso ma continuai e andai dove avevo un mucchio di letame e presi a caricare la carriola. Sentii lo sguardo del militare ma non mi voltai e procedetti nel lavoro. Il tedesco non mi disse nulla e dopo un po’ se ne andò. “se antèss momènt là rèisso sagname r’avrìo troamne manch na stissa!”( Se in quel momento mi avessero prelevato il sangue non ne avrebbero trovato una goccia).

Un’altra volta, io e due miei compagni fummo avvisati che stavano arrivando i Repubblichini e tedeschi “mèscià”(mischiati,insieme). Era l’ultimo giorno di Carnevale e con i compagni al mattino avevamo aiutato il vicino di casa a “massé èr crin”, già pregustavamo la festa che sarebbe seguita all’uccisione del maiale, e invece dovemmo nasconderci. Ci eravamo costruiti un nascondiglio che aveva delle feritoie nel muro posto sulla strada e così potevamo vedere l’arrivo della colonna. I repubblichini avevano una fisarmonica e fecero festa proprio dal vicino dove avremmo dovuto essere noi a mangiare e bere. Avevamo una gran voglia di menar le mani, ma dovemmo attendere che se ne andassero per uscire e festeggiare anche un po’ noi!.

IL PARTIGIANO “CELSO”  GANDOLFO

 PARTIGIANO GANDOLFO CELSO nome di battaglia”CELSO” BORGOMALE 22/06/1924

Meccanico Aggiustatore

ALPINO II RGT ARTIGLIERIA

PARTIGIANO 6° DIVISIONE GARIBALDI DAL 09/09/’43 AL 27/04/’44

CATTURATO A SANTO STEFANO BELBO IL 27 APRILE 1944 

DEPORTATO E DECEDUTO A GUSEN MAUTHAUSEN

Ricordo che Celso era un mio vicino di casa e amico. Lui dopo l’otto Settembre andò con i Partigiani Garibaldini e mi diceva sempre di aggregarmi. SeppI che durante un’azione a Santo Stefano Belbo, Celso con un altro compagno “ran faje frègg” (li hanno freddati, uccisi). Dalle mie ricerche ho scoperto che Celso fu catturato e deportato a Mauthausen Gusen(sotto campo terribile! Vedi racconti di Salvetti Renato).

 











venerdì 26 aprile 2024

QUAGLIA RENATO MARESCIALLO CAPO CERRINA MONF. 1918

 

 


                          INCONTRO E INTERVISTA 1 GIUGNO 2023         
                         Attestato  Quale INTERNATO MILITARE NON                                                                                  COLLABORAZIONISTA



https://youtu.be/qXnVn29-XQA                Mi presento

 Sono Renato Quaglia nato alla Cascina Carisio di Pian Cerreto di Cerrina Monferrato Alessandria  il 25 Aprile 1918 da Maria Letizia e Domenico Stefano. Fui il primogenito di sei figli, quattro fratelli e due sorelle. Papà era Capo Mastro Muratore e mamma era casalinga. Mio papà suonava la fisarmonica ed il trombone, fu Sergente di Cavalleria e partecipò alla Guerra in Libia nel 1911/12 e a quella Europea del 1915 /18.

Io a sedici anni suonavo il violino e fui inserito nell’orchestra come primo violino.

https://youtu.be/C6aElIe8Hac       A 18 anni mi arruolai

A 19 anni mii arruolai nell’Arma dei Carabinieri. Fui Allievo alla Caserma Cernaia di Torino nel Reparto del III Btg. Allievi Carabinieri Reali di Roma e poi di Torino dove fui promosso Carabiniere. Feci parte del Drappello di Onoranze dei Carabinieri a Cavallo del Palazzo Reale. A dicembre 1940 fui mobilitato e inviato in guerra sul Fronte Greco Albanese con il VI Battaglione “Torino” . Fui sul "Timori" a "Tepeleni", "sul Senderi" e poi passai in Grecia a Missolungi.

Il 30 agosto partii da Atene diretto a Lubiana e l’otto settembre, a Novo Gradiska in Croazia. 

https://youtu.be/Oil5l1XjlJc                  l’8 Settembre 1943

In un’imboscata mi presero prigioniero e mi condussero a Küstrin in un campo di prigionia (Stam Lager IIIc) dell’esercito tedesco per i soldati alleati. Si trovava in una pianura vicino al villaggio di Alt Drewitz  nello stato di Brandeburgo, a circa 80 km ad est di Berlino in Polonia. Qui ci fecero le visite poi fui trasferito a Krausberg dove fui sottoposto ai lavori forzati in una cava. Quando arrivarono gli alleati ci liberarono e ci portarono in un campo dove rimasi per sei mesi

Noi non fummo dichiarati prigionieri di guerra bensì Internati Militari. A guerra terminata e rientrato in Italia Ricevetti una onorificenza con la Motivazione: “Internato in un campo di prigionia tedesco, rifiutava la Libertà per non collaborare con i tedeschi invasori”

Nel Campo si mangiava poco e si soffrì molto il freddo. Non si aveva più un nome e corrispondevo al numero 270 , non avevamo la Croce Rossa e nessuno si interessava alla nostra situazione. Solo una volta ricevemmo la visita del Nunzio Apostolico di Berlino che ci donò un Rosario e un libretto delle preghiere dell’Internato, una matita e un blocchetto di fogli insieme ad un pacchetto di sigarette Kaporal da dieci.

I CONTATTI CON I FAMIGLIARI

Per scrivere a casa ci davano una doppia cartolina dove si poteva solo scrivere “sto bene” poiché era soggetta a censura. Sull’altro lato mia mamma scriveva “ho ricevuto”.Tale cartolina, tuttavia, potemmo usarla solamente dopo sei mesi di prigionia e infatti la mia famiglia per sei mesi mi credette Disperso. Era infatti giunto a casa un documento che mi dichiarava Disperso. Dopo questi mesi seppero che ero vivo, grazie alle notizie della Santa Sede, ma non sapevano dove fossi.

Durante la prigionia, oltre alla fame, la fatica ed il freddo patii anche la paura dei bombardamenti. Verso le 22,00 arrivavano le Fortezze volanti a bombardare e noi non venivamo inviati nei Rifugi, ma portati in un canalone.I tedeschi erano molto severi ma non subii violenze. Solo una volta ricevetti un pugno in faccia da un tedesco borghese che mi punì per averlo “mandato a quel paese”.

In seguito fui nominato “Capo Campo” dei prigionieri italiani, ma la vita non migliorò, soltanto rappresentavo i miei compagni .

La mia permanenza via dall’Italia tra gurra e prigionia durò cinque anni Giunsi a Durazzo a Dicembre 1940 e tornai dalla prigionia a Settembre 1945 attraverso il Brennero. La guerra la feci tutta da aggregato al IX Reggimento Gruppo Alpini “Cividale” Mitraglieri “Conegliano” della Divisione Julia e combattevo con loro.

 




IN PRIGIONIA

Con me vi erano dei Carabinieri che avevano già più di 40 anni, ma tutti dovemmo adattarci al ricatto dei tedeschi. O si faceva come dicevano loro o morivi di fame.Noi scegliemmo di non accettare la loro proposta di unirsi a loro per combattere per Hitler. Facemmo la fame ma riuscimmo a sopravvivere. I tedeschi non ci davano da mangiare ma volevano vederci puliti. Ci davano in grande quantità, sapone, lamette da barba e spazzolini da denti! Ce ne davano da vendi! (in abbondanza!).

Ci mandavano a lavorare nelle fabbriche e lì ho incontrato i capi che urlavano molto, un sottocapo che non poteva vedermi e mi obbligava a svolgere i lavori peggiori. M non tutti i mali vengono per nuocere poiché fui mandato a lavorare nel reparto verniciatura dove trovai un capo che avendo due figli militari a Genova mi prese a ben volere e mi trattò bene e addirittura mi offrì protezione nascondendomi quando avrei dovuto andare a costruire delle trincee anticarro e a entrare nelle buche per attaccare le mine ai carri armati. Dapprima questo capo vedendomi così minuto, pesavo solo 56 chili, scherzò dicendomi che non sapeva che farne di un omino senza muscoli, poi si dimostrò benevolo e mi tenne nascosto per un mese dietro a un “pila di casse”. Nel frattempo arrivarono i russi a liberarci.

I RUSSI CI DISSERO DI ARRANGIARCI

Quando arrivarono i russi, non ci presero in carico e ci dissero che non avevano di che mantenerci, così noi dovemmo arrangiarci, fummo sbandati.

Premetto che del mio battaglione eravamo rimasti in 5 o 6, poiché molti erano deceduti per la fame e le malattie durante la prigionia.

Una volta, nel nostro girovagare, poiché non sapevamo che fare, fummo fermati da una pattuglia di tre russi. Uno di questi, vedendo gli alamari da carabiniere mi scambiò per un ufficiale tedesco e non c’era verso di spiegargli che ero italiano. Fortunatamente chiesi in francese di incontrare un ufficiale russo e questi ci condusse in un campo dove vi erano molte donne russe vestite da militare con dei centuroni e fucili. Mi portò nell’ufficio di un ufficiale al quale spiegai in francese chi eravamo. Questo fu molto gentile, si alzò e mi salutò militarmente poi mi chiese se avevo fame e al mio “oui, bocoup!” chiamò un’ausiliaria che mi portò in una dispensa e mi diede una grande pagnotta di pane e una confezione di margarina. Il sergente che mi aveva scambiato per un tedesco, vedendo il trattamento dell’ufficiale, volle scusarsi per avermi puntato il parabellum al petto ed estrasse una confezione di sigari e volle fumare insieme. Io non fumavo, ma per non creare incidenti accettai. Con una grande pacca sulla spalla mi donò tutta la scatola con i rimanenti sigari.

ALTRO INCIDENTE CON I RUSSI

In un altro caso, ci fermammo a riposare su di un paracarro e giunsero due russi con delle biciclette senza copertoni, erano evidentemente un po’ ubriachi. Si fermarono e chiesero ad un mio commilitone di dare loro l’orologio. Lo strattonarono un po’ poiché lui non voleva darglielo, poi ci riuscirono e se ne andarono. Il colega si mise a piangere, poiché teneva molto a quell’orologio, ma fortunatamente arrivò un auto con due ufficiali, un uomo e una donna russi e si fermarono a chiedere chi fossimo. Io, ancora nel mio francese stentato spiegai l’accaduto e questi raggiunsero i ladri, si fecero ridare l’orologio e lo riportarono.

martedì 16 aprile 2024

SOMENZI ELIA ANNICCO (CREMONA) 1928

 


ELIA SOMENZI -MEGHI MO- DONATO BOSCA – SINDACO GIGI FERRO 16 AGOSTO 2012

https://umanitanova.org/elia-somenzi/

 

ELIA SOMENZI 1928 ANNICCO (Cremona)

Ciao Elia Buon viaggio e Buona Luce!

Ti conobbi alla Canova di Neive il 16 agosto 2012, ti diedi un passaggio in auto per tornare ad Alba e durante il tragitto mi raccontasti alcuni fatti della tua gioventù che mi rimasero impressi e per quello mi proposi di venire ad ascoltarti con più tempo. Tu mi desti il N. di telefono ma mi anticipasti, con molta umiltà, che mi avevi raccontato già tutto. In effetti, ricordo che parlasti ininterrottamente, narrando e commentando e mi dispiacque di doverti lasciare in via P. Ferrero ad Alba, avrei ancora voluto ascoltarti. Mi annotai, subito alcuni nomi e parole della tua Testimonianza "fiume" e le tenni per trascrivere, eccole ora le posto in tuo Ricordo e so che ti faranno piacere. Ti chiedo scusa per non aver trovato il modo di riascoltarti e di non aver scritto prima di te. Ti prometto che per quanto mi sarà possibile racconterò la tua Storia sia su Face Book e nelle scuole dov'è porterò i miei "video testimonianze"

Il NONNO, MILANO, DON BUSSA, SUOR ANGELICA, IL PADRE CON IL CAMION, EBREI, GIUDEI, BAMBINI IN SVIZZERA, TREVIGLIO, BOTTE, DIFFICOLTÀ A PERDONARE!...............

Grazie Elia, non presenzierò al tuo Funerale, ma ti ricorderò insieme a tutti I PARTIGIANI CHE HO CONOSCIUTO. BEPPE

<Ho avuto modo di conoscere il fascismo nel 1933. Avevo 5 anni. Allora abitavo ad Annicco, in provincia di Cremona. Avevo uno zio che aveva un’officina per macchine agricole e un giorno ero in cortile che giocavo ed ho visto arrivare I carabinieri, che allora portavano il cappello col pennacchio. Sono entrati nell’officina e ne sono usciti con un giovane di 19/20 anni ammanettato.Quando sono andati via sono corso da mio nonno e gli ho chiesto cosa aveva fatto quel ragazzo, se aveva rubato, se aveva ucciso qualcuno e lui mi ha risposto;< no, vedi, quel ragazzo lì una sera era a ballare, in una “balera”, sono entrati due carabiieri e lui ha fatto questa battuta: diga un scapelot a chel cappellon lì”, ed è stato denunciato come pericoloso sovversivo, contro stato, governo contro tutto ed è stato portato all’isola di Ponza, in mezzo ad altri antifascisti. Allora mio nonno ha cominciato a raccontarmi cos’era il fascismo e cos’era successo in quegli anni. Poi nel ’34, ci siamo trasferiti a Milano perchè mio padre ERMANNO SOMENZI(convinto antifascista) era ispettore di tutte le filande di Veneto, Lombardia e Piemonte. A Milano , mio padre è stato contattato da Don Bussa, il prete dell’Oratorio del rione Isola, quartiere popolare, primo perchè Don Bussa cercava posti di lavoro per I ragazzi /e del quartiere e poi si è cominciato a parlare del problema ebraico. Più che ebrei li chiamavano giudei, tant’è che uscivano le prime caricature di questi personaggi grassi e con il naso adunco.. Io ho fatto la prima elementare metà a Milano e metà a Treviglio.In quei tempi si faceva prima ,seconda e terza con la Maestra e qurta e quinta con il Maestro. Un giorno ho sentito le Maestre che dicevano: < noi che insegnamo il fascismo ai nostri ragazzi e poi invece quando vanno in quarta e quinta tutti quei maestri lì che sono dei socialisti distruggono il nostro lavoro> A quell’epoca non davo peso a quelle cose , poi finita la quinta mi sono iscritto all’Avviamento Professionale, ne’38/’39, però tutte le mattine passavo a salutare la maestra che mi aveva aiutato ad inserirmi nella comunità trevigliese quando ci eravamo trasferiti. Una mattina passando, ho visto che non c’era più e mi hanno detto: < ..è molto malata, non guarirà mai più>. Ho capito poi perchè non è mai più guarita, aveva una malattia che si chiamava”Mauthausen”!.Due Prof. dell’avviamento , la Prof. di francese e il Prof. di Scienze, anche loro si “ammalarono” di quella malattia lì, e poi mi spiegarono che erano ebrei.Diversi compagni di scuola sono spariti anche lorro nei campi di concentramento. Quello che a me ha fatto specie è che dicevano che nessuno sapeva di queste cose. Non è vero che non sapevano, per me fingevano di non sapere perchè quando ha cominciato a partire la prima tradotta da Milano, dal famoso binario 21, e nelle stazioni, dai finestrini buttavano biglietti per comunivare la loro destinazione, tanti li raccoglievano, li leggevano e li gettavano via!. E con il passar del tempo la faccenda si ingrandì: proprieari di appartamenti che venivano mandati via e gli appartamenti divenivano proprietà dei fascisti, negozi I cui proprietari ebrei sparivano e poi diventavano proprietari I fascisti, e così si arricchivano! Così adagio adagio siamo arrivati al punto delle Leggi razziali!. i

IO A TREVIGLIO

Treviglio era punto di riferimento delle varie stazioni, Milano-Brescia-Venezia, Milano -Treviglio Cremona, Milano-Treviglio -Bergamo. Iniziarono ad arrivare tanti ragazzi, militari che scappavano. Io e dei miei amici abbiamo fatto il giro di Treviglio e abbiamo raccolto tanto vestiario da fornire ai militari in fuga, così quando sono arrivati I nazisti hanno trovato solo divise e I militari vestiti in borghese erano fuggiti attraverso le campagne.

Quando cominciavano a passare le prime tradotte noi procurammo di far saltare I binari e così questi vagoni carichi di ebrei o di soldati italiani venivano messi sui binari morti. Io avevo delle amiche, allora si diceva “la davano via” “prostitute o  escort” (nome d’arte bellissimo, perchè frequentano certi personaggi. Io ho detto a queste ragazze che noi le avremmo pagate se si portavano via le sentinelle, se le portavano in campagna.Loro mi risposero: “ voi rischiate la vita, noi lo facciamo gratis”. Poi ho capito perchè lo facevano gratis: uriacavano le sentinelle e rubavano loro tutto, portafogli, orologi , catenine! Erano super! Sovente I ferrovieri ci fornivano degli attrezzi e così noi riuscivamo a scardinare I portelloni. Era una cosa impressionante vedere cosa trasportavano: erano tutte persone in piedi, perchè non potevano sedersi tanto erano stipati.. gente già morta a terra, soprattutto bambini di pochi mesi di un anno o due. Queste persone non scendevano, ci davano I loro bambini e ci dicevanodi salvare almeno I loro piccoli.. Da lì abbiamo iniziato a organizzarci, con Don Bussa e con mio padre, per portare questi bambini in Svizzera. Allora a Treviglio vi era la”CASA DEI VECCHIONI”, CHE ADESSO è LA casa di riposo. Era gestta da Suor Angelica che ci aiutava a nascondere I bambini. Da lì, avendo mio padre il permesso di trasportare I cascami della seta, la seta e I bozzoli, con un camion col motore a fuococioè a legna, caricavamo le balle creando una specie di corridoio dove nascondevamo I bambini e in questo modo si faceva il percorso. Don Bussa aveva preparato una casa delle vacanze per I bambini dell’Isola Serina nelle Valli Bergamasche, così a volte li portavamo lì, oppure da Treviglio li portavamo nel quartiere dell’Isola dove vi erano tante persone che li accoglievano in casa in attesa di poter andare in Svizzera, Quando era il momento opporuno, si partiva da Milano e attraverso Varese si andava a Cadegliano. Qui vi era una signora che aveva lavorato in filanda a Lavena e non lavorando più faceva la contadina. Lei aveva preparato nel fienile, in mezzo alle balle di fieno, un corridoio con dei giacigli dove metteva a riposare I bambini in attesa di portarli in Svizzera.

Io avevo avuto la fortuna di conoscere tutti I sentieri della guerra del 15/18 che mi aveva mostrato un signore anziano che viveva dei prodotti del bosco, Attraversavamo questi camminamenti, e d’accordo con un capo dei contrabbandieri e con dei pescatori avevamo appreso quale era il punto in cui loro andavano in Svizzera.Inoltre questo uomo ci diceva quando era il momento di portare I bambini verso la frontiera. In quegli anni, fino alla fine della guerra, su tutto il confine c’era una rete metallica alta 5 metri con dei campanelli, e bastava toccarla per farla suonare e richiamare le pattuglie.. Questi collaboratori andavano verso Luino, facevano suonare I campanelli così le pattuglie correvano verso Luino, che era a dieci km. lasciando sguarnita la rete dove passavamo noi attraverso l’apertura che avevano preparato loro. Si spostava una specie di cespuglio enorme, e sotto era stato scavato. In quel punto, il fiume Tresa che sfocia nel lago di Lugano, non aveva più il “letto” normale ma si allargava in tutta la campagna, quindi era bassissimo e si poteva passare a piedi, anche con bambini piccoli. C’erano dei camminamenti interrotti in cui si facevano 4 o 5 km tutti sotto terra.Sopra si sentivano I cani delle pattuglie naziste e fasciste  , che captavano la presenza di persone, ma non capivano dove fosse l’ingresso. Era un inferno sentire quei cani abbaiare.

I PRIMI CONTATTI CON EBREI

I primi contatti con gli ebrei furono tramite mio padre che li conosceva nelle Filande e poi con I contatti che aveva Don Bussa a Milano. Don Bussa cominciò a portarli a Serina e noi li portavamo sopra Porta Ceresio e di lì a Serpiano. Da Serpiano vi furo casi in cui qualcuno per prendere soldi dai nazifascisti li portò indietro e li fece arrestare! Invece le famiglie di confine li accettavano e proteggevano.

La prima accoglienza era a Treviglio nel “Ricovero dei vecchioni”; poi un’ altro luogo di accoglienza era a all’Isola, quartiere molto solidale con case di ringhiera. Nell’Isola non poteva entrare nessuno. Quando arrestarono don Bussa e fu portato in caserma dalle brigate nere, tutto il quartiere si presentò davanti alla caserma, e tieni conto che allora l’Isola era il quartiere della malavita milanese. Andarono tutti con un fiore in mano. All’Isola avevano tutti paura ad entrare, carabinieri e fascisti non sono mai entrati. Io all’Isola avevo tanti amici ed era pericoloso avvicinarsi ai miei amici perchè chi veniva da me con brutte intenzioni veniva fatto fuori.

Don Bussa 

https://it.gariwo.net/giusti/shoah-e-nazismo/don-eugenio-bussa-106.html 

Anche I contrabbandieri ci aiutarono sempre, oltre a portarci roba da mangiare dalla Svizzera, ci insegnarono percorsi che non esistevano su nessuna carta. Anche I pescatori non so quante volte ci salvarono dai rastrellamenti coprendoci con delle reti e su grandi barche ci portavano in Svizzera.  

LA RAGAZZINA CON L’OMBRELLO

Una sera , ai primi di marzo del ’44, mentre tornavo dalla Svizzera, è scoppiato un temporale e allora mi sono fermato sotto il portico di una villa, quando a un certo punto è uscita una ragazzina con l’ombrello e mi ha fatto entrare in casa. C’era il camino acceso, mi sono asciugato e poi mi ha chiesto se volevo qualcosa da bere, mi ha portato un bicchiere di Martini bianco. Quel Martini lì è rimasto l’aperitivo di tutta la mia vita….

Poi sono arrivati I genitori, lei ha spiegato loro chi ero e cosa avevo fatto e mi dissero di fermarmi a dormire per la notte. Era una famiglia ebrea scappata da Ferrara, poichè in quella città avevano già ucciso o deportato tantissimi ebrei. Io dissi lo che li avrei portati in Svizzera, ma il ppadre mi rispose che preferiva rimanere lì poichè si sentiva al sicuro in quanto nessuno li conosceva. Periodicamente passavo a salutarli quando andavo in Svizzera.

Si era cominciato con l’aiutare gli ebrei, ma dopo portammo in svizzera anche molti italiani antifascisti, quelli che non si erano presentati al proclama di Graziani, che erano scappati dall’esercito, renitenti.

DENUNCIATO E PICCHIATO

Ai primi di Luglio 1944 fui denunciato, perchè erano usciti I volantini in cui si promettevano 5000 Lire a chi denunciava gli ebrei o chi li aiutava. Fui preso dalla x Mas, volevano sapere dove avevo nascosto I bambini, mi diedero un sacco di botte, poi mi consegnaronoin mano al federale delle brigate nere di Bergamo  Resmini, questi era amico di Tremaglia, nostro benemerito ministro, e lì nuovamente presi così tante botte che non auguro a nessuno. Fui messo in prigione in attesa di essere deportato in Germania e lì incontrai quattro Anarchici di Carrara anche loro in attesa di essere deportati.

Siccome vi erano solo due carabinieri di guardia, attendemmo il momento opportuno e riuscimmo a fuggire. Da Treviglio andammo verso Serina dove c’era la casa di Don Bussa, poi andammo su al mio paese e ci sistemammo là. In questo modo eravamo in contatto con mio padre e quando c’erano bambini da portare in Svizzera eravamo pronti! Avevamo formato questo piccolo gruppo convinti che quando il gruppo Partigiano si ingrandiva vi er sempre dentro la spia.

 

 

INIZIO DEL PARTIGIANATO

La nostra attività fu questa fino a fine luglio ’44, poi iniziò l’attività di Partigiano. Peridicamente ci spostavamo perchè I contrabbandieri ci avevano consigliato di non battere sempre lo stesso passo. Erano sempre loro che ci portavano prodotti dalla Svizzera zucchero, caffè, pesce secco ed altro per il nostro sostentamento.

Ci consigliarono di spostarci al Ponte di Turbigo, sulla sponda piemontese del lago Maggiore, e anche lì come al mio paese avemmo parecchi scontri con i nazifascisti perchè era una zona molto controllata in quanto confinante con la Svizzera.

Poi la guerra non finì il 25 Aprile, si combattè ancora e in qualche posto fino a fine maggio, perchè la Wehrmacht ha mollato subito tutto, le SS no. La  Wehrmacht ci chiedeva il permesso di passare e ci consegnava le armi. Le SS non volevano mollare, a Milano si è combattuto fino a metà maggio. Poi c’erano I fanatici, a cui Mussolini aveva detto “ ci troviamo in Valtellina per rifare l’Italia”. I miei amici di Carrara sono andati verso casa loro, ed io sono andato a Milano, dov’erano I miei amici e abbiamo combattuto ancora. 

venerdì 5 aprile 2024

BONA GIOVANNI ARGUELLO 1930

 


                             



                               NONNO GIOVANNI BONA CHE HO RINOMINATO

 

LE ALLUVIONI DELLA MIA VITA

Mio papà e mia mamma si sposarono nel 1928 a Lequio Berria . La mamma veniva dalla Cascina Massa che dista tre chilometri dalla Chiesa e mi raccontava che quel giorno di fine Febbraio venne “in Fiocon” una nevicata che li costrinse a mettersi i “sòcro” zoccoli per raggiungere il paese. Io sono nato al mulino di Arguello dove mio padre e mio padrino Barba Paolin(il papà di Witer) facevano i miriné i mugnai. Nel 1926 ebbero grandi problemi in quanto oltre a perdere entrambi i genitori ci fu una alluvione che li costrinse a costruire un bastione di pietre con delle gabbie di ferro che proteggesse il mulino poiché Belbo aveva deviato il suo corso proprio verso il mulino. Fu un lavoro massacrante e lungo e proprio per questo non si trovavano manovali. Chi veniva lavorava una giornata, poi a "masanté" maneggiare quei massi si stancavano tantissimo e non tornavano il giorno dopo! 


                    MULINO DI ARGUELLO

IL DISASTRO DEL 1948

Un’altra alluvione che ricordo io è successa nel 1948. A Settembre, dopo un’estate di siccità ,a causa della quale non si poteva più macinare, alle sei di mattina iniziò a piovere impetuosamente a intervalli di un quarto d’ora. Il papà “o cisava” chiudeva la paratia affinchè l’acqua del Belbo non raggiungesse il canale della ruota del mulino ma alle sette avevavamo già l’acqua contro la casa. Belbo aveva saltato paratie e bastione. Piovve violentemente fino alle quattro del pomeriggio e poi continuò. Verso sera prendemmo  “er bestie” gli animali e salimmo nelle casetta su per la strada di Arguello.  Lavorammo otto giorni per ripristinare il bastione e il canale anche assumendo dei “manoà” manovali che però venivano solo una giornata perché il lavoro era massacrante:bisognava sollevare a mano massi di  pietra per sistemarli nelle gabbie di filo di ferro.

Quando finimmo di ripristinare accadde cosa mia nonna aveva previsto. Iniziò nuovamente a piovere alle otto di mattina e a mezzogiorno e mezzo mio padre avendo visto da una posizione elevata che a un chilometro, dove il Belbo si incanalava per portare acqua al mulino, era saltato il bastione e la paratia decise di andare via e portammo gli animali alla Masseria.



                IL FIUME BELBO A CAMPETTO

 

Il PONTE DI NAPOLEONE

Fu un’alluvione disastrosa, lungo tutto il Belbo non rimase una pianta da frutta né un “mo” gelso e fino a Canelli non rimase un ponte tranne quello di Campetto che fu fatto costruire da Napoleone. Quando l’acqua si ritirò vi era solo sabbia  ghiaia e “tronch” tronchi . 

Tornammo a sistemare il canale per poter macinare per l’Autunno poiché la gente veniva a macinare per farsi un po’ di scorta per l’Inverno. Il lavoro di arginamento tenne finchè non arrivò l’alluvione del 1968. .Dopo le catastrofi del ’26 e del ’48 nel 1952, scegliemmo di allontanarci dal Belbo e sia io che mio cugino Witer che nel frattempo aveva preso il mulino der Paré sotto Cerretto Langhe, vendemmo e ci trasferimmo noi ad Arguello e lui a Cerretto.

 

 

LE MIE SCUOLE

Nato nel 1930 al mulino di Arguello frequentai l^ 2^ 3^ classe ad Arguello, la quarta a Cravanzana e la quinta a Cerretto. Siccome mia mamma voleva farmi studiare diedi l’esame di ammissione ad Alba ma ,in attesa che finisse la guerra mi fecero ripetere nel 1941 la classe  quinta ad Arguello . Siccome la guerra non cessava e i pericoli per scendere ad Alba erano tanti (tra bombardamenti, repubblichini Tedeschi e partigiani) mi mandarono a imparare il mestiere di sarto “a ‘mprende a cuse”.

 

NESSUNA “COCCOLA E PAURA DI NIENTE

Fin dalla prima classe ero da solo,a salire, dal Mulino ad Arguello,eppure non mi hanno mai accompagnato,”vissi gnun e‘coccole nessuna e se avevi paura ti arrangiavi!. Partivo che era ancora notte e con trenta centimetri di neve si andava ugualmente e non son mai stato assente. Mio padre mi metteva le fasce ai piedi e mi infilava gli zoccoli. In quei tempi non c’erano soldi per comprare le scarpe!

Arrivavo a scuola con i piedi bagnati,poiché dopo 5 minuti di cammino le fasce erano fuori e fradice e mi tenevo i piedi umidi fino alle due quando arrivavo a casa. Eppure la neve non mi ha mai fatto paura , in quanto si abitava in un posto dove le comodità non esistevano e i buoi e la carretta erano usati per lavoro e necessitavano di uno davanti e uno dietro per “saré” frenare in discesa e “ molé ra saroira”allentare in salita.

 

Ra calà con i beu e o lezon

SPAZZANEVE CON BUOI 

Se venivano solo 30 o 40 centimetri di neve “a se sciancava a pé” si faceva il sentiero a piedi o la si toglieva con la pala, se venivano 50 o 60 cm si usavano “ra leza “spazzaneve e i buoi. In salita la tenevamo chiusa e in discesa salivamo in due o tre per schiacciare e mettevamo una pietra pesante sulla  punta. Mi ricordo che un anno nevicò solo due volte ma entrambe le volte ne vennero un metro e quindici. Impiegammo due giorni a spalare, dovevamo fare un sentiero abbastanza largo  e in più avevamo la strada di Arguello fino alla Masseria, verso Cravanzana fino alla Cà Bianca e verso Cerretto fino ai Parodi, dove mi son sposato io. Bisognava pulire le strade poiché la gente veniva a macinare con un sacco di meliga o grano in spalla e se trovava la neve poi non veniva più. Il nostro mulino con quello di Campetto era quello che macinava di più nonostante di mulini sul Belbo ce ne fossero tanti.

 

I MIEI MAESTRI SARTI

 



PER STIRARE LE MANICHE



Il primo Marzo del 1945 iniziai la scuola da Sartò qui ad Arguello da Lorenzo Gatti.

Dopo sei mesi “Iè tacaje d’andè a Tirin, e mi son sta sensa maestro”. (Decise di andare a Torino e io rimasi senza maestro.) Trovai un sarto a Montelupo che aveva già un apprendista di Lequio Berria .Andavo al Lunedì e tornavo a casa il sabato , o a piedi o in bicicletta. Il sarto era  nella Borgata Brantegna.    

Ci mantenevamo da casa eh! La mamma mi preparava del  coniglio e altre vivande per tutta la settimana.

.Dal primo Settembre  del ’45 a Settembre del ’46 rimasi a Montelupo ma il fratello del sarto si ammalò di Tubercolosi e i “mè “ “i miei genitori “chiesero consiglio ar Professor d’Alba  e decisero di tenermi a casa ..

 

 

TRE ANNI PER IMPARARE IL MESTIERE

 

L’apprendista di Lequio Berria era Mario Delponte  e aveva quasi terminato il suo percorso per imparare il mestiere. Lorensin tornò ad Arguello e  gli insegnò a tagliare le stoffe e lui fu pronto a lavorare. Io venni ancora un anno e mezzo a “cuse” a cucire ed ebbi il mestiere. Agli inizi imparai a usare “ra gugia e er dià” l’ago e il ditale per cucire ,in seguito mi fecero “perfiré” sopraffilare poiché non c’erano ancora le macchine che cucivano a punto “Zic zac”. Per cucire a sopraggitto un paio di pantaloni occorreva più di un’ora! Ci sono quattro pezzi e bisogna “Perfireje tut antorna per nen chi se sfira la stofa.” Cucirli tutto intorno affinchè non si sfili la stoffa..In seguito ho imparato a cucire a macchina e a “Fé er braje”a fare i pantaloni. Le giacche a quei tempi si producevano  tutte a mano. Antava amprande a pèrfiré er pince davanti, a piché er matalote e er paramonture, a fissé er plastro ,a ambastì re spaline con r’ovatta e a apliché na mania.”Bisognava imparare a sopraffilare le pieghe che ci sono davanti, a piccare i risvolti anteriori, a fissare la tela rigida del davanti, a imbastire le spalline con l’ovatta e ad applicare la manica .Dopo aver imbastito tutto ,fatto la prova e applicato la fodera occorreva cucire tutto a mano in modo definitivo. A cucire una giacca compreso il “punto mosca” del collo ci volevano due ore e mezza ,”ma a esse lèst.! Ma a essere svelto! Una giacca tutta cucita a mano richiedeva due giorni di lavoro, mezza giornata i pantaloni e “mesa giornà per er corpèt” e mezza giornata per il panciotto.

 

 


 


 

 

 

UN LAVORO COMPLICATO

 

In tanti anni di lavoro il lavoro più delicato che feci fu la “vesta ar Parco Don Odello Parroco di Arguello.Lui era gentilissimo . Molte volte mi prestò la sua Topolino che pur più vecchia e “Marandà” (Malmessa)della mia partiva sempre al primo colpo,la mia “A fava sempre tribulé”.(faceva tribolare)

Aveva piacere che gli realizzassi una veste e insistè talmente che mi ingegnai di fargliela. Tribolai ,ma prendendo spunto da alcuni libri, la preparai e lo feci contento.

SENZA CORRENTE ELETTRICA!

Dopo qualche anno di lavoro acquistai una macchina da cucire di seconda mano solo a pedale poiché  non era ancora arrivata la luce e così pure usavo i ferri da stiro con la brace o da piastra .Bisognava fare attenzione ,perché se le piastre erano troppo calde rischiavi di sprecare tutto!

Quando poi arrivò la luce acquistai una macchina professionale che ho ancora adesso e che permette di cucire anche stoffe spesse per i “Paltò” cappotti.

 

ADESSSO HO SMESSO!

Per tanti anni ho avuto clienti da tutti i paesi dei dintorni, poi con l’avvento “der robe fàte” dei vestiti già pronti, realizzavo solo più pantaloni e abiti per persone fuori misura e che avevano piacere facessi loro degli abiti su misura.

Qualche hanno fa ho deciso di smettere il lavoro di sarto e avvisati i clienti più affezionati ho chiuso con il cucito.

 

Giovanni Bona di Arguello da Miriné e Sartò è andato in pensione e fa solo più il nonno di Michele e gli insegna qualche "trucco" segreto della palla pugno e pantalera . Il suo segreto per stare in forma però è :Mai sté frèm! Mai stare fermo!


Giovanni, Angelo “o Cit”, Italo , Reste



 

https://youtu.be/7Ceg5SQV6-s                    

 BONA GIOVANNI RICORDO DEI TEDESCHI IN BELBO

BONA GIOVANNI  ARGUELLO 1930

MIO PADRE PRESO DAI NAZIFASCISTI

NEL RASTRELLAMENTO DEL 20 11 1944

Io nel 1944 avevo 14 anni, ne dimostravo 17, 18 e pesavo 65 Kg, così non credevano che avessi solo quell’età! Mostravo la carta d’identità ma per non rischiare di essere arrestato o essere preso come ostaggio preferivo andarmi a nascondere quando effettuavano i rastrellamenti. Quella Domenica sera del 16 Gennaio 1944 mio padre, tornando dall’osteria del paese vide che a Cerretto erano arrivati i nazifascisti, comprese perché i partigiani avevano preparato il profondo fosso in fondo alla strada che da Cerretto scende in Belbo. Prevedendo che sarebbero arrivati anche da noi al Mulino del Belbo accelerò il passo e giunto a casa disse:

< Sarà meglio che nascondiamo qualcosa prima che arrivino!>

Prendemmo un po’ di lenzuola, biancheria e coperte e le mettemmo in un “cofo”(baule)


e lo nascondemmo sotto una catasta di “Fass èd méjrasson” (Fasci di piante di meliga). Al mattino alle sei scese per vedere se vi erano dei rumori e vide che c’era un autoblindo con una dozzina di camion e una compagnia di soldati che stavano scendendo. Si barricò in casa, ma non fece a tempo di avvisarci che sentì battere alla porta. Erano i tedeschi che erano scesi da Cerretto e dovevano andare al Brich Cisterna. Avevano già preso uomini in ostaggio a Cerretto (come già detto da Cavallo Italo e Mario Cavallotto ‘d Fantin) e facevano portare loro le cassette delle munizioni. Presero anche lui e solo più tardi noi ci accorgemmo che non tornava. Ci preoccupammo ancora di più quando sentimmo che i Partigiani, che erano in tanti a Cravanzana, iniziarono a sparare con le mitragliatrici alla testa dello squadrone sbucato alla Cascina della Cà bianca. Fortunatamente mio padre si trovò a fianco ad un interprete che capiva l’italiano e riuscì a spiegargli che non aveva potuto avvisare i famigliari e questi si sarebbero preoccupati. Mosso a compassione, questo gli fece segno di andarsene. Ringraziò e prese a tornare indietro, anche se altri soldati volevano rifilargli cassette di proiettili. Rischiò e riuscì a tornare al mulino. Al pomeriggio vennero altri tedeschi, avevano un ferito ma l’auto non funzionava, così obbligarono il nostro mezzadro “Vigio cagatreno” ad attaccare i buoi e a trainarla in paese a Cerretto. Temevamo che una volta arrivati in paese sequestrassero i buoi, e invece lo lasciarono ritornare con le bestie. Io e mio padre vedemmo tutto dal nascondiglio nella vigna sopra il mulino. In quei tempi avevamo tutti dei nascondigli perché se ti prendevano ti incolonnavano e ti deportavano in Germania. Quasi tutte le famiglie avevano costruito dei rifugi-nascondigli dove nascondere giovani che erano in età di servizio militare o anche sbandati dopo l’8 settembre 43.

Noi lo costruimmo nella vigna sopra il mulino. Realizzammo un fossa dove ci stessero due o più persone, la ricoprimmo con “drè steppe” assi a loro volta nuovamente mimetizzate con terra e letame, poi avevamo praticato un foro per entrare che richiudevamo con una grande pietra che simulava la continuazione del muro della Piovà(terrazzamento). Lo utilizzammo parecchie volte anche per nascondere dei militari sbandati che sarebbe stato pericoloso lasciar dormire in cascina. A questi fornimmo abiti borghesi da sostituire con quelli militari che venivano bruciati o nascosti,

 

STERMESSE     NASCONDERSI

Piovà                  TERRAZZAMENTI

 Fé COMPASSION

 




 

https://youtu.be/8yElceoF398 NASCONDIGLI

Al Mulino di Arguello avevamo preparato un nascondiglio tra il ”Rodon” (RUOTA A PALE DEL MULINO AD ACQUA) e il muro Avevamo costruito con delle assi un gabbiotto dove VITER , mio cugino andava a nascondersi quando arrivavano i nazifascisti. Così non veniva in mente a nessuno di andare a vedere in quello spazio. Una volta li vedemmo che scendevano dalla strada che arriva da Cerretto, sembravano distanti, demmo l’allarme ma quando furono dalle case di Pianponga non li vedemmo più! Erano talmente tanti che i primi girammo gli occhi e ce li trovammo già davanti al mulino che piazzavano le mitraglie. Ci fecero andare tutti nel cortile e chiesero dove erano i Partigiani. Io e tutti dicemmo che non li avevamo visti. Per spaventarci il comandante piantava certe urla in tedesco! Quella volta lì da noi non presero nessuno  invece arrestarono due che abitavano in una “ciaborna di solo due stanzette una sotto e una sopra” che era poco distante da noi lungo il Belbo. Questi vestivano come dei partigiani e davano nell’occhio. Li fecero procedere davanti a tutti e salirono verso Cravanzana. Gli ostaggi li facevano camminare davanti così se qualche Partigiano sparava loro erano protetti e allertati!

Un altro nascondiglio lo costruimmo dalla casa qui sopra chiamata dèr Murin perché era anche nostra e ci andavamo quando c’era rischio di alluvioni. Dietro questa casa andando verso il bosco c’era uno “Scao” (essicatoio) e c’erano dei muri per terrazzamenti” Piovà ” ,  tra un muro e l’altro facemmo un scavo grande come una stanzetta e lo ricoprimmo con assi e ramaglie. Ci entravano 4 o 5 persone, quanti eravamo quelli che dovevano nasconderci al mulino.

                     ESSICATOIO      "SCAO"

Eh dei bei sbaruv !(spaventi) ce li siamo presi tra sbandà, republican, tedesch e Partigian! Una volta arrivarono dei soldati sbandati dalla Francia e ci chiesero di dar loro degli abiti civili, in modo che potessero proteggersi dai nazifascisti. Noi li vestimmo con quanto avevamo e loro ci lasciarono le loro divise. Ci sbrigammo a metterle in un sacco e a nasconderlo, ma i Partigiani vennero e se lo fecero consegnare, ce lo togliemmo volentieri, ma così rimanemmo senza abiti civili e senza quelli militari che sarebbero potuti servire come stoffa a fine guerra!